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Autore: micRobs    03/02/2014    4 recensioni
Dal testo: "Due idioti prevedibili, ecco quello che siamo. Ma io ormai sono sceso a patti con la stupidità fulminante che mi ha colpito da quando lo conosco, mentre lui… beh, forse lui è sempre stato così. Stupido, intendo. E lo dimostra il fatto che si sia davvero preso una sorta di cotta per me. Cosa che mi aspetterei da un cerebroleso qualsiasi incontrato in qualche pub dimenticato da Dio e non da un ragazzo dotato di un cervello come lui. Chiunque possieda un minimo di raziocinio e senso logico capirebbe all’istante che Sebastian Smythe non è proprio la persona più adatta per cui provare qualsiasi genere di sentimento romantico, quindi forse Thad è stupido davvero. O costituisce solo una sostanziale ed unica eccezione. Mi piace pensare che sia la seconda opzione quella corretta, sarebbe un’interessante chiave di lettura per questo arcano così incasinato.
[...]
Thad si allontana subito dal ragazzo che stava baciando e «Per te non sono in vendita» mi informa con candore, come se sapesse che quella era esattamente la risposta che io mi aspettavo da lui. Cosa che in effetti è anche vera, maledetta prevedibile stupidità."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di Robs: Questa shot voleva essere scritta. Ha preteso di diventare realtà e non si è accontentata di rimanere una delle tante idee che quotidianamente mi vengono random. Tra l’altro, si è scritta in pochissimo tempo ed era talmente tanto che non scrivevo qualcosa di così lungo, che è stata come una vera propria liberazione. Oltretutto, questo è il mio primissimo esperimento di narrazione in prima persona – al presente, perché a me piace complicarmi la via – quindi ho una paura folle di aver fatto un enorme buco nell’acqua, anche se la mia beta è stata dolcissima a tranquillizzarmi a riguardo ♥
Se vi va, magari, fatemi sapere cosa ne pensate, ecco. In genere evito di chiedere pareri, ma stavolta mi piacerebbe sapere le vostre opinioni riguardo quest’azzardo ♥  E so che già il titolo è piuttosto indicativo, ma non aspettatevi nulla di serio: c’è solo il pov di un Sebastian stupidamente innamorato ♥
 
 

 
 
The perks of being a stupid (in love)
 
 

 
Qualcosa deve essere andato storto durante il mio processo evolutivo. Ormai è evidente. E non deve neanche trattarsi di qualcosa di poco conto, tra l'altro, ma di una fottuta particella di Dio che ha pensato bene di compromettere anche tutto il resto.

Certo, nel corso degli ultimi anni, sono state varie le avvisaglie della palese mutazione genetica che hanno subito i miei neuroni, ma come si dice, uno è un caso e due è una coincidenza, quindi non è che io abbia prestato poi tutta questa attenzione alla storia della granita modificata e alla divertente trovata delle foto diffamatorie di qualche mese fa. Oddio, c'è stata anche la questione di Karofsky e non è che io lì mia comportato in maniera così tanto corretta, per non considerare poi la faccenda degli steroidi. E il furto del trofeo agli avversari e... okay, si è ovviamente trattato di più di un semplice caso, ma tutto quello può convenientemente essere archiviato sotto lo stendardo della ribellione adolescenziale, quindi non è che io gli abbia dato tutto questo peso. Avevo altre cose a cui pensare, in ogni caso.

No, adesso è proprio evidente, adesso è diventato l'elefante nella stanza di cui nessuno parla pur vedendolo benissimo. Come nelle gag animate, in cui la forza di gravità non agisce su di te fino a che non ti rendi effettivamente conto di essere finito oltre il burrone. D'accordo, sono finito oltre il burrone. E me ne sono reso conto. Volete biasimarmi per questo? Secondo la mia modesta opinione, non si tratta altro che di un delicato processo psicologico chiamato "presa di coscienza". Sarei da elogiare, non da compatire.

La fregatura è che passano tutta la vita a dirti di maturare, a sciorinare brillanti insegnamenti e a puntare il dito ogni qualvolta sbagli, perché “è colpa tua, dovresti crescere un po’”, ma nessuno si prende la briga di dirti cosa diavolo succede quando poi finalmente lo fai. Che si fa al momento della mistica ammissione di deficienza? Non è scritto da nessuna parte, quindi bisogna andare un po’ ad improvvisazione. Ed è proprio quello che ho deciso di fare io.

Ad onor del vero, tutto ciò che ho fatto è stato sedermi ad uno dei tavolini della caffetteria del centro commerciale e piazzarmi in viso la mia miglior espressione contrariata e infastidita e non è che stia funzionando poi tanto. Anzi, non sta funzionando per nulla, visto che la fila pare quasi allungarsi ad ogni sbuffo che mi scappa dalle labbra strette.

So che la colpa è mia, so che mi sono infilato in questa situazione perché la mia stitichezza emotiva è peggiorata al punto da diventare una condizione patologica e permanente, ma a mia discolpa posso almeno dire di starci provando adesso a risolvere questo problema. Il primo passo per risolvere un problema è ammettere di avere un problema. No, in realtà, il primo passo per risolvere un problema è avere un problema, altrimenti non vi sarebbe ragione di darsi pena, ed io ho un problema. Uno grosso e verde. E no, non è un muffin andato a male.

Il mio problema ha settanta chili di buone ragioni per cui mandare al diavolo la mia dignità, un culo che mi rende difficile anche pensare e un cervello. Uno di quelli che funzionano bene, purtroppo per me. Uno con cui non sono abituato ad avere a che fare e che mi sta rendendo le cose più difficili di quanto avessi preventivato. Certo, le sta rendendo anche più interessanti e divertenti, ma al momento sono il fastidio e la rabbia ad avere la meglio e quindi non è che io riesca proprio a ridere di tutta questa situazione.

Non ho neanche ben chiaro come io abbia fatto ad immischiarmici, se proprio vogliamo dirla tutta, ma ho già spiegato le mie enormi difficoltà di raziocinio quando la mia controparte è rappresentata da quel culo e da quegli occhi, quindi eviterò di pronunciarmi nuovamente su questo punto. La verità è che a me piacciono le sfide. Ma non è quel tipo di “mi piace” che ti scappa dalle labbra alla vista di una fetta di torta glassata o di fronte a un modello di Abercrombie. È quel tipo di “mi piace” che crea più problemi di quelli che potrebbe effettivamente risolvere e che la maggior parte delle volte è un vero e proprio attentato alla tua dignità e alla tua reputazione. Quando si tratta di mettermi in gioco e dare il meglio di me, io perdo totalmente il controllo, sragiono e mi ficco in situazioni che mi fanno fare cazzate su cazzate e… insomma, la lista già l’ho fatta, quindi potete farvi un’idea della veridicità delle mie argomentazioni.

Dicevo, però, le sfide, ecco. Io vado pazzo per le sfide, provo una sorta di piacere sadico nel vedere l’avversario sconfitto e vincere – e vantarmene fino alla nausea – mi è motivo di profonda soddisfazione personale. Ognuno ha i propri divertimenti, io ho i miei, almeno fino a che questi non mi si ritorcono contro. Stavolta non è che la dinamica dei fatti sia stata poi così tanto differente dal solito, ma c’è da dire che io non avevo assolutamente idea di cosa mi stessi autoinfliggendo fino a che non ho preso posto a questo tavolino, qualche ora fa.

È iniziato tutto da un “no”, un comunissimo e banalissimo no, che non era neanche la prima volta che pronunciavo. Ma, forse, ormai mi pare piuttosto evidente, ho detto no una volta di troppo. E per questo sono stato punito. Me ne sono pentito? Sì. Mi sento un idiota? Più o meno. Sono disposto ad ammetterlo? Decisamente no.

E forse è tutto qui, di nuovo. Ricordate la questione della stitichezza emotiva? Ecco che ritorna in gioco, perché tutto parte da lì, come la gran parte dei miei recenti problemi. Purtroppo mi riesce difficile manifestare ed esternare ciò che provo e, se questo per me non ha mai rappresentato una limitazione consistente, non posso dire lo stesso per gli altri.

Un altro, in particolare.

I miei settanta chili di sorrisi mozzafiato e battute che non fanno ridere: Thad Harwood, altresì nominato “la più grande sciagura che potesse capitare a Sebastian Smythe”, che poi sarei io.

Non è mai stato tanto difficile entrare nella sua testa – meno difficile che entrare nei suoi jeans, se non altro – perché mi è bastato comprendere e fare miei i fini e complicati meccanismi che muovevano le sue azioni e i suoi pensieri. Certo, all’inizio, alcuni suoi comportamenti mi lasciavano molto perplesso e anche francamente disorientato, ma con il tempo ho imparato a sintonizzarmi sulla sua lunghezza d’onda. Perché, vedete, quando io penso che Thad andrà a sinistra, Thad andrà sempre a destra. Sempre, non esiste che io mi sbagli – anche solo per farmi un dispetto, Harwood andrà sempre nella direzione opposta rispetto a quella che io credo prenderebbe –  quindi è semplicemente bastato iniziare a ragionare al contrario.

E allora ho capito cosa potermi aspettarmi da lui. E lui ha capito cosa potersi aspettare da me.

E forse è stato proprio questo a fregarmi, l’essermi impegnato così tanto a capire come si muovevano i fili del suo cervello, da scoprirmi abbastanza da permettere a lui di fare lo stesso con me. Senza neanche che io me ne rendessi conto, Thad mi si è avvicinato tanto che a volte ero io stesso a dovermi fare indietro, riportarmi a distanza per poter continuare a mantenere una visione d’insieme e non lasciarmi fuorviare dai dettagli e dai particolari. Cosa che alla fine ho fatto comunque, ma questo mi sembra ovvio, altrimenti adesso non sarei a questo punto.

Di “no”, a Thad, ne ho detti tanti, specialmente perché condividiamo la camera in dormitorio e quindi non è così raro che ci troviamo in disaccordo.

“No, Harwood, non puoi usare il bagno per primo.”

“No, Harwood, la luce la devi spegnere, altrimenti io non posso dormire.”

“No, Harwood, stasera farai bene a trovarti qualcosa da fare, perché mi serve la stanza.”

“No, Harwood, non ho idea di che fine abbia fatto la tua ricerca di storia.”

E sono aumentati, a mano a mano che il nostro rapporto si faceva più complicato e, perché no, anche più intimo.

“No, Harwood, non ho la minima intenzione di cantare in duetto con te.”

“No, Harwood, ho voglia di uscire e credo che lo farò comunque.”

“No, Harwood, non puoi restare a dormire nel mio letto, dopo che ho passato le ultime due ore a scoparti come se non ci fosse un domani.”

“No, Harwood, non ho intenzione di incastrarmi in una relazione stabile, smetti di chiedermelo.”

“No, Harwood, questo non significa che io abbia intenzione di rinunciare a te.”

L’egoismo e la perenne ricerca del tornaconto personale sono sempre stati due tratti distintivi del mio carattere, non posso non ammetterlo, ma con Thad la situazione è sempre stata difficile da schematizzare e ridurre a qualche banale e sterile frase fatta o comportamento premeditato. Quel ragazzo ha sempre avuto la sorprendente capacità di fottermi il cervello senza che io me ne rendessi conto, un seme fastidioso e letale che mi si è infilato sottopelle e lì ha messo radici. E so che è ancora qui, lo sento formicolare e so che è lui, così come so di non potermene liberare. La dimostrazione di queste argomentazioni è talmente semplice da risultare quasi prevedibile e stereotipata: ognuno di quei no, che io mi sono imposto di dirgli, in realtà era un “sì” trattenuto con la forza. Tranne l’ultimo, certo, perché di fare a meno di lui non ci penso neanche.

E questo è precisamente il motivo per il quale io mi trovo qui adesso, seduto a un tavolino della caffetteria del centro commerciale, le braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure, mentre il mio personale incubo mi dimostra tutte le ragioni per cui “No, Harwood, i baci sono roba da coppiette stucchevoli ed io e te non siamo neanche una coppia” non è una risposta accettabile dal suo punto di vista. Gli ho concesso tanto, gli ho concesso più di quanto abbia fatto con chiunque altro, sono sceso a compromessi che ritenevo impossibili da raggiungere, mi sono arreso alla voglia che avevo di stringerlo durante la notte, tanto da acconsentire a dormire insieme, mi sono fatto convincere a cantare uno stupido duetto insieme, a patto che fossimo da soli nella nostra camera, mi sono lasciato legare al punto da non sentire neanche più il bisogno di andarmene per locali la sera. Ma questo no, questo non posso farlo. Sebbene abbia praticamente ammesso – con qualche premura imprevista e non a voce – che quello che abbiamo è, sì, una quasi relazione più o meno esclusiva.

Più o meno, ma anche totalmente esclusiva, visto che, come ho già detto, ho smesso di andare con altri da quando è iniziata questa cosa con lui. Quasi relazione, perché per renderla completa bisognerebbe innanzitutto renderla pubblica, cosa che non ho mai sentito il bisogno o il desiderio di fare, e dovremmo poi discutere di questa benedetta clausola dei baci che pare gli stia più a cuore del gusto del lubrificante da usare.

No, io e Harwood stiamo insieme ma senza stare insieme ed è una condizione talmente in sintonia con il mio modo di vivere e di vedere le storie d’amore che non capisco per quale motivo dovrei cambiarla. E, onestamente, non capisco neanche come faccia a non stare bene a lui, visto che… insomma, niente impegni difficili da rispettare, niente bisogno di farsi regali durante le ricorrenze, niente gelosia o sdolcinatezze o…

Okay, forse qualche regalo ce lo siamo fatto e forse ci siamo anche lasciati andare a qualche parola più romantica, ma solo quando eravamo talmente storditi dal sesso da non ricordare neanche il nostro nome. E forse di gelosia adesso ce n’è fin troppa, specialmente perché lui è a pochi metri da me e pare si stia divertendo a farsi pagare un dollaro per baciare perfetti sconosciuti che- okay, senza il forse. Di gelosia adesso ce n’è in quantità deleterie per i miei nervi e per la mia psiche e non è giusto. Non è giusto perché Thad Harwood ha sempre saputo cosa potersi aspettare da me e quindi aveva ben chiaro che i baci non rientrassero nella categoria: la ripicca che sta portando avanti adesso, e da cui pare stia traendo anche notevole beneficio, è immatura, scontata e… e funziona, porca miseria.

Lo ammetto, credevo che avrebbe fatto un buco nell’acqua, che avrebbe allestito il suo banchetto e poi sarebbe rimasto tutto il pomeriggio con le mani in mano, a rimuginare sulla sua pessima decisione e a scendere a patti con la consapevolezza che le sue labbra non fossero appetibili abbastanza da suscitare interesse – e a quel punto, poi sarei sceso in campo io e sì, prima avrei riso della sua figura, poi avrei esultato internamente perché quella bocca era miracolosamente salva e poi, mi sembra proprio il minimo, mi sarei domandato cosa diavolo avessero in quella cazzo di testa gli adolescenti di oggi, per non cogliere al volo l’opportunità di baciare Thad. Invece, niente di tutto ciò è stato possibile e necessario, perché pare che il cervello dei giovani d’oggi funzioni bene abbastanza da fargli comprendere l’enormità dell’occasione che gli si è presentata davanti questo pomeriggio: da che sono seduto qui, ovvero circa tre ore e mezzo, la bocca di Thad non si è mai presa una pausa. E la cosa mi rende furioso, lo ammetto, oltre che geloso all’inverosimile.

Si sono alternate oche giulive in evidente deficienza di esponenti del genere maschile nelle loro vite, un gruppo di ragazzi che hanno scommesso sul dubbio coraggio di uno di loro di farlo davvero, una ragazza che è rimasta a chiacchierare con lui per un tempo infinito prima di prendersi il suo bacio, una giovane coppia in evidente stato di crisi a cui Thad avrà fornito ulteriore motivo di litigio, visto il bacio chilometrico che ha concesso a lei. E così via, fino a riempire tre ore di fila interminabile, con mio profondo disappunto. Ma non mi sono mosso fino ad ora e di certo non gli darò la soddisfazione di farlo adesso, perché sì, Thad sa precisamente che lo sto guardando ed è per questo esatto motivo che mai, neanche una singola volta, ha voltato il viso nella mia direzione. E la cosa mi urta di più i nervi, perché lui è così dannatamente sicuro di star vincendo questa infantile sfida in cui mi ha coinvolto, che non voglio neanche immaginare cosa accadrà quando vincerà davvero.

Ormai è l’orario di punta e il centro commerciale brulica di avventori, quindi è matematico che il numero di clienti di Thad lieviterà come quello dei negozi di abbigliamento e cianfrusaglie varie che qui hanno sede. Inevitabilmente.

Ti sei messo in vendita, vaffanculo, per farmi un cazzo di dispetto. Complimenti per la maturità.

Al momento, di fronte a lui ci sono solo poche persone, un paio di ragazze scosse da risolini, un ragazzo che si guarda intorno con fare circospetto. E poi c’è lui. Perché lui c’è stato tutto il pomeriggio ed è ovvio che ci sia anche adesso, adesso che ho i nervi a fior di pelle e la mia pazienza sta raggiungendo i minimi storici. Lui, nello specifico, è il barista della caffetteria da cui mi sto facendo ospitare; un ragazzo dotato di così tanta solerzia e senso del dovere che – così come ha preso le ordinazioni di tutti i caffè che gli ho chiesto per giustificare la mia presenza a questo tavolino – non ha fatto altro che andare avanti e indietro dal bancone a Thad per tutto il tempo.

Ogni volta che portava a Thad qualcosa da bere, riceveva in cambio un bacio. Io ne ho contati almeno sette, ma qualcuno potrebbe essermi sfuggito perché ero troppo impegnato ad imprecare e a lanciargli maledizioni, per prestare davvero attenzione.

E adesso lui è di nuovo lì, con il bicchiere tra le mani e quel sorriso un po’ impacciato ma consapevole sulle labbra. Consapevole, perché sa di stare per baciare ancora Thad e forse è talmente disperato da voler fare scorta di tutto quello che può avere fino a che non gli capiterà nuovamente la possibilità di baciare così tanto qualcuno gratuitamente. E certo, perché lui gli offre le bibite e Thad gli risparmia l’onere di cacciare quel fottuto dollaro che gli dovrebbe, mica è cretino? No, qui l’unico cretino sono io. E mi sono stancato di esserlo.

Ho trascorso talmente tanto tempo seduto a questo tavolo, mentre Thad si lasciava baciare da perfetti sconosciuti con l’unico scopo di dimostrarmi cosa mi stavo perdendo, che credo di aver dimenticato il motivo per il quale ancora non mi sono alzato e sono andato a rovesciare il suo banchetto improvvisato. La verità è che, forse, una parte di me vorrebbe farlo, vorrebbe raggiungerlo e prendersi ciò che di diritto mi spetta, perché quella bocca è mia, così come lo è qualsiasi altro pezzo del suo corpo. E no, non c’è stato bisogno di sorbirmi tre ore di questo deprimente teatrino, per rendermene conto, ma l’ho sempre saputo e ho sempre finto di non saperlo. Era più facile fare orecchie da mercante, che ammettere che in realtà morivo e muoio dalla voglia di baciarlo.

Sono le implicazioni che mi spaventano, le conseguenze che questo atto si porterebbe con sé, la prospettiva di dare una definizione al rapporto che ci lega e a Thad il completo potere su di me. Non so se sono pronto a mettermi in gioco fino a questo punto, ecco tutto. E odio che Thad mi stia mettendo fretta in questo modo, tra l’altro: è una decisione che devo prendere da solo, non può mettermi alle strette e costringermi a farlo. Lui sa benissimo che non ho la minima intenzione di rinunciare a lui – è colpa mia, gliel’ho praticamente detto, per questo motivo si sta comportando così, perché è ben conscio degli effetti che questa sua trovata geniale avrebbe avuto e sta avendo su di me. Sapeva che mi avrebbe galvanizzato al punto da obbligarmi a giungere a una conclusione definitiva. Una qualsiasi.

Prendere o lasciare. Ed io non voglio lasciare, sebbene odi gli ultimatum e chi me li impone.

Forse, però, realizzo, mentre il cameriere posa il bicchiere sul banco di Thad e quest’ultimo gli rivolge quello sguardo grato e compiaciuto che so bene cosa preannuncia, era esattamente quello di cui avevo bisogno. E, sempre forse, Thad è arrivato a conoscermi talmente bene da sapere che questo era l’unico modo per smuovermi.

Che poi, a ben pensarci, questo suo comportamento risponde a ciò che io ho sempre pensato di lui. E cioè che con Thad Harwood gli schemi perdono di efficacia.

Io mi aspetto che lui vada a destra, quindi so perfettamente che andrà a sinistra. E lui invece va a destra.

Lui si aspetta che io vada a sinistra ed io, stupidamente, vado a sinistra.

E quindi, sapete cosa?, adesso vado davvero a sinistra. E con “sinistra” intendo precisamente “A mostrare a quel tipo tutti i motivi per cui avrebbe fatto bene a guardarsi un film, il giorno in cui ha deciso di voler fare il barista”. E lo schifo che mi ha servito al posto del caffè sarà sicuramente uno di questi, anche se non il primo. E neanche il più importante.

Thad si accorge di me nel momento esatto in cui mi alzo. Lo vedo indugiare per un attimo di troppo con lo sguardo sulla mia figura, prima di riportare la sua attenzione sul ragazzo al suo fianco. Sorridendo visibilmente soddisfatto.

Due idioti prevedibili, ecco quello che siamo. Ma io ormai sono sceso a patti con la stupidità fulminante che mi ha colpito da quando lo conosco, mentre lui… beh, forse lui è sempre stato così. Stupido, intendo. E lo dimostra il fatto che si sia davvero preso una sorta di cotta per me. Cosa che mi aspetterei da un cerebroleso qualsiasi incontrato in qualche pub dimenticato da Dio e non da un ragazzo dotato di un cervello come lui. Chiunque possieda un minimo di raziocinio e senso logico capirebbe all’istante che Sebastian Smythe non è proprio la persona più adatta per cui provare qualsiasi genere di sentimento romantico, quindi forse Thad è stupido davvero. O costituisce solo una sostanziale ed unica eccezione. Mi piace pensare che sia la seconda opzione quella corretta, sarebbe un’interessante chiave di lettura per questo arcano così incasinato.

Il tratto di strada che separa il mio porto sicuro dal chioschetto dei baci di Thad pare allungarsi ad ogni passo che metto in fila. Macino metri su metri, senza distogliere lo sguardo dal viso di quell’idiota che si avvicina inesorabilmente a quello di Thad. Quasi come se avesse diritto di farlo, ma chi cazzo si crede di essere? Quando finalmente saremo una coppia, mi riprenderò tutti i baci che oggi pomeriggio ha distribuito in giro.  

Sì, l’ho pensato davvero. No, sono talmente pieno di adrenalina che la cosa al momento non crea alcun disturbo.

Se Thad vuole giocare, allora giocherò con lui, ma poi non mi si venga a dire che sono io quello immaturo. L’attimo in cui mi rendo conto che tutto questo gran casino ha ormai smesso di essere un gioco coincide con quello in cui la bocca di Thad si poggia su quella del tipo. Sono talmente incazzato, deluso e amareggiato, oltre che ferito e non solo nell’orgoglio, che non mi rendo conto di aver cacciato le mani in tasca fino a che non ne tiro fuori una manciata di spiccioli.

Manciata, poi. Sono appena due o tre monete, di cui ignoro l’ammontare, ma che non mi faccio problemi a posare senza grazia sul banchetto di Thad. Attirando la sua attenzione e quella della fila che, Ops!, pare io abbia saltato. Spiacente, belli, cedesi attività per improvvisa mancanza di personale.

Thad si allontana subito dal ragazzo che stava baciando e rivolge a me i suoi occhioni scuri e, sì, anche vagamente divertiti, poi abbassa lo sguardo sul banco e fa una smorfia.

«Per te non sono in vendita» mi informa con candore, come se sapesse che quella era esattamente la risposta che io mi aspettavo da lui. Cosa che in effetti è anche vera, maledetta prevedibile stupidità.

Nonostante ciò, non mi lascio scoraggiare e, ostentando una calma che in realtà è solo apparente, mi limito a commentare: «Almeno ammetti di esserti messo in vendita.»

Lui pare un po’ in difficoltà, quel tipo di difficoltà che lo porta a mordersi un labbro e ad abbassare lo sguardo, e d’un tratto non è più il ragazzo che ha passato il pomeriggio a baciare una manica di cretini con l’unico scopo di farmi un dispetto, ma ritorna ad essere Thad: il ragazzo che ha passato il pomeriggio a baciare una manica di cretini, quando invece era solo me che voleva baciare, ma io non avevo voluto baciare lui.

«Se non altro, ho attirato la tua attenzione» ribatte, accompagnando quelle parole con una leggera scrollata di spalle. Touché, lo ammetto, ha sicuramente attirato la mia attenzione, ma avrebbe dovuto sapere di non averne il benché minimo bisogno. La mia attenzione era già tutta per lui, non è colpa sua se sono io ad avere una visione un po’ distorta delle relazioni e del modo più efficace di portarne avanti una.

Neanche mi preoccupo che la fila alle mie spalle si stia iniziando a spazientire o che il barista gli abbia rivolto uno sguardo un po’ deluso, prima di tornarsene misericordiosamente ai suoi doveri: con sicurezza, estraggo il portafogli dalla tasca del jeans e ne tiro fuori tutte le banconote che vi sono contenute, poi le poso sul banco e cerco nuovamente i suoi occhi. «Io ho attirato la tua?»

Sono deciso, determinato e so di avergli appena offerto più soldi di quelli che presumibilmente ci sono nella sua boccia di vetro, ma so anche che è tutta scena e che io e Thad siamo due persone tanto complicate ma, fondamentalmente, tanto stupide e immature in fatto di sentimenti. Tant’è che lui abbassa solo per un attimo lo sguardo e vedo le sue labbra piegarsi in un mezzo sorriso un po’ storto, illuminato da una leggera sfumatura di emozione. «Con quelli ti toccherebbe ben più di un solo bacio.»

Annuisco, lasciandomi contagiare da quell’accenno di sorriso. Ho già detto che questo ragazzo mi rende stupido? In ogni caso, non dura molto, perché un attimo dopo torno nuovamente serio e serio sono mentre pronuncio quelle poche parole che so daranno finalmente una definizione a quello che provo per e con lui: «Infatti io voglio anche tutto il resto.»

La sua bocca si schiude in maniera anche piuttosto comica, ma non posso davvero credere che lui sia sorpreso da quanto ho appena detto. Ritorniamo di nuovo al discorso delle direzioni da prendere: io sono sicuro che Thad avesse abilmente previsto questo mio comportamento, tanto da anticiparlo e fare in modo di scatenarlo, adesso non può fare la parte di quello che non se lo aspettava. Siccome lui non sembra intenzionato ad aggiungere altro, però, decido che ormai di tempo ne abbiamo perduto anche troppo. Così rimetto i soldi nel portafogli e poi faccio rapidamente il giro del banchetto, portandomi di fronte a lui.

Questo sì che pare spiazzarlo davvero, poiché Thad boccheggia per qualche attimo, ma si lascia comunque tirare in piedi da me senza opporre resistenza. Dio, da quanto tempo è che non lo tenevo così vicino? Non appena saremo una coppia, dobbiamo assolutamente aggiungere una clausola speciale riguardante la massima distanza a cui questo ragazzo può stare da me. E cioè, non più lontano del mio braccio che si allunga a cercarlo.

Le mie mani trovano facilmente il loro posto intorno alla sua vita e, in un attimo, la fila si disperde, il centro commerciale si sfuoca e i rumori si fanno soffocati. Rimaniamo solo io e lui ed io so talmente bene cosa sta per accadere, che non posso fare a meno di sentirmi improvvisamente tanto spaventato e sì, anche piuttosto stupido. Ma ormai sono sceso a patti anche con questa consapevolezza, quindi provo a concentrarmi sul suo profumo e sulle sue guance appena arrossate, per ignorare tutto ciò che non sia lui.

Thad piega le labbra all’interno e io posso giurare di riuscire a sentire il suo cuore che batte veloce contro il mio petto. «Continuo a non essere in vendita per te» mi informa, ma il suo sguardo dice l’esatto contrario, il suo sguardo dice: “muoviti a baciarmi prima che lo faccia qualcun altro”.

E così è proprio quello che faccio.
 

 
 
 
 
 

 
Here, la mia paginetta ♥

Robs, che ammette di attendere pareri con ansia ♥
   
 
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