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Autore: Naif    04/02/2014    2 recensioni
C’è una linea sottile tra essere vivi e vivere la vita. Ad Effie non è ben chiaro questo concetto fino a quando la perdita della madre non la mette davanti ad una scelta: restare in Spagna, completamente sola, o tornare in Argentina dal fratello Pablo, recuperando un rapporto che è stato quasi inesistente nei suoi diciassette anni di vita. Lì, a Buenos Aires precisamente, c’è ad attendere Effie un gruppo di persone, ancora ignare del fatto che porteranno un uragano (positivo, si intende) nella vita della ragazza, facendole capire che vivere la vita non è affatto difficile. Basta solo trovare un nuovo inizio, poi sarà un gioco di ragazzi.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Nuovo personaggio, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eravamo arrivati a casa in poco tempo ed io ero corsa in quella che sarebbe stata la mia stanza. Agli occhi di chiunque poteva risultare bella, accogliente, ai miei occhi risultava invece evidente che forse dovevo tenere a bada i miei capricci da sorella minore perché Pablo si stava impegnando parecchio a ricucire il nostro rapporto. Su due pareti della stanza erano state appese, tra mensole per i libri, delle foto: in una, c’eravamo mamma, papà, Pablo ed io da piccoli al Parque Tres de Febrero; in un’altra, io e Pablo ad una partita del Boca a La Bombonera; in un’altra ancora, io e la mamma; infine, altre tre foto non ritraevano nessuno della famiglia ma erano state scattate da me che, nonostante fossi piccolina, armeggiavo già con una certa bravura una macchina fotografica. Ritraevano tutte e tre scorci della Boca, un quartiere sul Riachuelo abbastanza famoso: mi ci portò Pablo un giorno un po’ dopo la morte di nostro padre per tirarmi su il morale e la sua missione, almeno per quella mattina, ebbe esito positivo; incominciai a scattare foto ai punti più caratteristici del quartiere e prendevo in giro Pablo perché, nonostante fosse un genio in musica, non sarebbe mai riuscito a fare una foto decente in vita sua. Sorrisi al ricordo e toccai la cornice della foto che tra le tre mi piaceva di più, uno scorcio del Caminito, la strada caratteristica per le sue abitazioni in legno dai colori vivaci.
«È quella che mi piace di più, tra le tre». Mi girai verso Pablo, sorridendo alla sua affermazione. Girandomi, vidi che sul letto posizionato al centro della stanza c’era un gattino grigio che sembrava mi guardasse incuriosito.
«L’ho trovato un po’ di tempo fa fuori casa, stava morendo di fame: non sono più riuscito a sbarazzarmene» raccontò, ridendo. Mi avvicinai: era così familiare, come se lo avessi già visto… Chiesi a mio fratello come si chiamasse.
«Mirtillo». Mi rispose con un tono di voce che presupponeva una reazione da parte mia, una reazione che non tardò ad arrivare.
«È identico» sussurrai, accarezzando il gatto che fece le fusa. Sembrava il gemello vivente di un pupazzo che quando avevo due anni mi portavo dietro ovunque andassi. «Non ricordo, però, perché lo chiamai Mirtillo» confessai.
«Avevi tolto le tonsille e per ridurre il dolore mangiasti del gelato al mirtillo, nel mentre papà ti portò quel pupazzo e tu, tutta contenta, prendendolo in mano dicesti: “Ciao Mirtillo, perché il gelato è buono e tu sei buono”».
«Embè, l’hai lasciato solo per venirmi a prendere?» chiesi mettendomi a ridere.
«È un gatto autonomo, lui, non so se te ne sei accorta ma è rientrato in casa quando siamo tornati noi, era andato dalla vicina» aggiunse poi, anticipando la mia nuova domanda. «Noi dovremmo andare» disse all’improvviso Pablo, non tanto rivolto a me  quanto al gatto: quello si prese una mia ultima carezza per poi saltare giù dal letto e avviarsi verso la porta. Sbalordita da quanto avevo appena visto, seguii mio fratello verso la porta e, dopo aver lasciato Mirtillo alla vicina, ci avviamo verso lo studio dove lavorava Pablo.
 
Lo Studio On Beat era in fermento, come se a momenti ci dovesse essere un particolare evento: i corridoi erano pieni di ragazzi che correvano in ogni direzione, qualcuno si stava riscaldando, altri stavano ripetendo il testo di una canzone o la partitura di una musica. Seguii Pablo verso quello che, a prima vista, doveva essere l’auditorium: mi feci in un angolo della sala e feci segno a Pablo che avrei ascoltato e visto da lì. Non volevo essere presentata o cose del genere, non ero il tipo che amava stare al centro dell’attenzione.
«Ma Pablo, non dovevi stare a casa, oggi? Non avevi qualcuno da incontrare?» chiese quella che riconobbi come Angie. Era una carissima amica di Pablo, nonché figlia di Angelica, e la ritrovai bellissima come la ricordavo: da piccola, era sempre da lei che andavo quando litigavo con Pablo e lei sembrava non annoiarsi mai, benché fossi una… mocciosa lagnosa, alle volte, lo ammetto! Non potei fare a meno di notare il modo in cui aveva sottolineato qualcuno.
«Il qualcuno di cui parli è venuto con me, non preoccuparti» disse facendo un cenno col capo nella mia direzione. E, così, accadde quel che volevo evitare: Angie, che stava dando gli ultimi consigli a dei ragazzi ai piedi del palco, mi trovò con lo sguardo e corse verso di me e mi abbracciò. Ricambiai l’abbraccio ma notai che quei ragazzi presero a guardarmi con aria interrogativa: ecco, era proprio questo che volevo evitare, presentazioni e cose varie.
«Effie, quanto sei cresciuta! E quanto mi sei mancata!» disse Angie, sciogliendo l’abbraccio e dandomi una carezza.
«Anche tu mi sei mancata, tanto» dissi sinceramente: era stata come una sorella per me e non avere più neanche lei nella mia vita di tutti i giorni era stato altrettanto difficile, soprattutto nei primi tempi.
E mentre io e lei iniziammo a parlare di come fosse andato il viaggio, vidi sott’occhio il gruppetto venirci incontro e guardare me e Pablo con aria curiosa.
«Una nuova alunna dello studio?» chiese una ragazza con i capelli castani, sempre più chiari verso le punte, raggiante all’idea di una nuova compagna di corso. Sperai vivamente che Pablo riducesse quell’attenzione al minimo, sentendo le guance accaldate a causa del rossore già evidente.
«No, Violetta, è mia sorella». Manco avesse detto “Al mio tre, scatenate l’inferno!”, il gruppetto iniziò a parlare concitatamente, ognuno chiese qualcosa, chi a me chi a Pablo ed io, vedendo che stava accadendo proprio ciò che temevo, schizzai fuori dalla sala in cerca di un distributore: avevo bisogno di acqua, la gola era completamente secca, e cercare una bottiglina d’acqua era anche un ottimo diversivo per scappare da quella situazione. Proprio mentre stavo aprendo la bottiglia, sentii qualcuno tossicchiare e mi girai.
«Ehm, mi dispiace se ti ho messa in imbarazzo, poco, fa, attirando l’attenzione di tutti in sala, ecco, vorrei scusarmi» disse la ragazza che poco fa Pablo aveva chiamato Violetta. Le sorrisi, perché nella sua voce sentii sincerità, e mi dissi che dopotutto la mia reazione era stata esagerata, anzi il mio atteggiamento doveva essere sembrato anche abbastanza maleducato.
«Non preoccuparti, la colpa è mia, non amo stare al centro dell’attenzione e in queste occasioni tendo a scappare» ammisi, scusandomi a mia volta. La ragazza ricambiò il sorriso, sorridendo perfino con gli occhi, mi tese la mano e si presentò.
«Comunque, io sono Violetta ed è un piacere conoscerti. Se vuoi, posso starti vicina lì dentro e calmare la curiosità generale». La proposta della ragazza mi sembrava una cosa positiva.
«Ti ringrazio, è una buona idea! Io sono Efelide ma chiamami pure Effie» dissi, stringendole la mano.
«Bel nome! È per la lentiggine?» chiese curiosa indicando quella macchiolina cui si riferiva.
«Eh già, i miei avevano poca fantasia» dissi non nascondendo l’ironia. Lei rise e contagiò anche me.
«Beh, i genitori a volte danno nomi un po’ altisonanti, alle volte un po’ inusuali: io per esempio mi chiamo Violetta per la Traviata, l’opera verdiana» mi confessò con una voce più bassa di prima. Capii che dietro quel nome c’era altro ma per il momento non volevo approfondire, sapevo riconoscere uno sguardo malinconico e l’avvicinarsi di ricordi dolorosi, così le strinsi più forte la mano, cercando di infonderle sicurezza.
«A volte, un nome, per quanto inusuale, è il ricordo più caro che si ha di persone ormai non più accanto a noi». Era incredibile il fatto che stessi parlando così liberamente con una persona appena conosciuta, forse ciò era dovuto all’empatia che quella ragazza creava. Sorrise alle mie parole con gli occhi un po’ lucidi e mi fece segno verso l’auditorium. «Entriamo?» mi chiese infatti. Annuii e la segui all’interno della sala.
Ognuno era ritornato al suo posto ed Angie e Pablo aiutavano i ragazzi a ultimare la loro preparazione.
«Abbiamo una presentazione con YouMix e sono tutti in fermento» incominciò a spiegarmi, poi si voltò verso di me con aria apprensiva. «Scusami, ho dato per scontato che tu sapessi di YouMix…».
«Tranquilla, anche se abitavo in Spagna, qualcosa a proposito so» le dissi, rassicurandola. Mentre finivo di parlare, un ragazzo, su invito di Pablo, andò sul palco e iniziò a cantare e suonare con la chitarra una canzone: a sentire mio fratello, il titolo era “Nuestro camino”. Avvertii Violetta al mio fianco irrigidirsi, intanto il ragazzo, quasi imperturbabile, continuava a cantare, tenendo fisso lo sguardo su di lei; iniziai a lanciare occhiate discrete ad entrambi, quasi stessi seguendo una partita di tennis, cercando al contempo di tranquillizzare Violetta con una pacca sulla spalla. Lei trasalì, come se fosse stata svegliata da un sogno ad occhi aperti, ma mi sorrise e continuò ad ascoltare la prova, comunque agitata: sorrisi, appuntandomi in mente di approfondire la questione con la ragazza, curiosa di sapere cosa si celasse dietro quegli sguardi. Neanche avevo finito di formulare questo pensiero, che presi coscienza di ciò che stavo facendo: mi stavo interessando a fatti e persone che fino a poco prima mi erano completamente estranei. Era un po’ strano, quantomeno per me, che venivo definita “eremita” dalla maggior parte delle persone che avevano a che fare con me per il mio essere schiva e introversa: avevo imparato nella vita a non fare affidamento su nessuno ed a non affezionarmi a persone perché, per un motivo o per un altro, avrebbero potuto abbandonarmi. Meglio mostrarsi forti ed indipendenti, questo era il mio motto.
Persa nei miei pensieri, non mi ero accorta che la canzone era ormai volta alla fine. «Molto bene, Leon, se Violetta è d’accordo potresti cantarla tu, visto che lei non se la sente: nemmeno io amo i cambi di scaletta a pochi minuti da un evento ma credo che sia l’unico modo per rimpiazzare l’assenza di Diego» disse Pablo guardando il gruppetto. Il tizio di nome Leon fece una strana smorfia al nome Diego, Violetta sembrava di nuovo agitata ed una ragazza bionda non faceva che sorridere esageratamente.
«The show must go on, Pablo, ma perché non posso rimpiazzare io Diego? Insomma, chi meglio di una Supernova può brillare?» disse la giovane con una convinzione tale che mi fece strabuzzare gli occhi.
«Ludmilla, ne abbiamo già parlato poco fa, sei già nella scaletta e non vedo perché tu debba avere più spazio di altri. Comunque, mi stavo rivolgendo a Violetta: che dici, sei d’accordo?».
Sentii Violetta fare un respiro profondo che non seppi interpretare bene. «Non ho nulla in contrario» disse poi, ma con un tono strano, che non riuscii a classificare.
Subito dopo, iniziò a spargersi tra i presenti entusiasmo, forse si stava avvicinando l’inizio della presentazione, e due ragazze raggiunsero me e Violetta: una era mora, con gli occhi castani e un sorriso contagioso, l’altra aveva i capelli rossicci e uno stile alternativo e colorato ma interessante. Entrambe lanciarono a Violetta un’occhiata dispiaciuta per poi girarsi verso di me e presentarsi: la prima si chiamava Francesca, l’altra Camilla.
«Effie, noi dobbiamo andare a prepararci, che dici se ci fai compagnia?» propose Camilla, mentre Francesca rassicurava Violetta con una carezza sulla schiena. Annuii e le seguii in un’auletta a fianco l’auditorium. Avvertivo un po’ di tensione e non potei fare a meno di collegarla a quel Leon: neanche mi stesse leggendo in mente, Violetta sbuffò. «Vuole provocarmi? Perché continua ad essere… arrabbiato? Cosa? Sbaglio o Diego non è più un suo problema?» sbottò la ragazza, agitata. Francesca e Camilla la guardarono con apprensione, io invece iniziavo ad avere una certa confusione in testa; forse avevano sentito il mio disagio, perché all’improvviso si girarono tutte e tre verso di me e Violetta mi fece un sorriso un po’ tirato.
«Ti prometto che dopo lo show ti racconto, non avrai capito molto» mi disse comprensiva.
«Qualcosa l’ho afferrata ma non sono sicura che le mie intuizioni siano giuste…» confessai.
«Allora dopo partiamo dalla tua ricostruzione, è una promessa» concluse con un sorriso un po’ più convincente. Sorrisi a mia volta alle tre e le lasciai prepararsi per raggiungere Pablo che, ancora nell’auditorium, stava parlando con Angie e quello che doveva essere Marotti: non appena mio fratello mi vide di nuovo in sala, mi raggiunse con un sorriso troppo esteso per essere vero. Negli ultimi minuti mi sembrava di non riuscire più ad interpretare nessuno!
«Sorellina, tutto bene?» iniziò poggiando una mano sulla spalla, proprio come quando da piccola voleva chiedermi qualcosa che era sicuro che non volessi fare. Lo guardai un po’ accigliata, facendogli capire che ancora sapevo riconoscere i suoi modi di fare e lui, quasi fosse sollevato, mi guardò con ancora più preoccupazione porgendomi quella che riconobbi come la borsa della mia macchina fotografica.
«Da dove l’hai presa, questa?» chiesi incredula, convinta che fosse ancora in valigia.
«Beh, tu eri distratta ed io l’ho presa, ecco» iniziò a spiegarmi con nonchalance. «Ma il punto non è questo, ti andrebbe di fare delle foto alla presentazione dei ragazzi?» chiese con uno sguardo così convincente che mi fece cedere in pochi secondi.
«Sappi che me la pagherai» lo avvisai, riducendo gli occhi a fessure. Lui iniziò a ridere.
«Rimani sempre troppo piccoletta per darmi una lezione! Mi terresti questa cartellina? La devo portare a casa e non devo perderla, sono delle partiture di Angie cui devo dare un’occhiata» mi chiese. Annuii e aprii la borsa per riporre quella cartellina: sistemai bene la cartellina, in modo che non si sgualcisse, e decisi di recuperare la lettera di mia madre in quel mare di cianfrusaglie, prima che si stropicciasse tutta, per metterla al riparo in una tasca separata. Con orrore, però, scoprii che non era in borsa ma doveva esserci, era lì che l’avevo riposta, quindi cercai meglio, tuttavia la mia ricerca ebbe esito negativo e fu in quel momento che, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero mi colpì in pieno: avevo perso uno degli ultimi ricordi di mia madre.
 
 
 
 





Il cantuccio di Naif~
Buon pomeriggio gente! :D Scusatemi se pubblico il capitolo solo adesso ma in questi giorni sono stata costretta a stare a letto a causa dell’influenza, ergo solo ora ho convinto mia madre che sto un po’ meglio e ne ho approfittato per controllare e pubblicare il capitolo. Non so se è per la febbre ma non mi convince molto, forse alcune cose avrei dovuto svilupparle meglio… Ad ogni modo, spero almeno che si inizi a capire qualcosa in più della storia! :) Per quanto il suo carattere continui a rivelarsi un po’ difficile, Effie fa la conoscenza di Violetta, Francesca e Camilla (anche se ha, a tutti gli effetti, parlato solo con la prima) e ha ritrovato Angie! Vi prometto che tutti questi incontri avranno il seguito che spetta loro nei capitoli a venire.
Ah, una cosa di cui non devo assolutamente dimenticarmi, nel capitolo vengono citati dei posti di Buenos Aires di cui forse devo darvi giusto qualche informazione: il Parque Tres de Febrero è un parco di Buenos Aires che si trova nel quartiere di Palermo; a proposito di quartieri, gli altri due posti citati sono nel
quartiere de La Boca, situato sulle rive del fiume Riachuelo. La Bombonera, in particolare, il cui vero nome è Estadio Alberto Jacindo Armando, è lo stadio in cui gioca la squadra Boca Juniors. Infine, il Caminito è una strada, sempre del quartiere de La Boca, famosa per i sui edifici in legno (ricostruiti negli anni Cinquanta) dai colori variopinti. Beh, io in questi luoghi, ahimè!, non ci sono mai stata ma credo che chi vive a Buenos Aires li conosca e ci sia stato, almeno una volta.
Credo proprio di dover mettere fine a queste note, tra poco sono più lunghe loro che il capitolo! xD Prima però devo ringraziare DulceVoz e DWHO, quelle due splendide ragazze che mi lasciano recensioni altrettanto splendide, e chi preferisce, segue o semplicemente legge questa storia: grazie! <3
A presto,
Naif~
  
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