Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Cassidy_Redwyne    04/02/2014    5 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



«La colazione è pronta, signorina» cantilenò Otis, bussando con delicatezza alla porta di camera di Arianna, prima di precipitarsi sulle scale, diretto al piano di sotto per servire il resto dei familiari.

La ragazza aveva un sonno davvero leggero, per cui, non appena udì la voce del suo maggiordomo, spalancò gli occhi e si liberò dalle pesanti coperte di flanella che aveva addosso, per poi scivolare a terra nelle sue morbide pantofole e avviarsi sbadigliando verso il bagno.

Quella mattina, che annunciava l'inizio delle sue vacanze, Arianna era veramente stanca. Si sentiva intontita, dato che aveva dormito un po' troppo per i suoi standard e non ci era più abituata. D'altro canto, durante i mesi scolastici era solita alzarsi all'alba per prepararsi in tempo.

Teoricamente quel giorno se la sarebbe anche potuta prendere comoda, ma era stranamente inquieta dalla sera prima, quando, appena tornata a casa dalla festa, i suoi genitori le avevano detto che al mattino le avrebbero comunicato alcune novità.

Cosa mai poteva essere accaduto? Anita, la loro cameriera assunta da poco, era stata licenziata? Finn, suo fratello maggiore, si era laureato? Lo zio Frank, che viveva in campagna, era finalmente morto?

Arianna socchiuse gli occhi, pensierosa. Voleva assolutamente essere messa al corrente di quelle novità.

 

Arianna arrivò nella sala da pranzo con un passo nervosamente rapido che non le si addiceva proprio.

Aveva ancora la faccia disastrata dal sonno e si era preparata il più velocemente possibile, mettendosi addosso le prime cose che aveva trovato: un paio di leggins scuri che le fasciavano le gambe magre e una lunga maglia rossa, che le erano valsi solo venti minuti di tempo.

Insomma, niente di speciale o particolarmente sofisticato per una che impiegava anche diverse ore per decidere cosa indossare.

Prima di lasciare la sua stanza aveva lasciato un messaggio a Margaret, la sua migliore amica, per informarla che era di nuovo in città e che non vedeva l'ora di rivederla. Sperava che le novità di cui doveva essere messa al corrente non riguardassero lei, la sua più cara amica.

Si accomodò alla lunga tavola sedendosi vicino a Finn, che la salutò con un cenno e le rivolse uno sguardo neutro.

Decisamente, non era la sua laurea la novità che i genitori dovevano comunicarle, o avrebbe reagito in modo completamente diverso, probabilmente urlando emozionato la notizia a gran voce e alzandosi in piedi per abbracciarla, rovesciando nel farlo la tovaglia e il suo contenuto. Si immaginò la povera Anita, scandalizzata, che probabilmente sarebbe svenuta per l'imminente disastro da pulire.

La ragazza scacciò il buffo pensiero con un impercettibile movimento del capo e si sistemò sulla sedia, lanciando una fugace occhiata ai suoi familiari.

La sua sorellina minore Daisy, seduta di fronte a lei, giocherellava con l'estremità della tovaglia e di tanto in tanto le lanciava un'occhiata dispettosa, degna di una bambina stronzetta e smorfiosa come lei; alle due estremità del tavolo, capotavola come sempre, sedevano i suoi genitori, immobili e pazienti mentre attendevano la colazione.

Non una parola sul fatto che quella fosse la prima mattina in cui Arianna sedeva a tavola con loro dopo mesi, ma d'altronde la sua non era mai stata una famiglia calorosa.

Il rigido silenzio in cui era immersa la famiglia venne interrotto da Anita, che entrò ciabattando nella sala, spingendo un lungo carrello stracolmo di vassoi, tazzine e una teiera fumante contenente tè.

«Ecco la colazione!» esclamò la donna sorridente, incurante delle facce da funerale dipinte sul volto di tutti, mentre poggiava uno dei vassoi sul tavolo e sollevava il coperchio, rivelando una montagna di friabili scones* dall'aria deliziosamente invitante.

Decisamente, pensò Arianna, non era del licenziamento della cameriera che i genitori dovevano parlarle. Cosa mai poteva essere, una notizia così importante da non essere potuta annunciare la sera prima?

Arianna afferrò una delle tazzine dal carrello e si fece servire il tè da Anita, quindi si schiarì la voce.

«Allora, di cosa dovevate parlarmi?» chiese, cercando di non apparire nervosa.

Sua madre sgranò gli occhi, quindi parve ricordare.

«Oh sì, giusto.»

La donna lanciò uno sguardo complice al marito, che si bloccò dal portarsi la tazzina fumante alle labbra e la appoggiò sul tavolo, incrociando lo sguardo della figlia.

«Arianna, devi sapere che mentre tu eri a studiare, Finn e Daisy» Suo padre li indicò con lo sguardo, come se Arianna non sapesse chi fossero suo fratello e sua sorella, «hanno passato, a turno, diverse settimane dallo zio Frank.»

Quindi lo zio Frank non era morto, realizzò Arianna. Aveva però una vaga idea su quello che i genitori stavano per dirle e non le piaceva affatto.

«Non...» iniziò, ma fu interrotta da Otis, che era comparso in sala.

«Signor Paul, il tè è di suo gradimento?»

«Arianna, pensiamo che quindi tu debba passare almeno una settimana dallo zio, durante le vacanze.»

«NO!» protestò lei, avendo conferma dei suoi sospetti.

Sbatté con forza la tazzina sul tavolo e, così facendo, rovesciò inevitabilmente il tè bollente sulla giacca scura e sul viso del povero Otis.

«Bollente al punto giusto, direi» mugugnò lui.

«Otis!» esclamò sua madre, scattando in piedi e precipitandosi dal maggiordomo.

«Signora Loreline, stia tranquilla...» si affrettò a dire lui, che faceva del suo meglio per non esternare il suo dolore.

«Io e tua madre pensiamo che l'aria di campagna ti possa fare bene» proseguì suo padre, ignorando i lamenti del povero maggiordomo. «Quindi partirai il prima possibile.»

«No!» ripeté Arianna, sconcertata. Non voleva passare le vacanze da quello psicopatico di suo zio, non potevano farle questo!

«Io non... c'è il mio compleanno!» esclamò all'improvviso, sperando di riuscire a dissuaderli. Oltretutto ci teneva davvero, a festeggiarlo con la sua famiglia.

«Un compleanno in campagna, non è una bella idea?» suggerì sua madre, facendole un sorriso d'incoraggiamento, mentre trascinava Otis in cucina.

«Non potete farmi questo!» gridò Arianna, furibonda.

«Ari, sta' calma» intervenne Finn serafico, mentre sorseggiava il suo tè.

«Non sei tu quello che deve passare le vacanze di Natale e il suo compleanno da un vecchio depravato, psicopatico e perennemente sbronzo!» urlò lei arrabbiata, incapace di controllarsi.

Non era da lei perdere le staffe in quel modo, ma non aveva alcuna intenzione di darla vinta ai suoi genitori.

«Allora è deciso. Parti tra due giorni» concluse suo padre, ignorandola, per poi riprendere a mangiare.

Davanti a lei, Daisy continuava a riempirsi selvaggiamente la bocca di scones e Finn a sorseggiare tè come se nulla fosse.

Arianna fece un profondo respiro e decise che ne aveva davvero abbastanza. Il suo ultimo barlume di lucidità di quella mattina si spense come una lampadina in cui si era bruciato il filamento.

Si alzò in piedi bruscamente e uscì dalla sala a passo di carica, lasciando la sua colazione praticamente intatta.

Sapeva di aver perso e questo la mandava su tutte le furie. Odiava a morte suo zio, quel rozzo contadino senza pudore che non aveva un minimo di rispetto per lei e per le sue esigenze, e stava per passare con lui i mesi che preferiva di tutto l'anno, le vacanze natalizie e il suo compleanno.

Se poi ripensava al comportamento della sua famiglia, quella calma ostentata e completamente falsa, il sangue le andava alla testa e lo stomaco le si chiudeva ancor di più.

Di colpo ripensò alla colazione che non aveva neanche toccato, rimasta intatta sul tavolo.

C'era stato un momento in cui saltare i pasti le dava una perversa soddisfazione, in cui conosceva a memoria le calorie di ogni singolo scone e, al pensiero di provare di nuovo quelle sensazioni, ebbe un brivido e si portò istintivamente la mano al ventre piatto.

No, non avrebbe più dovuto trascurare i pasti, o si sarebbe di nuovo rinchiusa con le sue stesse mani in quella gabbia senza vie d'uscita che era stata la sua malattia.

****

Ero a casa. A casa mia, a Londra, constatai quella mattina, svegliandomi nel mio letto, nella mia camera disordinata, nella mia casa di campagna.

Sorrisi, stirandomi e scacciando via le coperte. Dal piano di sotto provenivano urla e risate e riconobbi tra queste, oltre a quelle dei miei familiari, anche la voce di George.

Non mi stupiva il fatto che il mio amico fosse in casa nostra a quell'ora: mia madre era una persona estremamente accogliente e probabilmente lo aveva invitato per la colazione. Il suo carattere andava però tenuto sotto controllo perché, con il suo altruismo esagerato, aveva spesso finito per invitare mezzo paese in casa nostra per i pasti.

Mi alzai faticosamente in piedi, sbadigliando, e mi affacciai all'enorme finestra che mio padre aveva aggiunto in seguito per illuminare la stanza, dato che era stata ricavata da una soffitta.

Scostando le tende, osservai rapita il panorama familiare che in quei mesi mi era mancato così tanto: ettari ed ettari di campi coltivati si estendevano di fronte a me, alle pendici delle colline e, proprio vicino alla nostra casa, si intravedeva quella di Beth.

Sorrisi tra me e me. Finalmente avrei potuto tornare, anche se per un breve periodo, alla mia vita quotidiana, a Leo, ai miei amici e alla mia famiglia. Ne avevo davvero bisogno, e loro mi erano mancati così tanto!

Mentre riflettevo, appoggiata alla finestra con i gomiti, udii dei rapidi passi sulle scale e un attimo dopo la testa bionda di George fece capolino dalla porta di camera mia.

«Kia, ti sei alzata finalmente!» esclamò lui, entrando definitivamente. «E hai i capelli unti» aggiunse, inarcando un sopracciglio.

Mi scostai una ciocca bruna dalla fronte e sbuffai sonoramente. «I capelli sono così, di mattina. Basta pettinarli.»

«No no, sono proprio unti.»

Gli scoccai un'occhiata glaciale e, dopo aver tratto un sospiro di resa, gli spiegai cos'era successo la sera prima. Appena arrivata casa, infatti, non avevo neanche fatto in tempo a varcare la soglia che mia madre era inorridita, vedendo i miei capelli così sciupati e sfibrati.

Effettivamente in quei mesi di scuola, libera dal giogo della mamma – che mi costringeva a spalmarvi sopra i peggio intrugli – li avevo un po' trascurati e così, prima di andare a letto, intontita dal sonno e dal viaggio, mi aveva obbligato a lavarmeli e tutti quegli oli miracolosi che mi aveva costretto ad usare probabilmente li avevano nutriti... fin troppo.

«Povera te... immagino che avresti voluto andare a dormire, ieri sera. Adesso sembri la versione abbronzata di Severus Piton» mormorò lui, divertito.

Ridacchiando sottovoce, mi avvicinai all'armadio, dall'altra parte della stanza, e cominciai a rovistare fra i miei vestiti alla ricerca di qualcosa da mettere.

«Chi c'è di sotto?» chiesi senza voltarmi, mentre recuperavo al volo un paio di jeans e una camicia dai primi cassetti aperti.

Imprecai sottovoce, non trovando il reggiseno da nessuna parte.

«Io, tua madre...» sentii George fare una lunga pausa. «...e Steve.»

Chi caspita era Steve? Anche il senzatetto della zona si chiamava Steve, ma sperai si trattasse solo di una coincidenza.

«Geo, c'è per caso un reggiseno, in giro...?» domandai, mentre entravo fino a metà schiena nell'armadio, frugando anche negli angoli più nascosti e finendo per dare una testata contro la mensola posta sopra di me.

«Ehi, ce n'è uno qui.»

Per niente imbarazzato dalla domanda, George indicò la testiera del letto, a cui era appeso un reggiseno rosa pallido.

«Ah-ah! Ecco dove ti eri cacciato» esclamai, mentre con una mano mi massaggiavo la testa dolorante e con l'altra afferravo il fuggiasco.

A quel punto, ordinai al mio amico di lasciare la stanza.

«Va bene, va bene, ti lascio la tua privacy» fece lui, alzando le mani. «Ci vediamo di sotto!» aggiunse, uscendo dalla camera e avviandosi giù per le scale.

Io afferrai il mucchio di vestiti ed entrai in bagno, continuando a rimuginare su chi caspita potesse essere quello Steve.

Dopo essermi cambiata al volo, scesi le scale a due a due e mi precipitai in cucina.

Mia madre era di spalle e canticchiava a bassa voce, mentre spremeva alcune arance sullo spremiagrumi. Seduto al tavolo, George beveva la sua spremuta, fissando con malcelato imbarazzo la figura indesiderata seduta dall'altro capo del tavolo.

Vedendomi, il mio amico parve rilassarsi appena, mentre io sgranavo gli occhi alla vista dell'uomo a tavola, che mi sorrise mettendo in mostra i numerosi denti che gli mancavano.

«Mamma.» Notai che la mia voce suonava fastidiosamente stridula, mentre fissavo a bocca aperta l'uomo davanti a me.

Non avrei voluto essere scortese né fare una scenata di fronte a lui, ma allo stesso tempo volevo dannatamente sapere cosa ci facesse il barbone della zona seduto al tavolo di casa mia.

«Tesoro!» Mia madre si voltò, sorridendo a trentadue denti e porgendomi un bicchiere colmo di succo d'arancia, come se niente fosse. «Vieni, siediti accanto a George... caspita, come ci sei mancata!» proseguì, poggiando una scatola di biscotti sulla tavola su cui Steve si avventò con estrema voracità.

Vidi George allungare una mano timidamente, cercando di afferrare almeno un biscotto, ma l'espressione minacciosa che l'uomo gli rivolse ci fece capire che a noi non ne sarebbe toccato nemmeno uno.

«Mamma» ripetei, sedendomi a debita distanza dal senzatetto, che nel frattempo continuava imperterrito a divorare biscotti.

La fissai disperatamente, spostando lo sguardo da lei a Steve.

«Oh, giusto!» Mia madre parve ricordarsi solo in quel momento di chi era seduto al tavolo della sua cucina. «Lui è Steve, stamattina si ferma a colazione da noi. Abiti qui vicino, vero?»

Dato che non aveva neanche una casa, forse abitare non era il termine più adatto, ma non glielo feci notare, limitandomi a fissare senza battere ciglio Steve, che per tutta risposta annuì con il capo, spargendo briciole di biscotti ovunque.

Mi schiarii la voce. «Dove sono gli altri?» chiesi, guardandomi intorno.

«Kaila e tuo padre dovrebbero arrivare a momenti, sono andati a controllare la fattoria. Harry invece dorme ancora» spiegò mia madre, rimettendosi ai fornelli.

Mio padre, rustico uomo di campagna, aveva cercato in tutti modi di trasmettere la sua passione anche ai suoi figli. Con mio fratello maggiore, Harry, aveva completamente fallito, mentre io avevo ereditato da lui solo la sua passione per i cavalli, ma Kaila era diventata il suo pupillo. La mia sorellina, infatti, indottrinata fin da piccolissima, era sempre stata affascinata dalla vita nei campi e adesso, all'età di dieci anni, aiutava continuamente nostro padre con i lavori nella fattoria.

Mentre mia madre ci serviva la colazione, composte da uova, bacon e un altro bicchiere di spremuta, sentimmo dei passi al piano di sopra e poco dopo, sulla soglia della cucina, apparve Harry, con i capelli ricci tutti arruffati e l'aria stravolta dal sonno.

«Buongiorno a... tutti

Mio fratello posò interrogativamente lo sguardo su Steve, che non lo degnò di uno sguardo, e poi su me e George, che gli indicammo silenziosamente mia madre.

«Mamma» sibilò Harry, procedendo a passo di carica verso di lei.

Io e George posammo forchetta e coltello, curiosi di assistere alla scena.

«Mi spieghi cosa ci fa qui il senzatetto della zona? Come ti è venuto in mente di invitarlo a casa nostra?!» strillò lui sottovoce.

«Harry, non tutti possono permettersi una casa o una famiglia. Sii rispettoso verso Steve. Lo sai dove vive? In una scatola di cartone!» replicò nostra madre inviperita, la voce che le andava incrinandosi.

Di fronte al suo tono lamentoso, mio fratello alzò le mani in segno di resa.

«Basta che lo teniate lontano da me» chiarì, lasciandosi cadere sulla sedia accanto alla mia.

«Ci ho provato anche io» lo informai, vedendo la sua espressione sconsolata, mentre tagliavo a fettine il bacon. «E questo è il risultato...»

Osservai Steve, che stava leccando il piatto, lucido come fosse stato appena tolto dalla lavastoviglie.

«Non ha un minimo di educazione» brontolò lui, seguendo il mio sguardo e lanciando a Steve un'occhiata in cagnesco.

«Be', dopotutto vive in una scatola di cartone» intervenne George, sorseggiando serafico la sua spremuta.

Scoppiamo tutti a ridere, tentando di non farci sentire dalla mamma.

Mentre cercavamo di fare colazione come se nulla fosse, la porta della cucina, che dava sul cortile, si spalancò di colpo e Kaila entrò trafelata dentro casa, accompagnata da uno spiffero d'aria gelida. Portava sottobraccio un cesto stracolmo di uova e, nonostante indossasse una logora maglia chiazzata di rosso e avesse i capelli raccolti disordinatamente in una coda di cavallo, era di una bellezza mozzafiato. Mi accorsi in un soffio che era cresciuta ancora, dall'ultima volta che l'avevo vista. La sera prima, infatti, appena arrivata a casa – e prima che mia madre mi rinchiudesse nella doccia – non avevo avuto modo di salutarla, poiché era stata già mandata a dormire.

«Kaila!» esclamai, alzandomi in piedi per abbracciarla.

Lei soffocò un urlo emozionato e fece per gettarsi tra le mie braccia, prima di bloccarsi bruscamente.

«Credimi Kia, vorrei abbracciarti, ma devo prima cambiarmi» si affrettò a spiegare, indicandosi la maglia sporca.

«Tranquilla, posso anche macc...» tentai di dire, ma fui interrotta da mia madre, che fissava accigliata le chiazze rosse sulla maglietta di mia sorella.

«Kaila... cos'hai fatto?»

Lei non disse nulla, limitandosi a guardare la mamma con un'aria improvvisamente colpevole.

«Tu non avrai...»

«Ero solo troppo vicina, te lo giuro!» esclamò Kaila, cogliendo un guizzo furioso negli occhi della madre.

«Quello sconsiderato di tuo padre!» sibilò lei, prima di esplodere in un urlo di rabbia e precipitarsi fuori di casa, in direzione della fattoria.

«JACK!» gridava, «JACK! COME DIAMINE HAI POTUTO? AVRESTI POTUTO TRAUMATIZZARLA A VITA!»

I suoi urli contro nostro padre si fecero via via più distanti e Kaila, dopo aver lasciato il cesto con le uova sul piano di cucina, si lasciò al tavolo con un sospiro.

«Ha di nuovo sparato a un animale mentre eri nei dintorni?» domandò Harry, bloccandosi dal continuare a mangiare, mentre io fissavo mia sorella scandalizzata.

«Oh Gesù» commentò George, portandosi una mano alla bocca, come fosse preda di un improvviso conato di vomito. Quei discorsi dovevano turbarlo non poco, visto che era da sempre un vegetariano convinto.

«Sì, ma io sono meno debole di quello che pensa la mamma!» protestò Kaila, mettendo il broncio. «Comunque» ci informò, «a breve mangeremo carne di maiale.»

«Oh Ges...»

«Buono il maiale!»

Ci voltammo tutti verso Steve, che ci rivolse un sorriso sdentato.

«Che dite, ne approfittiamo per cacciarlo di casa?» sussurrò Harry, indicando con lo sguardo la porta semiaperta della cucina. Mia madre non era ancora tornata.

Trattenendo a stento una risata, gli facemmo segno di sì. Mentre Harry e George si facevano vicini a Steve, un rumore improvviso attirò la mia attenzione.

Il mio cellulare, in salotto, stava squillando.

Lasciai rapidamente la cucina e, una volta afferrato il telefonino, notai che mi era arrivato un messaggio da Arianna. Lessi attentamente: a breve avrebbe festeggiato il suo compleanno e, oltre ad avermi invitato, mi aveva scritto di portare Luke.

Leggermente turbata all'idea di portarlo con me al compleanno di una mia cara amica, lasciai il cellulare sul divano e, cercando di non pensarci, tornai in cucina.

****

«Sorgi e splendi, tesoro!»

Beth grugnì, agitandosi fra le coperte e tirandosele su fin sopra nuca, nel tentativo di sfuggire al luminoso raggio di sole entrato attraverso l'ampia finestra, finalmente libera dalle tende che la figura in piedi, davanti al letto di Beth, aveva appena tirato verso di sé.

«Amore mio, ci sei mancata così tanto!» proseguì la figura, letteralmente strappando le coperte dal corpo di Beth, che espresse tutta la sua disapprovazione.

«Eddie... stupido... spegni quella luce...» borbottò Beth, allungando le mani a tentoni per tentare di allontanare da sé il fratello.

«Beth, mia cara, devi alzarti» replicò lui, perentorio.

Di fronte all'ennesimo mugolio di protesta della sorella, reagì in modo piuttosto drastico: la sollevò di peso e si incamminò verso la porta della camera, diretto in cucina.

«Eddie! Mettimi giù!» protestò Beth, ancora intontita, cercando di opporre resistenza.

Niente da fare, la sua stretta era ferrea: nonostante non lo desse a vedere, suo fratello era piuttosto muscoloso.

«Lo sai che non devi svegliarmi prima dell'una!» strillò.

«Oh, andiamo, oggi puoi fare un'eccezione» ribatté lui, ignorando Beth che si dibatteva fra le sue braccia come un'anguilla.

L'incubo della ragazza terminò solamente quando Eddie la lasciò finalmente a terra, all'ingresso della cucina.

Di colpo libera, Beth tirò un sospiro di sollievo che somigliava più ad uno sbadiglio e varcò la soglia, seguita dal fratello.

I due si sedettero a tavola, dov'era radunata la famiglia al completo. Sua madre le dava le spalle, canticchiando mentre preparava la colazione, mentre suo padre leggeva tutto assorto il giornale, seduto al tavolo. Accanto a lui, sua sorella Martha, di cinque anni maggiore di Beth, stava posando due tazze fumanti davanti alle gemelle Julie e Mary, di tredici anni.

Mentre Beth si sistemava vicino a Julie, sua madre si voltò nella sua direzione.

«Beth! Come ci sei mancata!» esclamò allegramente. «Vieni, ti servo la colazione.»

Dopo averle scoccato un bacio sulla guancia, le passò una tazza di tè bollente.

«Sei cresciuta» intervenne suo padre, alzando gli occhi dal giornale, osservandola mentre si alzava in piedi per arrivare a prendere la zuccheriera, dall'altro capo del tavolo.

Al commento del padre, la ragazza trasalì. Arraffò la zucchero e l'attimo dopo era già tornata al suo posto, ridacchiando per mascherare il proprio disagio.

«Avanti, Ringo, sono passati soltanto un paio di mesi, ti eri scordato del mio aspetto?» scherzò, giocherellando con il suo cucchiaino dentro la tazza.

«Non chiamarmi Ringo» protestò il padre, tuttavia vagamente divertito.

Vista la grande passione che Beth nutriva per i Beatles, suo padre Richard era da sempre detto Ringo, nonostante egli non ne fosse troppo entusiasta.

Nonostante tutto, Beth amava sua padre. Richard era fondamentalmente un uomo buono: vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno, riusciva a cogliere il meglio nell'animo di ogni persona e, nonostante le stravaganze di sua madre e i suoi modi di fare vagamente hippie, lui sembrava apprezzarla davvero.

Ma avrebbero dovuto appellarsi a tutto il loro ottimismo, pensò amaramente Beth, per far fronte al brutto periodo che in quel momento stavano attraversando a causa sua e che aveva rischiato di trascinare nel baratro l'intera famiglia. Richard, infatti, aveva perso il lavoro dopo un fatto eclatante che però era già noto a tutti tranne, a quanto pareva, lui. La dichiarazione dell'omosessualità di Eddie.

Beth non credeva che suo padre fosse omofobo, solo molto, molto all'antica. In una famiglia di sole femmine, riponeva grandi speranze e progetti nell'unico figlio maschio e scoprire che il suddetto era probabilmente più donna di tutte loro messe insieme era stato per Richard un vero e proprio shock.

A tirarlo su di morale – e a risollevare le finanze della famiglia – in compenso ci aveva pensato Martha che, appena ventenne, era già laureata in medicina all'Imperial College London ed era sempre in giro per il mondo a compiere missioni di volontariato.

«Oggi non c'è il solito cane che sta vicino ai cespugli» osservò la madre di Beth, sbirciando fuori dalla finestra di cucina.

«Mamma non è un cane, è un senzatetto» intervenne Mary, alzando lo sguardo.

«Strano, avrei giurato fosse un cane» replicò, lei strizzando gli occhi.

Beth sospirò, vagamente divertita. Sua madre era cieca come una talpa, ma sosteneva che gli occhiali fossero un affronto alla sua bellezza e non li indossava mai, con l'unico risultato che non vedeva mai un accidente.

«Mi chiedo se non sia opera di Nahoa» mormorò Richard, corrugando la fronte. La madre di Kia era solita invitare a casa sua chiunque possedesse anche solo la capacità di respirare.

«Allora, Beth, ti trovi bene nella nuova scuola? Hai fatto amicizia con i tuoi compagni di classe?» chiese poi, voltandosi verso la figlia.

Beth ci pensò su. «Alcuni ragazzi sono un po' agitati, Ringo» disse infine, «ma mi ci trovo bene. Oltre alle mie ragazze, ho fatto amicizia con il mio compagno di banco, Ben» aggiunse, stringendo improvvisamente le mani intorno alla sua tazza calda per non costringersi a parlare di John.

Non sapeva se avrebbe dovuto dirgli di lui e dello strano legame che avevano stretto, un alternarsi di commenti velenosi e momenti silenziosi ma di malcelata emotività, in cui sembravano venir fuori solo le loro emozioni più fragili e nascoste. Era molto confusa riguardo al loro rapporto e preferì tenerlo per sé.

«È carino?» domandò Martha incuriosita, sedendosi a tavola.

Beth ci mise un attimo a capire che si riferiva a Ben e non a John.

«Molto!» disse, affrettandosi ad aggiungere: «E anche molto gay.»

Eddie voltò di scatto la testa. «Cosa aspettavi a dirmelo? Lo voglio conoscere!» esclamò, facendo un sorriso furbetto.

Beth rise, seguita dai suoi familiari, e promise che al suo ritorno a scuola avrebbe sicuramente parlato di lui a Ben che, vista la faccenda di Eric e tutto il resto, non era più fortunato in amore di quanto non lo fosse Eddie. Suo fratello, infatti, era da sempre innamorato di Harry, lo statuario fratello di Kia che, nonostante gli volesse un gran bene, non poteva ricambiarlo. Una storia d'amore duratura sarebbe stata per lui un vero passo avanti.

«In quanto a bei ragazzi, laggiù?» domandò Julie ad un punto, facendo un sorrisetto malizioso.

«Ragazzi etero» precisò Mary.

«Perché solo gli etero?» protestò Eddie, mettendo il broncio.

«Lasciatela parlare! Siete le solite pettegole» intervenne la mamma, dando una poderosa pacca sulle spalle di Martha, che espresse tutto il suo disappunto.

«Scusa tesoro, ti avevo scambiata per quelle due belve.»

«Grazie» rispose lei, sbuffando. «Sono così grossa?» fece poi, lanciando uno sguardo frustrato a Beth.

Lei sorrise divertita, realizzando quanto gli fosse mancato quel familiare trambusto. Approfittando di un – raro – momento in cui tutti avevano la bocca chiusa, attaccò a parlare come un fiume in piena.

«Martha, non sei grassa, cerca di non farti troppi complessi. Mamma, è davvero il caso che tu ti decida a metterti gli occhiali, Ringo ha ragione. Eddie, parlo di ragazzi in generale, non conosco l'orientamento sessuale di tutti i bei ragazzi della mia scuola!»

Che non sono pochi, avrebbe voluto aggiungere, ma si fermò appena in tempo.

«Tesoro, se ci sono dei bei ragazzi, perché non ti fai aiutare da Julie e Mary?» intervenne sua madre, indicandosi il palmo della mano.

Beth la fissò, senza capire.

«La mamma ci ha insegnato a leggere la mano» esclamarono loro all'unisono, sorridendo entusiaste.

«Sono davvero bravissime» le assicurò la mamma.

Di fronte a tutto quell'entusiasmo, Beth annuì piano, giusto per non mettere in discussione il loro talento. Sua madre si professava chiromante e, di tutta la famiglia, le due sorelle gemelle erano le più interessate al suo improbabile lavoro. Per Beth chiamarlo lavoro era già abbastanza offensivo: non aveva mai creduto a quel genere di cose, nonostante sua madre fosse assai nota nel paese per le sue presunte capacità.

Solo fortuna e coincidenza.

Riluttante, posò la mano a palmo aperto sul tavolo, di fronte a Julie e Mary. Le due si chinarono ad osservare le linee zigrinate che le tracciavano la pelle, le loro espressioni teatralmente concentrate. Già pentita, di fronte a quel teatrino, Beth stava per ritrarre la mano, quando Julie alzò la testa di scatto.

«La tua vita procede come sempre» sentenziò. «Ma...»

«Ma c'è stato un cambiamento» la interruppe Mary. «Vedi questa linea, leggermente sconnessa dalla principale?» La voce le tremava dall'eccitazione.

Beth annuì di nuovo, nonostante non vedesse assolutamente nulla di quel che le stava dicendo la sorella. Non volendo deludere le sue aspettative, fece del suo meglio per stare al gioco.

«Dovresti aver superato da poco questa linea» osservò Julie, pensierosa. «È accaduto qualcosa di particolare, in questo periodo?» domandò poi, fissandola intensamente, come se cercasse di leggerle dentro.

Beth fu turbata dalle sue parole, ma cercò di concentrarsi sulla domanda. Qualcosa di particolare in quel periodo ? John, John, John, continuava a ripetere una vocina nella sua testa, che cercò in tutti i modi di ignorare. Cominciava ad averne abbastanza di quell'interrogatorio.

«Non potrebbe essere stato il trasferimento nella nuova scuola?» intervenne Richard, quasi timidamente.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo, ma sua madre e le due aspiranti chiromanti si voltavano all'unisono a fissarlo, come se avesse bestemmiato. Bastò un attimo perché lui si affrettasse a scusarsi e tornasse in silenzio. Quindi gli sguardi di tutti tornarono sulla povera Beth.

«Non saprei...» balbettò lei, a disagio.

«Sei incinta?»

«Hai avuto un brutto litigio?»

«Hai conosciuto un ragazzo?»

Beth negava una domanda dopo l'altra, ma di fronte a quella di Julie fu costretta a bloccarsi, le sue parole che le rimbombavano nelle orecchie. Fissò a bocca aperta la sorella, mentre la sua domanda le piombava addosso come una pioggia improvvisa, senza che lei avesse con sé un ombrello. La vocina nella sua testa si intensificò e la ragazza notò che sul volto di Julie si stava facendo spazio un sorriso trionfante.

È la fine, pensò Beth. Cercò di pensare ad una qualsiasi spiegazione da dare ai suoi familiari, quando l'avessero messa sotto torchio, ma lei non ne aveva. Non aveva idea di come spiegare il suo rapporto con John, non era chiaro nemmeno a lei stessa, come avrebbe potuto spiegarlo ad altri? Non sapeva mentire, non ne era mai stata capace, e in quel momento solo un miracolo poteva salvarla.

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di sua madre e da una canzone dei Beatles in lontananza. Possibile che..?

«Beth, il tuo telefono sta squillando!»

****

Angie si agitò fra le coperte, infastidita dalle voci concitate dei suoi fratelli che riempivano la stanza e da un continuo cigolio che non le dava tregua. L'ultima volta che aveva udito un cigolio simile a letto, Fred aveva invitato un'amica per la notte ma, visto che suo fratello non era l'unico a gridare e dubitava che nella loro camera ci fosse un'orgia, scacciò quel pensiero e cercò di concentrarsi sull'agitata conversazione.

«Che diavolo ci faceva insieme a uno come lui?» stava urlando Sean.

«Non lo so, ma credetemi se vi dico che era la sua copia!» rispose Nathan.

«Questa è bella! Dov'era il fratello di Day in tutti questi anni? Non lo abbiamo mai visto!» intervenne Fred, sarcastico.

«In un collegio inglese, mi pare evidente.»

«Ma hai detto che è nella classe di Angie! Quindi avrebbe lasciato l'Irlanda solo pochi anni fa!»

«È sicuramente un ripetente. Se ha preso da quel coglione di Day, non mi meraviglia il fatto che sia sempre al terzo anno.»

Approfittando del silenzio tra i tre dopo la risposta di Nathan, Angie scattò a sedere con un mugolio rabbioso.

«Lasciatemi dormire, razza di idioti! Perché dovete parlare proprio qua in camera?» urlò, passandosi le mani fra i capelli in disordine.

«Angie, riguarda la tua sicurezza!» intervenne Sean in tono serio, lasciandosi però sfuggire un mezzo sorriso.

«Ho sentito» sibilò lei per tutta risposta. «Sai, parlate a voce leggermente alta.»

«Avanti Angie, su con la vita! Sei a casa!» esclamò Fred allegro, avvicinandosi al letto e scompigliandole i capelli – già scompigliati – con una mano.

«Non toccarmi i capelli!» scattò lei, inviperita, scuotendo il capo.

«Come sei gentile, la mattina» borbottò lui, evitando un morso della sorella per un soffio.

«Un vero angelo» aggiunse Nathan, immediatamente fulminato dallo sguardo di Angie.

Imprecando contro i suoi fratelli, la ragazza si alzò in piedi, trascinandosi con fatica al piano di sotto.

Nathan, Fred e Sean la seguivano poco distanti, mentre lei lentamente lungo le scale, intontita dal sonno e nervosa per il brusco risveglio.

Le pareti di casa sua erano da sempre tappezzate da ogni genere di quadro, tutti firmati da Katherine Stevens, nata Marchand, sua madre: una persona originale e forse un po' stravagante, come ogni artista che si rispetti.

Angie adorava la madre. Era da lei, dopotutto, che aveva ereditato il suo amore per l'arte pura, espressa in qualsiasi tipo di forma.

Giunta al piano di sotto, vi trovò suo padre, intento a leggere il giornale in salotto. Andò a salutarlo e ne approfittò per chiedere notizie della madre. Katherine, le disse, era chiusa nel suo studio da quella mattina e nessuno l'aveva ancora vista, presa com'era dal suo nuovo progetto.

Lui le consigliò di andare a salutarla più tardi ed Angie annuì, recandosi quindi in cucina, dov'erano già seduti i suoi fratelli e sua nonna, Beau. La ragazza corse ad abbracciarla: come il resto della famiglia, era molto affezionata a quella caparbia donna francese, la madre di sua madre, nonostante con l'età avesse cominciato a perdere qualche colpo ed era necessario che vivesse sotto il loro stesso tetto.

Dopo averla stampato un bacio sulla guancia, si sedette vicino a Fred.

«Nonna, potresti passarmi il cesto di frutta?» domandò poi, indicando la voluminosa cesta in un angolo dell'acquaio, a cui l'anziana si era avvicinata.

«Ma chérie, è pesantissima!» protestò lei.

«Allora potresti prendermi solo una banana, da quel pesantissimo cesto di frutta?» si corresse Angie, sospirando.

L'anziana ammiccò verso suo fratello. «Ma a quello può pensarci Fred, non è vero?»

«NONNA!» esclamarono loro due all'unisono, fissandola scandalizzati.

Lei ridacchiò sommessamente, mentre Angie, visto l'andazzo, si alzava in piedi per servirsi da sola.

«Quello si chiama incesto» osservò Nathan divertito, probabilmente l'unico ad aver apprezzato l'atroce battuta della nonna.

«In-cesto?» ripeté Beau. «Un nome non casuale...» Si voltò verso Angie, che stava osservando con occhio critico le uniche tre banane della cesta, dall'aspetto triste e raggrinzito.

Mentre Nathan e la nonna ridacchiavano, tentando con scarso successo di non essere uditi, Katherine comparve all'improvviso sulla soglia della cucina.

Angie la osservò, preoccupata, vedendo che aveva un'aria davvero stravolta: nonostante fosse pieno inverno, indossava una canottiera sgualcita, coperta di macchie di colore, e teneva i capelli spettinati raccolti in ciuffi disordinati sparsi qua e là per la testa, per non intralciare il lavoro. Inoltre, aveva gli occhi iniettati di sangue e pesanti borse le solcavano il viso, segno che molto probabilmente non era da quella mattina che si dedicava al suo progetto, bensì da tutta la notte.

«Mamma» fu tutto quello che riuscì a dire, vedendola appoggiarsi con un braccio al tavolo per non crollare a terra.

Lei alzò lo sguardo stanco verso Angie e la squadrò lentamente da capo a piedi, provocandole un brivido lungo la schiena. Che avesse capito del...?

«ANGIE!» gridò, accapponandole la pelle. «A CHI LE HAI RUBATE QUELLE GAMBE?» proseguì, puntandole un dito contro.

Angie rimase pietrificata, senza riuscire a replicare. Con tutta probabilità, sua madre stava delirando per la stanchezza, ma in cuor suo sapeva bene che in quelle parole urlate istericamente era nascosta una parte di verità.

«A CHI LE HAI STRAPPATE DAL CORPO?!» riprese, ma fu interrotta da Sean che, apparso dietro di lei, le poggiò le mani sulle spalle, delicatamente ma con fermezza.

«Mamma, sei molto stanca» disse calmo, per niente impressionato dalla sua scenata. «Non vedi che stai spaventando Angie? Andiamo, ti accompagno di sopra a riposare.»

Sotto il tocco del figlio, Katherine si rilassò e annuì, lasciandosi guidare docilmente fuori dalla cucina. A quel punto, nonostante il cuore che continuava a scalpitarle nel petto, Angie tirò un rapido sospiro di sollievo.

«Il lavoro di vostra madre non procede bene, mes chéris» osservò la nonna, con una nota di tristezza nella voce.

«Già, altrimenti non si comporterebbe così» confermò Fred, mentre Angie tornava silenziosamente al suo posto, ancora scossa.

«Però non aveva tutti i torti, hai le gambe leggermente diverse...» mormorò Nathan, fissandola, e la ragazza si sentì nuovamente raggelare.

«Quanto prendi a notte?» scherzò Fred, dandole di gomito.

«Incesto...» ridacchiò la nonna, lanciando uno sguardo complice a Nathan, che soffocò a stento una risata.

Angie si limitò a incenerirli tutti e tre con lo sguardo.

 

In tarda mattinata il cellulare di Angie squillò e lei, notando con un certo stupore che la chiamata era da parte di Arianna, salì in camera sua per rispondere.

«Pronto... Arianna?» esordì, chiudendosi la porta alle spalle. Forse aveva sbagliato numero.

«Ciao Angie.» No, non aveva sbagliato numero. «Tutto bene?»

Arianna aveva una voce persino più triste del solito, notò subito Angie.

«A parte il fatto che i miei hanno subito notato qualcosa di diverso nel mio aspetto...» rispose, ripensando inquieta all'episodio di quella mattina. «Tutto bene.»

«I miei genitori non ci hanno fatto nemmeno caso» fece Arianna, piano e, di nuovo, Angie notò un'indefinibile nota amara nel suo tono di voce. «Vogliono mandarmi in campagna per il mio compleanno» aggiunse poi, contrariata.

Ecco la causa del suo malumore, pensò Angie.

«Da quel folle di tuo zio?!»

«Esatto.»

«Mi dispiace...» mormorò Angie, vagamente a disagio.

I racconti su quell'inquietante individuo erano tramandati da Arianna come leggenda e persino lei, che di rado prestava ascolto a ciò che diceva, li ricordava chiaramente.

Dall'altro capo ci fu un attimo di silenzio, ma Arianna si riprese subito.

«Ti ho chiamato per invitarti alla festa»

«Verranno anche le tue amiche di città?» si informò Angie, già incline a rifiutare.

Si avvicinò alla grande finestra della sua stanza, che dava sulla casa dei suoi odiosi vicini. Lei in realtà non li aveva mai conosciuti ma, in seguito a numerosi litigi legati ai confini delle due proprietà, erano diventati un vero e proprio tabù per la sua famiglia.

«Te le immagini le mie amiche di città nella campagna di mio zio?»

«Effettivamente no» ammise Angie, sogghignando.

«Infatti.» Di nuovo silenzio. Poi Arianna disse, tutto d'un fiato: «Puoi invitare anche Night, se ti va. So che anche lui è di Dublino.»

Questa volta fu Angie a rimanere in silenzio.

«Non ho la più pallida idea di dove abiti e, anche se lo sapessi, non avrei alcuna intenzione di chiedergli di venire con me!» esclamò poi, indignata. Come le era saltato in mente di farle quella proposta?

A quel punto fu Arianna a rispondere infastidita, ma Angie non fece caso alle sue parole.

La sua attenzione, infatti, era stata attirata dall'enorme balcone della casa dei suoi vicini, dal quale era uscita una persona. Era un ragazzo alto, con corti capelli castani scuri e il naso rotto, che però non pareva neanche un inestetismo ma, al contrario, contribuiva solo a renderlo più affascinante. Era uscito per fumare una sigaretta ed Angie lo osservò più attentamente.

«AAAAAAAAH!» gridò, interrompendo quel discorso di Arianna che non stava minimamente ascoltando.

«Cosa succede?» esclamò lei, preoccupata.

«OH CAZZO! DALLA FINESTRA!»

«Eh?»

«L'HO VISTO!»

«Angie, calmati!»

«COME FACCIO A CALMARMI?! HO APPENA VISTO NIGHT DALLA FINESTRA!» urlò istericamente.

Improvvisamente le balenò in mente il pensiero che lui potesse vederla, alzando lo sguardo, e si allontanò dalla finestra, in preda al panico.

«CHE COSA?!» gridò Arianna, esterrefatta.

«Nathan aveva ragione, AVEVA RAGIONE! Ma non pensavo fosse... DIO, SONO I NOSTRI VICINI!»

Angie si impose di mantenere la calma. Avrebbe solo finito per svegliare la madre, continuando a gridare come un'ossessa. Si sedette sul letto e respirò a pieno polmoni, gli occhi chiusi.

«Guarda il lato positivo» disse improvvisamente Arianna, una nota divertita nella voce, «non dovrai fare alcuna fatica per invitarlo alla mia festa di compleanno.»

Angie era sicura che in quel momento la vipera stesse sorridendo.

«Grazie per avermi ricordato il motivo per cui non ti sopporto, Arianna.»

 

*SCONES – biscotti inglesi simili a brioches, farciti con marmellata e burro. Sono i dolci tradizionalmente serviti all'ora del tè, ma sono spesso usati anche per la colazione.

 

Ehilà!

Salve a tutti, eccomi di ritorno con questo capitolo persino più stravagante del solito, che descrive il primo giorno delle vacanze natalizie delle nostre protagoniste. Spero lo abbiate apprezzato, nonostante non contenga fatti avvincenti come negli altri capitoli: si tratta di un capitolo corridoio! Avevo in mente già da tempo di scrivere qualcosa sulle pazze famiglie delle protagoniste, ma adesso vediamole in dettaglio.

La famiglia di Arianna è veramente aristocratica, come spero di avervi fatto capire. Ari in questo capitolo ha un istinto vagamente assassino verso lo zio Frank, può sembrare eccessivamente crudele con lui... ma scoprirete che non ha tutti i torti. La sorellina invece me la immagino come una di quelle bambine stronzette, viziate e perfide, LEL. Finn invece è uno studente universitario, bello come la sorella e altrettanto studioso. Qui scoprirete anche qualcosa in più sul passato di Arianna, che comunque verrà approfondito molto nei prossimi capitoli.

La famiglia di Kia, nella campagna inglese, è composta da improbabili contadini (e una parrucchiera). Li adoro! È anche una famiglia multiculturale, perché la madre di Kia è originaria delle Hawaii. A tal proposito, mi immagino Kaila come una piccola Vaiana ed Harry come Maui, tatuaggi esclusi. La loro madre tiene in grandissima considerazione le loro tradizioni e considera sacra l'ospitalità, ecco perché gli amici di Kia (e talvolta anche i barboni) sono sempre i benvenuti a casa loro.

La famiglia di Beth, come avrete capito, è completamente folle. In questo momento di difficoltà economica vivono in affitto in una proprietà della famiglia di Kia, ecco perché le due abitano così vicine. La madre di Beth, un'astrologa-chiromante-ciarlatana (lel) che discrimina gli occhiali da vista, è in definitiva la mia eroina. Ringo, completamente soggiogato dalle donne della famiglia, mi fa un po' pena. Ma solo un po', perché è un uomo all'antica e si merita questo ed altro! Sono una famiglia numerosa e chiassosa, ma in fondo sono tutte brave persone..!

È stato uno spasso anche scrivere della famiglia di Angie, in Irlanda, tra i doppi sensi della nonna Beau, gli scleri di Katherine e i loro meravigliosi litigi con i vicini (e che vicini!). Per non parlare degli affascinanti fratelli di Angie: sì, sono dei teppisti, ma in fondo nessuno è perfetto. Avrete notato che il ramo materno della famiglia di Angie è francese (così come mi immagino francese il vero nome di Angie, che viene nominata solo con il suo soprannome) , anche se lei non ne accenna mai, perché Katherine MERSCION ha sempre vissuto in Inghilterra. 

Sono delle famiglie molto surreali, ovviamente, ma con delle figlie del genere non potevano certo essere normali! Il prossimo capitolo racconta della festa di compleanno di Arianna, dove avremo modo di conoscere lo zio Frank. Ne accadranno davvero delle belle!

Se avete letto questo capitolo mi piacerebbe lasciaste un commentino, è davvero importante! Ringrazio infinitamente chi ha trovato il tempo di leggere la storia fin qui.

Un bacione e al prossimo capitolo!

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Cassidy_Redwyne