Segreto
Dovevo
immaginarlo.
Da come
parlottavano, riempiendo i vuoti tra le parole con qualche occhiata
nella mia
direzione.
Io
distoglievo
lo sguardo, arrotolando il lenzuolo tra le dita e fingendo di non
accorgermi di
loro, di essere unicamente presa dalla mia sofferenza.
Dovevo
saperlo.
Per il
solo
fatto di essere una donna.
Strinsi
gli
occhi, cercando di innalzare una barriera tra me e loro, in piedi
sull’uscio
della porta ad agitare le braccia, gli sguardi, i pensieri.
«L’ha
rovinata» mio
padre non si curò di abbassare la voce. «Si è
rovinata.»
Udii il
medico
di famiglia congedarsi a passi affrettati, accennando un saluto.
«Quando
lo si
saprà a Torino…»
«Smettetela,
conte. Nessuno lo verrà a sapere.»
«Come
intendete
agire, allora? Dandola in sposa a-»
«Il
figlio dei
Magliano.»
Sussultai.
Non
importava
come mi sentissi, né se stessi bene.
A loro
stava
unicamente a cuore garantire il riserbo della famiglia, e trovare la
soluzione
più rapida ed efficace a questo guaio.
Il
guaio più
bello del mondo.
«Credete
potrà
essere ancora interessato? Quando scoprirà il motivo per cui
si sono affrettate
le nozze…»
«Il
motivo
rimarrà in questa casa» proseguì mia
madre. «Ma dobbiamo sbrigarci. Il marchese
sarà anche tonto, ma tutti sanno quanto dura una
gravidanza.»
Mi
rannicchiai
avvicinando le ginocchia al petto.
Avevo
freddo, ma
non mi mossi a cercare la coperta, col timore di attirare
l’attenzione su di
me.
«Quando
nascerà,
niente potrà convincerlo che non sia figlio suo.»
Una
lacrima mi
rigò il viso e bagnò il cuscino.
Mia
madre
sospirò, forse stupita di aver pronunciato tali parole.
«Tu credi ce la farà a
tenere per sé questo segreto?» si rivolse al
marito, che rimase in silenzio
qualche istante.
«Non
per tutta
la vita.»
Non
per tutta la vita, mamma.
Anche
se me lo hai fatto promettere, anche se me lo hai fatto giurare, anche
se mi
hai donato conforto tra le lacrime, chiamandomi piccola, chiamandomi
figlia.
Quella
bambina che ti ha delusa, ma che continuerai a proteggere, stringendola
in un
abbraccio e custodendo la verità come un fiore in una teca
di vetro.
E
si può chiamare tradimento corrergli incontro sotto la
pioggia, nel buio di una
sera, mentre a palazzo Alvise sbraitava ubriaco contro i servi?
O
guardare i suoi occhi illuminarsi di una gioia mai provata, dopo
essersi
bloccato a metà di un movimento?
«Perdonami
Antonio» di averti mentito tutti questi anni.
Perdonami,
madre, per non avere mantenuto la parola, per essere volata a ritrovare
la mia
gioia, per aver chiesto alla vita che mi restituisse ciò che
mi aveva riservato
e poi sottratto.
Ma
avevo bisogno che le sue mani afferrassero titubanti le mie, e che le
sentissi
tremare, come i brividi stavano facendo con il mio corpo, di
un’emozione mai
vissuta.
Che
studiasse attonito la mia espressione, chiedendo silenziose spiegazioni.
Che
sorridesse, incredulo, alle mie lacrime.