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Autore: syontai    05/02/2014    10 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 22
Cuordipietra

Quella notte l’aveva sognata nuovamente. Non ricordava bene ogni dettaglio, ma ricordava perfettamente i lineamenti del suo dolce viso. Leon ancora mezzo addormentato, sonnecchiando, abbracciò uno dei tanti cuscini soffici che aveva sul letto, con un sorriso non da lui. Resosi conto di quello che stava facendo, sgranò gli occhi e scostò il cuscino con una smorfia, facendolo finire a terra. Stava diventando un debole, e la cosa non gli piaceva per niente; anni e anni di sforzi e duri allenamenti sembravano essere stati annientati in poco tempo. Si alzò, stropicciandosi gli occhi, e osservò l’altro lato del letto. Erano ormai parecchie notti che aveva rifiutato qualsiasi compagnia femminile, perfino Lara, anche se quest’ultima si mostrava sempre più determinata. Non aveva più voluto nessuno al suo fianco perché si sentiva vuoto come non gli succedeva da tempo; o meglio, lo era sempre stato, ma quella consapevolezza lo stava lentamente logorando. Il solo pensiero di anche solo sfiorare una qualsiasi ragazza diversa da Violetta gli dava il voltastomaco. Non sapeva come mai provasse quelle emozioni, e si chiese se forse non avesse ragione Humpty, se senza rendersene conto non si fosse innamorato. Accarezzò piano la coperta, seduto sul letto mentre osservava la parete di fronte a lui, perso nei suoi pensieri. Tante domande affollavano la sua mente: perché pensava sempre e solo a lei, anche quando non doveva, anche quando sapeva che fosse sbagliato? Perché non riusciva più a mantenere le distanze, mentre prima gli riusciva molto più semplice? Cosa lo rendeva così debole? E soprattutto, perché quando si svegliava la mattina immaginava di stringerla tra le sue braccia? Quest’ultima domanda poteva sembrare la più stupida, ma era quella che lo tormentava di più. Nonostante tutti i numerosi rapporti fisici che aveva avuto nella sua vita, non aveva mai, assolutamente mai, voluto avere dopo qualche contatto, come se lo ritenesse un gesto sconsiderato, eppure…con Violetta era diverso. Sognava di abbracciarla, di stringersi a lei, e di bearsi del suo buonissimo profumo. Sognava dei contatti semplici e ricchi di significati, che prima aveva sempre disprezzato. Ma i sogni erano e dovevano rimanere sogni. O forse no? La confusione ormai sembrava essere diventata sua inseparabile compagna, e quando si alzò si sentì parecchio stordito. Si voltò verso il pregiato comodino sovrastato da uno specchio circolare dalla cornice dorata. Osservò malinconico le cicatrici sul petto, e le toccò come se non ne fosse pienamente consapevole. Anche se era un ragazzo, per il regno era già un uomo, un guerriero, che aveva sulle spalle le sorti di una guerra. Era il cavallo di battaglia di Cuori, era il principe temuto tanto tra la sua gente quanto sul campo di battaglia. Era Leon Vargas, il principe di Cuori senza cuore…o almeno così gli era sembrato fino ad allora.
Violetta era allegra e quella notte non aveva avuto nessun incubo. La sua alquanto bizzarra felicità la attribuiva all’incontro avuto con Leon; le veniva addirittura da canticchiare, cosa che fece insospettire la sua compagna di stanza. “Come mai tutta questa allegria?” chiese Lena, lasciandosi contagiare e sorridendo di rimando. “Non lo so! Sento che da oggi molte cose cambieranno. Lena, posso farti una domanda?” ribatté la ragazza, sedendosi sul bordo del letto, stranamente pensierosa. “Certo!”. Lena si sedette vicino, prendendole la mano, e guardandola sinceramente. Era la prima e unica amica che aveva da quando viveva a palazzo, e in un certo senso si sentiva profondamente legata a lei. “Credi…tu credi…che le persone possano cambiare per amore?” mormorò particolarmente imbarazzata. La ragazza la guardò attentamente, non sapendo cosa rispondere, ma soprattutto curiosa: chi era quella persona che sembrava aver rubato il cuore a Violetta? “Non saprei…direi di si, se è qualcosa di profondo e inestinguibile, allora si, un cambiamento è possibile. Ma entro certo limiti” rispose puntando l’indice sulla bocca, come per pensarci meglio. “Ma chi è questo misterioso cavaliere?” chiese subito, con un sorriso malizioso. Violetta prese un cuscino e glielo lanciò addosso, con le guance incandescenti: “Ma nessuno! I-io…era solo per sapere. Una curiosità improvvisa” rispose con naturalezza, ma il tono tremante la tradiva fin troppo. Lena decise di non insistere, e prese un nastro azzurro, con cui legò i capelli fino ad ottenere una graziosa coda. “Preparati, che questa chiacchierata ci ha portato via un bel po’ di tempo! E poi pigrona come sei ci impiegheremo delle ore a sistemare la sala dei ricevimenti oggi!” ridacchiò, per poi evitare nuovamente il cuscino che le lanciò Violetta, in un gesto di stizza. “Io non sono pigra!” esclamò la ragazza offesa. Le due si guardarono un istante e poi scoppiarono a ridere. Violetta non aveva mai avuto un’amica, sempre chiusa dentro l’enorme villa Castillo, e invece in quello strano mondo aveva trovato Lena, una persona speciale, che le era sempre stata affianco nei momenti di difficoltà. E poi c’era Leon, che capiva sempre meno ma che sentiva di amare sempre più. Nonostante tutto il ricordo del padre, di Olga, erano troppo dolorosi; sentiva il bisogno di tornare nel suo mondo, in fondo quella non era la sua vita. Era capitata per sbaglio, senza quasi rendersene conto, nel bel mezzo di una sorta di favola, ma lei non c’entrava niente. Doveva cominciare a pensare seriamente ad un piano di fuga.
I passi veloci di Thomas risuonavano nel corridoio. Il Bianconiglio controllò il cipollotto d’oro, e si rese conto di essere in un ritardo mostruoso, tanto per cambiare. Stava per svoltare a destra, quando si ritrovò ad un centimetro da Lara che sembrava lo stesse aspettando. Era proprio tra lui e la stanza della regina, e non aveva tempo da perdere. Cercò di sorpassarla, ma lei lo bloccò mettendosi di fronte a lui, con aria determinata. “Che vuoi? Cerchi qualcosa? Io vado di fretta, di fretta!” esclamò Thomas; i baffi gli vibravano per l’ansia e nello sguardo si leggeva la solita paura di non arrivare in tempo che lo accompagnava costantemente. “Si, ti volevo chiedere un favore. Mi servono le chiavi per due delle stanze in cui alloggiano solitamente gli ospiti. E siccome la capo domestica non me le ha volute dare, e tu hai tutte le copie mi chiedevo se non potessi darmele” disse la ragazza, mostrando le sue doti di grande seduttrice. Gli passò una mano sulla spalla, ammiccando e facendogli addirittura l’occhiolino. Il Bianconiglio fece un passo indietro, stranito. Non si fidava di quella ragazza, ma d’altronde gli servivano due innocue chiavi, e non ci vedeva nulla di male. Tirò fuori dall’interno della giacca di velluto blu un mazzo di chiavi, e le fece tintinnare, alla ricerca di quelle che gli erano state richieste. Una volta trovate, fece una faccia soddisfatta, e aprì il meccanismo di metallo per estrarle. “Ah, un ragno!” strillò Lara, andandogli addosso volontariamente, con una scusa, e facendo cadere il mazzo. Tutte le chiavi caddero a terra fragorosamente, spargendosi per il pavimento. “Oh, dannazione!” imprecò Thomas, cominciando a raccogliere le chiavi. Lara adocchiò quella che le serviva: una grossa chiave arrugginita. La riconobbe grazie alla scritta ‘tropheum’ incisa nel metallo, quindi piegandosi per aiutare il povero Bianconiglio la fece scivolare per il suo prezioso piano all’interno di una tasca del suo vestito. “Mi dispiace, Thomas, sono stata una sciocca. Spaventarsi così per un ragnetto” si scusò, cercando di apparire seriamente dispiaciuta. In realtà non riuscì ad evitare di ghignare soddisfatta, ma cercò di nascondere il tutto con una smorfia di dolore non sentito. “Si, sei stata davvero una sciocca” rincarò la dose il ragazzo, rimettendo tutte le chiavi nel mazzo: erano tantissime e non poteva certo rendersi conto che ne mancasse una. “Beh, scusa!” rispose a tono Lara, mostrandosi acida. “Adesso si che sono in un ritardo imperdonabile!” piagnucolò Thomas, non badando alle parole della domestica. “Vorrà dire che chiederò le chiavi alla capo domestica” disse Lara, allontanandosi con una saluto, e ancheggiando lievemente. “Perditempo da quattro soldi” sbuffò Thomas, rimettendo il mazzo dentro la giacca, e muovendosi verso la stanza delle regina. Mentre camminava, Lara scorse la figura di Jackie, che doveva aver osservato a debita distanza tutta la scena. Aveva un sorriso soddisfatto, e puntava i suoi occhi maligni sulla tasca di Lara: “Vedo che alla fine sei riuscita a raggirarlo”. La ragazza sorrise con aria furba, e tirò fuori la chiave che scintillò davanti alla luce di una finestra, ignara dell’infelice compito che le era stato affidato. “E’ stato quasi più facile che rubare delle caramelle a un bambino. Quel coniglio è davvero tonto!” sghignazzò Lara, rimettendo la preziosa chiave al sicuro. “Bene, e adesso passa alla seconda parte del piano, ci sarà da divertirsi” sibilò Jackie, prima di voltarsi e allontanarsi compiaciuta: tutto stava procedendo secondo i piani, e lei sarebbe uscita vincitrice da quello scontro. “Mi dispiace, Violetta, ma questo è uno Scacco al Re. Anzi, sarebbe meglio dire al principe. E se tutto andrà secondo i piani, arriverà presto lo Scacco Matto” sussurrò con gli occhi ridotti a due fessure.
Leon entrò di corsa nella biblioteca, sperando di trovarla lì anche quella mattina. Aveva anche saltato la colazione, pur di non perdere l’occasione di poterla almeno vedere. Quando entrò però la delusione bruciò del tutto le sue aspettative: nella grande biblioteca si sentiva unicamente il fischiettare di Humpty, che stava mettendo a posto alcuni libri. “Oggi nessuno ti è venuto a dare una mano” constatò il principe, con finta indifferenza. Si sedette al solito posto, senza alcun libro davanti, semplicemente fissando il suo interlocutore, che in cima ad una scala continuava a fischiettare allegramente. Humpty non disse nulla, ma scese le scale, un piolo alla volta, e si avvicinò, studiando il volto incavato del giovane: era pallido e sembrava leggermente spossato. “Non hai mangiato stamattina” disse, per poi avvicinarsi al suo studiolo, una piccola scrivania posta vicino all’entrata. “Non avevo fame” rispose prontamente l’altro, portando una mano sullo stomaco, che invece la pensava in modo molto diverso. “E sei arrivato di corsa” continuò, prendendo un fagotto bianco, dentro un cassetto, e tornando vicino a Leon. “Volevo tenermi in allenamento”. “E come fai a tenerti in allenamento a stomaco vuoto?”. Leon batté un pugno sul tavolo leggermente alterato: “Ma insomma, questo è un interrogatorio?!”. “Mi piacerebbe pensare che questa corsa l’avessi fatta per me e il mio incredibile fascino” si pavoneggiò scherzosamente l’uomo-uovo. La tensione si allentò e Leon scoppiò in una risata nervosa, che nascondeva la paura che il suo amico avesse in realtà capito tutto. “E invece sei venuto qui per una ragazza. Dovrei ritenermi offeso”. Colpito e affondato. Humpty lo conosceva troppo bene, e sapeva interpretare ogni suo gesto o reazione nella giusta maniera. La risata del principe si spense in un istante, e tutto intorno calò il silenzio. “La sincerità è una delle qualità che deve avere un re. Ma non devi essere sincero con me, devi esserlo con te stesso”. L’uomo aprì il fagotto, tirando fuori del pane e del formaggio. “Non è un pranzo regale, ma se vuoi possiamo dividerlo” propose, prendendo un coltellino e cominciando a fare le parti. Leon gli fermò il braccio con un sorriso: “No, non potrei accettarlo. Vado nelle cucine e mi faccio preparare qualcosa, non devi preoccuparti”. Humpty annuì  e mentre si allontanava disse: “Leon, non c’è niente di male nell’amare una persona. Anzi…si dimostra più coraggio amando senza riserve che in qualunque altro modo”. Leon si fermò di colpo, pensando a quelle parole, che rispondevano ad ogni suo dubbio: dunque lui era un codardo? Si nascondeva dietro dei sogni, attribuendoli alla debolezza, mentre il suo inconscio cercava di parargli. Si avvicinò verso la scrivania in legno di Humpty, e osservò il librone che vi era appoggiato: era proprio quello che gli aveva fatto a vedere a suo tempo, con l’immagine del cavaliere che baciava la mano alla principessa. Sorrise impercettibilmente, quindi cominciò a sfogliarlo velocemente fino a raggiungere la pagina interessata. Prese un pezzo di carta ingiallita sul tavolo, intinse una piuma d’oca lì presente dentro il calamaio e scrisse qualcosa. Soffiò parecchie volte e lo avvicinò alla luce di una candela per far seccare l'inchiostro, quindi lo posizionò sulla pagina a mo’ di segnalibro e richiuse il libro. “Che cosa stai facendo, Leon?” chiese Humpty dall’altra parte della sala, ancora seduto. “Niente. Sto cercando di essere coraggioso” rispose con voce atona Leon, prima di lasciare definitivamente la biblioteca.
Non appena fu uscito, ebbe la sgradevole impressione di aver fatto la cosa sbagliata. Sarebbe dovuto tornare sui suoi passi, ma qualcosa glielo impediva. Ogni tanto si voltava nuovamente indietro verso la biblioteca, poi faceva un respiro profondo e continuava per la sua strada. “Leon” lo chiamò una voce femminile alle spalle. Non seppe spiegarsi perché ma si illuse che si potesse trattare di Violetta; si voltò di scatto, ma ancora una volta rimase deluso: era solo Lara. La ragazza lo raggiunse di corsa, con un’espressione preoccupata e affranta. “E’ successa una cosa terribile, Leon” disse lei, riprendendo fiato dalla lunga corsa. Doveva averlo cercato per tutto il castello, pensò il giovane, alzando le spalle, indifferente. “Principe Vargas per te” la corresse. La ragazza si irrigidì e assunse una buffa posizione; non l’aveva mai trattata in quel modo freddo, anche se non era mai nemmeno stato gentile. Lei lo aveva cambiato, quella stupida Violetta; gli aveva portato via l’uomo che amava, ma presto tutto sarebbe cambiato. Se prima anche avesse avuto qualche tentennamento, adesso si sentiva più risoluta che mai. “Vieni con me, è meglio che tu dia un’occhiata di persona” disse Lara, mentre gli occhi le si inumidirono, prestandosi alla sporca recita. Leon non sembrava volerla seguire, pensando ad una sciocchezza, quindi fece per continuare in direzione della sua stanza, per prepararsi per gli allenamenti. “Ti ha tradito, principe Vargas”. Sottolineò con disprezzo l’appellativo con cui era stata appena costretta a chiamarlo. Il giovane si bloccò di colpo: una paralisi dettata dalla paura e dallo sgomento. “A che ti riferisci?” chiese con un fil di voce. “Ti ha tradito. Ha solo giocato alle tue spalle. Ti ha ingannato”. Lara era ormai dietro di lui, e le sue parole erano ridotte ad un sussurro malefico che si insinuava seducente nella sua testa. “Di chiunque tu stia parlando, non ti credo” rispose deciso, scacciando con un gesto della mano ogni possibile dubbio. “Se non mi credi, perché non mi permetti di mostrartelo di persona?”. Leon si girò nuovamente, e sfidò lo sguardo implorante e subdolo della serva. “Spero solo per te che non sia una perdita di tempo” si arrese infine, limitandosi a seguire una ormai trionfante Lara.
Le stanze si susseguivano, così come i corridoi, finché non arrivarono di fronte a una porta che Leon ricordava fin troppo bene: la stanza dei trofei. Qualche giorno prima aveva provato ad entrarci, ma aveva trovato chiuso a chiave, e alle sue richieste di spiegazioni nessuna sapeva rispondere. Aveva anche provato a chiedere a Thomas, che però aveva giurato di non saperne nulla. “Sei pronto a vedere le prove del suo tradimento?” sogghignò la ragazza, per poi riacquistare un’espressione sofferente. Non avrebbe mai pensato che una semplice intimidazione a quella Violetta sarebbe potuta essere l’arma per liberarsi di lei definitivamente. Infilò la chiave nella serratura e cominciò a girare lentamente, mentre Leon seguiva quel movimento impaziente. Era stufo di quel giochetto, e non sapeva cosa potesse esserci di così importante per farlo sospettare di Violetta. Il meccanismo si sbloccò, quindi la ragazza si fece da parte, socchiudendo leggermente la porta: “Guarda tu stesso”. Il ragazzo senza attendere oltre, si precipitò nella stanza, e strabuzzò gli occhi. Miriadi di emozioni si alternavano nel suo animo, proprio come i frammenti di marmo bianco che costellavano il pavimento: rabbia, odio, frustrazione, dolore, nostalgia. Si accasciò per terra di fronte al supporto su cui un tempo riposava il busto del padre, l’unico ricordo tangibile che potesse avere di Javier Vargas. “Papà…” mormorò con voce spenta. Portò le mani al viso, lasciandosi avvolgere dal buio, mentre le lacrime scendevano silenziose. Non c’era più nulla che lo potesse legare al passato…adesso era davvero tutto finito. Non riusciva a rimettersi in piedi, il cuore era troppo gonfio di dolore. Scostò le mani dal viso, permettendo così alle lacrime di comparire alla luce, eleganti e terribili. Il suo sguardo mutò in un istante: l’antica fiamma della crudeltà arse con più forza di prima, l’odio sembrava nuovamente l’unico sentimento che potesse manifestare. Lara si avvicinò tentando di consolarlo, ma Leon le afferrò il braccio con uno sguardo di disprezzo, e lo allontanò con forza. Si rialzò e asciugò ogni traccia di debolezza con la manica della maglietta. Sentiva un gran bisogno di uscire da quella stanza, testimonianza dei suoi errori. Aveva sbagliato a fidarsi di quella serva. Aveva intenzione anche di rimuoverne il nome, dalla testa e dal cuore, anche se per il secondo gli riusciva molto più difficile. La odiava profondamente per aver distrutto uno dei suoi ricordi più cari, e il sentimento d’amore che prima lo aveva illuminato, che lo aveva accompagnato da appena sveglio fino ad allora, era ormai un ricordo sbiadito. Il suo sguardo saettava, la sua mente lavorava senza controllo. Aveva bisogno di vendetta, voleva vederla soffrire almeno la metà di quanto avesse sofferto lui. Credere di poter riporre fiducia in una persona era stata la sua rovina. Si era lasciato ingannare dalle parole di Humpty, dalla finta dolcezza della ragazza, ma era tutta una crudele apparenza. Quella consapevolezza era come un amaro risveglio, e i giorni passati erano sogni ormai infranti. “Chiudi questa stanza. Non voglio metterci piede mai più” ordinò all’improvviso, uscendo a passo veloce, come una furia, mentre una Lara terrorizzata annuiva tremando. Lo sguardo ricco di disprezzo verso tutti era tornato, ma questa volta le sembrava anche peggio. Se anche prima Leon avesse mostrato una parvenza di umanità sembrava tutto scomparso, di lui non era rimasto che un guscio vuoto, pieno di rancore e solitudine.
Violetta era passata in biblioteca per sentire se Humpty avesse bisogno di una mano. Non appena varcato l’accesso alla grande biblioteca insieme a Lena, le due trovarono Humpty, seduto sulla panca, assorto in una lettura alquanto impegnativa. Tra le mani stringeva un librone enorme, i piedi dondolavano, non toccando terra, mentre lui rimuginava borbottando qualcosa. “Humpty!” esclamarono le due in coro, avvicinandosi verso l’anziano, che alzò lo sguardo, e tolse gli occhialetti con cui era solito leggere. “Signorine” salutò cortesemente l’uomo-uovo, poggiando il libro e facendo leva sul suo corpo per scendere dalla panca. “Oggi è stata una giornata faticosissima” si lamentò Lena, sedendosi e sbuffando di colpo. Violetta era troppo presa a girare tra gli scaffali in cerca di qualche libro interessante per prestare attenzione alle continue lamentele dell’amica, che invece il povero Humpty ascoltava pazientemente ed educatamente. Il bibliotecario le permetteva di tanto in tanto di prendere qualche libro da leggere, sapendo quanto lei ci tenesse; ultimamente però non aveva trovato nulla che potesse interessarla particolarmente. “Hai qualcosa da consigliarmi?” sbucò da una delle librerie, con aria perplessa. Lena interruppe il suo monologo, piuttosto risentita, quindi ne approfittò per poggiare la testa sul tavolo, e chiudere gli occhi, in una sorta di dormiveglia. “Non preoccuparti, adesso torniamo in stanza…anche io sono distrutta” la rassicurò l’amica con un sorriso, per poi tornare a cercare la sua lettura. Humpty si alzò con sguardo furbo, e indicò il librone appoggiato sulla sua scrivania: “Quello potrebbe interessarti. Leon lo stava sfogliando stamattina”. Al solo sentire il nome di Leon, Violetta arrossì, e distolse lo sguardo osservando con un’apparente interesse la cupola che tanto l’aveva attirata la prima volta che aveva messo piede in quella stanza. “Se ti imbarazza tanto il nome di Leon, allora non dovrei nemmeno dirti che stamattina ha chiesto di te” disse il bibliotecario. Un sorriso furbo e accattivante gli illuminava il volto pallido, mentre continuava ad indicare il libro, attento che Lena non sentisse nulla di quel discorso. Violetta con una certa reticenza si avviò verso la scrivania, cercando di controllare i piedi, che volevano accelerare, mossi dalla curiosità. Chissà che libro aveva tanto interessato il principe Vargas; sperava solo non si trattasse di un altro mattone sulle strategie militari, o cose del genere. Sfiorò la copertina del tomo: il titolo era in una lingua a lei sconosciuta. Ma ciò che la incuriosì era un pezzo di carta che sporgeva da una delle pagine. Sfogliò il libro avidamente in attesa di raggiungere quella agognata pagina e rimase incantata nell’osservare l’immagine di un cavaliere inginocchiato di fronte alla principessa. Il pezzo di carta recava una scritta dalla calligrafia minuta ma elegante. In alcuni punti le lettere sembravano tremolanti; forse in quel momento chi stava scrivendo aveva la mano che tremava:
‘Stanotte eri nei miei sogni, Violetta. Eri bellissima, più di un angelo.
Leon’
Se prima ad Humpty era parso che lei fosse arrossita, adesso doveva essere un fuoco. Rilesse ogni parola, come se non ci potesse credere fino in fondo. L’aveva scritto davvero Leon? Le veniva da ridere, da piangere, e da esultare contemporaneamente: era un fiume di emozioni in piena che aveva ormai superato i suoi argini, e fluiva liberamente nel corpo. Le mani tremavano, il sorriso stampato sul viso non accennava a diminuire. Prese il foglietto e lo ripose accuratamente nella tasca del vestito. Lena nel frattempo si era svegliata di colpo, e con passo traballante si era avvicinata a lei. “Che ti succede?” chiese inavvertitamente, facendola sobbalzare. “N-niente…i-io mi sono ricordata di una cosa urgente. Ci vediamo dopo in stanza” si scusò lei, uscendo dalla biblioteca di corsa, con il cuore che batteva a ritmi folli, pulsandole nelle orecchie.
Lo cercava senza sosta, ed ogni minuto le sembrava un minuto sprecato che avrebbe potuto trascorrere tra le braccia di Leon. Quella sorta di dichiarazione, perché non poteva essere intesa in altro modo, era stata la più dolce e inaspettata delle sorprese. Improvvisamente il pensiero di German e Olga passarono in secondo piano, suo malgrado, troppo presa da quello del principe. Lo trovò lungo il corridoio che portava agli appartamenti reali, con l'attenzione rivolta verso i giardini del castello. Sembrava stranamente riflessivo, e lo sguardo non era quello che le rivolgeva sempre, ma al momento non ci fece attenzione. “Leon” lo chiamò avvicinandosi. Il ragazzo non si mosse, né rispose. “Io…le tue parole…” mormorò, non sapendo come continuare il discorso. Nulla, il principe non muoveva un muscolo, ma vide la mascella contrarsi leggermente. La luce che si rifletteva nei suoi occhi scuri, e verdi intensi, sembravano conferirgli un’aria fin troppo autoritaria. “Leon?”. Adesso lo chiamava incuriosita da quello strano atteggiamento. Il ragazzo continuò a far finta di nulla, ma il viso si contrasse in una smorfia disgustata. Fece per sfiorargli la spalla in un ultimo tentativo di chiamarlo, cercando di capire cosa fosse successo, perché fosse ridotto in quello stato, ma con una rapidità incredibile le afferrò il braccio, lasciandolo sospeso a mezz’aria. “Non toccarmi mai più!” ringhiò adirato. Il fuoco intenso dell’odio si scontrò con quel fiume che sentiva dentro, spegnendolo completamente. Adesso rimaneva una sola emozione che dominava incontrastata: la paura. “E’ stato un errore fidarmi di una squallida serva come te. Sei solo una delle tante persone che si volevano avvicinare nella speranza di ottenere qualche favore. Cosa volevi, Violetta? Volevi forse ottenere una via di fuga? O forse volevi avere una stanza più accogliente di quella che ti ritrovavi? Quale favore volevi?”. La sua voce era fredda, ma la delusione traspariva chiara come l’acqua. Una risatina incolore accompagnò quelle ultime affermazioni, mentre la confusione si accostò alla paura nell’animo della ragazza. “Non so a cosa ti riferisci” sussurrò terrorizzata. “Smettila! Smettila di fingere. Tu…non sei niente. Potrei distruggerti quando voglio. Potrei farti pentire il giorno in cui sei nata, e se non lo faccio è solo per il disgusto che provo nei tuoi confronti”. Ogni parola era sempre più nera, più crudele, e cancellava la dolcezza del messaggio che giaceva impotente nella tasca del vestito. Leon sembrava un’altra persona: che fine aveva fatto il principe che l’aveva portata in quella stanza piena di ricordi per lui felici, che le aveva dato la possibilità di ammirare il cielo stellato, che era stato quasi sul punto di suggellare quella notte con un bacio? Non riconosceva nulla di quel Leon, e pensò che forse si era sempre sbagliata. La sua superbia nel pensare di poterlo cambiare le stava costando cara: sentiva il cuore spezzarsi in due; le lacrime erano troppo intimorite e fragili per uscire, ma nonostante ciò cercavano disperatamente una via di uscita, una valvola di sfogo. “Che ti succede, Leon? I-io…perché mi parli così?” domandò con la voce che tremava, insieme al corpo. Per un momento Leon sentì qualcosa far leva dentro di lui, un forte senso di pietà, ma poi il ricordo del padre, di tutto ciò che lo rendeva felice, ritornò cancellando tutto. “Non ti rivolgere a me in questo modo, serva. Pretendo rispetto come si conviene” ribatté freddo. “Non devo spiegarti nulla, io non ti devo nulla. Anzi, io ti ho donato la mia fiducia, sbagliando, commettendo un errore che nemmeno un cieco avrebbe commesso. Io brucerò nelle fiamme dell’Inferno, ma subito dopo sarà il tuo turno” disse il principe, sputando ai suoi piedi, in segno di massimo disprezzo, e voltandosi per andarsene, lasciandole di scatto il braccio. Violetta, seppure umiliata, seppure derisa fino alla fine, gli corse dietro supplicandolo di spiegargli, e non si rese conto che non faceva altro che alimentare la sua ira. Leon non ce la fece più: la testa gli scoppiava; le parole di Lara, la stanza dei trofei, il busto, la delusione, quello che sembrava essere un sincero dolore provato da Violetta…tutto questo insieme per lui era troppo. Si voltò inferocito e alzò la mano; il suono di uno schiaffo risuonò nel silenzio serale. La fiamma delle torce tremolò, quasi a voler coprire quell’orrendo misfatto, mentre Violetta si portava la mano alla guancia rossa, colpita da quel palmo che prima le aveva riservato solo carezze e abbracci. Il principe si osservava disgusato la mano ancora formicolante: l’aveva colpita, le aveva fatto del male. La sentì singhiozzare e far uscire le prime lacrime, i suoi occhi spenti riacquistarono quel po’ di vita per aggiungere un altro atto di cui si sarebbe pentito, di cui avrebbe portato il peso. Infierire in quel modo su una ragazza innocente…no, lei non era innocente come aveva pensato. Era solo un’approfittatrice che rideva alle sue spalle, che si prendeva gioco di lui, che amava distruggere ciò che amava. Il muro che con tanta fatica aveva cercato di demolire tra loro due si eresse inespugnabile; non c’era nulla che lo avrebbe cambiato. “Vattene” sibilò, senza guardarla veramente negli occhi. Violetta lo supplicò con lo sguardo, le lacrime che ormai scendevano sicure del loro percorso, la mano che lasciava comunque intravedere il segno rosso della violenza sulla guancia. “Vattene” urlò questa volta. La ragazza si riscosse dall’incubo in cui stava versando, e senza degnarlo più di uno sguardo, corse via piangendo, dando libero sfogo a quel dolore che tanto l’aveva oppressa in quegli istanti. Leon la vide allontanarsi fiero di se stesso, ma anche con un folle impulso di fermarla e scusarsi, chiederle perdono in ginocchio. Per terra giaceva un pezzo di carta, forse lasciato da Violetta nel momento in cui era scappata via di corsa. Lo raccolse e leggendone il contenuto il suo cuore ebbe una stretta: erano le parole che le aveva scritto quella mattina. Ogni parola trasmetteva amore e dolcezza, tutto ciò che lui non possedeva più. In un giorno tutto si era stravolto, ed era tornato quello di sempre. Sua madre ne sarebbe stata felice…e lui? Quando avrebbe capito anche lui cosa significasse essere felici? 















NOTA AUTORE: Miei prodi Leonettiani, all'attacco contro Lara! *suona le trombe e sfila una spada* Cioè, il finale...piango ç.ç Ma andiamo con calma. Allora, succedono parecchie cose interessanti in questo capitolo. All'inizio sembra che tutto vada per il meglio, tutti sono felici, ma quella subdola riesce a rubare la chiave a Thomas astutamente, e ne approfitta per ingannare Leon, che poco prima aveva fatto una cosa dolcissima, acquisendo coraggio (grazie, Humpty <3) e finendo per dichiararsi proprio :3 Ma ecco CHE QUELLA COSA deve rovinare tutto. MH. Leon si sente deluso e tradito, e in fondo preferisce credere alle parole di Lara, preferisce pensare di essersi sbagliato, facendo così un passo indietro. Il dolore per la perdita dell'unico ricordo tangibile del padre poi lo distrugge...e quasi non risponde più delle sue azioni. Povera Violetta che pensava che tra loro le cose sarebbero andate a meraviglia, e invece...amara sorpresa D: Non commento troppo il capitolo, mi fa troppo male, lascio a voi questo sofferente compito ç_____ç Lara, tu non cantare vittoria, che me la paghi ù.ù *si prepara a scrivere cose atroci su di lei per farla soffrire* Volevo dire...sono uno scrittore serio xD Grazie a tutti voi che continuate a leggere, e...buona lettura (ç_____________ç). Alla prossima! :P 
  
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