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Autore: SusanTheGentle    05/02/2014    10 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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9. In disgrazia
 
 
Da questo momento sono stato benedetto
Io vivo solo per la tua felicità,
E per il tuo amore

Darei il mio ultimo respiro
Da questo momento, finché vivrò,
Ti amerò

Ti prometto questo:
Non c'è niente che non darei
Da questo momento in poi…
 
 
Era stata una giornata allegra e divertente, uno dei più bei Natali passati tra i Pevensie e gli Scrubb.
La neve era andata e venuta ad intervalli durante tutto il pomeriggio, fuori faceva molto freddo, ma l’atmosfera in casa era calda e non solo per via del bel fuoco che scoppiettava nel caminetto del salotto. C’erano stati canti, risate, racconti e ricordi.
Jill si sentiva un po’ fuori posto, autoproclamandosi ‘imbucata della festa’. Non aveva avuto in programma di rimanere tutto il giorno, ma Eustace aveva insistito e anche Lucy Pevensie, che alla ragazza era molto simpatica.
“Chissà com’è Susan?” si era chiesta un momento.
Eustace le aveva detto che Lucy assomigliava abbastanza alla sorella (Susan aveva i capelli castani e gli occhi azzurro chiaro). Erano simili ma diverse, soprattutto nel carattere. Lucy era espansiva e allegra; Susan era più posata e un po’ introversa.
Più ancora di lei lo era Edmund. Un ‘musone’ lo aveva chiamato Eustace, mentre Peter lo aveva definito un tipo pieno di sé.
Jill non poteva sapere se fosse vero o meno. Erano i suoi cugini, per cui li conosceva meglio di lei.
Ora, Susan non era lì davanti a lei – e non sapeva nemmeno se l’avrebbe conosciuta mai – per cui non poteva verificare se la descrizione di Eustace corrispondesse alla realtà. Lucy, invece, era davvero molto simpatica, allegra e sempre sorridente. Ma Peter e Edmund non erano affatto come l’amico li dipingeva.
Peter e Edmund erano stati gentili con lei, e poi, diciamolo: erano due gran bei ragazzi!
Jill si soffermò anche ad osservare le somiglianze e le differenze dei due fratelli: Peter era un poco più basso di Edmund, e più muscoloso. Edmund aveva un fisico più asciutto.
Ad un certo punto della giornata, aveva avuto l’impressione che Peter la osservasse con troppa insistenza. E se non avesse scoperto di lì a poco che era fidanzato, avrebbe iniziato a pensar male…
“Tuo cugino mi fissa ancora” mormorò Jill a Eustace, mentre salivano al piano di sopra per portare la macchina da scrivere in camera di lui.
Il ragazzo buttò un’occhiata alle sue spalle, sbirciando in salotto. Peter parlava con zio Robert e dava le spalle alle scale.
“Che t’inventi, Pole? Non ti sta guardando”
“Non guardando, ma fissando. E prima lo stava facendo, ti dico”
“Io non ho notato”
Jill parve offesa. “Ah bè, tu non noti mai niente, se è per quello!”
Eustace posò il suo regalo sulla scrivania, mentre Jill accostava la porta.
“Guarda, se credi che Peter abbia interesse per te, stai prendendo un granchio”
“Non sto dicendo nulla del genere. E’ solo che mi è sembrato…strano”
“In che senso?” chiese il ragazzo senza guardarla, poiché le sue attenzioni erano tutte rivolte alla sua macchina da scrivere. “Non ti piacerà mio cugino, spero”
“No, certo che no. Insomma, è bello, ma non mi piace, non in quel senso. Non so se capisci ciò che intendo”
“Credo di no”
Jill osservò il profilo dell’amico, sempre intento a decidere su che lato della scrivania potesse stare meglio la macchina da scrivere.
“Tu nemmeno mi ascolti”
“Sì che ti ascolto. E ti dico che è impossibile che tu piaccia a Peter”
Jill gli si avvicinò e parlò a voce più alta, così che lui tornasse a prestarle attenzione.
“Non sto dicendo che mi piace Peter, zuccone! Mi sono sentita a disagio per il modo in cui mi guardava, ma non perché mi interessi. E’ stato perché mi sono sentita come se…come…” Jill stropicciò un lembo della gonna, pensando che chiunque avrebbe riso di lei per quel che stava per dire, ma non Eustace.
“Come…cosa?” fece lui.
“Mi sembrava di stare davanti a un Re. Come se mi stesse…giudicando”
“Ma che dici?”
Si fissarono un momento.
Piano piano, Eustace iniziò a ragionare sulle parole dell’amica. Pensò per un breve istante al motivo per cui Peter avrebbe dovuto osservarla, anzi fissarla, come lei sosteneva.
Già, perché? Lui non aveva notato nulla, ma se era così ci doveva essere un motivo. L’unico che gli veniva in mente era che Peter avesse notato in Jill qualcosa che a Eustace era sfuggita per tutto quel tempo.
Il Re Supremo aveva una missione: doveva trovare il Settimo Amico di Narnia. E il fatto che Jill avesse scoperto l’esistenza di quel mondo, che fosse l’unica esterna al gruppo che ne serbava il segreto, gli dava da pensare.
“Tuo cugino sospetta di me” affermò la ragazza, rompendo il silenzio e le mute riflessioni di entrambi. “Lui sa che io so”
“No, è impossibile. Non abbiamo neanche accennato a Narnia”
Eustace si guardò dal rivelarle che Peter sospettava veramente qualcosa. Sembrava già molto nervosa.
In quel momento, la voce di Alberta chiamò Jill dal fondo delle scale.
“E’ arrivata tua madre”
“Scendo subito!” disse la ragazza, riscendendo al piano inferiore insieme all’amico.
“Ti chiamo domani e ne riparliamo” le sussurrò Eustace.
Lei annuì mentre si annodava la sciarpa attorno al collo. Poi si avvicinò ai Pevensie per salutarli: prima Robert e Helen, poi i tre ragazzi.
“Noi restiamo a Cambridge fino a domani sera” disse Lucy. “La mattina avevamo in programma di andare a fare un giro in città. Che ne dici di venire con noi?”
“Sì, dai, vieni anche tu” disse Edmund, accompagnandola con gli altri alla porta.
“Mi piacerebbe!” esclamò Jill con un sorriso.
“Allora è deciso” disse Peter.
E quando i suoi occhi s’incontrarono con quelli di Jill, entrambi provarono ancora quelle strane sensazioni: lui era sempre più convinto che potesse esserci qualcosa di davvero speciale in quella ragazza; a lei parve di nuovo di scorgere quella luce di regalità che solo lo sguardo di un Re può avere, e che le ispirava rispetto e forse un po’ di soggezione.
Il giorno seguente, Jill uscì in compagnia di Esuatce e dei suoi cugini, passando un’altra piacevolissima giornata.
La mattinata passò in un lampo e venne il momento per i Pevensie di lasciare Cambridge e far ritorno a Finchley.
Jill li accompagnò alla stazione assieme agli Scrubb. Lei e Lucy si cambiarono gli indirizzi e i numeri di telefono, decise ad iniziare un’amicizia a distanza.
“A presto allora” disse la Valorosa, seguendo la madre a bordo del treno.
Jill salutò lei, i signori Pevensie, Edmund, ed infine Peter.
“Mi ha fatto tanto piacere conoscervi”
“Anche a noi” disse il Re Supremo, porgendole la mano.
Jill la fissò solo per un attimo, dopodiché la strinse.
Non appena lo fece, fu come se un’immensa finestra venisse spalancata sul mondo. I colori divennero in un certo modo più nitidi, ma più cupi di come le erano sempre apparsi.
Mentre il treno si allontanava, le ruote sferragliavano sui binari producendo un rumore assordante. E in mezzo a quel rumore ne udì un altro, lo stesso che aveva sentito nel suo songo: un fragore vibrante, lontano eppure vicino.
Jill si guardò attorno e osservò per qualche secondo la stazione di Cambridge, ed ebbe come la sensazione di non appartenere a quel luogo.
Che strani pensieri le affioravano alla mente? Lei era nata e cresciuta lì, per quale motivo adesso si sentiva fuori posto?
Ripensò alla collina luminosa. Nel songo aveva avvertito un’incredibile attrazione per quel luogo. Chissà cosa mai avrebbe trovato laggiù se fosse riuscita ad arrivarci…
Probabilmente un luogo meraviglioso.
Mentre tornava a casa, meditò sulle strane sensazioni che avevano iniziato ad agitarsi dentro di lei da quando aveva stretto la mano di Peter.
Lasciò i pensieri liberi di scorrere e subito la sua mente mise a confronto la città e la collina, la realtà e il songo, l’oro del sole e il grigio delle mura delle case.
Le era sempre piaciuta la sua Cambridge, ma allora perché all’improvviso le appariva così triste e malinconica? Perché pensava e ripensava alla collina e sentiva il desiderio di sognarla ancora, di raggiungerla per vedere il meraviglioso mondo che si celava al di là di essa.
Era certa che vi fosse un altro mondo, di sicuro: un posto quasi paradisiaco. Ed era in un luogo così che aveva sempre desiderato vivere.
Pensò a questo e molto altro mentre camminava lentamente per le strade ormai buie, illuminate  dalla luce dei lampioni. Vicino a lei c’era Eustace, il quale si era offerto di fare un pezzo di strada con lei.
“Sei silenziosa, cos’hai?” le chiese il ragazzo.
“Eh? Ah, sì. Scusa” balbettò lei.
“Qualcosa non va?”
“Mmm…no”
“Andiamo, Pole, ormai ti conosco. Che succede?”
Lei attese un momento prima di parlare ancora.
“Scrubb?”
“Sì?”
“Sai, credo di aver sognato Narnia”
Eustace si voltò a fissare l’amica ad occhi sbarrati, e lo fece per lungo tempo senza più badare a dove metteva i piedi.
Fu per questo che mentre chiedeva “Che cos’hai det…?!” sbatté la faccia contro un palo così forte che il colpo lo fece ricadere all’indietro, finendo lungo disteso a terra come un baccalà.
“Scrubb, ti sei fatto male?!” esclamò Jill chinandosi accanto a lui, non sapendo se ridere o no.
Eustace le scoccò un’occhiata torva. “Tu che dici???”
 
 
~·~
 
 
Rabadash fermò la sua cavalcatura in cima al pendio che segnava il confine delle zone abitate con il Grande Deserto. L’erba rada ai lati del sentiero battuto si interrompeva bruscamente, lasciando il posto ad una vasta distesa di sabbia che procedeva per chilometri e chilometri. In lontananza, le cime delle montagne s’intravedevano appena nelle ombre della sera che calavano sempre più rapidamente.
Tutto era immobile laggiù. L’unico e antichissimo sentore di civiltà rimasto, erano una decina di tumoli di pietra sgretolata simili a giganteschi alveari ma leggermente più stretti. Forme scure e lugubri contro il sole che calava alle sue spalle: le Tombe degli Antichi Re.
Rabadash esortò il suo cavallo a discendere il pendio e ad avvicinarsi. L’animale nitrì innervosito quando si trovarono a pochi passi dal primo tumolo.
Il principe l’aveva immaginato. Allora legò le redini del suo stallone color rame ad un cespuglio rinsecchito. Prese la torcia e l’acciarino dalla sacca di cuoio legata alla sella e s’incamminò verso uno degli ingressi ad arco che si aprivano nelle tombe.
L’oscurità era impenetrabile.
Il principe accese la torcia e s’incamminò nell’interno dei cunicoli di pietra. L’odore di antico e di polvere gli solleticò le narici.
I passaggi si snodavano come una spirale che girava introno a tutta la costruzione. Sui due lati vi erano enormi stanze dove dormivano gli antichi Tisroc del passato, insieme alle proprie famiglie reali. Stavano là in attesa del giorno in cui si sarebbero risvegliati per presenziare al giudizio del Grande Imperatore d’Oltremare.
Rabadash non aveva mai creduto a questa antica profezia, nota in tutto il mondo conosciuto, ma suo padre sì. Si diceva che, prima o poi tutti, vivi e morti, avrebbero dovuto incorrere nell’ira del tremendo padre del Grande Leone. Ovviamente, Tisroc confidava che Tash intercedesse per salvare il suo popolo. Secondo l’Imperatore e coloro che credevano a certe storie, quello sarebbe stato il giorno dell’Ultima Battaglia del mondo.
Rabadash non aveva mai prestato molta attenzione a previsioni e sogni rivelatori, ma negli ultimi tempi si era ritrovato a rifletterci più seriamente.
In trent’anni di vita, non aveva mai dubitato delle parole di suo padre. Tisroc non raccontava menzogne, non su cose tanto importanti: era sempre stato un devoto servitore del dio Tash, si recava giornalmente nel tempio a porre offerte e ringraziamenti.
“Se sei ancora vivo, lo devi anche a Tash” gli ricordava sempre l’Imperatore.
Ed era vero.
Rabadash era stato educato alla devozione verso il dio di Calormen, ma c’erano momenti in cui aveva dubitato della sua esistenza. Tuttavia, se quella sera era lì, alle Tombe degli Antichi Re, era perché in fondo credeva all’esistenza di questo dio e alle forze soprannaturali che permeavano il mondo attorno a lui.
Tash sarebbe stato con lui, sostenendolo in quel che si apprestava a fare, poiché era un suo servitore, il principe. E lo avrebbe anche protetto dalla Strega Bianca.
Nessuno si fidava di nessuno: né Rabadash né suo padre di Lord Erton, né lui di loro. Soprattutto, nessuno si fidava di Jadis.
La Strega terrorizzava tutti. Averla a spasso per il palazzo di Tashbaan non era stato piacevole. Inoltre, quella donna non si comportava da ospite, ma da padrona. Dava ordini, faceva richieste, andava e veniva da chissà dove, quando e come voleva.
I servitori facevano di tutto per evitare di incrociarla, cercando di sottrarsi a qualsiasi tipo di lavoro se lei si trovava anche solo nei paraggi. Avevano paura della sua bacchetta magica, e Tisroc, Rabadash e Lord Erton ne erano egualmente impensieriti. Jadis poteva benissimo usarla su chiunque, in qualsiasi momento, anche solo per divertimento.
Solo quando il piano fu completato e lei disse che doveva andarsene, tutti (i suoi tre alleati inclusi) poterono tornare un sospiro di sollievo.
Lentamente, in silenzio, Rabadash arrivò in cima al primo tumolo. Restò nell’ombra dell’ultima apertura, che dava su una specie di terrazza rocciosa senza balaustre, appena inclinata verso il lato nord. Soffiava una brezza pungente: il freddo della notte stava scendendo sul Deserto.
“Pensavo non arrivaste più, principe” disse una voce proveniente dal terrazzo.
Dopo un momento, la Strega Bianca si rivelò uscendo dall’oscurità, avvolta in un mantello nero sotto il quale s’intravedeva una lunga veste bianca.
“Siete in ritardo”
“Sono puntualissimo” ribatté lui, avanzando verso di lei, la torcia sempre in mano.
“Spegnetela” disse Jadis. “La luce disturba le tenebre”
Rabadash s’innervosì subito, come sempre quando qualcuno gli dava ordini. Tuttavia obbedì e spense il fuoco.
“Puoi davvero fare quello che dici, Strega?”
“Ovviamente” rispose lei, fissandolo con occhi di ghiaccio. “Apprezzo il vostro coraggio, principe. Non molti sarebbero venuti da me con una proposta come la vostra. Sapete che questo comporta per voi un rischio, vero?”
“Sì, ma non m’importa”
“Aslan…”
Rabadash arretrò di un passo a quel nome.
La Strega fece una risatina di scherno. “Non fate l’idiota: non potete venire a chiedermi di lanciare una maledizione sui Sovrani di Narnia e sperare che Aslan non venga a saperlo. Lui sa tutto”
“Non pronunciate il suo nome. Qui da noi è proibito farlo”
“E va bene” disse seccamente Jadis. “Il Leone vi maledirà a sua volta. Lo sapete, vero? Lo fece anche con il vostro antenato, Rabadash I”
“Vi state preoccupando per me, signora?”
“Certamente no. Sono qui soltanto perché mi aspetto di ottenere il trono di Narnia quando la Dolce e il Liberatore non saranno più in grado di governare. Volevo solamente mettervi in guardia”
“Se, come dite, il Leone è così potente, voi non avete paura di lui?”
Era una cosa che Rabadash si era sempre chiesto: Jadis conosceva meglio di chiunque altro la potenza del Grande Felino, eppure ogni volta lo affrontava più determinata che mai.
“Io non ho paura di nulla” rispose Jadis senza guardarlo, voltando il capo verso il deserto.
“Mentite”
“Quando sarò regina di Narnia e avrò i segreti della Grande Magia, allora sarò più potente di lui” disse la Strega, osservando anche l’ultimo bagliore di luce sparire dietro le montagne. “E ora, basta con le domande e basta con le risposte. Siamo qui per concludere un lavoro”
Rabadash le si avvicinò un poco, rimanendo indietro quanto bastava. I suoi occhi neri saettavano continuamente verso la bacchetta magica di lei.
Jadis l’avrebbe usata per richiamare le forze delle tenebre?
La notte era ormai scesa su Calormen, silenziosa e immobile, la luna e le stelle brillavano nel cielo.
“Dove c’è luce ci sono tenebre. Dove ci sono tenebre c’è luce” enunciò la Strega Bianca, guardando il principe del Sud dritto negli occhi. “L’una non esiste senza l’altra. Il giorno non esiste senza la notte, la notte non esiste senza il giorno. Ma è anche vero che luna e sole mai s’incontrano, se non durante un evento piuttosto raro”
Rabadash ascoltava con estrema attenzione.
“Durante il novilunio” riprese la Strega, “i due astri entrano in perfetta congiunzione con la terra. E quando l’ombra della luna copre il sole, ecco che avviene un’eclissi. Un’eclissi totale di sole. Dura solo pochi minuti, a volte secondi, ma in quell’istante la luce scompare e il mondo piomba nelle tenebre”.
Con un gesto elegante, Jadis afferrò la bacchetta e la puntò contro il cielo.
In un istante, le stelle scomparvero e rimase soltanto la luna.
Poi avvenne una cosa stranissima: l’orizzonte si chiarì, come se fosse l’alba…no, era l’alba! Il disco solare apparve a ovest, dietro di loro, e immediatamente la luna sbiadì e scomparve.
La Strega chiuse gli occhi un istante nel quale parve concentrarsi. Quando li riaprì erano divenuti completamente neri, non solo le pupille.
Allora il sole venne completamente oscurato e divenne nero.
Era un’eclissi: Jadis aveva indotto un’eclissi totale di sole.
Rabadash la osservò con un misto di terrore e ammirazione: era veramente una creatura potentissima. Aveva il potere di cambiare il movimento degli astri.
La Strega Bianca batté a terra la bacchetta magica, provocando un rumore insopportabile alle orecchie di lui. Continuò a farlo, ritmicamente.
Presto, a quell’unico suono se ne unirono tanti altri, simili a decine di bastoni che venivano battuti sulla roccia.
Il principe del Sud represse un brivido. Fu spinto dall’istinto a portare la mano alla sua spada, nel momento in cui dall’apertura dalla quale era venuto apparvero ombre dalle forme di strane creature. Avvolte in scuri mantelli, i volti coperti, si radunarono a decine e sembravano non finire mai. Si disposero lungo il perimetro del tumolo, formando un cerchio attorno a lui e alla Strega. Battevano a terra lunghi bastoni in consonanza con la bacchetta magica di Jadis.
Alla tenue luce dell’alba che scemava sempre più a causa dell’eclissi, Rabadash vide con orrore che anche dalle tombe degli altri tumoli fuoriuscivano nuove creature d’ombra.
Chi erano? E da dove venivano?
Forse dai più oscuri recessi della terra. Forse si erano riuniti a un silenzioso comando della loro signora.
Il suono si moltiplicò, il ritmo accelerò, e infine cessò provocando un’eco che si espanse tutt’intorno, simile al tintinnio del cristallo infranto.
Poco dopo, il sole riapparve. L’ombra della luna che lo aveva oscurato si scostò. Le creature oscure erano sparite.
Poi calò di nuovo la notte e tutto tornò alla normalità.
Il principe si volse verso la Strega Bianca, ammutolito da quel prodigio.
“Che cosa…avete fatto?” chiese con un filo di voce.
Gli occhi di lei erano tornati di ghiaccio. Sorrideva compiaciuta.
Rabadash non capì se lo faceva perché era riuscita a portare a termine la maledizione, o per averlo impressionato. Che lui lo fosse era palese.
“Vi ho mostrato quello che dovrà succedere” rispose Jadis. “Tra pochi giorni sarà luna nuova. Per allora dovremo essere sotto il cielo di Narnia, e allora vedrete ripetersi questo fenomeno.”
Rabadash osservò le montagne, dietro le quali si nascondevano le terre di Archen e più in là il regno di Narnia. A Cair Paravel, Caspian e Susan stavano dormendo soni tranquilli, ma la loro felicità non sarebbe durata ancora a lungo.
 “Adesso tocca a voi” disse ancora Jadis.
Lui la guardò incerto.
 “Non siete qui solo come spettatore, Altezza” lo canzonò la Strega. “Chiedete alla notte di intercedere per voi sulla strada della vittoria. Desiderate davvero che questa maledizione si abbatta sui Sovrani di Narnia?”
“Certo che lo voglio!”
“Dite cosa volete, allora. Completate la maledizione dando la vostra parola che da oggi in avanti servirete il regno delle tenebre”
Rabadash – dimentico di ogni timore e superstizione verso la Strega Bianca e verso la magia nera – fremette alla prospettiva di ottenere finalmente e veramente quel che aveva sempre desiderato.
“Voglio il Liberatore e la Dolce divisi per sempre. Voglio che vivano e che soffrano. Voglio che Caspian sappia di non poterla più toccare, né vedere, né parlarle. Lei deve essere mia! E se non posso averla io, nessuno l’avrà mai. Lo giuro!”
Rabadash, gli occhi infiammati di una pazzia e una gelosia che ormai lo consumava, pose lo sguardo alla luna, sola e sperduta in mezzo al cielo ancora senza stelle.
Povera, dolce luna…destinata a non incontrare mai più il suo splendido sole.
 
 
~·~
 
 
Miriel sedeva tranquilla nella sua bella stanza, intenta in un’attività che, da quando era a Narnia, aveva scoperto piacerle moltissimo: il ricamo.
Si era cucita da sola il suo abito da sposa, ora chiuso nel suo baule in attesa di essere indossato, assieme al corredo che Susan le aveva regalato qualche anno addietro.
Era stata una enorme e graditissima sorpresa per la Driade, la quale in dote non poteva portar altro che il suo amore per Peter.
Sei anni erano lunghi...Sei anni senza avere notizie di lui, senza poterlo vedere neppure per un giorno, o un minuto. Le sarebbe bastato.
Ma le Driadi erano creature dotate di pazienza e perseveranza. E benché ormai fosse umana quasi del tutto, in Miriel erano ancora presenti i tratti e le peculiarità della sua razza. Per questo riusciva a sopportare la lontananza e l’attesa meglio di qualunque altra comune fanciulla.
Miriel pazientava senza mai lamentarsi.
Fortunatamente, c’erano gli amici a tirarle su il morale nei momenti in cui il tempo che trascorreva senza Peter rischiava di diventare insopportabile: Susan, Caspian, Rilian, Myra, Briscola, Cornelius, Tara, Clipse, Lora, Drinian, Tartufello, Tempestoso…
Quante persone meravigliose aveva conosciuto! Quanta felicità insieme a loro!
D’un tratto, un gran trambusto penetrò nella quiete della stanza dalla finestra aperta.
Miriel si volse indietro e guardò verso di essa, chiedendosi chi mai stesse facendo tutto quel baccano. Che fossero i cavalieri, forse intenti un’esercitazione alquanto esuberante?
Che strano, però: le sembrò di udire tonfi lontani, e grida.
Poi, ci fu un frenetico bussare alla porta.
“Miriel! Miriel!” chiamarono due voci di ragazze.
La Driade posò il ricamo e andò svelta ad aprire. Le apparvero i volti terrei di Tara e Clipse e allora capì di doversi preoccupare.
“Che cosa succede?” chiese.
“Devi venire con, noi, presto!” disse Clipse, afferrandole un braccio e trascinandola fuori dalla stanza. “Attaccano il castello! I soldati, laggiù!”
Miriel trasalì.
Attaccavano Il castello? Chi? Com’era possibile?
“Che cosa dici?!” esclamò la Driade, correndo ad affacciarsi ad una delle finestre del corridoio.
“Laggiù” ripeté Tara, indicando un punto lontano, la mano tremante.
Dal punto in cui si torvavano era ben visibile il ponte levatoio. Di solito veniva tenuto abbassato, con alcune guardie di ronda. Ma ora era stato alzato, per non lasciar passare gli intrusi che cercavano di sfondarlo a colpi d’ariete. Ecco cos’era stato il tonfo di prima!
Miriel guardò ancora, scorgnedo Tempestoso e i suoi Centauri schierati in prima linea davanti al ponte levatoio, pronti a respingere i nemici. I cavalieri dell’Ordine del Leone accorrevano a decine per difendere le mura di Cair Paravel.
Con un nuovo boato al pari del rombo di un tuono, i nemici riuscirono infine ad aprirsi un passaggio, riversandosi dentro il castello, iniziando a combattere contro i narniani.
Non le ci volle nemmeno un secondo per capire di chi si trattasse. Conosceva fin troppo bene quelle divise bianche e arancioni, i turbanti candidi ornati da una gemma e una piuma nera: erano soldati di Calormen.
Ma la cosa he la sgomentò di più, fu vedere il loro comandante: un uomo con barba e capelli neri, avvolto in un’armatura nera lucente, la scimitarra in pungo e un elmetto dalla forma di uccello rapace. La visiera era alzata e così lei poté scorgerne il viso.
Era piuttosto lontano, per cui poteva benissimo sbagliarsi, ma qualcosa le diceva che la sua vista non la stava ingannando. Era veramente lui: il principe Rabadash.
“Non è possibile” mormorò Miriel, il cuore in gola. “Cos’è accaduto? Perché?”
“Non lo sappiamo” rispose Tara, mentre Clipse scuoteva la testa. Entrambe avevano gli occhi spalancati dalla paura.
Un altro rombo di tuono e il ponte cedette definitivamente.
“Che cosa fate ancora qui?!” esclamò una voce burbera. “Vi avevo detto di scendere subito di sotto non appena aveste trovato Lady Miriel!”
“C.P.A!” esclamò la Driade voltandosi. Fece per chiedergli qualcosa, ma lui la sospinse verso la scala che portava di sotto.
“Niente domande. Svelte, per di qua!”
“Dove sono gli altri?” non poté fare a meno di chiedere Miriel. “Drinian e Lora? Il dottor Cornelius?”
“Drinian si è recato al porto. Non ho idea se sia al corrente o no di quel che sta accadendo qui. Cornelius ci aspetta di sotto. Lora…non lo so. Non l’ho vista”
“Allora dobbiamo tornare indietro a cercarla”
“No, non c’è tempo” tagliò corto il nano. “
Briscola si fermò, allungando un braccio per intimare le ragazze a fare altrettanto e rimanere dietro di lui. Sbriciò dall’angolo del corridoio, poi fece loro cenno di continuare.
“Dove stiamo andando?” chiese Tara.
“All'Antica Casa del Tesoro”
“Perché prprio là?”
“Dopo, dopo!” sbuffò il nano, prendendo la strada che portava ai suoi alloggi.
Il gruppetto si arrestò un paio di volte ancora, per essere certi di non venire visti dai soldati di Calormen che già erano penetrati nel castello.
“Maledizione!” imprecò Briscola. “Stavolta non c’è davvero scampo per noi. Dobbiamo andar via e in fretta”
Raggiunsero le camere del Governatore e vi si chiusero all’interno. Subito, il nano iniziò a trafficare con una pila di cuscini accatastati accanto al camino. Li scostò uno per uno rivelando un tappeto. Spostò anche quello e le ragazze videro che sotto si celava una botola. Briscola l’aprì e svelò una scaletta ripida che scendeva nel buio.
“Di sotto, svelte”
Clipse andò per prima, poi Tara, Miriel e infine lui, che si assicurò che il tappeto e i cuscini coprissero ben bene la botola, prima di richiuderla.
Il nano accese una torcia e giudò le damigelle attraverso un lungo passaggio sotterraneo. In certi punti il soffitto era molto basso, tanto che le ragazze, tranne Clipse, furono costrette a camminare con la schiena curva.
Camminarono per qualche minuto. Infine spuntò una porta vecchia di centinaia di anni, la maniglia arrugginita, il legno gonfio per l’umidità. Briscola l’aprì e le fece passare.
Erano proprio nell’Antica Casa del Tesoro di Cair Paravel, la riconobbero all’istante. Le fiaccole alle pareti erano accese. In fondo alla sala, accanto ai bauli dei Pevensie, attendeva un ometto basso avvolto in una tunica azzurra. Accanto a lui, una donna dai capelli corvini.
“Dottor Cornelius! Lady Lora!” esclamarono le tre fanciulle, felici di vedere che fossero entrambi sani e salvi.
“Per fortuna anche voi siete riuscita a nascondervi” disse Miriel.
“Ho incontrato Cornelius mentre cercavo Drinian” spiegò Lora, voltandosi poi verso Briscola, pallida in volto. “Sapete nulla di mio marito?”
Il nano abbassò il capo, mortificato. “Purtroppo no, signora. So che si trovava al porto, ma non era ancora rientrato quando hanno iniziato ad attaccare il castello”
Lora annuì e si strinse più vicina a Cornelius.
Briscola si rivolse subito dopo a quest’ultimo. “Siete riuscito a prenderle?”
Il professore annuì, estraendo da sotto la tunica la spada di Re Caspian e l’arco e il corno della Regina Susan.
Briscola si avvicinò poi ai bauli di Peter e Lucy. Li aprì e afferrò dall’uno Rhindon e dall’altro l’ampolla di diamante colma del cordiale miracoloso.
“Questi dobbiamo potarli via. Ci saranno utili”
“Dobbiamo scappare, vero?” chiese Clipse.
“Purtroppo sì” ammise Briscola. “Anche se è da codardi, non possiamo rischiare di farci ammazzare o catturare. Non saremmo di aiuto a nessuno. Dobbiamo invece radunare quanti più amici possibili, trovare un riparo nelle foreste e avvertire immediatamente le Loro Maestà dell’accaduto. Non sanno nulla di quanto è successo e non possiamo rischiare che tornino a palazzo ora che è sotto assedio, soprattutto perché si tratta di Calormen”. Briscola sbuffò seccato. “Pensavo di aver chiuso con fughe e nascondigli dopo la dipartitia di Miraz. Ma evidentemente mi sbagliavo”
Ci fu un rumore di passi accanto al passaggio segreto. Le donne indietreggiarono intimorite, per poi lasciarsi andare a un sospiro di sollievo quando videro apparire i Lord di Telmar: Agoz, Revilian, Mavramorn e Rhoop.
“Siamo venuti proprio come ci avevate detto, Governatore Briscola” disse Lord Mavramorn.
“La situazione com’è?” chiese il nano.
I quattro uomini si scambiarono uno sguardo.
“Non buona” rispose Lord Agoz. “I calormeniani sembrano instancabili e noi abbiamo avuto troppo poco tempo per prepararci all’affronto. Molti cittadini si sono aggiunti alla lotta e stanno combattendo con rastrelli e picconi. Siamo tanti, ma non abbastanza”
“Ma come hanno fatto a entrare senza che nessuno si accorgesse di nulla?” chiese Lady Lora.
“Non ne abbiamo idea, signora” rispose Lord Revilian. “Nessuno ha notato nulla. Vostro marito ha detto che non sono arrivati dal mare…”
“Drinian!” esclamò la donna, un barlume di speranza sul viso che riprendeva colore. “E’ qui?”
“Sì, è arrivato pochi minuti fa. E’ rimasto di sopra” rispose Lord Rhoop. “E anche noi torneremo a combattere, io per primo. Ho visto Lord Erton in mezzo ai soldati e giuro che stavolta non ne uscirà impunito!”
“Lord Erton qui!” esclamò un coro di voci.
“Non posso crederci” fece Lora, sconcertata dalla notizia. “Si è alleato con la corona di Calormen?”
“E’ evidente che le cose stanno così” rispose Rhoop, serrando i pugni dalla rabbia.
“Milord, ditemi” intervenne Miriel, “avete per caso riconosciuto il comandante dell’esercito?”
“E’ il principe Rabadash, lo so” Rhoop la guardò, quasi che fosse colpa sua.
Ci fu di nuovo un’esclamazione generale.
“Ma avevate detto che era morto!” fece Tara, tremando sempre più. Lei non conosceva il principe Rabadash, ma aveva sentito cose tanto orribili sul suo conto da farsi venire quasi gli incubi la notte.
“Non ho idea di cosa ci sia dietro tutto questo” disse ancora Lord Rhoop, “ma alla luce dei fatti, ormai è quasi impossibile una vittoria da parte nostra. Tuttavia, non ci arrenderemo”
I suoi tre compagni sfoderarono le spade e annuirono. “Combatteremo fino alla morte”
“Oh, non ditelo!” li rimproverò Cornelius. “Non davanti alle signore”
Briscola riprese parola. “Allora voi quattro rimarrete? Va bene, ma ricordate che morendo non sarete d’aiuto né a Narnia né al Re”
I Lord di Telmar non risposero. Tutti si scambiarono sguardi carichi di tensione.
“Anch’io rimarrò qui” disse Lady Lora. “Non abbandonerò Drinian. Attenderò qui la fine del combattimento. Se Aslan vorrà saremo noi a vincere, ma se non sarà così allora morirò accanto al mio sposo”
Briscola imprecò. “Sciocchi! Non è da codardi scappare in un momento simile!”
“Io verrò con te, C.P.A” si fece avanti Miriel.
“Ma come farete ad uscire dai confini del castello?” protestò il dottor Cornelius. “Vi vedranno. C’è bisogno di un piano”
“Non abbiamo tempo per i piani” sbottò Briscola.
“Dottore, vi prego” implorò Miriel, “venite anche voi”
Cornelius scosse il capo. “Sono un vecchio, cosa mai potrebbero farmi i soldati? Non sevo a nulla”
“Non dite così, sapete che non è vero!”
“Mia cara” Cornelius strinse le mani di Miriel nelle sue. “Trovate il mio ragazzo e ditegli che gli voglio bene”
L'ennesimo boato si propagò attorno a loro. La battaglia infuriava per tutto il castello.
“Dobbiamo andare” disse Lord Mavramorn, precedendo gli altri compagni fuori dal passaggio. “Che Aslan sia con tutti voi”
Erano rimasti di nuovo solo le quattro dame, Cornelius e Briscola.
Era successo tutto troppo in fretta, rifletté quest’ultimo.
Un attimo prima, Cair Paravel era avvolta nella tranquillità più totale; un attimo dopo si era trasformata in un massa di caos, grida e stridore di armi.
In periodo di pace, benché cavalieri e soldati continuassero a svolgere il loro ruolo - ma solo per eludere qualche piccolo conflitto occasionale - non erano stati pronti a far fronte a un attacco così bel congeniato. I calormeniani erano spuntati dal nulla, prendendo completamente alla sprovvista i narniani. Erano riusciti ad evitare ogni ostacolo, superando la salvaguardia e la resistenza dei baluardi più esterni di Cair Paravel, la città millenaria. E se cadeva la città, presto sarebbe caduta tutta Narnia.
“Fareste meglio a sbrigarvi anche voi” disse infine Clipse.
Miriel la osservò con una stretta al cuore.
“Resto qui insieme a Lora e la dottor Cornelius. Io non so fare niente, non ho attitudine nel combattimento e non ho poteri. Ma tu Miriel devi andare, tu sai combattere”
La Driade fece una carezza su quel visetto senza età. Clipse ricambiò il suo sguardo con occhi pieni di lacrime, ma senza un singhiozzo.
“Non andare” la implorò Tara.
Miriel l’abbracciò. “Torneremo presto” promise.
“Io…”
“Mia cara Tara, so che non puoi venire. Al tuo posto farei lo stesso: non abbandonerei la persona che amo”
Tara scoppiò in lacrime.
C’era un cavaliere del quale si era innamorata e non si sentiva di abbandonarlo, proprio come Lora non avrebbe lasciato Drinian.
Proprio come Miriel non avrebbe mai abbandonato Peter se si si fosse trovato lì in quel momento e avesse deciso di rimanere a difendere il castello. Non sarebbe fuggita con Briscola ma sarebbe rimasta al fianco del suo amato...sì, fino alla fine.
“Andiamo, non c’è tempo da perdere” la incitò Briscola, porgendole i Doni di Susan e la spada di Peter. Lui si legò dietro la schiena la spada di Caspian e mise nel panciotto la pozione di Lucy.
La Driade abbracciò alla svelta le amiche ancelle, Lora e Cornelius.
“Pregate per noi”.
E  detto ciò, seguì Briscola fuori dalla Casa del Tesoro.
Tara si accasciò a terra singhiozzando. “E’ un incubo! Non può essere vero!”
Gli altri le si fecero intorno, cercando di calmarla.
“Vedrai che tutto finirà presto” la consolò Lora. “Quando il Re e la Regina saranno messi al corrente della situazione, sapranno cosa fare”
Ma Lady Lora sapeva che le sue parole non si sarebbero avverate…
 
Nel frattempo, guardinghi e attenti a non far scricchiolare nemmeno un ramoscello, Miriel e Briscola si trovarono in un tratto di guardino che pareva ancora tranquillo. I rumori della battaglia erano molto vicini, ma se la fortuna avesse sorriso loro avrebbero raggiunto la protezione del bosco prima che qualcuno potesse vederli.
Così fu.
Miriel vide Briscola posarsi due dita sulle labbra ed emettere un fischio sommesso. Dietro gli alberi qualcosa si mosse.
Lui le fece cenno silenzioso e lei lo seguì.
Due nani attendevano accanto a un cavallo e un pony.
“Sei stato previdente” disse la Driade compiaciuta.
“Sono particolarmente avvezzo a questo tipo di fughe. Vivere da fuggiasco all’epoca di Miraz mi è stato utile: ho imparato ad essere sempre pronto alle emergenze, a pensare ed agire il più in fretta possibile”
Nano e Driade balzarono sulle selle ringraziando gli altri due ometti, i quali augurarono loro buona fortuna per poi tronare verso l’interno del cortile, pronti per unirsi alla difesa.
Miriel si guardò un momento indietro mentre spronava il cavallo al galoppo, sperando che non fosse accaduto loro nulla di male.
Uscirono dai confini di Cair Paravel costeggiando la foresta che sorgeva accanto alla spiaggia, dove tutto era ancora calmo. Presero il sentiero a nord e galopparono a tutta velocità verso Bosco Gufo.
 
 
 
~·~
 
 
La famigliola di tartarughe aveva guidato i principini dentro Bosco Gufo a passo di…tartaruga. Erano tanto buone e gentili e i bambini si erano divertiti a giocare con i piccoli di testuggine, a raccogliere e mangiare con loro un mucchio di bacche rosse e succose, tante da farsi quasi venire mal di pancia. Però...erano così lente!
Rilian e Myra erano due bambini alquanto vivaci, adoravano correre, saltare, esplorare, ma non potevano certo farlo se non volevano rischiare di lasciare indietro le loro guide.
Sarebbe risultato davvero molto maleducato abbandonare le tartarughe, pensava Myra, la quale passeggiava pazientemente a passo degli animali senza lamentarsi.
Invece Rilian, il cui senso dell’avventura iniziava a farsi sentire, stava aspettando l’occasione propizia per defilarsi e correre avanti attraverso il bosco, possibilmente senza far restar male le verdi amiche.
 “Avanti di là che cosa c’è?” chiese il principe, cercando di farle voltare e far si che non si accorgessero della fuga che stava progettando.
“Ci sono le Paludi e la brughiera di Ettins” disse babbo tartaruga. “Inoltre, oggi è una giornata limpida: potremmo anche vedere le cime dei Monti del Nord”
“I Monti del Nord?” esclamarono in coro i gemelli. “Dove vivono i Giganti?”
“Proprio quelli”
“Nostro padre ha combattuto contro di loro, alcuni anni fa” disse Rilian con fierezza. “Vorrei proprio vederli”
“Non penso sarà possibile, Altezza” disse ancora papà tartaruga. “I Giganti vivono molto più a nord”
“Ma le montagne sono le stesse, no?” insisté Myra.
“Oh, sì”
“Allora andiamo avanti ancora un po’ ” disse Rilian elettrizzato. “Voglio vederle”
Iniziò a correre e Myra lo seguì a ruota.
Non lo fecero apposta. Fu più forte di loro.
Le tartarughe cercarono di stare al passo con i bambini, ma con scarso successo. Poverette, erano davvero troppo lente e presto furono lasciate indietro. I principi scomparvero alla loro vista. Li chiamarono a gran voce, si divisero per cercarli, ma in quel punto la strada si diramava più volte ed era impossibile determinare dove fossero andati.
Intanto, Rilian e Myra correvano divertiti a nascondersi dietro un grosso cespuglio di rododendri.
“Non ci sono” sussurrò lui, spiando da dietro le foglie, mentre la sorellina soffocava una risata. “Andiamo”
Si spinsero ancora più avanti, giocando a nascondino dietro i tronchi degli alberi.
“Oh, guarda, c’è un’altra strada” esclamò d’un tratto il principe.
Al di là dei cespugli c’era un sentierino che scendeva verso una radura nascosta tra gli alberi. Dalla loro postazione era appena visibile, ma udirono distintamente lo scrosciare dell’acqua. Forse c’era un fiume poco più in là.
“Andiamo a dare un’occhiata laggiù” disse Rilian, facendo un passo avanti.
“Rirì, non dobbiamo allontanarci troppo. Papà si arrabbierà”
Senza badare alle deboli proteste della sorellina, il principe iniziò a discendere il sentiero.
“Non lasciarmi qui, Rilian!”
Lui si voltò appena un attimo. “Allora seguimi”
La bambina rimase però immobile dov’era a guardarlo sparire alla sua vista. Quando questo accadde, emise un gridolino spaventato.
“Rilian!”
La sua voce le arrivò da poco lontano. “Myra, muoviti, o ti lascio lì sul serio!”
“No, no, arrivo! Aspettami!”
La principessa sollevò la gonnellina rosa e, con un po’ più di fatica rispetto al fratello a causa dell’abito che le s’impigliava tra gli arbusti, arrivò in fondo e lo raggiunse.
Si trovavano adesso in un immenso prato dall’erba molto alta, cosparso di miriadi di fiori che non avevano mai visto. I gemelli si misero a correre qua e là, raccogliendo enormi mazzi di quella meraviglia, pensando di farne dono ai loro genitori. Non si accorsero che il sole stava tramontando, né si preoccuparono di dove stavano andando. Si spinsero sempre più in là, fino a raggiungere il piccolo fiume del quale avevano udito lo scrociare.
“Guarda” fece Rilian, indicando il letto del torrente. “Ci sono dei sassi abbastanza grandi per poterlo attraversare. Andiamo a vedere cosa c’è dall’altra parte”
Myra si morse il labbro inferiore, indecisa. “Non so…non sarebbe ora di tornare indietro?”
Lui la guardò, posando un piede sul primo sasso e poi sul secondo. “Fifona”
“Non sono una fifona!”
“Tutte le femmine lo sono”
“La mamma no!”
“La mamma è la mamma!”
“Bè, neanch’io lo sono! Sono coraggiosa come lei!”
Offesa, Myra si annodò la gonna sopra le ginocchia, seguendo Rilian sulla strada di sassi in mezzo all’acqua.
Balzarono da uno all’altro fino a ritrovarsi sull’altra sponda.
“Visto? Niente di cui aver paura” disse il principe, lanciando un ultimo sguardo veloce al punto dal quale erano arrivati.
Provò un senso d’eccitazione quando vide che il prato davanti a loro continuava per alcuni metri, per poi perdersi tra una macchia di abeti.
L’erba in quel punto era quasi più alta di loro.
Sembrava tutto così avventuroso…proprio come in una delle storie di suo padre e di sua madre. Chissà cos’avrebbero detto i suoi genitori quando lui e Myra sarebbero tronati indietro a avrebbero raccontato loro tutto quello che avevano fatto!
Di sicuro, tra quegli alberi li aspettava qualcosa di emozionante.
“Questo fiore somiglia a quello di mamma” disse d'un tratto Myra, chinandosi vicino alla riva e cogliendone uno blu intenso.
“Non perdere tempo con queste sciocchezze” la esortò Rilian, impaziente.
Ma Myra lo ignorò. Si posò il fiore tra i capelli, specchiandosi sulla superficie dell’acqua per vedere come le stava. Quando lo fece si accorse di una cosa importantissima.
“Oh, no! Il mio nastro!” esclamò. “Rirì, ho perso il mio fiocco. Torniamo indietro a cercarlo?”
“Uffa…” si lamentò lui, alzando gli occhi al cielo. “Ne hai milioni di fiocchi, Mia!”
“Era il mio preferito…lo portavo sempre. Dai, per favore!” lo implorò lei, con occhi già scintillanti di lacrime.
Lui sbuffò. “Che scocciatrice…”
Myra mise su il broncio. “Ti ho anche chiesto per favore! Sei un antipatico!”
La bambina, le lacrime agli occhi, si voltò di nuovo verso il fiume. E fu allora che urlò: sulla superficie azzurra era apparsa la figura di un enorme, orrendo serpente.
Si voltò, lo stesso fece Rilian.
Il principe, che aveva avvertito un fruscio alle sue spalle nel momento in cui la sorella aveva gridato, lasciò cadere il mazzo di fiori colorati che ancora stingeva in mano, e iniziò a tremare.
Il serpente era apparso dall’erba alta, grosso, viscido e di un verde brillante. Gli occhi neri e spaventosi fissavano i due bambini con cattiveria. La lingua biforcuta settò in loro direzione.
“Corri, Myra!”.
Rilian non ci pensò due volte: afferrò il braccio della sorella, alla quale pure caddero di mano i fiori che aveva colto. La trasse i piedi e con uno sforzo tremendo – poiché la bambina sembrava paralizzata dalla paura – la indusse a muoversi.
Riattraversarono il fiume quasi volando, bagnandosi inevitabilmente, non badando affatto di restare in equilibrio sui sassi. Per fortuna l’acqua era bassa e tranquilla.
Ma il serpente non voleva lasciarli andare: la sua coda saettò sul terreno, portandosi davanti ai bambini come una lunga corda tesa, facendoli inciampare e finire a terra.
Myra scoppiò in lacrime.
“Vattene!” esclamò Rilian, parandosi davanti alla sorellina, brandendo un ramo che trovò tra l'erba alta.
Il serpente si allungò verso di lui e lo spezzò con le ganasce piene di veleno letale.
Rilian sbarrò gli occhi azzurri e istintivamente abbracciò Myra.
La bestia torreggiava su di loro.
Pensavano di essere spacciati. Serrarono le palpebre, stringendosi l’uno all’altra. Da un momento all’altro avrebbero sentito il morso del serpente…
E invece si sentirono afferrare e tirare indietro. Gridarono ancora e, quando riaprirono gli occhi, videro loro padre tenere ferme le fauci dell’animale grazie al pugnale che portava sempre con sé.
“Papà!!!” gridarono i gemelli, insieme sollevati e spaventati.
“Via! Correte!” gridò il Re, voltandosi verso di loro solo un momento, tornado subito a concentrare l’attenzione sul nemico.
Il pugnale non era sufficiente. Non ce l’avrebbe fatta, ma non aveva altre armi. Rhasador era rimasta al castello. In periodo di pace aveva preso l’abitudine di non portare la spada con sé.
Si scansò appena in tempo, prima che il serpente chiudesse la bocca con il rischio di staccargli un braccio con un morso. Caspian rotolò a terra, voltandosi svelto sulla schiena, tirando un calcio sul muso del serpente. Quello mosse la testa stordito, tornando subito all’attacco.
Il Liberatore non era pronto.
In quell’istante, Destriero accorse in difesa del suo padrone, colpendo forte con gli zoccoli posteriori la grossa testa del rettile. Cavallo e serpente si confrontarono per un istante: Destriero s’impennò, il serpente si erse in un contorcersi di spire. Il cavallo stavolta usò le zampe anteriori per percuotere il muso della bestia.
“Caspian!!!” chiamò la voce di Susan.
Il Re si voltò immediatamente, vedendola arrivare al galoppo sul dorso di Aurora.
Davanti a quella scena, la Regina rimase sgomenta. Subito smontò dalla giumenta, correndo verso il suo sposo e i suoi figli.
I suoi peggiori timori si erano avverati: Rilian e Myra erano in pericolo.
“Susan, prendi i bambini!!!” gridò Caspian, brandendo di nuovo il pugnale.
La Regina Dolce scattò verso i gemelli, immobili per il terrore.
Gli occhi dei due fratellini erano fissi sul padre, che combatteva per difenderli affidandosi soltanto alle proprie forze.
Un’incredibile prova di coraggio.
Il serpente si girò verso la Regina e sibilò di nuovo. Balzò senza preavviso addosso a Destriero e Caspian. Ma se il secondo rotolò a terra e lo scansò ancora, il primo venne morso ad una zampa, cadendo a terra con un acuto nitrino di dolore.
Il Re si chinò su di lui, mormorandogli parole gentili per calmarlo. Poi si accorse che il mostro era scomparso, nascostosi tra l’erba alta del prato. Si voltò, per accertarsi che Susan fosse riuscita a portare in salvo i gemelli.
La Regina li aveva issati su Aurora, dandole una pacca per incitarla a portarli in salvo.
Tutto accadde in pochi secondi senza che potessero evitarlo.
Ci fu una scossa come di terremoto. Susan si volse indietro verso il Re e per un attimo soltanto i loro occhi s’incontrarono. Pensarono esattamente la stesa cosa ed entrambi si girarono verso i bambini.
“Aurora, torna indietro!” gridò la Dolce, ma troppo tardi.
La giumenta nitrì di spavento e rotolò a terra assieme ai principini. Il serpente riapparve ed afferrò i gemelli tra le spire.
“NO!” urlò Susan cercando di correre in loro aiuto.
Ma prima che potesse fare un passo di più, il serpente la colpì in pieno viso con l’enorme coda, mandandola a sbattere contro un albero a qualche metro di distanza.
“Susan!!!” Caspian, furioso e spaventato, si alzò e lanciò il pugnale contro il serpente.
Purtroppo, anche se la punta affilata si infilzò nel suo corpo, la bestia sembrò non averlo nemmeno notato. Fissò con odio il Liberatore ed emise un sibilo terrificante.
Caspian non notò la lunga coda alzarsi di nuovo. Fu preso alle spalle: emise un gemito strozzato e fu sbattuto a terra da un possente colpo alla schiena.
“Mamma! Papà!” chiamarono Rilian e Myra, stretti tra le spire del mostro.
Caspian si rialzò a fatica, appoggiando in ginocchio a terra. Stilettate di dolore gli attraversarono tutto il corpo. Le ingorò e corse verso i suoi figli, allungando le braccia per afferrare le loro manine tese verso di lui.
Ma la terra tremò ancora e una voragine si aprì nel suolo. Il serpente vi s’insinuò, sparendo nel sottosuolo assieme ai bambini.
Poi, il silenzio.
Un opprimente, orribile silenzio.
Caspian si ritrovò a terra, le mani vuote, la superficie del suolo tornata liscia, compatta. Il suo pugnale infilzato nel terreno.
Il giovane lo prese e guardò la lama intrisa di sangue del serpente.
Averlo colpito non era servito a nulla.
Il suo cervello non realizzò concretamente quel che era successo, quel che aveva visto. Non poteva farlo.
Un gemito lo riscosse. Si alzò svelto e corse accanto a Susan, la quale aveva un profondo taglio all’attaccatura dei capelli. Il sangue le colava dalla ferita sulla fronte e sul viso. Gli si strinse il cuore quando vide che in una mano stringeva il fiocchetto di Myra, trovato lungo la strada.
Cercò di sollevare la sua sposa tra le braccia, ma qualcuno lo fermò.
“Buh-uh! Non muovetela Maestà, ha battuto la testa” lo ammonì una voce amica. Pennalucida accorreva assieme alle testuggini e a un altro paio di gufi.
“E’ ferita, deve essere portata via di qui” disse il Sovrano. “Pensate a lei, per favore, e al mio cavallo”
Caspian passò una mano sul viso di Susan, alzandosi in pedi e camminando spedito verso Aurora.
“Cosa volete fare?” chiese Pennalucida.
“Andare a cercare i miei figli”
“Perdonateci, Maestà!” esclamarono allora le tartarughe. “I principini sono corsi via all’improvviso lasciandoci indietro. Siamo così lente, così inutili! Non abbiamo potuto far nulla!”
“Non avete di che rimproverarvi, amici miei” mormorò il Re. “La colpa non è vostra”
Caspian osservò quelle tenere bestiole, i piccoli scoppiare in pianto. Che cosa mai avrebbero potuto fare contro quel mostro gigantesco se non finire tra le sue fauci?
Non era colpa di quei poveri animali, bensì dei quel tremendo serpente. Un serpente che somigliava in maniera impressionante ad uno contro il quale aveva già combattuto…
“Per favore, amici, qualcuno di voi si rechi il più in fretta possibile a Cair Paravel. Bisogna avvertire…” disse Caspian, ma un’altra voce sovrastò la sua. Una voce che lo lasciò sgomento per il tono in cui lo stava chiamando.
“Miriel!”
La Driade arrivava al galoppo. Dietro di lei, un cavallino più piccolo sul quale c’era Briscola.
“Che cosa è accaduto?!” esclamò il nano.
“Lo chiedo a voi” rispose in fretta il Re.
Se qualcuno non gli avesse dato al più presto delle certezze sarebbe impazzito.
“Hanno attaccato Cair Paravel, Sire” lo informò Briscola senza preamboli.
Le parole penetrarono nella mente del Liberatore con una lentezza impressionante.
“Spiegati” fu la sua unica parola, gli occhi fissi sul nano.
Ma il racconto che seguì superò ogni sua più cupa aspettativa.
In un attimo, il mondo si era capovolto. Non c’era più una ragione, non c’erano spiegazioni o certezze.
Percorse nella mente ogni sitante di quella giornata…
L’alba era sembrata un preludio di perfezione: svegliarsi accanto a Susan, scendere alla spiaggia a passeggiare e farsi un bagno, fare l’amore con lei, stringerla tra le braccia; parlare di tante e tante cose, per poi prepararsi a quel speciale pomeriggio con i loro figli, organizzato senza porsi troppe domande e troppi perché, semplicemente perché era una giornata meravigliosa e la felicità era sovrana nelle loro vite. Si sentivano bene e in pace con il mondo intero, grati di poter vivere quella stupenda realtà che Aslan aveva dato loro in dono dopo tante difficoltà.
E Caspian aveva sognato quella felicità per tutta la vita. L’aveva perduta in tenera età e l’aveva riconquistata con fatica -non senza versare lacrime e sangue - quando era divenuto uomo.
E ora, all’improvviso, come un uragano può sradicare con facilità il più piccolo e inerme fiore, la sua vita era stata spazzata via dalle armate di Calormen.
Briscola gli aveva intimato di non tornare al castello adesso, ma Caspian voleva aiutare il suo popolo e allo stesso tempo voleva andare in cerca di Myra e Rilian.
Caspian, seduto su una panca di legno in una stanza quasi spoglia, chiuse gli occhi e si portò le mani giunte alla fronte, come in preghiera.
Lui, Briscola, Miriel e gli animali, si erano fermati nei pressi della Torre dei Gufi, una costruzione molto antica appartenente all’epoca che aveva preceduto la venuta dell’Inverno Centenario. La vecchia Torre aveva fatto probabilmente parte di qualche castello che, tanti e tanti secoli prima, era sorto accanto al bosco.
Non sapeva cosa fare: non poteva abbandonare i suoi bambini, ma non poteva abbandonare i suoi sudditi.
Gli pareva di udire le voci dei narniani chiedersi dove fosse il loro Re. Ma anche le voci dei suoi figli risuonavano nelle sue orecchie forti e chiare.
Lo avevano chiamato, gridando, implorandolo di salvarli, e lui non c’era ricucito. Non aveva afferrato le loro mani, lasciando che quel mostruoso serpente li portasse via.
Era certo che non fosse una coincidenza. Calcolando il tempo, l’attacco a Cair Paravel era avvenuto esattamente nello stesso momento in cui Rilian e Myra si erano allontanati attraverso il bosco. E mentre l’esercito di Calormen faceva cadere le mura e prendeva la città e il palazzo, il serpente era già là ad attendere l’arrivo dei bambini.
Non poteva essere lei…non la Strega Bianca. Era morta. L’aveva vista coi suoi occhi.
Il serpente marino era affondato negli abissi dell’Oceano dopo essere stato trafitto non una, ma sette volte dalle magiche spade degli Amici di Narnia.
E poi c’era Lord Erton, che si era unito al nemico… Quasi certamente era stato lui a farli entrare senza difficoltà dentro la città.
Nessuno, dai tempi di Caspian I il Conquistatore, era mai riuscito a penetrare nel castello dei quattro troni. Neppure Jadis c’era mai riuscita. Ed ora, l’esercito di Calormen aveva invaso il palazzo e la città in pochi minuti.
Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?
Un movimento poco lontano da lui lo destò dai suoi incerti e confusi pensieri.
Caspian si alzò e andò verso il giaciglio nel quale Susan era stesa, la testa fasciata in una benda un poco macchiata di sangue.
La vide voltare il capo, gemere nel sonno. Sembrava in preda a un incubo.
Allungò una mano verso di lei, carezzandole gentilmente una guancia e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
D’un tratto, Susan gridò, aprì gli occhi e si sollevò a sedere di scatto. Caspian la prese immediatamente tra le braccia, cercando di calmarla.
“Ehi, buona...”
“Caspian…”
“Ssshhh, tranquilla, stai sognando. Tranquilla…” le sussurrò dolcemente, accarezzandole i capelli, la schiena, le braccia.
Susan tremava convulsamente, stringendo tra le mani chiuse a pungo la camicia di lui, all’altezza del petto.
Respirava affannosamente. La testa le pulsava terribilmente e se solo provava a muoverla un poco sopraggiungevano le vertigini, dandole un senso d’instabilità.
Caspian le accarezzò ancora la lunga chioma bruna, scostandosi solo un attimo e posandole un bacio sulla fronte.
Susan chiuse gli occhi al contatto con il calore di quella bocca calda e morbida. Quando li riaprì, un attimo dopo, fece vagare lo sguardo alle spalle del Re, osservando la stanza nella quale si trovavano.
C’erano pochi mobili: un panca di legno vicino alla porta, un’antica cassettiera accanto alla finestra senza persiane aperta sul cielo scuro; una lanterna solitaria appesa al soffitto; i muri in certi punti erano ricoperti d’edera e muschio, il cui odore permeava l’ambiente.
“Questa è la Torre dei Gufi” disse perplessa. “Perché siamo qui?”
Caspian la guardò in viso. “Ricordi cosa è successo?”
Susan incatenò gli occhi a quelli di lui e scosse il capo. “Mi sento confusa”
Lui annui con un sospiro. “D’accordo, non importa”
“Perché non mi ricordo niente?” chiese spaventata.
Caspian le sorrise brevemente. “E’ solo una breve amnesia causata dal forte colpo che hai preso. Non ci pensare, cerca di riposarti”
Non le avrebbe detto nulla finché stava male.
La giovane fermò il tentativo del suo sposo di aiutarla a rimettersi distesa. Si aggrappò forte alla sua camicia e continuò a fissarlo dritto negli occhi.
“Dove sono i bambini?” chiese all’improvviso.
Il Liberatore distolse lo sguardo da quello di lei.
Cosa poteva dirle? Non ci sono? Sono stati rapiti o peggio? Susan avrebbe voluto sapere da chi, e lui non sarebbe stato in grado di spiegarglielo.
Caspian stesso non capiva come fosse potuto accadere tutto ciò.
“Amore, che cos’hai?” chiese Susan, notando il suo turbamento. “Perché non dici nulla?”
Cercò la sua mano e lui subito la strinse, ma ancora non la guardava. La Dolce osservava il suo profilo in ombra.
“Caspian, dove sono i bambini?” ripeté più insistentemente, sentendo crescere un’angoscia smisurata dentro di sé.
Il giovane la strinse con forza, annegando il viso nella sua spalla.
La Regina percepì il respiro affannato del Re contro la sua clavicola.
“Caspian?” esalò lei, senza trovare la forza di chiedere.
Poi, un debole ricordo del suo nome gridato dalle voci dei suoi figli.
Dov’erano i suoi bambini? Perché non erano lì con loro? Perché Caspian era così sconvolto?
“Dimmi dove sono, ti supplico”
“Mi dispiace” le rispose lui debolmente.
Lei si separò dalla stretta e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla. “Che cosa è successo, Caspian, dimmelo!” esclamò.
Con grande sforzo, il Liberatore finalmente alzò la testa e osservò il viso pallido della sua Regina, gli occhi celesti spalancati per il terrore.
“Perdonami, amore mio”. Caspian tirò un gran respiro per calmarsi, ma servì a ben poco. “Ho tentato Susan, te lo giuro! Ho tentato ma non ce l’ho fatta, non li ho raggiunti in tempo”
“Cosa…cosa dici?!”
“Rammenti la radura e il serpente?”
Lei fece appena un cenno negativo. “No... No, io ricordo che Rilian e Myra si sono allontanati e noi volevamo andare a cercarli, e poi…”
E poi il vuoto.
Continuarono a guardarsi. Susan sentì aumentare la presa del braccio di Caspian attorno alla sua vita.
“Li hanno presi” mormorò lui, la voce tremante, non riuscendo ad aggiungere di più.
La Dolce lo guardò confusa e quasi gridò quando chiese: “Che significa? Chi?!”
“C’è stata una lotta” spiegò il Re, faticando per trovare la forza di parlare. “Tu e Destriero siete rimasti feriti. Il serpente si è abbattuto sui bambini e li ha portati via con sé”
“Dove?!” gridò ancora lei, posando le mani sulle sue spalle e scuotendolo un poco. “Dove li ha portati?! Caspian, rispondimi!”
Lui abbassò di nuovo la testa, serrando la mascella per non mettersi ad urlare a sua volta. “Io… non lo so”
“NO!” strillò Susan ancor più forte, coprendosi la bocca con le mani. “No, no, ti prego, no!!!”
Iniziò a singhiozzare forte, in modo incontrollabile.
Caspian le cinse le spalle. “E’ colpa mia! E’ tutta colpa mia! Perdonami!”
Susan scosse il capo e crollò sul suo petto, soffocando un grido contro il corpo di lui. Un grido che la scosse e che spezzò qualcosa in lei, facendola precipitare nell’oblio.
Lentamente i ricordi riaffiorarono e allora seppe che cosa era successo.
Continuò a gridare, a piangere, stretta a lui. Avrebbe voluto dirgli che non era colpa sua, perché Caspian continuava a chiederle perdono.
Il Re la cullò tra le braccia, chiedendosi il motivo di tutto ciò.
Odiava vederla piangere: il pianto di Susan era un boato assordante contro il suo cuore, così straziante da far male. E la disperazione di lei si unì a quella già presente in lui.
Prigionieri di questo dolore, Susan e Caspian rimasero stretti nell’oscurità, mentre la pioggia iniziava a cadere dal cielo e il temporale infuriava fuori della Torre.
Tutti gli anni di felicità sembravano essere scomparsi, come se li avessero solo immaginati. Un frammento di tempo passato loro davanti troppo in fretta.
Tutto era successo in un secondo: avevano trovato la felicità e l’avevano perduta.

 
 
 
 
 
Perdonate questi aggiornamenti a singhiozzo, cari lettori. Per un po’ sarà così, mi spiace…Sapete,  con il nuovo lavoro ho un sacco di cose da fare: aprire un negozio non è facile, ma ce la faremo!!! Io sono ottimista!!!
Or dunque, eccoci arrivati a uno dei momenti clou di questa storia: il rapimento dei gemelli!!!
Mi sono soffermata un po’ meno sui Pevensie e co. perché era importante mostrare come la Strega e Rabadash attuassero la maledizione, ed era giusto dare anche spazio ad altri personaggi, quelli un pò più marginali. Dal prossimo capitolo non potrò farli apparire sempre tutti, tutti insieme: ognuno ha un ruolo e a volte si muovono in scenari differenti.
 
Bene bene, dopo questa introduzione, do spazio ai doverosissimi ringraziamenti:

 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: aleboh, battle wound, fiamma di anor, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, Joy_10, Queen Susan 21 e Shadowfax

 
 
Angolino delle anticipazioni:
La prossima volta i Pevensie, Eustace e Jill non si vedranno. Li ritroveremo nel’11 capitolo.
Resteremo a Narnia e vedremo come Rabadash sta spadroneggiando a Cair Paravel, assieme a Lord Erton.
Miriel dovrà rivelare qualcosa ai Sovrani.
E Rilian e Myra? Faranno la conoscenza di una bella ma inquietante Signora…
Infine, per Caspian e Susan si avvicina il momento della maledizione.

 
 
Spazzietto Note: doveroso d aparte mia è dire che la descrizione delle Tombe degli Antichi Re è pressoché identica a quella del terzo libro di Narnia: “Il Cavallo e il Ragazzo”. Il gufo Pennalucida non è un personaggio di mia invenzione, ma appare nel libro 'La Sedia d'Argento'. E anche il nuovo nome di Jadis, 'Signora dalla Veste Verde', è lo stesso che la nemica usa nel sesto libro di Narnia. Chi non avesse ancora letto tutti i libri …lo faccia subitooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!! XD
 
Sondaggio delle coppie: trovate i risultati qui sul mio blog, ma ve li riporto comunque anche di seguito:
la Suspian è in testa con 4 voti;
La Lumeth è a pari merito con Justill e Shandmund con 1 voto;
invece la Petriel è a zero….(T_________T)

Se volete votare potete votare tramite il mio gruppo facebookChronicles of Queen, dove trovate anche gli aggiornamenti della storia.
 
Bene!!! Io per questa settimana ho detto tutto, lascio tutto in mano voi ora, che siete meravigliosi perché continuate a seguirmi con costanza!!! Spero davvero che questa storia continui a piacervi e appassionarvi!!!
Un grazie infinite e un bacio immenso,
Susan




   
 
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