Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Padmini    06/02/2014    0 recensioni
Maximillian Webb, medico legale al Saint Bartholomews Hospital di Londra, con una fidanzata opprimente e un lavoro che non lo soddisfano totalmente.
Tutto ciò è destinato a cambiare quando incontrerà una donna molto speciale ...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

 

The Truth

 

 

 

 

 

 

 

La situazione mi stava man mano sfuggendo dal controllo.

Non capivo più nulla. Avevo ricordi sbiaditi e incoerenti di quello che era successo il giorno prima, ma ora …

Ricordavo ciò che avevo fatto. Su questo non c'erano dubbi, ma avevo paura ad affrontarlo. Guardai Sherlock. Aveva appena letto l'esito dell'esame e, dal suo sguardo, capii che non erano in arrivo buone notizie. Mi sfiorai il braccio, pieno dei segni delle iniezioni di insulina, e tremai.

Mi avvicinai all'uomo, impaziente di scoprire se ciò che mi aveva detto era vero.

Sherlock non disse nulla. Si tolse gli occhiali e si massaggiò l'attaccatura del naso, poi passò il foglio a Daphne, che lo lesse con sgomento.

Guardai Sherlock e lui mi ricambiò lo sguardo. Era uno sguardo freddo, tuttavia privo di giudizio. Me lo aveva già detto, poco prima, che mi comprendeva. Vedevo nei suoi occhi pura compassione. Non era semplice pietà. Nonostante fossero passati anni, mi ricordavo ancora perfettamente il senso di frustrazione che la dipendenza mi aveva inferto e lui mi poteva comprendere.

“Vi giuro che non ne so nulla” dissi. Ero sincero e Sherlock lo lesse nei miei occhi.

“Queste analisi dicono il contrario” esclamò Daphne, sventolandomele davanti al naso.

Sherlock la fece tacere con un gesto della mano.

“Calmati, Daphne” le disse, guardandola negli occhi “Sono sicuro che Max non ne sa nulla”

“Certo!” sbuffò lei, incrociando le braccia al petto “Uno si fa di cocaina e non ne sa nulla! Ha anche la scusa perfetta. I buchi sul braccio li può giustificare con le iniezioni di insulina e … Max” disse poi, avvicinandosi a me con fare minaccioso “Sono certa che, se mio zio dice che non ne sai nulla, probabilmente sarà vero, ma devo sospenderti. Almeno fino a quando non sarai disintossicato”

La guardai sgomento. Una brutta notizia dietro l'altra.

“Ti farà bene” mi disse Sherlock “Ora hai bisogno di riposare e di riprenderti dalla probabile crisi d'astinenza che subentrerà quando smetterai di prendere cocaina. Il problema sarà identificare quando la prendi, ma su questo punto ho già più di un'idea”

“La ringrazio, signor Holmes” mormorai.

Daphne mi guardò, incerta se provare per me rabbia o pietà.

“Vattene” le disse Sherlock, senza guardarla “Abbiamo da fare”

Lei sbuffò, indecisa se sentirsi offesa o no dal trattamento dello zio. Alla fine decise per il no e ci salutò con un biascicato 'arrivederci' prima di uscire dalla porta.

Eravamo soli.

“Perché hai cominciato a drogarti, Maximillian?” mi chiese. Una domanda diretta, fredda, distaccata.

Sospirai, cercando di trovare le parole. Quante volte avevo ripetuto quella tiritera in terapia. Non ne potevo più. Ormai era quasi una recita, un copione imparato a memoria perché, quando conosci le tue ragioni, queste non cambiano. È inutile tentare di infiocchettarle o di darle una forma diversa. Tanto valeva ripetere le stesse parole che avevo per mille volte ribadito davanti all'analista.

Aprii la bocca per parlare, ma lui mi interruppe.

“Non ha importanza” mi disse.

Lo guardai a bocca spalancata. Non capivo.

“Non mi importa perché hai cominciato a drogarti” mi spiegò “Ognuno ha i suoi motivi. Io avevo i miei e immagino che la stessa cosa valga per te. Motivi seri o semplice stupidità. Non importa. L'unica cosa che voglio sapere è … che ruolo aveva la tua ex fidanzata in tutto questo?”

La domanda mi raggiunse inaspettata. Chiusi la bocca e distolsi lo sguardo.

“Rispondi, Max” mi incitò lui “Ti vergogni di più di questo che della tua dipendenza?”

“No!” esclamai “Non mi vergogno. Solo … mi sento in debito con lei, per quello che mi ha fatto, ma da quando l'ho lasciata ...”

“Ti senti in colpa” concluse lui per me.

Annuii.

“Lo immaginavo” disse lui, prendendo la pipa e cominciando a caricarla “Sei troppo sentimentale”

“Tempo fa mi ha minacciato” dissi “L'ho affrontata e le ho detto ciò che provavo per lei, che il fatto che stessimo insieme era dovuto solamente alla mia riconoscenza nei suoi confronti che io ...”

“ … hai scambiato per amore, giusto?”

Annuii di nuovo.

“Ti ha minacciato?” mi chiese poi, accendendosi la pipa e tirando una boccata profonda.

“Esatto. Io le ho detto che non l'amavo e lei … è comprensibile! Cos'avrebbe fatto lei nella sua situazione?”

“Non avrei di certo avuto una reazione così irrazionale” rispose lui, sbuffando fumo “Sbagli a chiedere una cosa del genere proprio a me”

Rise sonoramente, tenendosi la testa con la mano, ma si ricompose immediatamente.

“In ogni caso, il mio lavoro prevede il dover immedesimarmi nella mente delle persone. Elisabeth sembra una donna molto passionale e vendicativa. Non ti avrebbe mai minacciato, altrimenti. In questi ultimi tempi, però, non ha mai attuato in via diretta le sue intenzioni?”

Scossi la testa. Il grande detective aggrottò la fronte e unì i polpastrelli.

“Interessante” disse. Il suo sorriso si allargò pian piano, illuminandogli il viso.

“Una donna energica ma allo stesso tempo intelligente. Mi piacciono le persone intelligenti. Devi dirmi tutto di lei, Max. Lavoro, abitudini, istruzione. Devo cominciare a pedinarla” disse, alzandosi e cominciando a passeggiare avanti e indietro per la stanza.

Era evidente la sua eccitazione. La stanchezza dovuta all'età era stata eclissata dall'entusiasmo.

“Dovrei farlo io” proposi “Lei è troppo vecchio per ...”

“Ma quale vecchio!” gridò lui, agitando il bastone in aria “Non mi sentivo così giovane da anni! Avanti! Ora devi darmi tutte le informazioni possibili su di lei”

 

Elisabeth lavorava come segretaria nell'ufficio di un avvocato. Da quando l'avevo lasciata viveva sola nel nostro appartamento di Soho. Aveva abitudini molto regolari, per quello che potevo sapere e non frequentava molti amici, fatta eccezione per le solite amiche con le quali si incontrava per bere il tè e spettegolare. Non era molto colta, ma vantava un'intelligenza non indifferente. Era scaltra e calcolatrice. Altro, di lei, non sapevo.

Sherlock mi ascoltò con la massima attenzione. Non prese appunti, ma ero sicuro che aveva memorizzato ogni informazione.

“Molto bene” disse, sfregandosi le mani “Andrò subito allo studio dell'avvocato. Non è così difficile trovare una scusa per guardarmi un po' in giro. Andrò lì con la scusa di redigere un testamento. Ah!” esclamò, sorridendo “Non vedo l'ora di poter tornare in azione!”

“Io ora devo andare a ...” mi interruppi. Non dovevo andare a lavorare.

“Ti consiglio di startene buono a casa” mi disse “Per adesso non so che linea d'azione intraprendere. Può darsi che tu debba tornare al lavoro, almeno come copertura. So che Daphne ti ha sospeso,” aggiunse alzando le mani in aria, notando che stavo per protestare “ma dobbiamo ricreare una situazione normale. Chi ti sta sabotando non deve sospettare che ci sia qualcosa di anomalo. Ho sei idee che voglio verificare. Non so se avrò il tempo di tornare qui da te. ”

Annuii e lo osservai uscire dall'appartamento. Era totalmente diverso dallo Sherlock che era entrato in obitorio. L'uomo preoccupato e stanco che aveva incontrato solo poche ore prima si era trasformato in un segugio, attivo e teso verso il suo obiettivo.

Io, al contrario, ero distrutto. Mi sentivo veramente uno straccio. Mi accasciai sul divano, con la faccia rivolta verso i cuscini. Chiusi gli occhi e sperai di addormentarmi presto.

 

 

Sherlock P.o.V.

Ciò che Maximillian mi aveva raccontato della sua ex fidanzata mi aveva colpito. Una donna gelosa e vendicativa. Avevo già avuto a che fare con persone come lei. Anche la mia amata Irene, che ormai potevo solo rimpiangere, mi aveva spesso trattato allo stesso modo.

Non aveva usato violenza diretta. Mi aveva logorato psicologicamente, giocando con me come il gatto con il topo.

Non avevo tempo da perdere. Scesi in strada e, richiamato un taxi, consegnai all'autista il biglietto da visita dell'avvocato per il quale Elisabeth lavorava. Durante il tragitto ebbi modo di riflettere ulteriormente sui fatti. Mille ipotesi si stavano formulando nel mio cervello e cercavo di riordinarle.

Ero partito molto presto quella mattina. Non avevo avuto il tempo materiale per concentrarmi sulla città. Dalla stazione mi ero precipitato direttamente al Bart's, tanta era la mia fretta di incontrarmi con Max. Durante il viaggio in taxi, però, ebbi il modo di guardarmi in giro.

Non tornavo a Londra da molti anni, da quando Rain aveva deciso di trasferirsi a Baker Street. Le immagini e i ricordi delle mie pazze avventure con John sbucavano da ogni angolo. Già la nuca del tassista era fonte di memorie.

Mi sforzai di tornare al presente. L'età mi aveva reso estremamente sentimentale per quanto riguardava il mio vecchio lavoro, ma in quel momento non potevo permettermelo. Il mio autista, però, non era della stessa opinione.

“Mi scusi” disse, per richiamare la mia attenzione “Lei, per caso, è Sherlock Holmes?”

Sospirai. Dannazione! Purtroppo, mi aveva riconosciuto. Mi ero ritirato dall'attività da più di trent'anni e da allora le uniche immagini che di me venivano pubblicate erano quelle di quando ero giovane o, al massimo, sulla cinquantina. Se non fosse stato per l'inizio delle riprese del telefilm ispirato alla mia vita, nessuno avrebbe potuto associare il mio viso da centenario al celebre investigatore. Per mia sfortuna, Mark Gatiss aveva insistito per pubblicare qualche mia foto recente. Il risultato era questo.

Annuii distrattamente. Non volevo che cominciasse a sommergermi di domande.

“Ho letto tutte le avventure scritte dal dottor Watson, sa?” continuò l'uomo che, evidentemente, non aveva colto il mio desiderio di non parlargli “Mi dica, è vero che è morto?”

La mia mascella si contrasse involontariamente. John era morto da sei anni, ma il dolore per la sua perdita non mi aveva abbandonato del tutto. Annuii di nuovo, sperando di essere lasciato in pace. Invano.

“Anche suo fratello, Mycroft ...” continuò lui, imperterrito. Non ci vidi più.

“Mi ascolti bene” dissi, cercando di mantenere la calma “Solo perché ho quasi cento anni non significa che mi diverta a parlare di morti. Durante la mia carriera ne ho visti tanti, ma ora non ho tempo per parlare con lei dei decessi della mia famiglia. Se non le dispiace, naturalmente!” aggiunsi poi, con una forte nota di sarcasmo.

L'uomo arrossì.

“Mi scusi” si affrettò a dire “Non volevo, solo … Sa, leggendo le avventure del dottor Watson, non posso fare a meno di ripensare a tutte le altre persone che lei coinvolgeva nei suoi casi: suo fratello, Lestrade, la Donna ...”

“Pensi a guidare” dissi bruscamente “Non mi scocci, per favore!”

“Come vuole, scusi” continuò lui, sordo alle mie richieste di silenzio “Ho saputo che suo nipote interpreterà il suo ruolo in un telefilm. Bello, no? Non è fiero?”

Digrignai i denti. Quell'uomo era veramente insopportabile.

“Siamo arrivati” lo informai, notando che ci stavamo avvicinando all'edificio “Mi faccia scendere”

Lui guardò fuori dal finestrino e annuì. Era chiaramente dispiaciuto di dover interrompere la nostra chiacchierata e mi salutò con entusiasmo. Mi chiese addirittura un autografo. Gli chiusi la porta in faccia e mi allontanai.

 

Andrew Morris, l'avvocato, aveva il suo studio in un prestigioso edificio della City.

Non feci in tempo ad attraversare le porte a vetro scorrevoli dell'ingresso, che fui accolto da un mormorio eccitato. Sentivo il mio nome, sussurrato dai presenti. Li ignorai. Qualcuno provò ad avvicinarsi, ma lo evitai con lo sguardo. Non potevo permettermi distrazioni. Mi odiai per aver acconsentito a quello stupido telefilm. Mi stava rovinando la vita. Ripensai, con nostalgia, alla mia casetta in Sussex e sperai in un colpo di fortuna. Non avevo nessuna intenzione di pedinare Elisabeth per chissà quanti giorni e sentire gli sguardi dei londinesi fissi su di me.

Chiamai l'ascensore e raggiunsi il piano giusto. Sul lungo corridoio si aprivano numerose porte. Non camminai molto per raggiungere quella che cercavo. Bussai discretamente e, dopo qualche minuto, venne ad aprirmi una donna.

Non c'era dubbio. Da come me l'aveva descritta Max, riconobbi Elisabeth.

“Sto cercando l'avvocato Morris” dissi, sorridendo.

“Ha un appuntamento?” mi domandò lei, sfogliando l'agenda che teneva in mano.

“No” ammisi “ma ho urgente bisogno di parlargli. Se non ha tempo ora, potrei prendere appuntamento e ...”

Una voce maschile, dall'interno, mi interruppe.

“Lo faccia entrare, Lizzie” disse l'avvocato, raggiungendoci.

Era un uomo non troppo alto. Aveva i capelli neri, lisci, tenuti molto corti. Gli occhi erano di un nocciola scuro che avevo già visto. Entrai un momento nel mio mind palace, giusto una capatina, ma non fu d'aiuto. La voce dell'uomo mi riportò alla realtà.

“Salve, signor ...”

Sorrisi di gioia. Non mi aveva riconosciuto. Nemmeno Elisabeth, a quanto pareva.

“John” risposi, senza pensarci troppo “John Wilson” e gli allungai una mano.

“Si accomodi, signor Wilson” mi disse lui, spostandosi dalla porta per farmi entrare “Dica pure. Per il momento non ho clienti, perciò posso parlare tranquillamente con lei”

“Sono venuto qui per redigere il mio testamento” mentii.

Il testamento di Sherlock Holmes era depositato nell'archivio di un altro avocato da qualche anno, ma quello di John Wilson non esisteva ancora. Seguii l'avvocato nel suo ufficio che, per mia fortuna era comunicante con quello della segretaria. Non mi disturbai ad origliare le conversazioni che teneva quando rispondeva al telefono. Mi concentrai sull'avvocato. Quei tratti li avevo già visti. Non era un viso conosciuto. Era, piuttosto, un viso familiare. Avevo bisogno di tempo per elaborare quelle informazioni. Da qualche parte nella ma memoria c'erano, dovevo solo trovarle.

Alla fine del colloquio, mi impegnai a telefonare a prendere un secondo appuntamento per definire con maggiore precisione i dettagli. Morris mi strinse la mano con calore e ancora una volta, guardandolo negli occhi, scorsi una luce che avevo già visto.

Uscendo dall'ufficio guardai l'ora. Erano le cinque e venti passate. Di lì a poco i due sarebbero usciti per tornare a casa. Mi nascosi in uno sgabuzzino per le scope non lontano dal loro ufficio e aspettai. Dovevo pedinare lei. Non sarebbe stato facile, ma dovevo riuscirci.

Il tempo passava. Pochi minuti dopo le cinque, sentii che gli uffici si stavano svuotando. Rumore di passi, fruscii di giacche indossate, saluti, pacche sulle spalle. La giornata era finita.

Aprii lentamente la porta e sperai di potermi confondere nella massa di persone per poter seguire Elisabeth. Non fu necessario. La voce della donna proveniva ancora dall'ufficio. Non era uscita.

Non riuscivo a sentire cosa dicesse a causa della confusione, ma un minuto dopo, quando anche l'ultima persona sparì dietro le porte metalliche dell'ascensore, il silenzio tornò sovrano.

“ … ti dico che è lui!” gridava la donna. Mi accostai alla porta, in ascolto.

“Non è possibile” ripose la voce dell'avvocato “Figurati se uno come lui abbandona il Sussex solo per un motivo così banale”

“Si tratta pur sempre di sua nipote, Jim!”

“Ti ho detto di non chiamarmi Jim!” disse lui, in un'esplosione di rabbia “Sono Andrew, adesso. Andrew Morris. Non dimenticarlo”

“Scusa Jim … no, volevo dire … Scusa Andrew”

L'uomo sbuffo e percepii, dal suono dei suoi passi, che aveva cominciato a passeggiare su e giù per l'ufficio, in preda ad un'ansia incontrollabile.

“Ti sei fatta fregare, Liz” disse “Hai attirato l'attenzione di Sherlock Holmes. Non mi avevi detto che c'entrava anche lui!” aggiunse poi, con rabbia.

Perfetto. Ero stato troppo ingenuo, pensando che non mi avessero riconosciuto. Dovevo travestirmi, maledizione! Continuai ad ascoltare.

“Non potevo saperlo, Ji … Andrew. Volevo solo vendicarmi di Max e di quella troietta con la quale vive. Come potevo sapere che si trattava proprio della nipote di Sherlock Holmes?”

“Non mentire con me!” gli urlò contro “Non farlo. Lo sapevi benissimo, invece!”

Il silenzio che seguì fu rotto solo dai singhiozzi di lei.

“Non fa niente” aggiunse lui “Sono certo che non ha dedotto niente dalla sua visitina qui. Tu comportati in modo normale. Domani Max dovrà ritirare alla farmacia del Bart's la sua solita dose di insulina. Il mio contatto mi ha già confermato che la sostituirà con la cocaina, come al solito. Non dobbiamo cambiare le nostre abitudini o si insospettirà”

“Come vuoi, mi fido di te” rispose lei, con un tono che mi parve più tranquillo.

Mi affrettai a raggiungere l'ascensore. Non potevo permettermi che mi scoprissero.

Dunque era così. Il colpo di fortuna era arrivato. Anzi, la mia presenza li aveva costretti a parlare di quel loro diabolico piano, per accordarsi e definire una linea di difesa nei miei confronti.

Uscii più velocemente che potei dall'edificio e chiamai subito un taxi. Quello che volevo sapere lo avevo scoperto, potevo tornare a casa. Non prima di aver definito qualche dettaglio.

Composi velocemente il numero di Daphne e, mentre aspettavo che mi rispondesse, dissi all'autista di portarmi alla stazione. Da un po' di tempo non usavo più i messaggi per comunicare. La mia vista era troppo affaticata per poter leggere i minuscoli caratteri dei tasti, così mi sembrava più veloce chiamare.

“Zio!” mi rispose lei “Hai novità?”

Era evidentemente preoccupata per la sorte del suo dipendente.

“Molte novità” confermai “Prima di tutto, ti devo chiedere un favore. So che hai sospeso Max, ma ho bisogno che domani tu lo faccia entrare al lavoro come se niente fosse. Non lo farai lavorare veramente. Fai finta che sia lì in visita”

“Ma, zio ...” cercò di protestare lei, ma non glielo permisi.

“Fai come ti dico. Più di una vita è in gioco. Dovrai farlo tornare per qualche giorno. Ti dirò io quando non sarà più necessario”

Un piccolo silenzio seguì le mie parole. Daphne stava riflettendo sul da farsi.

“Va bene!” acconsentì alla fine “Solo perché sei tu”

Sorrisi.

“Grazie mille. A presto”

Chiusi la chiamata e selezionai il numero di Max.

“Non tornerò a Baker Street, stasera” dissi quando rispose, senza nemmeno salutare “Torno a casa. Mia nipote ha bisogno di me”

Lui sospirò. Forse non voleva stare solo.

“Come vuole, Mr Holmes” mi rispose “Vuole che l'accompagni io?”

“No, non serve. Ho chiamato Daphne. Le ho detto di farti entrare domani in obitorio. Non lavorerai, ma ho bisogno che certe persone credano che nulla è cambiato, è chiaro?”

Sentii che deglutiva a fatica.

“Non so se ...”

Ce la farò?

“Certo che ce la farai, Max” gli dissi, cercando, come potevo, di rassicurarlo “Vivi con Rain. Una prova del genere dovrebbe essere una quisquilia per te!”

Rise.

“Ha ragione. Farò come dice, mi fido di lei. Mr Holmes?” mi richiamò, prima di interrompere la chiamata “Grazie”

Non sapevo come rispondere. Raramente avevo ricevuto manifestazioni di gratitudine così sincere e commosse. Annuii, pur sapendo che lui non poteva vedermi, e chiusi il telefono.

Ora non mi restava altro da fare che trovare qualcuno per indagare al posto mio.

Non potevo continuare a farlo da solo, ora che la mia copertura era saltata, eppure c'erano tante altre informazioni di cui avevo bisogno. Chi era realmente questo Andrew Morris, tanto per cominciare. Ripensai a quello che sapevo. Il suo vero nome era James, aveva contatti all'interno del Bart's e, dal tono che aveva usato, capii che molto probabilmente ne aveva anche in altri luoghi. Tutto ciò mi riportò alla mente una sola persona.

Improvvisamente, come spesso mi capitava anche da giovane, vidi la soluzione. Era lì, a portata di mano, ma le mie vecchie braccia erano troppo stanche per raggiungerla. Avevo bisogno di qualcuno di più giovane, che portasse avanti le indagini per conto mio. Rain era fuori discussione e così pure Max. Erano troppo coinvolti. Chi poteva … Sorrisi. Sapevo chi chiamare. Era veramente un'idea geniale. Cercai il suo numero sull'agenda e lo chiamai.

“Sono alla stazione Victoria” dissi “Vieni a prendermi. Mi accompagnerai in Sussex. Ho bisogno di parlarti di una cosa”

Usai un tono così autoritario che non poté fare a meno di dirmi di sì. Gli avrei spiegato il mio piano con calma, in auto.

Ora non mi restava che tornare da Rain.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Padmini