PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima . La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda. Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian. Le gocce si trasferiscono, con Vera, in due eleganti appartamenti contigui. Come copertura, fingeranno di essere delle studentesse universitarie; ognuna riceve una lista di argomenti e l'incarico di individuare degli esperti su ciascuno. Le gocce vengono addestrate ai poteri mentali, quali la lettura e trasmissione del pensiero, lo sguardo del comando e la telecinesi. In alcune occasioni, le ragazze commettono goffaggini che attirano l'attenzione della polizia e perfino dei giornali. Si crea un rapporto più stretto tra Elyon e Carol, che è ammirata per le sue capacità di cavarsela in ogni situazione. Elyon affida a Vera l'incarico di copiare le memorie scientifiche di esperti in diversi campi. Il primo della lista è un professore universitario di nome Michel Raeder, di cui Vera si innamora a prima vista, e, quando gli copia le memorie, per errore gli trasmette le proprie. Vera, innamorata, trascura il gruppo e la copiatura di altre memorie; Carol convince Elyon ad abilitarla a questo incarico, nel quale si dimostra subito efficientissima. Le altre gocce, disorientate, perdono tempo all'università in attesa delle memorie che dovrebbero renderle finalmente esperte nei rispettivi campi. |
Cap. 30
Memorie
Università di Midgale
Il complesso dell’università potrebbe somigliare ad un domino
di enormi mattoni rosati, se non fosse per le finestrature specchianti
che, nei giorni di sole, riflettono il cielo terso e fanno sembrare che
i quattro piani levitino l’uno sull’altro per qualche magia.
Purtroppo oggi non è affatto un giorno di sole, e le vetrate
riflettono un plumbeo cielo autunnale, solcato dalle rigature verticali
di una pioggia quasi monsonica. Chi guarda verso l’alto può vedere…
Già, ma perché devo guardare verso l’alto proprio
oggi?, pensa Therese quando sente un rivolo d’acqua correrle giù
per il collo.
Raddrizza l’ombrello e lo sguardo. Davanti a lei c’è l’ingresso,
anche questo costituito da una fila di porte specchianti. Osserva le loro
immagini riflesse che vengono incontro, per ricongiungersi con loro
nel momento in cui spariranno all’interno. Ciò le ricorda tante
cose. Troppe.
Qualche istante dopo, Therese precede le altre gocce nell’atrio. Questo
salone non ha mai smesso di emozionarla, da quando vi entrò la prima
volta quasi per caso, più di un anno prima. Talvolta le capita ancora
di incantarsi davanti ai cartelli segnaletici delle facoltà. Ogni
cartello è un albero di possibilità, pensò quella
volta. Scegli una strada, e rinunci a tutte le altre.
La voce di Pao Chai la richiama. “Ehi, Terry, sei ancora in questo mondo?”.
“Eh… Si, Pao. Stavo solo pensando. Perché, hai visto passare
il mio cadavere nel fiume?”.
La cinesina fa un gesto di scongiuro. “Non hai ancora chiuso l’ombrello”.
“Ehm, scusate…”. Chiude il parapioggia sgocciolante, tenendolo ben
discosto, casomai volesse vendicarsi inzuppandole i pantaloni. “Ecco fatto.
Ci vediamo a pranzo”. Fa un cenno di saluto prima di imboccare un corridoio.
Pao Chai si volta a guardare con rimpianto dietro a sé. “Peccato
che Carol non sia venuta con noi”.
“Sapessi come mi manca”, ridacchia Irene. Si ferma, cerca di sembrare
più alta e spocchiosa, ed imita discretamente la voce della biondona:
“Ragazze, andate pure. IO ho da lavorare”.
Wanda brontola: “Beata lei, che sa cosa fare”. Si guarda attorno, a
disagio. “Mi accompagni fino…”.
Irene sorride, persa lontano. “Scusa, cara. Qui ci dobbiamo dividere.
Ciao ciao!”.
Wanda segue il suo sguardo fino ad un ragazzo che passa sul lato opposto
dell’atrio. “Ah, ecco perché tanta fretta all’improvviso. Non è
Frank quello?”, le chiede con un tentativo di sorriso.
“Già”. Irene le fa l’occhiolino. “Mi piace studiare, da quando
lui mi dà una mano”.
Biblioteca della facoltà di ingegneria
Le finestre grigie e verdazzurre dello schermo si riflettono negli occhi
persi di Wanda. Appena arrivata, ha iniziato a surfare nervosamente da
un link all’altro, perdendo l’attenzione dopo poche righe di lettura, ma
ora lo schermo del computer è solo un paravento per dei pensieri
alla rinfusa, mentre le sue mani giocherellano da sole con una penna.
Che sfascio! Nelle ultime tre settimane, tutto il metodo di lavoro
impostato con tanta fatica sta andando a rotoli, ogni giorno di più.
La nostra lady di ferro si è fatta cucinare da un bellimbusto, ed
ha perso ogni polso della situazione. Esce a metà pomeriggio per
andare con lui, torna a notte fonda, e la mattina dopo non riesce né
a tenere gli occhi aperti, né a stare dritta sulla sedia. Per lui,
sta rinunciando a tutto quello che è.
La penna le cade di mano. La guarda sul pavimento, senza raccoglierla.
Povera Vera, soffrirà. Soffrirà di certo. Ne vedo
tutte le premesse. Di quale magia perversa sono depositari gli uomini?
Fanno soffrire se non ci sono. Fanno soffrire se ci sono, e quando se ne
vanno ci si sente sporche e disprezzate, indegne di quella parola mielata
di cui film e romanzi traboccano.
Uno studente le raccoglie la penna, e gliela porge con un sorriso.
Lei la prende, ma schiva lo sguardo. “Grazie”, risponde. Sorridere è
troppo difficile, soprattutto oggi.
Ma basta con queste fantasticherie. Non posso masticare sempre veleno.
Dovrei fare come Irene, che prende il bello da qualunque cosa, ed il resto
le scivola via come pioggia dalla tela cerata. O come Carol, che cavalca
le onde di questo mare dominandole e facendosi portare dove vuole lei.
Cavolo, vorrei essere una eroina, ma biblioteche e relazioni non mi daranno
l’occasione per diventarlo. Forse nella vita di tutti i giorni i veri eroi
sono quelli che riescono a sorridere ed a vedere il bello delle cose.
Dà uno sguardo di sfuggita alle altre persone nella biblioteca,
così lontane.
Sullo schermo, le finestre disordinate spariscono, sostituite da un
fondo nero sul quale una scritta “University of Midgale- Engineering department”
compie una lenta danza allucinante.
Cavolo, sono davanti ad un computer, ho le mie ricerche da fare,
e riesco solo a divagare e lamentarmi che le cose vanno a rotoli. Devo
rassegnarmi, stamattina non combinerò niente di buono.
Guarda fuori dalle finestre. Piove ancora a dirotto.
Non farti imprigionare da queste sbarre fatte d’acqua, Wanda. Hai
bisogno di sfogarti, non di restare qui a rimuginare. Affronta la pioggia.
La piscina non è troppo lontana, forse almeno lì riuscirai
ad annegare questi pensieri cupi per un po’.
Biblioteca della facoltà di informatica.
L’orologio segna le dieci. E’ ora di andare.
Per dire il vero, Therese si era riproposta quantomeno di trascrivere
un riassunto dell’articolo di 3D Magazine sulla movimentazione dei
modelli grafici tridimensionali. Ma che cos’è un grado di libertà?
Che significato dare a parole come ‘matrice’ e ‘vettore’ in questo contesto?
Deve ammetterlo, le mancano le basi. Se almeno Vera si sbrigasse ad
attuare questi trasferimenti di memoria… è già parecchio
che le hanno consegnato una nutrita lista di esperti, non pochi dei quali
proprio di Midgale, ma, dopo il tentativo con Michel, lei non ha più
dato seguito alla cosa.
A questo punto, è inutile scervellarsi cercando di dare un significato
ad articoli così specialistici.
Tra soli sei minuti avrà inizio la lezione di geometria. Lei
sarà lì, trascrivendo appunti con la sua mano e la mente
veloce.
E’ vero, ha perso le primissime lezioni, ma ha trovato compagni gentili.
Uno di loro la ha accompagnata di persona a fare le fotocopie del suo quaderno.
Poi, quando lei ha scoperto con delusione che una frasetta sibillina negli
appunti sottende significati comprensibili solo al suo autore, lui è
stato pronto a spiegarglieli per filo e per segno per un mezzo pomeriggio.
Con le sue fotocopie meticolosamente annotate, Therese ha scoperto
con piacere di non avere grosse difficoltà a seguire il corso, nonostante
l’enorme vuoto culturale lasciato dall’abbandono della scuola superiore.
Con la cartella a tracolla, lascia a passi quasi felpati quella sala
silenziosa, per immergersi nella folla di studenti che si dirigono verso
le aule didattiche in fondo al corridoio.
Riconosce alcuni visi. Quella ragazza con le lentiggini e gli occhiali
ieri era in prima fila, ed ha fatto due domande al professore. Quel ragazzo
biondo con il pizzo, sempre ieri, stava parlando allegramente con un suo
amico mentre prendeva posto in ultima fila. Probabilmente era lui che parlottava
quando il professore, infastidito, si è interrotto ed ha guardato
sopra la testa di Therese. Molti studenti si erano girati verso quel chiacchierio
che per un breve attimo ha risuonato ancora come una risata in chiesa,
per poi finire in un silenzio imbarazzato. Se Pao Chai fosse stata
con lei, all’uscita avrebbe certamente inventato qualche bella frase su
come il silenzio stesso sia un suono, attribuendola a Confucio, Lao Tse
o Mao Tsetung, a caso.
Bene, ecco l’aula. Imbocca la gradinata laterale verso la prima fila,
dove i posti liberi non mancano mai.
La voce malevola di una ragazza, sussurrata abbastanza forte da poter
essere sentita, la raggiunge alle spalle come una pugnalata. “Ha sbagliato
stanza anche oggi, le scuole medie sono da un’altra parte”. Nessun dubbio
che sia diretta a lei: è l’unica a sembrare nettamente più
giovane degli altri.
Si volta. Chi è stata? Quelle due già sedute?
Una distoglie lo sguardo imbarazzata. L’altra la fissa con un sorriso
di sfida.
E’ lei, la sua avversaria. Ma perché? Che si sia risaputo che
ha lasciato il Glitfich al quarto anno solo il dicembre prima? Deve capirlo
subito! Bene, guardami, me lo rendi più facile! Cosa pensa
quella?
‘Togli il tuo didietro di cioccolato da qui, ragazzina’. ?!?!?!
Ma… cosa vuol dire? E’ per razzismo? Eppure Therese non è
l’unica di colore, nell’aula.
“Beh, cos’hai da fissarmi?”, le chiede l’altra, con il sorrisino di
chi sa benissimo la risposta.
Terry mastica amaro. Guerra dichiarata, allora. Vorrei solo sapere
perché.
Uno studente scende lungo i gradoni, e le sfiora il braccio. “Ciao,
Terry”.
“Ehi, Rogers”.
“Ieri pomeriggio non c’eri, alla lezione di matematica generale. Vuoi
vedere gli appunti?”.
“Grazie mille. Vieni a sederti accanto a me in prima fila?”. Ci
penserò poi a questa tipa.
Terry dà un’ultima occhiata alla sua rivale, e capisce. La bocca
rigida, le palpebre tirate… qualcosa è scoppiato dentro di lei.
Fuoco e ghiaccio. ‘Non mi ha neppure guardata. Neppure salutata. Ha
occhi solo per questa ragazzina’.
Therese si volta e scende i gradoni. Dunque è solo gelosia
tra ragazze, per Rogers. E ora, come la gestisco questa grana?
Seduta in prima fila, si rende vagamente conto che il ragazzo ha iniziato
a parlarle ed ad indicare degli scarabocchi sul suo quaderno ad anelli,
ma non riesce a seguire cosa stia dicendo sulla partizione dell’insieme
dei numeri razionali. Non era preparata a questa situazione. Che cosa significa,
per quell’altra, questo che per lei è solo un compagno premuroso?
Corridoi dell’università
Irene sorride mentre passeggia per i corridoi, a braccetto del suo bel
Frank. Guarda con rimpianto la pioggia che le impedirà di scendere
nei giardinetti per trovare qualche angolino più intimo. Eppure,
l’università deve essere piena di stanzette tranquille. Basta scoprirle.
Si accorge che il ragazzo ha un’espressione quasi di rammarico. “Che
c’è, Frank caro?”
“Irene, mi chiedevo se tu non avessi lezioni, questa mattina”.
Lei alza le spalle. “Nelle mattine di pioggia, le lezioni mi mettono
malinconia”.
“Hai detto lo stesso delle mattine di sole”.
“Già. Perché è vero”.
“Irene, resterei… ma ho un dovere. L’ho già trascurato troppo
nelle ultime settimane. Ho dei genitori a cui devo rispondere, per disgrazia
e per fortuna”.
Irene fa una espressione teatralmente delusa. “E tu mi lasceresti sola
ad immalinconirmi in un corridoio… in mezzo a tutti questi studenti?”.
Messaggio ricevuto. “Ma no che non ti lascio sola. Accompagnami a lezione”.
La tira verso il corridoio che si apre sulla destra.
“Va bene”. Irene acconsente di malavoglia; ormai sa capire quanto può
tirare la corda. “Ah, che lezione è?”.
“Anatomia comparata”.
“Whow!”, fa lei estasiata. “Io adoro comparare le anatomie!”.
“L’ultima lezione era sui sistemi scheletrici dei vari ordini di mammiferi”.
Scrolla le spalle. “Beh… potrebbe darmi qualche idea per il costume
di Halloween”. Poi alza gli occhi. Ma quella è Vera!
Frank segue il suo sguardo. “Hai visto qualcosa?”.
“Un’amica. E’ passata là, in fondo al corridoio”.
“Andrà a lezione… sono le dieci”.
Irene annuisce. “E’ facile. E’ da tre settimane che segue ripassi di
chimica organica tutte le sere”.
Ore 10, Biblioteca della facoltà di architettura
Pao scorre l’ultimo numero della rivista “Concrete”, sforzandosi di
sentirsi a posto con la sua coscienza. Fino a poco tempo fa avrebbe
pensato di essere solo all’inizio della mattinata lavorativa, ma ora i
metri di giudizio sono cambiati. Ha già fatto un riassunto di due
articoli. Nuovi additivi per il cemento, impregnanti per vecchie murature
…Per essere sinceri, in realtà ne ha solo trascritto gli abstract,
la bibliografia e gli autori. Degli articoli in sé ha capito pochissimo.
Beh, è già un’ora che lavoro. Prendiamoci un po’ di
pausa!
Si alza e comincia a scorrere gli scaffali.
Architettura antica… Whow! Questo libro sul tempio di Karnaugh è
nuovo. Lo prende tra le mani, ammirando emozionata la grande foto
a colori sulla copertina.
Lo porta fino al suo posto a sedere, spostando con disprezzo la rivista
ancora aperta sul tavolo.
Apre il volume, sfogliando le spesse pagine con venerazione. Piantine…
foto… Whooowwww! Uno spaccato a colori! Meraviglioso!
Segue i corridoi del disegno, meravigliandosi ad ogni dettaglio, ad
ogni svolta. Assapora il silenzio rimbombante dei suoi passi, la semioscurità,
il sollievo del riparo dal deserto soleggiato. Quando scorre i bassorilievi,
le sembra di vedersi camminare tra i sacerdoti ieratici in processione,
e di udire suoni di gong che rimbombano tra spessi muri e colonnati, fin
dentro i suoi visceri.
Fantastico!
Quando l’immagine della biblioteca si riforma davanti ai suoi occhi,
estrae un blocco da disegno ed una matita tenera dalla sua cartellina.
Questi scorci… Sono certa che un edificio simile starebbe benissimo
anche a Shangri-La!
La sua mano rapida e sicura corre sul foglio, tracciando linee sottilissime
che definiscono i contorni. Poi cambia l’inclinazione della matita, ed
i chiaroscuri iniziano a creare l’illusione della tridimensionalità.
All’improvviso, una voce le risuona nella testa: ‘Pao, sono Carol.
Sei sola?’.
‘Carol? Come mai? Si, sono sola’.
‘Perfetto. Torna a casa al più presto, senza dire niente
alle altre’.
‘Va bene. Finisco…’.
‘SUBITO!’. Poi, più dolce: ‘Vedrai, ne sarai entusiasta’.
Soggiorno delle gocce
Questo è il sistema di trasporto più rapido ed asciutto,
pensa Pao Chai mentre il tremolio che la circonda prende la forma dell’atrio
di casa.
“Carol? Dove sei?”.
L’amica le viene incontro dalla camera, con uno sguardo soddisfatto.
“Pao carissima, i pacchetti di memorie sono pronti! Voglio che tu sia la
prima a provarli!”.
Pao Chai deglutisce inquieta. “E’ l’onore della prima cavia sacrificata
per la scienza?”.
Carol le sorride rassicurante. “Pao! Come potrei? Dai, siediti tranquilla”.
Le offre una sedia, e si siede di fronte, abbassandosi un po’ per avere
gli occhi alla stessa altezza. “Ciò che sto per fare è sicurissimo.
Pensa a quel Michel, che ha subito un travaso pasticciatissimo senza alcuna
preparazione, ed ora è felice e contento. Tu rischi ancora meno.
Anzi, niente”.
“Se lo dici tu…”, si rimpicciolisce Pao.
Per un attimo, il viso di Carol sembra risentito. Si alza in piedi,
torreggiando sull’altra. “Quella che ha rischiato sulla propria pelle sono
io!”. Sottolinea la frase indicando sé stessa. “Ho copiato tutte
le memorie di sei tra uomini e donne, ho assorbito ricordi eterogenei ed
emozioni, segreti dolci e vergognosi, vittorie e amarezze, nascite e morti,
incontri ed abbandoni. Ho dovuto estrarre la loro cultura da questo marasma,
cancellando il superfluo. Ho filtrato tutto io. Io! Mi è costato,
mi è costato caro. Ora mi sento come se avessi vissuto trecento
anni”.
Il tono da dramma finisce. La sua voce torna calma. “Ma non importa.
Per te, Pao Chai, ho estratto le conoscenze di un grande architetto. Ed
è solo l’inizio”.
“Per me…”, esita la cinesina, sovrastata da un’amica che fa fatica
a riconoscere.
“Ora è il momento, Pao. Tempo un minuto, e tu e saprai più
di alcuni dei tuoi professori!”.
Le punta un dito tra gli occhi.
“Io ho…”. Pao strabuzza gli occhi per guardare quel dito. Intravede,
seminascosto dalla mano, lo sguardo di Carol, esaltato e deciso come non
mai.
Sente un formicolio al viso. Cerca di alzarsi, ma non è possibile
senza spostare quel dito lì davanti.
L’attesa si prolunga. “Carol… lasciami andare, ti prego”.
L’altra toglie il dito e sorride. “Certo, Pao. Come ti senti?”.
“Mi hai fatto un po’ di paura”. Si alza in piedi. “Sei decisa
a farmi … quella cosa?”.
Scuote il viso. “Paura sprecata. L’ho già fatta”.
“Già fatta? Ma… io non ho avuto ricordi di niente”.
“Non sforzarti di richiamarli. La cultura, in un certo senso, è
ciò che si è dimenticato. Ciò che è sedimentato
e fa parte di noi”. Nota lo sguardo perso dell’altra. “Pao… mi ascolti?”.
“Sì. Stavo pensando al riassunto che ho lasciato a metà…
avevo trascritto cose senza capirle! Aspetta…” . Va ad aprire la sua borsa,
lasciata a terra nell’ingresso. Ne estrae la rivista, Concrete,
ed inizia a sfogliarla avidamente. “Carol! Ora capisco tutto quello che
c’è scritto! Lo potrei perfino spiegare con parole mie!”. Riapre
il suo notes, alla pagina del riassunto. “Questo l’ho scritto poco fa.
Che sciocca! Le uniche cose che avevo compreso erano quelle senza importanza!”.
“Funziona anche meglio di quanto sperassi!”, gioisce Carol. “Adesso
richiamo anche le altre gocce. Ho un pacco regalo anche per loro”. Serra
le palpebre per un attimo, con espressione assorta. “Saranno qui tra poco”.
Pao alza lo sguardo dal notes. “Carol… e Vera?”.
La bionda riapre gli occhi. “Pensa che bella sorpresa le faremo! Tornerà
a casa, tutta crucciata perché le cose non vanno avanti, e le troverà
bell’e fatte!”.
“Ma… questo non è scavalcarla?”.
“Cosa vuol dire?”. Scuote le spalle, quasi offesa. “Dov’è lei,
adesso? E’ a copiare memorie? A filtrarle? Non credo! Scommetto che è
da Michel a sospirare”. Torna a sorridere, decisa. “Quando tornerà,
c’è il regalo anche per lei. Biologia e genetica. Sarà contenta.
DEVE esserlo!”.
Pao esala, quasi inudibile: “Ne dubito”.
“Peggio per lei”. Nota un tremolio nell’atrio, dal quale sta per emergere
una figura umana. “Ormai è una questione di minuti”.
Ufficio dell’Interpol, Washington.
‘Invisibile’ . INVIO.
L’agente si rilassa, mentre il motore di ricerca scandisce milioni
e milioni di siti web alla ricerca di quella parola.
Nell’attesa, si pulisce gli occhiali appannati, scostando un ciuffo
di capelli biondi che tornano ostinatamente a pararsi davanti agli occhi.
Si accarezza la barba cortissima, perennemente di una settimana, che gli
dà l’aspetto di un adolescente troppo cresciuto e troppo sicuro
del suo fascino alla Brad Pitt.
Guarda la stanza attorno a sé, disordinata, impolverata e piena
di cimeli esotici. Nonostante gli oggetti misteriosi che ci ha portato,
fa molta fatica a considerarla il suo ufficio. La usa pochissimo, perché
il suo lavoro lo porta nei luoghi più impensabili e nei ruoli più
disparati. Anche l’edificio ed il distintivo dell’Interpol gli sono quasi
estranei, solo una copertura. I suoi veri superiori sono ai vertici di
un’agenzia che egli non nomina mai.
Gli occhi tornano sullo schermo con i primi risultati della ricerca.
Caspita, un milione e mezzo di siti contengono la parola Invisibile!
Recensione di un romanzo di sottomarini, pubblicità di una
crema per le rughe… inutile!
Proviamo ad affinare la ricerca. ‘Invisibile+ mistero’. INVIO.
Anche questa volta la risposta si fa attendere.
Sbuffando, l’agente si riguarda i suoi vecchi cimeli appesi alla parete.
Quel mascherone apparteneva ad uno stregone africano che si vantava di
essere l’unico a poterlo indossare, e di saperlo usare per far morire i
suoi nemici con un semplice rituale. Era temuto e riverito per questo.
Chissà se lo è ancora, dopo che gliel’ha sottratto?
Comunque, tutte le prove di laboratorio hanno dimostrato che il mascherone
è innocuo, può uccidere un uomo solo se glielo si dà
in testa. Caro stregone, è meglio che provi con un notes.
Alza gli occhi. La prima pagina è visualizzata sullo schermo.
‘Credete nel mistero dell’invisibile…’. Bah, una setta. Continua
a scorrere le righe.
‘Incredibile allarme in una piccola fabbrica. Donna invisibile ruba
un tornio…… la scomparsa dell’oggetto avvolto nel mistero… ritrovato un
tornietto giocattolo al posto della macchina sparita…’. Ma che cavolo…
questo è il Midgale Herald, sette agosto. E’ un quotidiano serio,
non una rivista di mistero per creduloni.
Con un doppio click, fa apparire l’articolo e la fotografia.
Mmh, il tono dell’articolo sembra ironico, fa quasi ridere. Però
si dice che il giocattolo è stato acquisito dalla polizia.
Strano, riflette. Nelle sue vecchie visite ai negozi di modellismo,
non aveva mai notato che esistessero modellini di macchine utensili.
Estrae il suo palmare, visualizzando una rubrica costellata di sigle
criptiche. Ecco… ho già un impegno a Midgale nel prossimo futuro.
Bene, non sarà difficile combinare anche un colloquio con questo…
dov’è scritto… ecco, questo sergente Grinder. E se sotto questa
storia buffa c’è qualcosa di interessante, io lo scoprirò.
Parola di Ralph Sylla.