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Autore: R e d_V a m p i r e     08/02/2014    1 recensioni
«Certo che è strano.» ammise, dopo qualche istante di silenzio, guardando il bambino rincorrere la sua creatura lungo il vialetto «Non avevo mai visto uno stregone con un bambino. Non pensavo nemmeno che potessero essere dei buoni genitori.»
[IV°] [Shadowhunter!Magnus/Warlock!Alec - Sorpresa]
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali - Questa sottospecie di banner è una mia creazione, modificato da me ('nsomma) e quindi ci terrei che non venisse usato impropriamente (se mai a qualcuno venisse un'idea così malsana e avesse gusti tanto orrendi, ecco). Le foto non sono però di mia proprieta, obviusly.
Seconda cosa, per seguire questa raccolta vi suggerisco di leggere prima  ''It's more painful to separate from those who know too little time.'' e ''Memory is the diary that we all carry about with us.'' dell'altra mia raccolta all'attivo. Giusto per capire di cosa si tratta e perchè c'è uno stravolgimento del genere dei personaggi (quindi no, non sono impazzita).
Dedicata ad una certa TonnaH, che mi ha stressato l'anima per averla su questi schermi. Prendetevela con lei.
Pace and Love (e buona lettura).










In questo mondo non c'è posto per le cose tristi.
Nessun posto.

[Kitchen - Yoshimoto Banana]





Da tre anni a quella parte, il tredici Ottobre il mondo si fermava per Magnus. Sarebbe potuta accadere qualunque cosa, nemmeno lo squillo delle trombe del Giudizio Universale l'avrebbero potuto richiamare all'ordine e ricordargli i suoi doveri.
All'inizio all'Istituto si preoccupavano, ma dal secondo anno in poi avevano smesso di cercarlo in ogni dove. Semplicemente sembrava sparire, lasciando la sua camera nel solito tripudio di caos anche se i colori accesi che di solito la differenziavano dalle altre dei ragazzi Lightwood venivano offuscati dalla predominanza di nero con cui bardava le finestre ed il letto.
Quella era una delle tante stranezze del Cacciatore indonesiano.
Per i Nephilim il colore del lutto era indiscutibilmente il bianco, eppure Magnus si rifiutava di portalo preferendo il colore tradizionale che i mondani solevano utilizzare in quelle occasioni; oh, non tutti effettivamente, però era convinto che quelle tonalità cupe riuscissero a dimostrare meglio ciò che albergava nel suo animo.
Aveva indossato il vestito bianco con i marchi rossi, al funerale, questo lo ricordava bene. Unicamente perchè la madre aveva desiderato così. In fondo quello che bruciava sulla pira era un valoroso membro del Conclave, non certo un essere umano qualsiasi.
Il ragazzo si era sentito a disagio con tutto quel candore a contrasto con le fiamme che divoravano il corpo bardato di suo padre e la puzza di cenere nell'aria. Era stata talmente soffocante che aveva sentito gli occhi pungere fastidiosamente. O, almeno, era quello che aveva preferito credere mentre Jace al suo fianco gli stringeva una spalla in silenzio, vestito di bianco anche lui. Avrebbe voluto prenderlo in giro come suo solito, sfotterlo perchè così immacolato sembrava proprio un angioletto - e del resto, candido e puro quel ragazzo non lo era mai stato. Ma non c'era riuscito, semplicemente.
Ricordava di aver sentito rimbombare fra i vari presenti l'ultimo saluto per i Cacciatori, ma non era riuscito ad unirsi al coro. Sembrava che la sua voce non ne volesse sapere di collaborare. Aveva persino rifiutato di scendere giù, alla Città d'Ossa, per consegnare i resti alla cripta di famiglia; guadagnandosi tra l'altro un'occhiata risentita da parte di sua madre. Ma non importava veramente. Il vaso cinese che stringeva fra le mani non era certo suo padre.
Il giorno dopo fu come essersi svegliati da un sogno, come se nulla fosse successo. Indossati di nuovo gli abiti del Cacciatore era andato a scacciare qualche demone dalle fogne della città insieme a Jace e Izzy. Aveva ignorato i loro sguardi preoccupati per il sorriso che brillava sul suo volto e li aveva sfottuti perchè si erano fatti cogliere impreparati dall'attacco di uno di quegli obrobri.
Andava tutto bene.
E così era per tutto l'anno. Per trecentosessantaquattro giorni sembrava che per Magnus non fosse mai successo nulla. Era lo stesso ragazzo eccentrico ed ironico di sempre, il Cacciatore accanito e il fan delle stranezze dei mondani. Pareva che il dolore per la perdita fosse stato cancellato, lavato via con un colpo di spugna. Semplicemente dimenticato.
Ma quell'unico giorno deponeva le armi. E guardava in faccia la realtà. Per quanto poco gli piacesse.



Non sapeva se ci fosse davvero freddo, lì. Non ci aveva mai fatto caso, le altre volte che c'era venuto, malgrado fossero davvero poche visto e considerato che non amava affatto far visita ai Fratelli. Li trovava in un certo qual modo forti, vero, ma diamine se riuscivano ad essere anche così fottutamente inquietanti!
Per fortuna Fratello Geremia l'aveva lasciato in pace relativamente presto, facendogli il favore di non frugare nei suoi pensieri come si fa col cassetto delle mutande. Paragonare la propria mente ad un alcova di slip e boxer non era certo il massimo, ma se sentivi Isabelle la definizione non avrebbe che potuto essere più esatta di così; del resto Magnus pareva avere interessi per poco altro che non concernesse il far fuori demoni, lo sfottere vita natural durante Jace e il vestirsi in modo decisamente imbarazzante. Ed i piaceri della carne facevano ovviamente parte della esigua lista.
La cripta della famiglia Bane non era tanto diversa da quella di altre famiglie di Nephilim. Se si sporgeva appena poteva notare quella dei Fairchild e dei Wayland poco lontano. Certe volte si era chiesto se il suo parabatai venisse a trovare il padre, ma non avevano mai imbastito la conversazione. Entrambi sentivano quando c'era una cosa di cui era meglio non parlare.
Sospirò, dondolando sulla punta dei piedi, prima di tornare a guardare lo stemma di famiglia. Erano due spade angeliche incrociate davanti al simbolo dell'Angelo. Il suo cognome non aveva uno dei significati più lusinghieri, ma chi aveva forgiato quello stemma era riuscito comunque a dargli un'impronta meno macabra; la morte simboleggiava il mezzo per eseguire il volere di Raziel e proteggere il mondo. Era una morte necessaria per la rinascita e non elargita indiscriminatamente.
Ricordava che da piccolo si era lamentato quando il padre gli aveva spiegato quelle cose, chiedendogli perchè non potevano avere uno stemma più bello. Un sole che tramontava, od una tigre. Il Cacciatore dagli occhi verdi - era un misto di diverse razze, suo padre, malgrado i tratti orientali. Cosa che aveva ereditato anche lui - lo aveva guardato con quel suo sguardo buono e determinato, poggiandogli una mano sul capino scuro. Poi aveva sorriso, rimbrottandolo bonariamente di dover essere più fiero delle sue origini e di non essere geloso. Lui si era dimenato, lagnandosi per i capelli scompigliati e scappando dalla madre.
Ora non sapeva cosa avrebbe dato per poter avere di nuovo quella mano grande ad accarezzarlo e rovinargli l'acconciatura.


«Quisque faber fortunae suae»
Il Cacciatore sobbalzò nell'udire il motto di famiglia. Lo stesso che stava inconsciamente accarezzando, inciso sulla pietra, poco sopra lo stemma.
«''Ognuno è artefice del proprio destino''. Una considerazione ardita, per un Nephilim»
Il ragazzo che si era chinato al suo fianco aveva il volto in ombra per via del cappuccio scuro di un mantello allacciato al collo in una foggia che decisamente non era di quei tempi. Nonostante non potesse vederlo bene in viso, riusciva a cogliere il baluginare dei suoi innaturali occhi azzurro acceso.
La sua voce era calma come sempre, a tratti distaccata e, soprattutto, con una sfumatura malinconica di cui non riusciva a liberarsi.
Magnus sbattè un paio di volte le palpebre, prima di voltarsi di nuovo a guardare l'incisione che sentiva fredda e liscia sotto le dita.
«Forse. Ma a noi è concesso il libero arbitrio e sono le nostre scelte a determinare quello che viene chiamato destino.» mormorò, ritirando la mano e stringendosela al petto. «Così, almeno, diceva sempre il mio vecchio.»
Non che, effettivamente, suo padre fosse tanto anziano quand'era morto. Una quarantina e più d'anni. Tutta la vita davanti. E il suo destino se l'era scelto, andando a combattere per un mondo che non l'avrebbe mai ringraziato.
Lo Stregone al suo fianco tacque, osservando la tomba. Il suo respiro era lento e regolare, il suo petto si notava alzarsi appena sotto la stoffa.
Il Nephilim si chiese cosa ci facesse lì. Per trovarsi nella Città d'Ossa significava che era stato richiamato dai Fratelli Silenti. O forse stava lavorando ancora per il Conclave?
«Tuo padre era un uomo saggio, ma certi destini sono scritti sin dall'inizio. Qualunque strada tu prenda, l'arrivo non muta.»
Il ragazzo più giovane sbuffò, alzando gli occhi verde dorati al cielo.
«Che visione rosea della vita, mister simpatia»
Il Figlio di Lilith si voltò di poco verso di lui. Il viso era ancora in ombra, ma poteva vedere le labbra pallide appiattite in una linea dura e gli occhi cangianti farsi di un blu più scuro e meno luminoso.
«Parli perchè sei ancora un ragazzino, Magnus Bane. Se tu-»
«Nel nostro mondo» lo interruppe il Cacciatore, sorridendo lievemente. Le sue labbra avevano preso un'angolazione amara, quasi nostalgica. Stava guardando l'incisione come se avesse davanti una foto, e non parole. O così ne ebbe l'impressione l'altro. «Nel nostro mondo non c'è posto per le cose tristi, Alec. Nè per esserlo.»
Sgranò gli occhi, il Cacciatore, quando con un fruscio di stoffa il Nascosto si sedette al suo fianco, appoggiando le mani sulle ginocchia in una posa austera.
Il cappuccio gli era caduto, liberando i lisci capelli corvini e il viso bello e chiarissimo di Angelo triste. Malgrado sapesse perfettamente come in lui scorresse sangue di demone.
Aveva abbassato il viso, Alec, ma poteva notare il leggero rossore sulle guance. Da che lo conosceva aveva imparato come fosse facile quella pelle a tingersi in quel modo, quando lo Stregone era a disagio. Lo trovava buffo, ma sembrava proprio che l'essere, per quanto antico fosse, non riuscisse a rapportarsi con certe cose.
«Capita, però, che quel tempo si riesca a ricavarlo. Siamo artefici del nostro destino, no?»
Magnus attese un secondo, mordendosi il labbro inferiore, poi si azzardò a posare il capo sulla spalla dell'altro ragazzo. Si sentiva stanco, tanto stanco.
Al punto da stupirsi, ma alla fine nemmeno così tanto, quando avvertì il braccio dello stregone circondarlo e stringerselo contro, quasi goffamente. Come se non fosse abituato ad abbracciare o consolare le persone.
All'improvviso non sentì più freddo, ma chiuse gli occhi. E ringraziò mentalmente Alec, che finse di non notare le lacrime libere di scorrere sul suo viso e di infrangersi sul mantello.
«Ave atque vale, papà»


   
 
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