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Autore: Eloise_Hawkins    08/02/2014    8 recensioni
La guerra non si è ancora conclusa: mentre Harry Potter cerca disperatamente gli ultimi Horcrux, Voldemort conquista Hogwarts, ora sua roccaforte. La popolazione magica vive nel terrore, nascondendosi in piccoli gruppi e cercando di sopravvivere nonostante le continue incursioni dei Mangiamorte.
In questo clima di terrore e violenza, l’Ordine della Fenice, o almeno ciò che ne rimane, come la creatura da cui prende il nome tenta di risorgere dalle sue ceneri, accogliendo sotto la sua ala protettiva chiunque ne abbia bisogno ma, soprattutto, chiunque sia disposto a combattere.
Hermione Granger milita tra le fila del Bene, prima combattente in ogni battaglia. La sua concentrazione, però, vacilla quando Draco Malfoy, pur avendola riconosciuta nonostante il suo travestimento, la lascia libera di scappare. Perchè? E cosa nasconde lo sguardo grigio di quel ragazzo?
La guerra è ormai alle porte: un'ultima possibilità, una sola speranza, per chi nella vita ha fatto solo scelte sbagliate. E, forse, per chi ha ancora la possibilità di commetterle.
Ispirato a "Espiazione", di Ian McEwan
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Luna Lovegood, Neville Paciock, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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11.




Il male minore

 

 

Draco fu svegliato da un rumore basso e profondo, un fruscio cupo che, però, nel silenzio delle prime luci dell’alba risuonò tetro, potente come un tamburo di guerra. Quando aprì le palpebre, con uno scatto di paura che era frutto di quegli ultimi anni battaglie e terrori, due grandi occhi scuri lo stavano fissando.

« Che stai facendo? » domandò con voce gracchiante, ancora vagamente impastata dal sonno, sobbalzando indietro e battendo la testa contro una delle sbarre di legno della sua cella. Mentre la vibrazione si smorzava nell’aria lattiginosa di un’alba fredda e vuota, Neville si alzò in piedi. Non si scompose nemmeno dopo l’occhiata glaciale dell’altro, e continuò a fissare Draco con solenne serietà.

« Devi andartene. Ora » disse, per poi indicare la porta della sua prigione, aperta. « Vai, prima che sia troppo tardi » Si alzò in piedi e lo strattonò forte, tirando la manica della sua camicia, ormai sudicia, e tentando di sospingerlo verso l’uscita. Draco si divincolò da quella presa e gli scoccò un’occhiata obliqua.

« Perché? » ringhiò, come un animale ferito. Oltre la figura slanciata del ragazzo, il fu Serpeverde intravedeva lame di luce pallida e opaca, pennellate d’oro e arancio che davano persino a quell’accampamento, persino a quella cella, un’aria rassicurante.

« Questo non è più un luogo sicuro per te » replicò Neville con tono estremamente serio, guardando il biondo fisso negli occhi, come se volesse imprimergli nella mente lo stesso timore che attanagliava il suo cuore ma di cui, era evidente, l’altro non si curava. Lo dimostrava la risata, fredda e roca, che gli sfuggì dalle labbra, forse un primo sintomo di pazzia, che Neville accolse con un cipiglio perplesso e incerto.

« Non lo è mai stato » sputò Draco con rabbia, raddrizzandosi e acquistando la stazione eretta. Fronteggiò il ragazzo con orgoglio e fierezza, e nei suoi occhi grigi lampeggiò, per un istante, quella luce arrogante che gli era appartenuta molti anni prima, in tempi ben diversi da quelli che stavano vivendo ora.

« Vattene, Malfoy. Vattene adesso, prima che sia troppo tardi » Il tono di Neville era profondo e duro, e nella sua voce c’era l’eco di una paura che l’altro non riuscì a identificare, a cui non sapeva dare un nome. « Hai combinato un bel casino stanotte, e… » Non fece in tempo a finire. L’ira dilagante che saettò nello sguardo di Draco non lo spaventò, perché sapeva che era una collera innocua, ma lui riuscì comunque a vedere l’esatto istante in cui qualcosa si frantumò dentro quelle iridi metalliche, torbide di un sentimento che non aveva fatto in tempo a nascere, prima che una tempesta inclemente strappasse quelle radici fragili.

« Hai fatto di tutto perché succedesse » urlò Draco, incurante del fatto che la sua voce, così acuta e stridula, avrebbe potuto svegliare tutto l’accampamento. Incurante, infine, persino del fatto che stava ammettendo un amore che aveva tenuto nascosto troppo a lungo. « E ora mi dici che devo andarmene. Adesso che… » La voce gli si spezzò nel momento in cui l’emozione violenta di quella notte raggiunse la gola.

Neville prese un profondo respiro, prima di replicare, con una calma che non si rifletteva nell’altro: « Se la ami davvero, vattene via prima che ti veda morto ».

Il volto di Draco rimase una maschera di implacabile durezza. Una scintilla vibrò negli occhi cinerei del giovane, prima che questo rispondesse, in un sibilo glaciale: « Se me ne vado sono già morto ». Una sfumatura di panico gli colorò la voce, stemperando l’atonia  delle sue parole.

 Per qualche minuto, tutto rimase silente. Neville non replicò alle sue parole, perché sapeva che aveva ragione; Draco si limitò a fissarlo con la consapevolezza che tutto stava finendo proprio quell’istante: le sue speranze si erano appena infrante dentro lo sguardo di un ragazzo che aveva deriso, disprezzato, odiato, e che ora rispettava nel silenzio di un giorno senza fine.

« Malfoy! » Quel nome, urlato da una voce aspra, colma di rabbia e disgusto, più che un richiamo era un’accusa, denigratoria ma falsa. Malfoy non era esattamente quello che era, ma solo quello che rappresentava. Malfoy era la fonte originaria dei suoi problemi. Quanto gli sarebbe piaciuto, ora come nove anni prima, liberarsi dalle catene del suo nome e vivere la sua vita privo di condizionamenti, libero di scegliere e di sbagliare. Ma era già troppo tardi per farlo: aveva perso la sua occasione molto tempo prima, quando aveva permesso ad altri di disporre della sua vita. Ora, quello che rimaneva da fare non sarebbe stato semplice, ma era l’unica via che poteva percorrere.

Si voltò verso Ronald Weasley, che procedeva a grandi passi verso di lui, con una calma gelida sul viso. Lo guardò senza paura, anche mentre lui ricambiava con odio il suo sguardo.

« Neville, vattene via » L’attenzione di Ron era tutta per Malfoy: nonostante si fosse appena rivolto all’amico, non l’aveva guardato nemmeno un istante, liquidandolo con un rapido cenno della mano.

« Ron, per favore, ascoltami » Neville si frappose tra Ron e Draco, tentando di evitare l’inevitabile. « Non c’è bisogno di arrivare a questo. Non ne abbiamo bisogno, adesso. Dobbiamo pensare alla guerra, a Vol… » Il tentativo di farlo ragionare naufragò dentro i suoi occhi, che fiammeggiavano di collera repressa e astio puro.

« Neville, non sono affari che ti riguardano » scandì lentamente, scoccandogli un’occhiata rabbiosa che costrinse l’altro a chinare il capo con fare rassegnato. Forse Ron aveva ragione: non erano affari che lo riguardavano, e aveva interferito già troppo.

Neville emise un sospiro, e prima di uscire dalla cella, lanciò un’occhiata dispiaciuta a Draco, come una richiesta di perdono.

Il sole era ormai sorto, e le luci argentee che filtravano oltre lo spesso velo di nuvole cineree illuminavano d’una luce falsa e irreale tutto l’accampamento. Le urla di Ron e Draco avevano svegliato la maggior parte dei presenti, che si erano riuniti attorno la piccola prigione di legno e ora guardavano i due contendenti con il fiato sospeso, come in attesa.

Se Ron aveva ancora un barlume di dubbio e compassione a frenarlo, nonostante la bacchetta stretta nel pugno, Draco non aveva più alcuna incertezza.

« Sì, Paciock, vattene via. Weasley vuole uccidermi prima che sia troppo tardi » Un lungo ghignò si disegno sul suo volto, ora increspato da un cipiglio sarcastico, malvagiamente divertito. « Perché ha paura che gli porti via la ragazza ».

Se Ron fosse stato un po’ più sicuro di sé, l’avrebbe senz’altro ucciso all’istante: sarebbe bastato alzare la bacchetta, puntargliela al petto, urlare quell’incantesimo, temuto e desiderato al tempo stesso. Malfoy sarebbe caduto senza far rumore, e lui avrebbe bevuto l’ultima goccia di vita del suo corpo, con il piacere della vendetta a vibrargli dentro. Avrebbe potuto farlo, se fosse stato certo che Hermione non l’avrebbe rimproverato per tutta la vita, che lei non lo avrebbe odiato per tutta la vita. Ma Ron era stato via per due anni; due lunghissimi anni in cui di Hermione aveva avuto solo notizie sporadiche, sussurrate di nascosto da alleati incontrati quasi per caso. Anni in cui di Hermione era rimasto solo il profumo, ad aleggiare nell’aria dei ricordi più dolci.

Perciò, Ron mantenne il braccio inerte, lungo il fianco. Non parlò, mentre stringeva la bacchetta quasi convulsamente, fino a far diventare le nocche bianche. Una risata lugubre e bassa fu tutto ciò che gli sfuggì dalle labbra.

« Hermione non potrebbe mai amare uno come te » sputò quelle parole con la sicurezza di un disgusto certo e, nonostante le apparenze, il suo tono e quell’enfasi maldestra ma voluta, andarono a segno.

Draco respirò a fondo ma qualcosa nel suo stomaco si contorse violentemente. Il suo viso rimase una maschera imperturbabile: il ghigno sul suo volto si accentuò, ma era una smorfia a metà, qualcosa che non arrivava a illuminare anche gli occhi.

« Naturale. Perché dovrebbe quando può avere uno come te » ricambiò con lo stesso disprezzo usato da Ron, marcando con forza sulle ultime quattro sillabe, e accompagnando le sue parole con un’espressione cattiva.

« Tu non la meriti » L’urlo di Ron proveniva direttamente dal cuore, e fu tanto forte e intenso che, per un attimo, gli invisibili confini di protezione che accerchiavano l’accampamento vibrarono violentemente, per poi riassestarsi subito dopo. Uno stormo di uccelli, disturbato dall’eco di quelle grida profonde, si alzò in volo nel cielo, preferendo altri alberi più quieti per il riposo mattutino. La magia che era esplosa dentro il ragazzo crepitò ancora per qualche istante sulla punta delle dita, per poi estinguersi dentro lo sguardo incredulo di Hermione, arrivata in chissà quale momento di quel litigio.

Draco la vide con la coda dell’occhio, al di là di quelle sbarre che, per lui, non erano solo barriere fisiche: accanto a lei, Ginny osservava la scena con cipiglio scettico. Non ebbe bisogno di pensare, per sapere cosa doveva fare. Le parole gli uscirono dalle labbra prima che avesse il tempo di riflettere, o di fermarsi.

« Pensi davvero che m’importi qualcosa di una schifosa Sanguesporco come lei? »

Lo disse perché sapeva già come sarebbe andata a finire. Lo disse perché il suo destino era quello di uscire da quell’accampamento e venire massacrato in una guerra in cui non aveva creduto nemmeno un istante. Lo disse perché lesse negli occhi di Hermione la scelta che avrebbe fatto, e perché era la cosa giusta: dentro lo sguardo di quella donna a lungo amata, Draco aveva imparato a leggere un alfabeto diverso da quello della sua vigliaccheria. Forse lei non se ne sarebbe mai resa conto, ma voleva renderla fiera di lui, farle capire la portata del suo amore. Lo disse, e mentre lo diceva un tremore segreto e violento gli squassò il cuore. Era il male minore, per lei; perciò lo disse. Perché tutto quello che Hermione doveva fare era vivere, seguire la strada che aveva davanti e scoprire il proprio futuro. Un futuro che con lui non avrebbe potuto avere, perché l’avrebbe portata tra le braccia della morte. A Draco, invece, pareva che la sua vita si sarebbe svolta tutta in una stanza priva di porta.

Davanti a lui, Ronald Weasley lo guardava in cagnesco, il viso contratto da una rabbia che non era deflagrata solo perché il suo migliore amico lo aveva frenato con un’occhiata ammonitrice.

« Ti devi guadagnare il tuo posto qui » sputò quelle parole scandendole con rabbia, e ogni sillaba sembrava distillata nell’odio e cresciuta nel rancore.

« Io non devo niente a nessuno » replicò Draco con altrettanta enfasi, il volto contratto da una collera che deformava i lineamenti nobili. Se sua madre l’avesse visto in quel momento, non avrebbe affatto apprezzato quel modo barbaro di porsi con una creatura a lui inferiore, mostrando sentimenti eccessivi che l’altro non meritava. Ma sua madre, si disse lui, era lontana, dispersa, dimenticata.

« Allora fuori » Ron ruggì quelle parole come se fossero un tuono, potente e foriero di una tempesta che difficilmente avrebbe potuto terminare in quel momento, in quel luogo.

Forse era proprio quella sensazione di eterno che spinse Hermione a voltare le spalle a entrambi, a tutto – Ron, Draco, la cella, le persone intorno a lei, l’accampamento, tutto – e fuggire, andare lontano da quelle urla, dai litigi, forse persino dalla guerra – perché quella era una guerra che non poteva vincere, quella del cuore, non poteva sconfiggerlo, non poteva uscirne integra, trionfante, non avrebbe potuto, nemmeno se avesse voluto. Perciò Hermione girò le spalle a entrambi, senza dire una parola. E nel silenzio di quel gesto il mondo ammutolì per un istante.

 

***

 

Silenzio nella foresta. Lontano, bubbolii di gufi e il fischio del vento. Attorno a lei, fruscii.

Un sottile mantello bianco copriva il suolo di quella foresta dimenticata. Erano diventate ghiaccio e polvere le foglie autunnali, tinte di rosso e oro, che qualche mese prima avevano abbandonato le braccia forti e sicure di alti alberi secolari, i quali avevano vissuto millenni e visto forse battaglie impetuose e sanguinarie molto più di quella che adesso si stava combattendo nel cuore della giovane strega.

Un vento implacabile, impolverato di neve, percorreva le campagne del confine francese. Tra i capelli di Hermione si imprigionarono fiocchi di neve candida, pura come lei non era mai stata. La neve le accarezzò il viso accaldato, sciogliendosi sotto il tocco impetuoso di una lacrima. Le ciglia imperlate di dolore, le gote arrossate dal pianto, Hermione era china su una tomba anonima, solo una tra le tante. Sconfitta.

Nemmeno lo scricchiolio che annunciava l’arrivo di qualcuno riuscì a scuoterla da quel torpore. In silenzio e immobile, la giovane strega rimase china su quel cumulo di terra, le unghie affondate nel suolo, incrostate di sporcizia e costellate di cicatrici.

Ginevra Weasley le si sedette accanto senza dire una parola. L’eleganza innata dei suoi modi contrastava fortemente con quel carattere ribelle e indomabile che, lei sapeva, le apparteneva più di quell’orrendo sfregio che le tagliava la faccia a metà.

Per moltissimi minuti, l’aria fu riempita solo dal ritmo incerto dei loro respiri. La neve ricominciò a cadere quieta, depositandosi sui capelli rossi di Ginny con una carezza gentile, e sfiorandole la cicatrice sul volto con dita gelate: sembravano lentiggini bianche e invisibile sul candore della sua pelle.

« Ti ha fatto male? »

Non era una domanda stonata. Avrebbe potuto sembrarlo, in quel silenzio; nel tacito riposo di un bosco il mutismo in cui entrambe si erano chiuse sembrava quasi obbligatorio, un dolcissimo oblio dettato dalla necessità, e dal caso. Eppure, quelle parole, rumore bianco nella pace della foresta, non erano inappropriate, né sbagliate. Non erano sbagliate le parole, non era sbagliato il momento, non era sbagliato niente, neanche quel tono quieto, in concordanza con la serenità di quel luogo, che nascondeva, a dispetto delle apparenze, un caos irrefrenabile sotto la superficie di muta quiete.

« No » Quello di Hermione era un sussurro, ma sorpreso. Non era chiaro se Ginny si riferisse alle parole di Draco o a quel bacio rubato, ma lei non ebbe bisogno di chiedere conferme. Non le aveva fatto male quel bacio, non l’avevano ferita quelle parole. No, era la risposta universale. No, era quello che sentiva di dover rispondere, nonostante il meravigliato stupore con cui le pronunciò, con una semplicità spiazzante, come se quella risposta fosse stata lì da sempre, ad attenderla. No, era la risposta giusta, ed Hermione non poté fare a meno di chiedersi se non fosse la domanda, ad essere sbagliata.

« Allora perché stai piangendo? » Non era un’accusa. Nel tono di Ginny non c’era traccia di rancore o amarezza, la sua voce era come un fievole sussurro, delicato e neutro.

« Perché… » La voce di Hermione si spezzò nell’esatto momento in cui la lacrima che le era rimasta impigliata tra le ciglia le scivolò lungo la gota. « Perché le sue labbra mi hanno detto un’altra cosa, Ginny »

Non si stavano guardando negli occhi, ma nessuna delle due ebbe bisogno di farlo: per vergogna o per discrezione, non si scambiarono uno sguardo, ma entrambe capirono quanto quelle parole nascondessero, di implicito.

Ginny strinse le labbra: una linea sottile e imperscrutabile assottigliò la bocca carnosa, stringendo tra i denti parole che non aveva intenzione di dire ma che le erano risalite su per la gola, indesiderati ospiti. Quando parlò, la sua voce era debole, come se fosse rotta dal pianto.

« Stanno partendo »

E non ci fu bisogno di dire altro.

 

***

 

A un passo dall’accampamento, forti schiocchi rompevano l’equilibrio instabile di quel giorno. Uno dopo l’altro, i membri dell’Ordine della Fenice si stavano Smaterializzando, diretti verso mete sconosciute a tutti eccetto che a loro stessi.

Quando Hermione vide un lampo rosso sparire nel buio profondo della notte inglese, capì di non avere più scampo. Il cuore le martellò forte contro il petto quando si fermò, con il fiato corto e una cascata di riccioli a velarle gli occhi e il viso.

« Chi sei venuta a salutare? » La voce di Ron era severa, ma addolcita da una nota di speranza malcelata, che saettava nei suoi occhi combattendo con la rabbia cieca. Hermione si voltò con uno scatto e quando incrociò gli occhi azzurri del ragazzo non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Qualcuno, nel viso dell’altro, mutò: la collera si incrinò e andò in pezzi lentamente, lasciando intravedere un altro sentimento, più morbido e conosciuto.

« Ron, non farlo » ansimò Hermione, compiendo un passo verso di lui. I suoi occhi vagarono incerti per l’accampamento, come alla ricerca di qualcosa. Quando puntò ancora una volta il suo sguardo su Ron, la sua espressione era dura e implacabile.

« Hai paura che gli succeda qualcosa? » Le sue narici si dilatarono al ritmo fremente del suo respiro.

« Non a lui, a te! » La giovane strega scosse vigorosamente il capo, nascondendo gli occhi dietro la massa di ricci ribelli che le ondeggiò attorno alla testa, e celando la sua ansia dietro la convinzione che l’amore aveva diritto ad essere disonesto e bugiardo.

Istintivamente, i suoi occhi cercarono quelli di Draco. Li trovò fermi ad aspettarli, come se non chiedesse altro che quello sguardo, da sempre. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, Sta’ attento, aprì la bocca per farlo, Mi dispiace, ma le parole le rimasero incastrate in gola, Torna da me, impigliate negli occhi, Draco, e alla fine non disse nulla.

È che a volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni. Draco l’aveva capito, per questo la guardò, con quello sguardo che era il primo ricambiato da una vita, e per questo era privo di paura e impregnato di un amore folle, inossidabile, eterno. I suoi occhi erano come mani invisibili che le sfioravano la pelle, spogliandola, amandola, adorandola come fosse una dea. Hermione non si era mai sentita così amata, prima di quel momento.

Così fa il destino: potrebbe filar via invisibile, e invece brucia dietro di sé, qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo ardono, quelli, disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.

Hermione si sarebbe portata dietro quello sguardo per tutta la vita, anche se non lo sapeva ancora.

Ron chinò il capo, e per un istante Hermione ebbe la certezza che lui avesse scoperto la sua menzogna. Ma quando puntò gli occhi su di lei ancora una volta, c’era dolcezza nelle iridi chiare che aveva imparato ad amare, e poi a odiare per l’attesa, nell’attesa che lui tornasse.

« Devo andare » sussurrò piano, ma stavolta con tono morbido. « Ma ti prometto che tornerò » Lo disse con fare rassicurante, allungando una mano verso di lei come se volesse toccarla, ma ritraendosi all’ultimo con una strana luce negli occhi. Hermione corrugò la fronte, perché quell’arrendevolezza con cui lasciò che il braccio precipitasse, inerme, lungo il fianco, sembrava proprio di un uomo sconfitto, che non si sente più all’altezza di niente. Fu allora che ebbe paura, per la prima volta davvero, una paura folle e intossicante che le annebbiò la vista. Quando riaprì gli occhi, Ron era scomparso, e aveva portato con sé anche Draco.

 

***

 

Un’alba umida e agghiacciante bagnava di bagliori ciechi la foresta. La nebbia era scesa durante la notte, avvolgendo con un vapore lattiginoso forme e colori e impacchettando tutto in una distesa lattea: la neve era stemperata dal grigiore opaco di quella foschia ingiusta.

Quell’atmosfera cupa rendeva la logorante attesa dell’accampamento una pena se possibile ancora maggiore. Ogni cosa taceva, dietro il velo lattescente di quella spessa bruma: nessuno osava fiatare, e con il capo chino ognuno aspettava: un segno, un miraggio, qualcosa.

Ma Hermione era stanca di aspettare. Aspettare senza sapere era una delle più grandi incapacità delle sue vita, e lei non sopportava di essere incapace in qualcosa. Perché, nell’attesa, aveva avuto lo spazio, già prima d’allora, per costruire enormi impalcature di significato, e dieci minuti dopo farle crollare, per sua stessa mano. Poi, riprendere da un punto qualunque, correggere il tiro di qualche centimetro per rendere la costruzione immaginata più solida; salvo poi vederla crollare di nuovo. Hermione non sapeva aspettare e non voleva farlo, perché sapeva che nell’attesa i mostri prendono forma e si ingigantiscono, mangiano le ore per crescere; sapeva che alla fine l’avrebbero mangiata viva.

Era per questo che si teneva impegnata, consultando piani d’attacco e studiando difese, rivedendo stratagemmi e punti d’offesa. Dopo due giorni di silenzio e due notti privi del consolatorio abbraccio dei sogni, ancora non si era stancata di fingere che non le importasse. Solo l’occhiata ammonitrice di Ginny riuscì a riportarla sulla retta via e la costrinse a ore di assoluto e sterile mutismo.

Nessuno si aspettava un silenzio tanto lungo, semplicemente perché quel piano, studiato da un Ron troppo accecato dalla rabbia e dall’odio, era quanto di più simile a un tentato suicidio potesse esserci. Per questo Harry e Neville gli avevano dato corda, per questo all’accampamento l’attesa era tanto tetra: non è mai facile aspettare la morte.

Perciò, quando, con uno schiocco di sterpaglie strappate al letto umido della terra, Ronald Weasley si Materializzò al centro dell’accampamento, tutti trattennero il fiato. Il ragazzo fece due passi, barcollò, cadde e si rialzò. Poi, con gesti lenti e misurati, alzò lo sguardo e cercò gli occhi di Hermione.

Hermione non li dimenticherà mai: quelli sono gli occhi di un uomo. Hanno dentro rancore e goffaggine, imbarazzo e dolore, colpa e soddisfazione. Hanno dentro la risposta che Hermione sa già.

«Devo dirti una cosa, Hermione»

Ron la guardò, e per un istante fu certo della sua scelta. Perché aveva scelto il male minore, e lo aveva fatto per Hermione.

 

 

 

 

 

Per sapere a quale epoca è rimandato il prossimo aggiornamento, consultate la mia pagina:

Eloise.

 

   
 
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