Capitolo
12.
Note
dell’autrice:
Lo
so, è passato un mese e sono
l’autrice più lenta che sia mai esistita.
Ma
piuttosto che scrivere una
schifezza preferisco aspettare. Anche se, molto probabilmente,
farà tutto
schifo lo stesso. In ogni caso, per voi che in questi giorni freddi
vorreste
qualcuno che vi faccia sorridere un po’, ecco un
po’ di concentrato di Peeta
tutto per voi. Hope you like it!
Pov
Peeta.
Manca
soltanto un mese al
matrimonio.
Sono
passate le stagioni senza
che nemmeno ce ne accorgessimo.
Siamo
passati con una velocità
assurda dal mettere le palline dorate sull’albero di Natale,
nascondendo anche
quest’anno le decorazione che Effie cerca costantemente di
rifilarci,
all’andare in giro per il Distretto 12 senza avere brividi di
freddo, sentendo
il calore fiacco del sole sbattere sulla nostra pelle, portando quel
po’ di
rilassatezza che può sempre servire.
E
mentre l’orlo delle maniche delle
nostre maglie si accorciava, la pancia di Katniss è
cresciuta a dismisura,
passando da un leggero gonfiore, sufficiente perché io la
potessi prendere un
po’ in giro, negandole i dolci del forno, ad un vero e
proprio pancione, teso.
Un
piccolo mondo assestante che
ogni tanto sussulta, a causa del piccolo terremoto che ospita.
Ed
ogni calcio che la bambina
tira, Katniss si annulla un po’ di più. Per quel
secondo, il sorriso svanisce,
la preoccupazione le scurisce il viso, la pressione scende per un
attimo, tanto
da doversi sedere per non crollare a terra. Gli incubi sono peggiorati
e le
occhiaie lo dimostrano.
«È
solo stress, manca poco al
matrimonio e anche alla nascita della bambina…Sono solo un
po’ sotto pressione,
ecco tutto.» È così che tenta di
giustificarsi, quando le reggo la fronte per
le nausee mattutine, quando sviene all’improvviso e il mondo
sembra crollarle
sotto i piedi.
Ogni
volta, reprimo un «Non è
solo stress» per non agitarla ulteriormente. Ma amare
qualcuno, averlo sempre
amato incondizionatamente, significa accorgersi di ogni piccolezza,
dare peso a
tutto, anche quando non è opportuno farlo. Quando
può portare a qualcosa.
Ho
deciso di invitare Gale a
cena con uno scopo preciso: scoprire se i miei sospetti, se gli incubi
che
nascondo da troppe settimane a Katniss, sono fondati o meno.
E
mai quanto oggi vorrei
sbagliare, vorrei dimostrare di non conoscerla affatto.
Il
problema potrebbe essere che
a Katniss di questa nostra cena non ho accennato nulla, con la scusa
che Effie
la porta fuori città per «una
grande
grande sessione di shopping!» di cui sono felice
di non conoscere nei
dettagli.
«Sei
bellissima, tesoro.» le
dico al volo, passandole la borsa nera ed aiutandola ad entrare nel
trench
regalatole da Effie giusto qualche anno fa che, ora come ora, inizia a
starle
stretto.
«E
tu sei sempre troppo
gentile. Sicuro di non voler venire?»
«Adoro
Effie, ma credo che
passerò, per stavolta. Ti aspetto.» le mormoro
gentile, mentre sento il cuore
stringersi per il senso di colpa. Katniss, ignara dei miei pensieri e
della mia
preoccupazione ormai perenne, si stringe a me con trasporto, leggera
nonostante
il peso acquistato in queste settimane, lasciando un piccolo bacio
all’angolo
della bocca.
Le
sue labbra patinate di
rossetto mi lasciano il segno e cerco di togliere le traccia
sfregandoci sopra
il dorso della mano, quando chiudo la porta alle mie spalle e, con gli
occhi,
inizio a seguire con ansia lo spostarsi delle lancette sul grande
orologio
della cucina.
Nemmeno
un minuto dopo,
qualcuno bussa alla porta, con una tale energia da poter attribuire
istintivamente a Gale. Di malavoglia, mi trascino verso il portone, che
apro
senza troppo entusiasmo. E come potrei essere euforico? Le gambe
tremano, la
mente si fa fitta di pensieri.
«A
cosa devo il piacere di
questa cena?» chiede ironico Gale, calcando con enfasi il
termine piacere, come
se fare quattro passi, dalla casa di Haymitch ed Effie alla nostra,
fosse stato
uno sforzo immane anche per un ex minatore come lui. Come se importasse.
«Sarà
tutto fuorché un piacere,
stanne certo. Entra, forza.» dico, a denti stretti. Il solo
vederlo entrare
nella nostra casa, poggiare con passo pesante le scarpe coperte di
fango sul
pavimento che io Katniss calpestiamo. È un intruso in quello
che io e lei
abbiamo costruito insieme.
Gale
si siede senza troppi
complimenti sul divano, sprimacciando un cuscino e poggiandolo sotto il
collo.
Come se fosse a casa propria, col suo amico di sempre.
«Non
voglio fare giri di
parole: c’è stato qualcosa tra te e Katniss, di
recente?»
Il
solo tirar fuori quel che da
troppo mi tormenta, il dirlo ad alta voce e non più solo
nella mia mente, mi fa
desiderare di poter sprofondare nel pavimento e non fare più
ritorno. Qualunque
sia la risposta di Gale, la soddisfazione per lui sarà
immane: anche se solo
per un istante, capirà che la sua presenza qui è
riuscita a farmi mancare la
terra sotto i piedi.
«E
perché non chiederlo alla
diretta interessata?»
La
voce che sento non è di
Gale, che se ne sta sul divano con una faccia a metà tra il
compiaciuto e il
sorpreso, ma Katniss che, con gli occhi lucidi neri del mascara colato,
sta
sulla soglia del portone, semiaperto.
«Katniss,
io…»
«No,
basta. Tolgo il disturbo.
Non posso vivere con qualcuno che non si fida di me.»
Prima
di andarsene, si avvicina
a me, il mio cuore fa un sussulto nella speranza che cambi idea. Con
delicatezza ed un movimento lento che proprio non le si addice, sento
qualcosa
scivolare piano nella mia mano fin quando Katniss la chiude,
andandosene senza
voltarsi.
Sento
le tempie pulsare quando
vedo cosa c’è all’interno della mia
mano: l’anello di fidanzamento, luccicante
e ancora bagnato dalle lacrime della persona che amo di più.