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Autore: I Fiori del Male    10/02/2014    3 recensioni
Alcuni credono che il nostro mondo sia governato da un’entità superiore, che traccia un percorso prestabilito per ciascuno di noi. Altri preferiscono pensare che caos e caso regnino sovrani. Nessuna di queste ipotesi è valida per Panem, dove la vita di ognuno si regge sulle scelte e sul coraggio che si deve avere per compierle, sull’abilità di governare le fiamme, notoriamente volubili, ma capaci di grandi cose, se utilizzate con abilità e saggezza.
- Io e Haymitch ci guardiamo, non appena lui raggiunge il palco, e senza che Effie lo dica ci stringiamo la mano con gli occhi fissi l’una nell’altro. Un accordo ci unisce. - [Capitolo I]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-12-

[Katniss POV]

 
 
Haymitch non parla. Borbotta ogni tanto qualcosa di assolutamente incomprensibile, esalando zaffate di alcol puro che rischiano di farmi salire il vomito. Confesso che vorrei entrare con lui durante l’ultima prova con gli strateghi; mi piacerebbe vedere cos’ha intenzione di combinare in questo stato. Non che non lo sapessi, visto che stamattina, appena sveglia, ho trovato Effie nel corridoio che camminava rapidamente avanti e indietro, sussurrando tra se in evidente stato di agitazione. Sulle prime non ho voluto crederci, quando mi ha detto che nonostante tutte le raccomandazioni Haymitch aveva scelto di prendersi una sbornia colossale anche la sera prima della valutazione, ma poi lui è uscito dalla sua stanza, forse infastidito dalla voce acuta di Effie, aggrappandosi alla porta scorrevole e finendo comunque in ginocchio a terra.
Per un attimo ho sentito una risata forte, fragorosa, salirmi su per la gola. Guardandolo di nuovo però, chino sul pavimento in preda alla nausea e al mal di testa, mi è passata la voglia di ridere ed è cominciata la rabbia. Capitol City è responsabile anche di questo.
 
Mi riscuoto dal pensiero della scena penosa di stamattina quando chiamano Seeder, del distretto 11, e Haymitch solleva la testa quel tanto che basta per posarle addosso lo sguardo acquoso per un attimo, proprio come ha fatto con Chaff dieci minuti fa. Sono suoi amici, a quanto ho capito, o forse nel caso di Haymitch sarebbe meglio dire che sono suoi compagni di sventura, essendo mentori a loro volta. Guardo Seeder anche io, attenta al suo portamento dritto e fiero. Sembra di osservare una pantera, con quell’andatura e la pelle scura. Ha i capelli ricci e scuri come quelli di Rue penso, con un tuffo al cuore.

Dieci minuti passano molto lentamente, nel silenzio di tomba che ci avvolge. Ripenso all’anno scorso, quando qui c’eravamo io e Peeta. Oggi posso dire che fosse un tipo di silenzio diverso. Carico di aspettative, forse perché Peeta ha sempre desiderato dirmi qualcosa.

- Haymitch Abernathy -  Una voce femminile, dalla nota leggermente metallica, richiama il mio mentore alla realtà. Il mio mentore. E’ qui affianco a me come tributo ma nonostante questa sua aria poco responsabile faccio fatica a non pensarlo come quello che dovrebbe stare dietro le linee a cercare di salvare il salvabile... non che ci sia qualcosa che si possa davvero salvare, in realtà.  
Si alza e si avvia verso l’entrata della palestra senza guardarmi. Apro la bocca per dire  qualcosa ma tutto quello che faccio è prendere bruscamente l’aria che all’improvviso mi manca. Cosa dovevo dire?

- Non vomitare – borbotto. Lui grugnisce in risposta, alzando stancamente una mano, mentre qualsiasi cosa mi fosse passato per la mente di dirgli svanisce nel silenzio.

C’è un orologio, appeso al muro di fronte a me sopra la porta d’ingresso della palestra. Le lancette girano con sorprendente lentezza. Un minuto dopo l’altro cerco di pensare a qualcosa da fare una volta varcata quella soglia, per impressionare gli strateghi, fare in modo che Plutarch Heavensbee si ricordi di me.  Ma del resto, c’è ancora qualcuno che non sappia chi sono?

- Katniss Everdeen –

Sussulto sorpresa quando mi chiamano, riscossa dai miei pensieri. Scopro in un attimo che non me ne importa niente. Qualunque cosa io faccia in quella palestra nei dieci minuti che mi sono concessi, non servirà a salvarmi.
Mi alzo ed entro velocemente nella sala. Subito il mio sguardo si posa su Plutarch, in piedi al centro del soppalco che ospita gli strateghi, ben protetti da un campo di forza. Li osservo per bene tutti, con le loro espressioni sprezzanti e palesemente annoiate, e in un attimo so cosa devo fare.
Ci sono dei manichini, in fondo alla palestra. Ieri Gloss li stava riempiendo di coltelli lanciandoli con impressionante velocità e precisione. Uno di questi ha uno squarcio all’altezza dello stomaco. Fisso il foro nella plastica grigiastra e sento il respiro che viene a mancare: sono nell’arena, il corpicino di Rue stretto tra le mie braccia, una lancia che sbuca dallo stomaco.

Mi sento sospesa nel tempo e nello spazio, al di fuori del mio corpo che già è vicino ai manichini e sta afferrando proprio quello che ha riportato a galla quei terribili ricordi. Lo stendo a terra, al centro della palestra, con gli sguardi degli strateghi puntati addosso. Non ci bado più di tanto e afferro una lancia dalla rastrelliera.
Con un brivido la infilo nel foro e, sapendo che non ho molto tempo a disposizione, corro alla postazione mimetica. Mi guardo attorno, ci sono ciotole mezze vuote ovunque, alcune addirittura rovesciate. Devono esser stati i morfaminomani, ma i colori che mi occorrono sono lì.

Io non so disegnare. Non sono Peeta, non ho il suo dono straordinario, ma quei fiori bianchi sono lì davanti ai miei occhi in attesa che io li dipinga. Faccio del mio meglio per ricoprire di fiori la fronte, le mani, i piedi, il pavimento attorno. Poi scrivo il nome di Rue sul petto, in rosso sangue, e mi scosto perché vedano. 

Plutarch ha la bocca e gli occhi spalancati. Mi porto le tre dita della mano sinistra alle labbra e le alzo al cielo per lei che non c’è più, fissandolo dritto negli occhi chiari. Mi guardano tutti, ormai indifferenti al cibo e alle bevande, ed io, in silenzio come sono arrivata, abbandono la stanza senza aspettare il loro consenso. Solo quando sono sicura che nessuno di loro possa guardarmi lascio che una lacrima, una sola, mi scenda sulla guancia.
 
- Allora cara, com’è andata? –

Effie è la prima a chiedere, come mi aspettavo. Non le rispondo, infischiandomene del fatto che penserà che le stia mancando di rispetto. Non ho voglia di sentire i suoi squittii indignati. Ma quando sto per entrare in camera per un breve riposo, Peeta mi prende per un braccio, costringendomi a voltarmi. Non parla, ma rispondo alla sua domanda e lui sorride.

- In qualche modo, sapevo che avresti fatto una cosa del genere. Che facce hanno fatto?-

- Plutarch era a dir poco indignato. Tutti gli altri mi fissavano come fossi un ibrido con un centinaio di teste. –

- Bene. D’altronde, ormai cosa c’è da perdere? – chiede improvvisamente cupo, strappandomi per qualche motivo un leggero sorriso. Scuoto la testa.

- Nulla, hai ragione. Dopo lo scorso anno, nessuno crederebbe ad un voto basso. – so che non è quel che intende dire ma faccio finta di non capire. La sua mano sul mio polso ha una presa forte ed è calda, oltre che l’unica cosa di cui riesco ad essere consapevole al momento.

- Vado a riposare. – dico, aprendo la porta. Lui lascia andare il mio polso e provo un leggero dispiacere a sentire quel calore abbandonarmi, ma non lo do a vedere. – Non chiamatemi per pranzo, non ho fame. -  Lui annuisce e io chiudo la porta, lasciando il mondo fuori.

Lo sento di nuovo parlare tra il sonno e la veglia, dietro la porta chiusa, solo qualche ora dopo. Capisco di aver preso dodici alla prova, contro il nove dato a Haymitch. Per un attimo mi ritrovo di nuovo a chiedermi cosa possa aver fatto il mio mentore nei dieci minuti della sua prova, poi ricordo cosa mi attende questa sera e la disperazione mi fa scivolare di nuovo in un sonno agitato.
 
 
Sono sulla soglia della stanza da lavoro di Cinna e il mio sguardo è fisso verso la parete di fronte, davanti alla quale un manichino veste l’abito da sposa che il pubblico ha scelto per me, tra tutti quelli realizzati dal mio stilista.
Sento Cinna osservarmi, in attesa che io esprima il mio giudizio. Non mi sono mai interessata di moda e lui lo sa bene, ma lo stesso so che vorrebbe sapere cosa ne penso di quell’abito visto che toccherà a me indossarlo. In più, come potrei mai non sforzarmi per lui che tanto ha fatto e sta facendo per me? Vorrei soddisfare la sua curiosità ma ci vuole un attimo di più per tentare disperatamente di isolare tutto ciò che quell’abito mi porta alla mente e che niente ha a che fare col fatto che sia bello o meno.

Poco tempo fa ero ancora nel distretto dodici e la mia unica preoccupazione era sapere che un giorno sarei stata la moglie di Peeta, pur non volendo. Oggi sono al centro d’addestramento di Capitol City perché sto per tornare nell’arena e non sono più molto sicura di non aver mai voluto, nemmeno per un secondo, sposare Peeta.
Non so a cosa sia dovuto questo mio improvviso dubbio, o meglio non so dire se sia dovuto ad una sola cosa o all’insieme di avvenimenti che in questi giorni mi ha trascinato nel suo vortice.
Ripenso a stamattina, quando ho lasciato vagare la mia mano sulle lenzuola accanto a me, scoprendole calde come se qualcuno fosse stato lì fino a poco prima che io riaprissi gli occhi. Mi è bastato accostarvi il naso per sentire, anche se molto flebile sotto l’odore di metallo e farmaci di questo posto, il profumo di aneto cannella e nocciole, e sorridere perché avevo la certezza che Peeta fosse stato lì, probabilmente per tutta la notte.
Questo, l’aver fatto l’amore, le parole che gli ho detto quando eravamo ancora a casa e convinti che il nostro legame con gli Hunger Games si sarebbe limitato solo alla storia degli innamorati sventurati e all’ingrato compito di fare da mentori per i tributi delle edizioni successive.
Decisamente la ragione dei miei pensieri si trova in tutte queste cose assieme e in quel che ci lega fin da quando non eravamo che dei bambini.
 
Tento di concentrarmi sull’abito, ampio e ricco e stracolmo di brillanti sul corpetto. Non mi piace, di certo più che il mio stile è un qualcosa che Effie indosserebbe per sposarsi. Io so bene che l’unico abito di nozze in grado di non darmi l’impressione di fasullo, di eccessivo, sarebbe quello semplice con cui mia madre tostò il pane con mio padre nel distretto dodici; anche Cinna di certo lo sa ma qualcosa devo comunque dirgliela, è l’affetto che provo nei suoi confronti l’unica cosa che mi spinge ad aprir bocca.
 
- Lo sai che non è il mio stile, Cinna ...- ammetto, lasciandomi sfuggire un mezzo sorriso quando lo vedo scuotere la testa in segno di disapprovazione. - Però sai anche che ammiro sempre il tuo lavoro. Fiamme anche stavolta? – gli chiedo, cercando di capire se anche stasera mi toccherà fare stupide giravolte sul palco. Con mio grande sollievo continua a scuotere la testa.
 
- No. E’ una sorpresa. E ti ringrazio, ma so bene che non indosseresti mai qualcosa del genere di tua volontà e a dirla tutta anch’io avrei preferito vederti entrare in scena con qualcosa di diverso.  Snow tuttavia ha dato ordini precisi e io ho fatto in modo di accontentarti, sono sicuro che alla fine ti piacerà. –
 
Annuisco tentando di capire cosa abbia in serbo per me stavolta perché davvero per essere uno deluso dalla scelta di un abito mi pare stia sorridendo un po’ troppo.
 
 - Adesso va. Flavius Venia e Octavia ti stanno aspettando. –
 
Sbuffo al pensiero di quel che mi toccherà subire tra poco e lui sorride ancora, divertito da quanto non mi piaccia prendermi cura di me stessa. Eppure non mi da fastidio come me ne darebbe se fosse Effie a disapprovare, perché so che l’unico motivo per cui Cinna vorrebbe che mi curassi un po’ di più è che pensa che io sia bella, cosa che non ho mai capito ne mai capirò, a questo punto.
 
Al centro immagine mi viene subito ordinato di spogliarmi da capo a piedi e tutti i peli mi si rizzano per la pelle d’oca, perché malgrado sia estate non fa poi così caldo qui dentro. Fisso il soffitto ignorando completamente gli sguardi dei miei preparatori fissi sul mio corpo nudo. Tento di non lamentarmi quando Venia, dopo aver lasciato che Octavia mi spalmasse la solita, strana sostanza appiccicosa sulle gambe, mi strappa via i peli con una certa violenza. Ripensare alla bruciatura che mi sono procurata su quella stessa gamba durante i miei primi giochi basta perché io non senta alcun dolore.

All’inizio, come al solito mi estraneo sapendo che parleranno solo delle loro cose, delle feste a cui hanno partecipato e delle persone che hanno incontrato. Colgo qualche commento sulla festa che fu data da Snow per il fidanzamento mio e di Peeta ma dopo un paio d’ore passate così, c’è qualcosa che mi riporta alla realtà e mi costringe ad ascoltare.
E’ il tono di voce improvvisamente lacrimoso, rotto di singhiozzi, di Octavia.
 
- Io ... Katniss sai a me dispiace tanto. Vedi tu e Peeta eravate diventati il sogno di tutti noi e ora invece dovrete tornare nei gio-giochi! – esclama balbettando e strappandomi altri peli dalle sopracciglia. 
 
- No ti prego Octavia ... non dire nulla ... – aggiunge Flavius, anche lui improvvisamente triste e mi accorgo che si è fermato per asciugarsi le lacrime con la manica della camicia. Perché stanno piangendo? Non posso credere che siano davvero dispiaciuti per me. Venia non parla, continua a lavorare sulle mie gambe ma le rivolgo uno sguardo e noto la mascella indurita, forse per lo sforzo di non dire nulla.
All’improvviso mi sento tremendamente stupida e allo stesso tempo mi rendo conto di essere completamente nuda di fronte a due donne e un uomo. Perché è questo quel che sono, per quanto io mi sia ostinata a pensare che facendo parte del mondo di Capitol non avessero abbastanza sensibilità per esser considerati umani.
Una lacrima di Flavius s’infrange sulla fronte mentre lui continua a massaggiarmi i capelli. Nessuno parla più fin quando non hanno finito. Allora mi lasciano alzare e, senza nemmeno darmi il tempo di mettere qualcosa addosso, ecco che Flavius e Octavia sono stretti a me in un abbraccio tremolante, mentre Venia rimane dietro a guardarci.
 
- Ehi ... – sussurro, notevolmente imbarazzata. Proprio non sono abituata a questo genere di contatti umani. E poi sono ancora nuda.
 
- Ci – ci mancherai tanto, Katniss ... però cerca di tornare, eh? Un’altra volta. – mi chiede Flavius. Annuisco e mi lascia andare. Octavia scoppia definitivamente in lacrime voltandomi le spalle e Flavius la accompagna fuori dalla stanza lasciando me e Venia da sole.
 
Per qualche secondo ce ne stiamo in silenzio a fissarci mentre per la prima volta la separo dal trio, rendendomi conto che ha un carattere e un modo di comportarsi del tutto diversi da quelli degli altri due.
 
- Sei davvero bella, Katniss. – mi dice. – E’ stato un onore, poterci prendere cura di te. –
 
Non si avvicina, non mi abbraccia. Mi guarda negli occhi per un altro paio di secondi e poi anche lei raggiunge velocemente l’uscita.
 
Solo dopo qualche minuto, passato lì in piedi a riflettere su quanto appena accaduto, il freddo si fa sentire di nuovo. Indosso l’accappatoio appena prima che Cinna entri nella stanza.
 
Mi guarda e per un attimo temo quasi di vedere anche lui fare la stessa scena dei preparatori; mi dico che non ce la posso fare, così mi sfugge un – Non anche tu, ti prego! –
 
- Qualche lacrima? – mi chiede ironico. Vedo però un’ombra passare anche sui suoi occhi e cerco di fare del mio meglio per non piangere a mia volta: domani, appena prima di entrare nell’arena, sarà quasi sicuramente l’ultima volta che vedrò quest’uomo straordinario, il mio amico Cinna.
Annuisco e lui scuote la testa.
 
- Non preoccuparti.  Io incanalo le mie emozioni sul lavoro. Così faccio del male solo a me stesso.
 
Il significato di quella frase mi colpisce nell’immediato come una lama di ghiaccio nelle viscere. Ora so che qualunque cosa indosserò domani porterà con se qualcosa che difficilmente verrà dimenticato.
 
- Bene, ora vieni. E’ il momento di indossare il vestito. – dice, mettendomi una mano sulla schiena e guidandomi delicatamente verso la porta fin dove ci trovavamo prima, nella sua stanza da lavoro. Portia mi aspetta accanto all’abito.
 
- E Peeta? E Haymitch? – chiedo subito, sapendo che lei dovrebbe essere altrove ad occuparsi di loro.
 
- Sono praticamente pronti, ho lasciato a Effie il compito di dare gli ultimi ritocchi. Oggi la protagonista sei tu. – mi dice sorridendo e di nuovo ho una stretta al cuore.
Non ho mai fatto molto caso a Portia, forse perché è sempre stato unicamente Cinna ad occuparsi di me e a presentarmi i vestiti che avrei indossato di volta in volta. Solo adesso mi vien da pensare che l’abito che sto per indossare è stato disegnato da Cinna ma che Portia avrà di certo dato il suo prezioso contributo. Magari applicando uno ad uno i brillanti sul corpetto, sapendo quanto gli abitanti di Capitol tengano a questo genere di cose. Me la immagino china su quella stoffa un po’ ruvida, tutta concentrata nel posizionare ogni piccola gemma nel punto e nel modo giusto, per non deludere Cinna e non far sfigurare me perché “oggi la protagonista sono io.”.
 
- Bene. Vi lascio, rientro appena sei pronta. – dice Cinna.
 
Malgrado l’abito sia piuttosto ingombrante non ci vuole molto per indossarlo, anche se procediamo lentamente per non intaccare ne l’acconciatura ne il trucco. Quando alla fine Portia termina di legare i lacci del corpetto mi accorgo che la stoffa è molto più pesante di quanto sembri. Stringo la gonna tra le dita, osservandola interrogativa, e Portia risponde alla mia domanda inespressa.
 
- Abbiamo cambiato il tessuto originale ... è una sorpresa per te. – Cinna in quel momento rientra. Deve aver sentito quel che Portia ha detto o avere un tempismo eccezionale perché dice,sfiorandomi una spalla:
 
- Tu non dovrai fare nulla, ne giravolte ne altro. Solo rispondere alle domande di Caesar con sincerità. Sii te stessa, al resto deve pensare Peeta. – sussurra, facendomi l’occhiolino.
 
Esco dalla stanza, le interviste stanno per cominciare quindi è il caso che vada a mettermi in fila dietro le quinte, insieme agli altri tributi.  Quando arrivo, Peeta e Haymitch sono già li assieme a Effie che, non appena arrivo, emette un mugolio strozzato e si porta il fazzoletto all’angolo dell’occhio sinistro, picchiettando delicatamente per non sbavare il trucco, per cui ci saranno volute ore.
 
- Oh, Katniss ... sei davvero bellissima cara. – dice, circondandomi delicatamente con le braccia e battendomi piano una mano sulla schiena. Faccio del mio meglio per sorridere mentre  gli altri mi guardano. Cashmere, del distretto uno, mi ha già squadrata da capo a piedi con aria di sufficienza intimando a suo fratello di non prestarmi troppa attenzione mentre Finnick emette uno sbuffo, come di una risata trattenuta. Vedo Mags dargli un colpo sulla spalla e scuotere la testa con aria di rimprovero, per poi sorridermi. I morfaminomani mi fissano entrambi senza parlare, con gli occhioni enormi che sembrano ancora più grandi, spalancati a quel modo.
In quel momento accanto a me passa Johanna, urtandomi leggermente la spalla.
Anche lei mi squadra da capo a piedi, un sopracciglio ironicamente alzato.
 
- Un abito da sposa? – chiede sbuffando.
 
- Snow mi ha ordinato di indossarlo. – rispondo piccata. Non permetterei mai a nessuno di criticare Cinna sulla base di una scelta non sua. Ma Johanna mi sorprende, sorridendo alla mia risposta tutt’altro che garbata.
 
- Che bastardo ... fagliela pagare.
 
Annuisco e lei va a posizionarsi accanto al suo compagno di distretto, trascinando dietro di se uno strascico impressionante che col suo movimento fluido mi guida direttamente a Peeta.
 
Solo ora mi accorgo dell’abito che indossa. Giacca e pantaloni sono bianchi come il mio vestito, ma intravedo la camicia nera, i guanti e le scarpe color carbone come il fazzoletto ripiegato a triangolo e infilato nel taschino sul petto. In quell’assenza di colori l’azzurro dei suoi occhi risalta ancor più del solito e il mio sguardo si incatena al suo con tanta forza che quasi penso di poter vedere le sue iridi ingrigirsi come le mie, come se risucchiassero il mio colore oltre che la mia anima.
Mi sorride senza parlare e io gli sorrido di rimando.
 
- Pronta, dolcezza? – chiede Haymitch, interrompendo la nostra comunicazione silenziosa e io sussulto come fossi stata svegliata di soprassalto. Non sono pronta ma devo esserlo e così annuisco tentando di sembrare convincente.
 
Cashmere è la prima ad essere chiamata sul palco, dove presenta una sceneggiata tremenda blaterando qualcosa sul fatto che per lei e suo fratello Capitol City è come una famiglia e che quindi faranno di tutto per far si che almeno uno di loro possa tornare indietro. Piange senza versare una lacrima, scuotendosi in maniera innaturale ai miei occhi. Eppure il pubblico ci casca: sento diversi lamenti, qualche grido disperato anche quando il fratello la raggiunge sul palco e rivolge il suo saluto alla folla, promettendo la vittoria del distretto uno.
 
Enobaria si mostra come sempre insensibile. Scopre i denti in continuazione promettendo di squarciare la gola di almeno metà dei tributi e io mi ritrovo a sperare che in qualche modo le caschino tutte, quelle punte acuminate bianche come la neve. Anche Brutus fa dell’aggressività la sua firma.
 
Wiress non dice praticamente nulla sul palco e viene immediatamente raggiunta da Beetee che bofonchia qualcosa sul fatto che non si dovrebbero considerare gli Hunger Games come qualcosa di inevitabile e che non ha senso che tutti stiano lì a piangere la loro morte quando potrebbero fermare i giochi. Un ragionamento perfettamente logico e tipico di Beetee che però certamente verrà ignorato.  Caesar infatti subito svia immediatamente l’attenzione da quella problematica sputando una battuta sulla sua intelligenza che mi fa credere che il presentatore stia perdendo un po’ del suo talento.
 
Anche Mags non dice nulla ed entra direttamente scortata da Finnick, che scatena un coro di sospiri e grida di ammirazione non appena mette piede sul palco. Quel che fa subito dopo manda in visibilio il pubblico: dedica una breve poesia al suo unico, grande amore. Mi chiedo quante donne siano convinte che si stia rivolgendo a loro.
 
Ma è Johanna quella che mi stupisce di più: alla domanda di Caesar, che le chiede di salutare il pubblico, lei risponde con una sequela impressionante di insulti e di minacce rivolti nientemeno che a Snow, facendomi tremare. Cosa fa? Non sa che il presidente potrebbe uccidere i suoi cari da un momento all’altro? Ma Haymitch risponde subito alla domanda che evidentemente si legge nella mia espressione sconcertata:
 
- Johanna Mason non ha più nessuno. – dichiara amaro. – Snow le ha portato via i suoi cari appena dopo la fine dei giochi. Succede questo quando ti rifiuti di eseguire i suoi ordini. E’ quel che è accaduto a me. Perciò non ha paura di dire quello che pensa. In fondo anche lei come tutti potrebbe far parte dei morti di questi giochi per cui capisco che non abbia senso per lei trattenersi. –
 
Chino la testa a quelle parole rifiutandomi di guardarlo negli occhi. Quindi è così che Haymitch ha perso tutti i suoi cari: disobbedendo a un ordine di Snow, dimostrando il coraggio delle sue scelte. Mi sento quasi fortunata al pensiero che, malgrado io abbia scatenato le ribellioni dei distretti col mio gesto delle bacche, lui non abbia ucciso Prim, Gale, mia madre.  Lui invece deve dimenticare il mondo bevendo, per non ricordare che non c’è più nessuno ad aspettarlo quando torna a casa.
Realizzo di non sapere nulla di Haymitch, a parte che avesse una fidanzata ai tempi dei suoi giochi. Aveva fratelli e sorelle? Che tipi erano i suoi genitori e che facevano per mantenere  la famiglia? Com’era la sua vita nel dodici prima che venisse scelto? Quali sono i volti che vede quando dorme e che cerca di dimenticare bevendo?
Tutte cose che non ho mai saputo e che non ho più tempo di chiedere.
 
Mentre rifletto su tutto questo il tempo passa e in un lampo è arrivato il turno di Haymitch. Entrerà lui per primo perché a quanto pare la ragazza di fuoco la vogliono lasciare per ultima. Rimane in silenzio per tutta la durata dell’introduzione di Caesar al suo ingresso, i denti stretti. Cambia però completamente faccia una volta salito sul palco, lasciandomi di stucco mentre davanti a me vedo riprendere vita lo stesso Haymitch della sua prima intervista con Caesar, ben venticinque anni fa. Solo che c’è qualcosa in più perché quello che sta guadagnando la scena, vestito di nero da capo a piedi, è un uomo adulto ormai, reduce da un’edizione della memoria degli Hunger Games e ventiquattro anni da Mentore.
 
- Haymitch! – esclama Caesar con voce grossa, producendosi in uno dei suoi smaglianti sorrisi. – Davvero credevo che avrei dovuto accontentarmi di vederti in mezzo al pubblico per il resto dei miei giorni, e invece eccoti di nuovo qui! –
 
- Credimi Caesar, se ti dico che preferirei essere ancora lì in mezzo. – risponde Haymitch sospirando sconsolato e scuotendo la testa. Il pubblico ride.
- Non posso dire di non capirti, ma sei stato tu ad offrirti volontario al posto di Peeta Mellark alla mietitura, quindi non è che tu possa lamentarti poi molto! Ti sei fregato da solo! – Il  pubblico esplode in una grossa risata assieme a lui.  – A proposito, Haymitch ... non è che tu abbia esattamente la fama di essere un uomo di buon cuore, quindi che ne diresti di spiegarci perché ti sei offerto volontario al suo posto? –
 
- C’è da chiederlo, Caesar? Voglio dire, non c’era speranza che potessi offrirmi volontario anche per la ragazza di fuoco. Oltre al fatto che non ci stiamo particolarmente simpatici, diciamo pure che come donna lascio parecchio a desiderare ... – il pubblico ride di nuovo e lui si ferma, aspettando che cali di nuovo il silenzio, - ... ma almeno il ragazzo! Stiamo parlando degli innamorati sventurati. Avrebbero dovuto sposarsi e invece guarda che casino! Ho cercato di sistemare le cose come meglio potevo! E dire che il presidente sembrava tanto entusiasta all’idea che i ragazzi avessero deciso di convolare a nozze! –
 
Caesar annuisce mentre il pubblico commenta all’unisono con un deluso  - Oh! –
 
- C’è qualcosa che vuoi dire al pubblico? Non credo ci sia bisogno di ricordarti che li in mezzo ci sono anche gli sponsor ... –
 
- No, infatti avrei giusto una cosa da dire: vorrei chiedervi un favore. Se dovete far tornare a casa qualcuno, aiutate la ragazza. Diciamocelo, potrete ammirarla quanto volete e con l’arco ci sa fare di sicuro ma non è il massimo dell’intelligenza. Senza contare che se morisse poi il suo fantasma verrebbe di certo a perseguitarmi ogni notte nel caso restassi in vita o mi trascinerebbe con se all’inferno ... –
 
Io dietro le quinte proprio non posso fare a meno di ridere. Mi sta ricoprendo di insulti, proprio lui che un tempo è stato mio mentore e ha organizzato una messinscena bella e buona per tenerci in vita entrambi. E’ una risata sommessa che mi fa lacrimare gli occhi e mi lascia anche uno strano vuoto dentro perché so cosa sta facendo; per quanto voglia farla passare per una sequela di prese in giro nei miei confronti. Ancora una volta, sta cercando di mantenere in vita ciò cui diede vita lo scorso anno, e la conferma me la danno proprio le sue ultime parole.
 
- ... a parte gli scherzi, io so quanto voi ammiriate lei e il ragazzo e quanto apprezziate il loro amore. Fatela tornare a casa e date loro la possibilità di vivere la vita felice che meritano. Lasciate che si sposino e mettano su  famiglia, così potrete godere ogni anno delle immagini dei loro figli che crescono. Solo questo, di me non m’importa. –
 
A quel punto, non sto ridendo più. Effie ha poggiato una mano dietro la mia schiena e la sento tremare, ma quando alzo il viso per guardarla il suo volto è più inespressivo di una maschera. Guarda dritto davanti a se, dove Haymitch sta salutando la folla.
Seguo il suo sguardo e vedo il mio ex mentore venirci incontro, col pollice alzato e un sorriso stanco a tirargli le guance.
 
- Io ho fatto del mio meglio. Tocca a voi ora. – dice, battendo una mano sulla spalla di Peeta che gli sorride, anche se i suoi occhi restano freddi. Sento il pubblico andare in visibilio nell’attesa, le grida, i fischi, le ovazioni.
 
- Signore e Signori!!!! Un applauso per Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme!!!! – esclama Caesar. Effie ci spinge leggermente mentre il mio braccio sinistro e il destro di Peeta si allacciano. Quando facciamo il nostro ingresso in scena vedo Caesar spalancare la bocca e gli occhi e sento il pubblico cadere nel più assoluto silenzio. Quando gli occhi si abituano alla luce abbagliante dei riflettori riesco a vedere in basso la folla colorata di spettatori che ci fissa senza emettere un suono.
 
- Oh ... – sento Caesar dire, portandosi le mani al volto.  – Signori io non ho parole, sono ... una visione, ecco. –
 
C’è uno schermo in fondo alla sala, dritto davanti a noi, fatto appositamente per chi è troppo lontano per riuscire a vedere bene il palco. Mi vedo sottobraccio a Peeta, illuminata dai riflettori, resa splendida da Cinna, Portia e dai preparatori. Vedo l’azzurro degli occhi di Peeta risplendere con più forza di tutte le gemme del mio abito. Non ho mai pensato di essere bella, era sempre Cinna a dirmelo, ma ora guardandoci in quello schermo per un attimo capisco il motivo di tutto quel silenzio. Vedo Peeta posare gli occhi su di me, così mi giro per ricambiare lo sguardo ma trovo le sue labbra sulle mie mentre la sala ancora una volta si unisce in un unico sospiro.
 
Caesar si avvicina.
 
- Ragazzi, siete davvero qualcosa di meraviglioso ... sul serio. E i vostri stilisti hanno fatto un ottimo lavoro, meritano un applauso per lo spettacolo che ci stanno offrendo. –
 
La folla applaude e  io vedo nello schermo Cinna e Portia chinare la testa e sorridere in saluto,  ma il loro è un sorriso stanco e i loro occhi fissano qualcosa che qui non c’è. Un ricordo o un pensiero che per qualche ragione mi mette addosso una paura tremenda. Mi sento tremare e Peeta stringe il mio braccio sotto il suo con forza.
 
- Una cosa la devo dire, da parte di tutti noi... – comincia Caesar, - Ci dispiace tantissimo ragazzi. Non avremmo mai pensato di vedervi tornare qui per questo motivo. Mi aspettavo che la mia prossima intervista con voi sarebbe stata più divertente, che avremmo parlato delle vostre nozze e della vostra vita.  Vero signori? –
 
Un silenzio assenso avvolge la sala. Vedo parecchie donne picchiettare come Effie il fazzoletto attorno agli occhi.
 
- Non è giusto! – sento qualcuno esclamare in mezzo alla folla, seguito subito da diversi altri. Caesar però mette subito a tacere le proteste. D’altronde nessuno può fare quel che vuole qui. Le decisioni del presidente non sono contestabili senza rischiare la morte e io lo so bene.
 
- Ragazzi io vorrei lasciar parlare voi. Cosa volete dirci? -  chiede il presentatore. Come sempre la mia lingua si intreccia e il mio cervello chiude le imposte. Guardo Peeta che mi sorride, e so che parlerà lui.
 
- Io avrei un po’ di cose da dire, Caesar. A voi e a lei. – dice. Perdo un battito e comincio ad agitarmi perché so fin troppo bene cosa succede quando Peeta parla di me in pubblico. Cosa avrà in mente stavolta?
Resto in piedi a lato del palco e lui si sposta verso il centro per guadagnare la scena. Caesar si fa da parte, posizionandosi sul lato opposto al mio e osservando Peeta con sincera curiosità.
 
Peeta prende un bel respiro, poi si rivolge al pubblico.
 
- Di certo ricorderete cosa ho detto lo scorso anno, quando sono venuto qui e Caesar mi ha chiesto qualcosa su di me, sulla mia vita nel distretto dodici. Sapete cosa provo per questa ragazza – dichiara indicandomi, e io sento le mie guance ribollire d’imbarazzo, ma cerco di non farci caso e mi obbligo a sorridere: non posso comportarmi come se non sapessi cosa c’è fra noi. Non di fronte a questo pubblico per cui avremmo dovuto sposarci tra qualche giorno.
 
- Non ho mai detto abbastanza di tutto questo. – continua Peeta, - ne a voi, ne a lei. Non potete sapere cosa si prova ad amarla dall’età di cinque anni. Aver cercato di costruire qualcosa con altre ragazze solo per potermi dimenticare di lei, che non avrei mai potuto raggiungere. Ma come avrei potuto dedicarmi ad un’altra persona? Io ho passato la mia vita pensando solo ed esclusivamente a lei. –
 
Sento il pubblico bisbigliare, sussurrare eccitato. Sento i singhiozzi commossi delle donne in sala. E’ l’effetto Peeta Mellark.
 
- Gli Hunger Games sono dei giochi crudeli. – continua. – Non possiamo negare l’evidenza. Ci hanno cambiati entrambi rendendoci più deboli per certi versi e più forti per altri. Hanno rafforzato l’amore che provo per lei perché ho dovuto convivere ogni giorno con la possibilità di vedere il suo nome e la sua foto proiettati in cielo ... –
 
Sento qualcosa solleticarmi una guancia e alzo una mano a sfiorarla, scoprendola bagnata. Peeta è una persona straordinaria anche per questo: quel che sta facendo è per il pubblico, per scatenare chissà quale reazione ma non sta affatto mentendo. Ora sono certa che lo scorso anno lui abbia passato il tempo a pregare di non vedermi morire, fin quando non mi ha rivista e quando sono andata al festino per recuperare la sua medicina. Perché lui è così, perché mi ama.
 
- Katniss ... – dice. Mi riscuoto dai miei pensieri e vedo che si è voltato verso di me e si sta avvicinando.  Mi affretto ad asciugare le lacrime che per qualche ragione non voglio mostrargli ma il suo sorriso mi fa capire che se n’è accorto.
 
- Quest’anno non sarò nell’arena a proteggerti. Avrei voluto potermi uccidere per salvarti, potermi mettere fra te e un qualsiasi tributo volesse ucciderti e non potrò farlo. Avrei voluto sposarti, forse in circostanze diverse e non posso essere sicuro che tornerai per vivere il resto dei tuoi giorni con me ...  con voi. – dice, accarezzandomi il ventre.
 
Ho una fugace visione di mio padre in ginocchio davanti a mia madre, l’orecchio sinistro premuto sulla pancia tonda e tesa di lei. Mancava forse una settimana alla nascita di Prim. Lo vedo accarezzarla come Peeta sta facendo con me ora e in un lampo capisco dov’è voluto arrivare. Contemporaneamente, l’esplosione di voci del pubblico mi sembra quella di una bomba. Barcollo leggermente, confusa dall’improvviso frastuono, e Peeta posa l’altra mano dietro la mia schiena per sostenermi, osservandomi preoccupato. Scuoto impercettibilmente la testa e mi volto verso il pubblico con gli occhi ancora stracolmi di lacrime, cogliendo per un attimo l’espressione a dir poco stravolta di Caesar.
 
Aspetto un bambino da Peeta e malgrado questo sto per tornare nell’arena.
 
Per qualche secondo tutto quel che sento sono le lamentele del pubblico e il tentativo malriuscito di Caesar di placare le acque. Ma la mano di Peeta è ancora lì, posata delicatamente sul mio ventre e la mia pelle brucia in quel punto come se tra essa e la sua mano non ci fosse nessun corpetto ricoperto di brillanti.
Mi scopro a fissarla di nuovo, ma ciò che vedo mi lascia senza parole.
Il guanto di Peeta, dapprima nero come la pece, sta lentamente perdendo il suo colore. L’orlo che aderisce al polso è ormai candido come neve, mentre il colore sembra fluire da esso e impregnare il mio vestito. Ben presto tutto il corpetto è corvino. Il colore si spande sulla gonna come inchiostro, appesantendo le balze che si appiattiscono fino a formare un’unica distesa nera opaca.
 
Vedo quella sorta di inchiostro vivo correre lungo il mio torso, sfidando le leggi di gravità e fuoriuscire da esso, impossessandosi delle mie spalle e scomparendo dietro esse, arrampicandosi sulle mie braccia nude e foderandole come maniche. Lo sento solidificarsi e diventare tessuto setoso. Guardo Peeta che mi sorride, modellando con le labbra un “va tutto bene.”
Cos’ha inventato Cinna questa volta per me? Cerco di mantenere uno sguardo tranquillo, nonostante non abbia idea di cosa stia succedendo al mio vestito.
Sollevo le braccia e le maniche ricadono pesanti in un ampio ventaglio, svelando due chiazze bianche. I miei occhi vagano verso lo schermo in fondo alla sala, che piomba improvvisamente nel silenzio; e li mi vedo per quel che Cinna voleva ch’io fossi stasera.
 
Potrei trovarmi appollaiata su un albero adesso, intenta a riprodurre col mio canto melodie origliate da qualche parte o ad inventare qualcosa di nuovo.
 
Sono una ghiandaia imitatrice.
 
 
 *angolo autrice* 

Ciao a tutti :D Lo so, lo so, ci ho messo tantissimo, ma in cambio qui ci sono tredici pagine di Word... diciamo che ho provato a farmi perdonare per l'attesa. Purtroppo ero nel bel mezzo di una sessione d'esame :'( La vita da universitaria è triste. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi raccomando, Recensite! Voglio sapere che ne pensate! 
Come sempre ringrazio MatitaGialla per il suo fantastico lavoro da Beta :) 

Un bacio :*

 
 
 
 
   
 
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