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Autore: _Schwarz    10/02/2014    1 recensioni
Dalla shot: La voce della giovane bionda calmava il pianto della bimba, spaventata dalle urla che fino a pochi minuti prima avevano animato l’intera villa.
Insulti e strida si erano susseguiti, sempre più forti, fino a svegliarla e farla scoppiare in lacrime che avevano richiamato di corsa la madre al suo capezzale.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Christa Lenz
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Moments of a Sadly Life'
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Tears of a Love



A Emmevic,
piccola, gentile Historia.










Anno 848, Wall Sina, Villa Herrs.


Ormai aveva preso la sua decisione e sapeva di non poter più tornare indietro: aveva preparato una sacca con l’indispensabile per il viaggio verso le mura esterne e aveva fatto tutti i dovuti calcoli.
Sapeva che probabilmente non avrebbe superato l’addestramento, forse non sarebbe nemmeno riuscita a entrare tra i cadetti, e, se anche ci fosse riuscita a superare entrambi, sarebbe morta dopo, mangiata dalla fatica o dalle malattie.
Ma non aveva ripensamenti, sapeva che ciò che aveva scoperto era troppo pericoloso, che se fosse rimasta avrebbe coinvolto la sua famiglia in qualcosa di troppo grande e non era questo ciò che voleva. Anzi, lei desiderava ardentemente che loro fossero felici e al sicuro, non in pericolo a causa sua e di quell’uomo che lei, in un’altra vita, avrebbe potuto e dovuto chiamare padre.
Per questo aveva lasciato la sua stanza in punta di piedi e, senza fare rumore, si era lasciata alle spalle le sue bambole, le bambole di sua madre, e la sua infanzia fatta di lacrime, ma anche di amore e risate.
Non era però riuscita ad andarsene subito, non senza aver prima salutato la sua famiglia un’ultima volta. Per questo era passata di fronte alla porta del suo patrigno, Heric, e aveva sorriso, pensando all’amore che quell’uomo le aveva dato, benché lei non fosse davvero sua figlia. Ma lui l’aveva trattata come tale, senza fare differenza alcuna tra lei e i suoi veri figli, e di questo Historia gli era grata dal profondo.
Poi era tornata indietro, andando verso le camere di Hanna, Abel e Derik, i suoi adorabili e amati fratellini. La prima porta che aveva aperto era stata quella di Hanna, la sua bellissima sorellina, che ormai aveva già dieci anni e un aspetto meraviglioso, con i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e le lentiggini sparse per il viso.
Dormiva profondamente Hanna, mentre Historia si avvicinava al letto e le rimboccava le coperte, che la bimba spostava sempre, rischiando di prendersi un raffreddore. La ragazzina le sfiorò una guancia ricordando un episodio avvenuto molti anni prima, che le fece salire le lacrime agli occhi dalla commozione.

Si trovavano tutti insieme nel salotto più piccolo, perché era quello che si riscaldava più in fretta e Philosophia non voleva che i suoi bambini si prendessero qualche malanno. Aveva in braccio il piccolo Abel, che era nato da poco, mentre Hanna e Historia giocavano con le bambole sopra il tappeto e Heric leggeva un tomo dall’aria noiosa e pesante.
Tutto procedeva con calma, quando, improvvisamente, Hanna si voltò verso Philosophia e le chiese << Mamma, perché Historia si chiama così? >>.
La donna rimase a guardare la bimba per qualche istante, mentre anche la sua figlia maggiore e suo marito si giravano verso di lei per conoscere la risposta a quella domanda così brillante, per una bambina di appena tre anni.
Alla fine lei sospirò e disse << Perché Storia e Filosofia sono legate dal tempo e dall'amore, senza una non esisterebbe l’altra, e così senza di me, Historia non esisterebbe, come io non esisterei senza di lei. >>

Il ricordo sfumò, lasciando Historia con le lacrime a colare sul viso e la fretta di lasciare la stanza, per non svegliare Hanna. Si chiuse quindi la porta alle spalle, per poi seguire la luce delle candele fino alla camera di Abel: anche lui dormiva profondamente, con le coperte tutte attorcigliate ai piedi del letto, scalciate via dall’irruenza che animava il bambino, indipendentemente dal momento della giornata. Abel aveva lunghi riccioli biondi e occhi blu, nascosti ora dalle palpebre ornate di lunghe ciglia chiare: pareva un cherubino, mentre un sorriso birichino gli si disegnava in volto.
Quel sorriso le riportò alla mente tanti ricordi, ma uno in particolare prese il sopravvento sugli altri.

Historia era affacciata al balcone e guardava le colline ricoperte di neve; a ripararla dal freddo solo un pesante scialle di lana, mentre decideva come avrebbe passato il pomeriggio. Aveva pensato a un buon libro, magari una di quelle storie romantiche che sua madre amava tanto, perché, nonostante le apparenze, Philosophia Heissner in Herrs era una donna romantica fino al midollo.
Proprio mentre stava per rientrare, Historia si ritrovò davanti Abel, che ormai aveva quattro anni, il viso d’angelo e l’animo da diavoletto.
Il bimbo sembrava a disagio, ma la sorella si abbassò alla sua altezza e gli chiese cosa ci fosse che non andava. Lui, in tutta risposta, le domandò << Historia, giochi con me? Hanna non ne ha voglia e la mamma è con Derik che piange. >>.
Historia sorrise, prendendolo per mano e portandolo dentro a giocare, prima che si prendesse un malanno e lei una sgridata. Aveva appena trovato cosa fare per il resto della giornata.

Altre lacrime grondavano, calde e crudeli, dagli occhi della giovane, che lasciò in fretta anche la stanza di Abel, per poi dirigersi verso quella di Derik, la penultima di quel corridoio.
Aprì la porta, e la luce della candela sul comodino la illuminò lievemente, ricordandole che il più piccolo dei suoi fratelli ancora non riusciva a dormire completamente al buio.
Questo le portò alla mente un altro ricordo, più recente dei precedenti.

<< Hittoria… >>
La giovane si voltò verso la porta, dove il più piccolo dei suoi fratelli si affacciava, con un cuscino tra le braccia e i lacrimoni agli angoli degli occhi.
<< Derik, che succede? Perché piangi? E come mai sei ancora sveglio a quest’ora? >> chiese lei, avvicinandosi immediatamente a lui e accogliendolo tra le braccia.
<< La luce si è spenta! Non riesco a dormire. >> piagnucolò il bambino, mentre la sorella gli accarezzava i capelli biondi, così chiari da risultare bianchi alla luce della luna.
<< Non preoccuparti, ora andiamo in camera tua e ti riaccendo la candela, promesso. >> dichiarò infine la giovane, prendendolo in braccio, e uscendo nel corridoio.
Il piccolo l’abbracciò e, usando le sue doti da adulatore, riuscì a convincerla, tra lacrime e piagnucolii, a dormire insieme con lui.

Historia era ormai preda di singhiozzi quasi isterici, quando lasciò l’ala della villa dedicata ai bambini e andò verso quella sud, dove stavano gli appartamenti di sua madre. Ma, prima che potesse aprire la porta, qualcosa la bloccò. E quel qualcosa era la consapevolezza che, se avesse aperto quella porta, non avrebbe mai lasciato quella casa. Per questo si limitò ad appoggiarcisi contro e a ricordare tutti i sacrifici e le lacrime che lei e sua madre avevano affrontato da quando lei era venuta al mondo. Ricordava ancora gli insulti e gli sguardi d’odio dei suoi nonni, con cui Philosophia aveva tagliato ogni contatto dal giorno del matrimonio. Ricordava i bisbigli e le occhiate velenose che le seguivano ovunque andassero, in ogni palazzo o villa, perfino davanti al re quelle voci calavano su di loro, come spade pronte a ferirle e distruggerle.
Nonostante ciò, più di ogni altra cosa, Historia ricordava e amava l’amore incondizionato che sua madre le aveva concesso dal primo momento: ricordava i sorrisi, i complimenti, i vezzeggiativi e i premi che le aveva dedicato fin dalla prima infanzia. Ricordava la guerra che aveva portato avanti con i suoi genitori per la sua salvezza e ricordava la ninna nanna che le cantava ogni notte, quando sognava qualcosa di brutto o sentiva sua madre e i suoi nonni discutere per lei.

La voce della giovane bionda calmava il pianto della bimba, spaventata dalle urla che fino a pochi minuti prima avevano animato l’intera villa.
Insulti e strida si erano susseguiti, sempre più forti, fino a svegliarla e farla scoppiare in lacrime che avevano richiamato di corsa la madre al suo capezzale.
Schlaf, Kindlein, schlaf,
Der Vater hüt die Schaf,
Die Mutter schüttelts Bäumelein,
Da fällt herab ein Träumelein.
Schlaf, Kindlein, schlaf!

Schlaf, Kindlein, schlaf,
Am Himmel ziehn die Schaf,
Die Sternlein sind die Lämmerlein,
Der Mond, der ist das Schäferlein,
Schlaf, Kindlein, schlaf!*

Cullata dalla voce dolce della madre, dalle sue carezze e dai suoi baci, la piccola Historia si calmò, tornando al suo sonno quieto e pacifico, che non si sarebbe più interrotto, fino alla mattina dopo, quando il sole l’avrebbe svegliata con il suo abbraccio caldo e confortevole.

Quando quel ricordo le tornò alla mente, Historia sorrise e si sentì finalmente pronta a fare ciò che sua madre aveva sempre fatto per lei: qualunque cosa. Per questo, recuperati la borsa e il mantello, si diresse al portone d’ingresso senza mai guardarsi indietro.







Angolo Autrice
Allora, questa fic, come dice la dedica, è un regalo/richiesta per/di Emmevic. Avevo troppa voglia di scriverti qualcosa, e poi mi hai dato la scusa per scrivere su Historia, cosa che va sempre bene <3
Comunque, la ninna nanna che c’è nel flash back con Philosophia è una ninna nanna tedesca, di cui sotto scrivo la traduzione (presa da Google traduttore, quindi non fidatevi troppo):

* Dormi, bambino, dormi,
Il padre guida le pecore,
La madre scuote un piccolo albero,
Cade un piccolo sogno.
Dormi, bambino, dormi!

Dormi, bambino, dormi,
Nel cielo disegna le pecore,
Le piccole stelle sono il tuo sogno,
La luna, che è il tuo letto,
Dormi, bambino, dormi!
   
 
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