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Autore: northernlight    10/02/2014    1 recensioni
Spin-off che prende vita dal capitolo 29 di Crying Lightning scritta da Lairygirl, consiglio vivamente di leggerla anche se è comprensibile in ogni caso anche così.
"“Ma cosa cazzo stai facendo, Turner?” gli sussurrò Margaret afferrandolo per il bavero della felpa e trascinandolo dentro, nel piccolo ingresso della sua stanza. Spalle al muro, porta chiusa, continuava a ripetergli silenziosamente quella domanda ma senza pronunciare una sola parola, solo guardandolo negli occhi. Occhi vuoti che guardavano fisso le mani di lei aggrappate alla felpa grigia."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner, Miles Kane, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Forget but not forgive, part III.

(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)




Margaret si costrinse a tornare di sotto, dagli ospiti, dagli invitati alla sua festa di compleanno. Oltre alla maschera nera, mise su un sorriso falso e tirato, ma non riusciva a focalizzarsi su niente: vagava tra le persone, vedeva cose ma non ricordava niente. Era tutto confuso, un insieme di risate, colori, caldo, alcool ma nessun particolare. Ricordò di aver visto Sara ballare con uno dei cantanti di quella sera, quello più alto, rideva ad un qualcosa che la sua amica aveva detto; ricordò di aver risposto di no a Delilah che le aveva chiesto se avesse visto Matt, ricordò di aver sorriso distrattamente a Russell che le chiedeva se stesse bene. Non trovava né Matt e soprattutto Miles da nessuna parte. Dopo aver vagato in stato confusionario per un po’ si trovò fuori in giardino, dove poco prima aveva fumato quella sigaretta con Matt; si sedette facendo attenzione al vestito e poggiò braccia e testa sulle ginocchia raccolte al petto. Quella serata si stava trasformando in un incubo senza fine non tanto per Alex, constatò la ragazza che ormai si era abituata alla sua assenza, quanto per Miles. Miles che era fuggito prima che lei potesse spiegargli, prima che lei potesse dire che quel bacio non significava niente e che vagare per quella festa senza di lui a tenerla su stava diventando insopportabile. Stava iniziando a delirare, la sua diga personale – piena di crepe e rotture – era in procinto di rompersi quando qualcuno, il solito qualcuno che l’aiutava indirettamente ogni volta, pose fine alle sue infinite sofferenze interiori.

“Margaret?”
La ragazza alzò subito la testa non appena fu raggiunta dalla voce di Noel.

“Finalmente ti ho trovata, stai bene?” chiese notando lo sguardo stanco della ragazza “ad ogni modo, devo darti il mio regalo di compleanno.”

“Noel, n-non c’era bisogno di prendermi un regalo” rispose Margaret imbarazzata pensando a quanto fosse assurda quella situazione.

“Non mi è costato niente, però dovremmo salire su nello studio di Kapranos perché è lì” le disse porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Margaret sorrise e prese la mano di Noel che, attraversando la sala ancora gremita di gente, rubò un flûte di champagne per lei.

“Bevi, ti prego, sembri averne disperatamente bisogno.”
Margaret ingollò metà bicchiere seguendolo nuovamente al piano di sopra. Non aveva ancora visto quella parte della casa e ne rimase piacevolmente sorpresa perché era quella che ora le piaceva di più, sapeva esattamente del suo proprietario: interamente rivestito in legno scuro, una scrivania imponente, una libreria piena di libri e vinili, due poltrone ed un divano. Il camino acceso accanto al quale era poggiata una chitarra acustica.

“Siediti” ordinò lui. Margaret si tolse le scarpe e si sedette per terra, sul morbido tappeto bianco della stanza; Noel invece si accomodò sulla poltrona di pelle marrone più vicino a lei.

“Allora” esordì lui “ti ho conosciuta oggi, Margaret, perciò comprarti un regalo apposta mi sembrava un po’ una cosa inutile e poco sentita. Quando Miles mi ha chiamato per sapere se mi andava di venire alla festa, mi ha parlato di te e mi ha accennato a delle cose, diciamo così.”
Margaret arrossì violentemente e sussultò sentendo il nome di Miles, ma annuì perché alla fine poteva anche solo immaginare cosa lui avesse raccontato a Noel.

“Perciò ho portato la mia acustica con me, puoi scegliere una qualsiasi canzone che ti piacerebbe sentire” concluse il cantautore accennando ad un sorriso. Margaret era a bocca aperta, sgranò gli occhi per la sorpresa e assunse un’aria pensierosa.

“Mh, vediamo…”

“Solo, ti prego, non quella canzone!”

“Tranquillo, non era mia intenzione. Tender la conosci? Oppure Songbird?” chiese ridendo la ragazza. Noel all’inizio corrucciato la assecondo con un breve sorriso. Margaret si alzò e gli sussurrò il titolo di una canzone all’orecchio, Noel annuì e provò l’accordatura della chitarra. La ragazza tornò ad accomodarsi per terra, portò le ginocchia al petto e si abbracciò stretta attendendo che Noel iniziasse a cantare. La melodia si diffuse lentamente per tutta la stanza e il corridoio per poi mischiarsi con la musica che continuava ad andare avanti di sotto; sembravano due mondi paralleli, due facce della stessa medaglia che si dispiegavano nello stesso momento. Miles pensava proprio a questo mentre camminava per quello stesso corridoio, a come due cose diametralmente opposte possano esistere e coesistere nello stesso momento: la felice festa di sotto e l’infelice disfatta al piano di sopra, prima, con Alex e gli altri. Improvvisamente gli giunse alle orecchie una melodia a lui molto conosciuta ma che non proveniva assolutamente dalla festa; seguì le note fino ad una stanza in cui non era ancora stato, lo studio di Kapranos. La porta era socchiusa, poteva intravedere Noel seduto sul bracciolo di una poltrona che suonava la chitarra, gli occhi chiusi e il volto rilassato. Miles aprì leggermente la porta senza far rumore e vide lei teneramente seduta per terra che si abbracciava da sola perché non c’era nessuno a farlo durante un momento così importante, durante una canzone così importante. Margaret stava piangendo silenziosamente, poteva vederlo dalle spalle scosse dai singhiozzi.

Cosa ho fatto?
Improvvisamente Miles si sentì in colpa per averla abbandonata senza darle modo di spiegare, prendendo – ancora una volta – le parole di Alex per oro colato. L’aveva abbandonata, l’aveva lasciata da sola e, in quel momento, Miles si era messo al pari di tutte le persone che Margaret aveva incontrato nella sua vita: persone che sono andate via e che l’hanno lasciata a fronteggiare cose più grandi di lei da sola. Guardando la schiena curva di Margaret, Miles quasi riusciva a sentire i suoi pensieri: pensava a quante volte Noel e soci avevano suonato inconsapevolmente nella sua stanza, pensava a quante volte aveva ascoltato quella canzone – a volte ridendo, a volte piangendo – e pensava a com’era assurda la sua vita, a com’era cambiato tutto e quanto e come lei era cresciuta e cambiata da quando cantava Supersonic saltando sul suo letto a Sheffield. E ora era lì, sola, con l’unica cosa costante nella sua vita, l’unica voce che non l’aveva mai abbandonata: quella di Noel. E ora era lì, seduta ed inerme, circondata da quel vestito rosso improvvisamente troppo grande e troppo importante per lei. Miles dovette trattenersi un bel po’ per evitare di irrompere nella stanza e abbracciare Margaret, prenderla in braccio e portarla via a casa e farla smettere di piangere e tornare a farla ridere e tornare a farla cantare e a non farla stare giù a causa di Alex, a causa sua. Ma non fece mai nulla di tutto questo perché non si sentiva in diritto di violare quella Margaret, la Margaret ancora bambina di cui lui voleva sistemare i cocci o, almeno, provarci. Miles si limitò ad ascoltare Noel cantare e andò via poco prima della fine della canzone, sulla scia di quelle quattro parole che anche lui aveva cantato e strimpellato per anni fino a farsi sanguinare i polpastrelli. In quel momento non riusciva a lasciarsi dietro quello che era successo, nemmeno in quel giorno che doveva essere spensierato e senza problemi. Non era dello stesso avviso Russell che irruppe nella stanza senza farsi troppi problemi, grazie a dio Noel aveva finito di suonare e Margaret aveva smesso di piangere e chiacchieravano tranquillamente.

“Noel, scusa se ti interrompo, ma domani dobbiamo essere a New York e abbiamo un aereo tra qualche ora. Dovremmo andare.”
Noel guardò Margaret, la ragazza annuì e si alzò da terra per salutare i due. Noel la salutò con la promessa di farle avere i biglietti e i pass per qualche data degli Oasis lì in Inghilterra e le strappò finalmente un sorriso. I due uomini lasciarono la stanza, Margaret si lasciò cadere pesantemente sul divano e riprese fiato pensando a ciò a cui aveva appena assistito e sorrise malinconicamente pensando anche a Miles e a quanto gli sarebbe piaciuto sentire Noel suonare così.

Miles’ pensò sospirando. Da basso tutto taceva, evidentemente la festa stava scemando lentamente, la musica si era interrotta e gli invitati iniziavano ad andare via; la sua festa. Si costrinse a tornare giù ma dentro le mancava l’aria, non trovava Miles da nessuna parte e voleva solo tornare a casa perciò si fiondò sui gradini della scalinata bianca che quella notte era stata testimone delle loro vite decisa a riprendere fiato e a riprendere in mano la situazione. Ma appena mise il naso fuori, intravide Miles che si infilava il cappotto e scendeva rapidamente le scale.

“Miles!” urlò Margaret agguantando quanto vestito poteva e correndo verso il ragazzo che si voltò a metà scalinata non appena sentì il suo nome.

“Margaret.”

“D-dove vai?”
Miles si voltò nuovamente per andare via.

“A risolvere delle cose, Matt ti riaccompagnerà a casa e poi tornerà qui visto che loro passeranno la notte da Kapranos” disse il cantante andando via senza degnarla di uno sguardo. Margaret lo guardò andare via; scivolò lentamente a sedere per terra, il volto rigato dalle lacrime ed uno spesso strato di gelo e freddo ad avvolgerla, freddo non dovuto alla bassa temperatura notturna. Rimase lì a fissare la figura alta e dinoccolata di Miles sparire tra le strade londinesi, di nuovo da sola.

Sola. Sola. Sola. Sola.
L’unica parola, l’unico sentimento che riecheggiava in Margaret in quel momento era la solitudine. Per la prima volta dopo anni si sentiva davvero sola, persa e smarrita in una città che non sentiva sua, in una vita che non sentiva sua. Era stremata: negli ultimi anni si era impegnata davvero a tenere su i cocci di un qualcosa che non si reggeva più in piedi, aveva consumato tutte le sue energie nella sua squallida-pseudo-relazione-o-quello-che-era con Alex e Alex aveva finito per consumare lei. Poi era arrivato Miles così, dal nulla e aveva ripreso a stare a galla, a sorridere, a vivere. Miles che aveva perso il suo migliore amico, Miles che aveva rinunciato a molte cose per stare con lei e che ora era andato via lasciandola lì su quelle scale in compagnia del senso di colpa più squallido che una persona potesse provare: quello di aver tradito la persona che ami. Margaret amava Miles anche se non gliel’aveva mai detto – anche se nessuno dei due l’aveva mai detto – in quei mesi insieme e probabilmente ora non avrebbero mai più avuto modo di dirselo. Margaret non sentiva più niente, non sentiva più nemmeno freddo perciò si accovacciò su se stessa, in posizione fetale. Prima o poi qualcuno l’avrebbe trovata e quel qualcuno, una decina di minuti dopo, si rivelò essere Matt.

“Dio, Margaret” fu l’unica cosa che il batterista riuscì a dire mentre si toglieva la giacca e vi avvolgeva l’esile corpo della ragazza scosso dai singhiozzi. Matt la prese in braccio, Margaret agganciò debolmente le braccia attorno al collo del suo migliore amico.

“Sssh, è tutto okay, ti porto a casa. Ora passa tutto” le disse Matt mentre passava per la sala da ballo quasi deserta, si fermò a dire qualcosa a Delilah, si fece dare un mazzo di chiavi da Kapranos e uno da Sara e si fiondò fuori diretto in macchina. Mise delicatamente Margaret sul sedile del passeggero, abbasso la spalliera per stenderla e farla stare più comoda e si diresse a casa della ragazza. Ogni tanto le lanciava uno sguardo molto preoccupato, le accarezzava la testa con la mano libera quando poteva e con la mente prendeva ripetutamente a schiaffi Alex per tutto il casino che aveva provocato.

“Dio, se non lo uccide Miles stasera giuro che gli taglio le mani” sussurrò a denti stretti prima di giungere a casa di Margaret. Iniziava a piovere perciò si affrettò a riprendere Margaret in braccio e a portarla su, grazie a dio abitavano al primo piano, non che trasportare quei miseri cinquanta chili fosse un impresa per lui. Cercando di non farla cadere, riuscì ad aprire la porta di casa e a portare Margaret nella sua camera; la fece sedere sul letto dove rimase seduta con la schiena incurvata, il petto ancora scosso dai singhiozzi e gli occhi rossi dalle lacrime. Matt si guardò attorno, si sentiva impotente perché non sapeva cosa fare. Pensò che Margaret avesse bisogno di una bella dormita e che non poteva di certo dormire con quel vestito addosso. Le tolse la sua giacca di dosso, le sganciò il vestito dietro il collo.

“Posso?” chiese Matt, Margaret annuì. L’aveva già vista nuda e in più di un’occasione, non le dava fastidio che lui si fosse preso cura di lei in quel momento in cui non riusciva a muovere un dito per se stessa, in cui si sentiva solo annichilita dalla sua stessa vita. Il batterista recuperò una maglia larga dai piedi del letto e la tenne lì vicino, liberò entrambe le braccia della ragazza dalle maniche del vestito e le infilò la t-shirt. Le sciolse i capelli, provò delicatamente a toglierle tutte le forcine infilate a tenere stretta la treccia e quella splendida acconciatura; poi la fece sdraiare e le sfilò il vestito da sotto. Mise l’abito rosso da parte su una sedia e costrinse Margaret a rotolare finalmente sotto le coperte. Matt sfilò il cellulare dalla giacca per mandare un messaggio a Delilah.

                                                                        Siamo a casa, la faccio addormentare e torno da te.
                                                                                               Ti prego, perdonami.
                                                                                                                                M.


Spense la luce, si tolse rapidamente le scarpe e si infilò a letto accanto a Margaret. La ragazza parve riprendersi un attimo.

“M-Matt, ma che fai? Torna a casa, torna da D-Delilah, io s-sto bene” singhiozzò Margaret.

“Sssh, io non vado da nessuna parte e no, tu non stai affatto bene” sussurrò il batterista mentre la ragazza gli si rannicchiava contro.

“C-cosa le dirai?”

“Che sei una delle persone più importanti della mia vita e che adesso hai bisogno di me ma non vedo nessun motivo per il quale Delilah non debba capire la situazione. Stai tranquilla, non preoccuparti per me” le disse sorridendo. Fuori la pioggia imperversava, il loro silenzio era rotto solo da quella miriade di gocce che si scagliavano su qualsiasi superficie.

“È andato via anche lui, Matt” mormorò Margaret quando riuscì a recuperare un po’ di voce.

“Non è andato via, è solo andato a recuperare quella testa di cazzo. Tornerà.”

“L’ultima volta che qualcuno mi ha detto ‘tornerà’ sono passati quattro mesi” commentò sarcastica Margaret. Matt ridacchiò sommessamente nascondendo il naso tra i capelli profumati della ragazza.

“Non tornerà, non da me almeno. Tu non hai visto come mi ha guardata. Ed era uno sguardo che da Miles non ti aspetteresti mai, Matt” proseguì lei.
 
“Ora non pensarci, hai bisogno di una bella dormita, è stata una giornata molto intensa. Vieni qui.”
Margaret si raggomitolò contro Matt, si sentì piccola piccola contro il corpo massiccio dell’amico a cui non bastava molto per avvolgerla totalmente. Matt fissava la pioggia scrosciare fuori dalla finestra; dopo un po’ sentì il respiro di Margaret rallentare e, non sentendola più scossa dai singhiozzi, fu felice di costatare che si era finalmente addormentata. Scese cautamente e silenziosamente dal letto, le rimboccò le coperte e le lasciò un bacio sulla fronte. Raccattò le sue cose e si allontanò verso l’ingresso dove si infilò le scarpe e la giacca e diede un’ultima occhiata a Margaret: adorava vederla così serena, quando dormiva sembrava così tranquilla da dare tranquillità anche a lui ma – in quella situazione – era una serenità del tutto apparente, una serenità che sarebbe durata appena il tempo di una notte.


 
  
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