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Autore: Forever_Dream    11/02/2014    0 recensioni
Angel è una ragazza che vive in una villetta dove non le manca niente. Ha un fratello a cui vuole più che bene, lo adora, gli fa da madre quasi. I genitori sono sempre via per lavoro e la sua vita va avanti tranquilla nell'illusione di potercela fare a tirare avanti, senza avere qualcuno che si occupi di lei.
Michael è un carabiniere che per lavoro è abituato a vederne di ogni sorta. Ironico e caparbio, non si smentisce mai e prende molto a cuore la situazione di Angel, insieme al padre Leonardo.
Riccardo è un ragazzo-genio della stessa età di Angel. Deciso e capace, quasi laureato e con un viso che conquista chiunque.
Rossella è la migliore amica e compagna di banco, comica e attrice per natura.
Alì è il padre che Angel non ha mai avuto.
Combinate il tutto nella vita semplice di questa diciottenne, facendola stravolgere.
Facendola gioire e piangere. Facendola vivere...
Buona lettura ;)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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L’acqua ghiacciata mi fece inconsapevolmente sorridere, tanto che attirai gli sguardi curiosi di qualche passante.
Infischiandomene, camminai tra gli edifici a ridosso della strada e mi addentrai su una stradina interna tanto piccola quanto lunga. I bei balconi e le inferrate fantasiose, caratteristici delle case di gente agiata, furono presto sostituiti da ruggine, muffa e crepi.
Continuai a camminare.
Sapevo che quella zona non era sicura ma confidavo sul fatto che di giovedì mattina, con meno dieci gradi, non molta gente sentisse l’urgenza di uscire a prendersi una boccata d’aria.
Purtroppo bastò quella poca a farmi fermare.
“Ehi, ragazzina, ti sei persa?” sentii una voce sconosciuta poco avanti di me.
Da un vicolo laterale uscì un uomo con una profonda cicatrice nella guancia destra, una leggera barbetta mora, il cappello ben calato sulla fronte alta e il giubbotto enorme.
Mi arrestai vedendo la strada bloccata dalla sua presenza.
“Cerco Alì Homir” dissi come se la cosa fosse normale.
Mi rise in faccia.
“Quella mezza calzetta?” mi chiese alzando divertito un sopracciglio in cui notai un piercing ad anello.
“Che cosa potrà mai volere da una bella ragazza come te?” chiese fingendosi pensieroso con un sorrisino mellifluo sul volto.
Inghiottii amaro per l’allusione e decisi di accantonare la cosa. L’ultima cosa di cui avevo bisogno erano altre complicazioni.
“Nulla. Mi dica solo: sa se è qui?” tanto valeva giocarsi il tutto per tutto.
Mi guardò strano. “Signorina, mi hai preso forse per un centro informazioni? E poi…” disse lanciandomi uno sguardo languido “.. io avrei altre mire… diciamo più pratiche da fare con te” disse con una risata, avvicinandosi.
Mi irrigidii. E ora?
Mantieni la calma.
“Non sono interessata, grazie. Piuttosto, se può darmi qualche informazione sulla persona che le ho chiesto mi farebbe un favore” continuai imperterrita, mantenendo una maschera di ghiaccio.
Non dovevo farmi prendere dal panico.
Mantieni la calma.
Sentii uno sbuffo, ma l’uomo continuò ad avvicinarsi e io, involontariamente, feci un passo indietro quando venne troppo vicino.
“Ragazza, sappi che io non faccio mai niente per niente”
Sentii il muro dietro di me. Ero in trappola.
“Posso pagarla se vuole” dissi incrociando le dita.
Si mise attento.
“… la cifra in questione?”
 Deglutii a vuoto. Avevo con me solo venti euro..
“Venti..” non mi lasciò finire che si mise a ridere.
“Sei proprio esilarante, lo sai? Con quelli non ci compro nemmeno mezzo grammo di Roba..”
Trasalii. Ecco, ero finita pure in mano ad un drogato, oltre che violentatore.
Fece per avvicinarsi ulteriormente, tanto che sentii anche la puzza del suo alito puzzolente dall’alcool.
Alcolizzato?
No, basta, era davvero troppo.
“Posso offrirti solo questo. Purché non mi tocchi e mi dica le informazioni di cui ho bisogno.” Dissi togliendomi il guanto e facendogli vedere il mio bracciale d’oro, regalo di battesimo.
Era l’unico gioiello vero che avevo addosso e, per quanto ne fossi affezionata, l’avrei ceduto volentieri se mi avesse lasciata in pace.
Mi sentii afferrare malamente per il polso e il suo viso si corrugò un secondo per la concentrazione, valutando la mia proposta.
Poi sorrise.
“Affare fatto”
Gli diedi velocemente il bracciale e attesi.
Mi lanciò un’aria di sufficienza mentre lo inseriva in quel suo giubbotto consunto “So che l’hanno portato in centrale l’altro giorno. Traffico di materiale non fatturato, e cazzate varie che non ho mai capito, sinceramente. Comunque sia il giorno dopo l’hanno rilasciato ma nessuno l’ha più visto.” Ghignò, come se la cosa lo divertisse sul serio. “La moglie è ormai da due giorni che piange disperata non sapendo che pesci pigliare. Povera! Magari andrò a farle una visitina prima o poi per tirarle su il morale”
Non ascoltai oltre. Sbarrai gli occhi e fuggii via. Non mi fermò, mi lasciò passare con uno strano sorriso sulle labbra.
Probabilmente non mi aveva detto tutto o era felice dell’effetto delle sue parole su di me, ma la mia attenzione era ormai tutta volta verso la casa dove sapevo abitava Alì con sua moglie.
Entrai spalancando la porta con il fiatone che si compattava in nuvolette di vapore. La donna con il velo, seduta su una sedia a cucire, fece un balzo dalla sorpresa e un lampo di speranza si accese, prima di scomparire quando mi focalizzò.
“Chi tu essere?”
Cavolo, vero, lei non mi conosceva.
Io l’avevo vista parecchie volte nelle fotografie di Alì e quelle rare volte che me la indicava da lontano.
Lei nemmeno quello.
“Mi chiamo Angel. Sono un’amica di Alì. Lui dov’è?” chiesi ben sapendo la risposta ma sperando fino all’ultimo.
“Angel. Certo, Alì parlare molto di te…” sussurrò prima di scoppiare a piangere.
Rimasi lì impalata a guardarla, sperando che fosse un altro il motivo per cui quella bella donna versasse lacrime amare su un viso così dolce.
“Signora” le dissi avvicinandomi e poggiando delicatamente una mano sul suo braccio, in un tentativo di conforto.
“Lui.. sparito! Lui due giorni… sparito!” cercò di spiegarmi tra i singhiozzi.
L’abbracciai d’istinto.
Sentii le sue esili braccia cingermi titubanti e sorprese.
“Vedrà, ci penserò io” le promisi “Non si preoccupi, riavrà suo marito”.
Mi si strinse il cuore allo stringersi del suo abbraccio in cerca di conforto.
“Lei si chiuda in casa, non faccia entrare nessuno. Ci sono persone che approfitterebbero di quest’assenza.” Sentii il suo capo fare un cenno.
E pregai di riuscire al più presto nel mio intento.
 
 
 
“Cerco Michael” ansimai con il fiatone ad un poliziotto posto dietro ad una scrivania. Questi alzò gli occhi annoiato.
“E perché lo vuole?”
Antipatico.
“Per favore, è una questione urgente, se non di vita o di morte. Lo chiami!” dissi concitata, ora non più in grado di mantenere la calma.
“Si calmi signorina.” Mi rispose con un tono secco ed annoiato. “Chi lo cerca?”
Feci un profondo respiro.
Avrei potuto mettergli le mani addosso e nella situazione attuale non era di certo il caso.
“Angel” lui alzò un sopracciglio.
“E poi?” mi chiese sempre più annoiato.
“Oh, insomma! Ha bisogno della carta d’identità e dell’impronta digitale per alzare quel suo culo e chiamarlo?” gli sbraitai contro.
Rimase interdetto e io mi stupii di me.
Mai in vita mia avevo usato tali termini contro uno sconosciuto, specie poliziotto.
Ma davvero, mi aveva portato ad un livello di esasperazione tale da farmi mandare a quel paese anche la mia beneamata pazienza ed educazione.
La sua fronte si aggrottò per l’indignazione.
“Senta signorina…”
“La porto io da Michael” disse una voce femminile.
Mi voltai.
Una zazzera di capelli rossi e ricci, un paio d’occhi verdi e la divisa da carabiniere.
La ragazza che mi si pose a fianco era alta e bella e io mi sentii una nullità al suo confronto.
No aspetta, confronto non c’era.
L’uomo dietro la scrivania le lanciò un’occhiataccia, ma lei mi aveva già portato davanti a un corridoio.
“Vieni, coraggio” mi disse cordiale, invitandomi a seguirla.
“La ringrazio infinitamente” le disse grata, inviando un’occhiata sprezzante all’uomo che, zitto, stava a contemplare la figura pressoché perfetta della donna.
“Non c’è di che cara. Io sono Meriane, ma puoi chiamarmi Mary se vuoi”
Sorrise.
Mi piaceva davvero tanto quella ragazza, oltre ad essere bellissima era anche simpatica.
“Io invece sono Angel” mi presentai titubante.
A volte era imbarazzante come la gente facesse paragoni tra il mio nome e il mio carattere.
“Bel nome davvero. Sembra fatto apposta per quel visino” disse senza esitazioni.
Sgranai gli occhi, prima di piegare un angolo della bocca in un mezzo sorriso stupito e incredulo.
Originale, questa era davvero originale.
Mi aprì una porta senza nemmeno bussare e ci si fiondò dentro.
La seguii a ruota senza esitazione.
“Michael, c’è una certa Angel qui per te” disse piazzandosi davanti alla scrivania dove lui sedeva con le mani intrecciate nei capelli scuri e il volto immerso tra i documenti.
“Come?” chiese senza aver ascoltato una sola parola di quello che lei disse e senza alzare lo sguardo, impegnato nei suoi ragionamenti.
Mi fiondai davanti a lui, senza attendere altro tempo.
“Michael, è sparito Alì!! Dove l’hai visto l’ultima volta?” gli chiesi con l’ansia che mi attanagliava la gola.
Certo che porre una simile domanda ad un poliziotto era quasi ironico, ma né io né lui sorridemmo per quella mia uscita.
Il mio povero Alì. Chissà ora dov’era!
Alzò di scatto la testa e mi guardò stupito dalla mia presenza.
Poi, come se le mie parole fossero arrivate ai suoi orecchi solo in un secondo momento, parve riscuotersi.
Mi osservò un secondo poi tornò tra le sue carte, come se avesse già chiarito tutto.
“Vedrai che sarà in giro a cercare un modo per pagare la multa e tirare avanti. Non ti preoccupare spunterà fuori. Mi è sembrato un tipo in gamba. Tu piuttosto” disse alzando quegli occhi verdi luminosi, lanciandomi uno sguardo di traverso “non dovresti trovarti a scuola in questo momento?”
I miei occhi, se potevano, avrebbero sparato lampi ed ucciso.
“Michael, accidenti, credi che mi sarei fatta tutta la strada dalla fermata a qui di corsa solo per una passeggiata mattutina??” ribattei piccata appoggiando pesantemente i palmi sul tavolo.
Ero fuori di me, davvero.
“Sono andata a casa sua e l’unica cosa che ho trovato era la moglie in lacrime, disperata perché il marito era esattamente da due giorni che non si vedeva. Ho chiesto in giro e non sa niente nessuno. Lo dobbiamo assolutamente cercare!” gli urlai in preda al panico.
Mi lanciò un’occhiata grave, come a soppesare le mie parole e la verità racchiusa, poi annuì.
“Ok, lascia fare a me. Tu ora tornerai a casa, Meriane potresti…”
“Non se ne parla neppure. Se vai a cercare Alì, io vengo con te!” lo bloccai subito, sporgendomi nella scrivania per enfatizzare la mia presa di posizione.
“Angel, ascolta, devo contattare tutti i posti di polizia dei dintorni denunciando la scomparsa, fare un identikit e d infine cercarlo sul serio. Hai idea di quello che mi aspetta? Non puoi venire, non sei uno dell’arma e non mi saresti per nulla d’aiuto”
Mi sgridò severo.
“Oh sì, invece. Tu l’hai visto solo un paio di volte e non lo conosci bene, mentre io lo vedevo quasi tutti i giorni. Chi potrebbe conoscere il suo viso meglio di me? senza contare che potrei aiutarti con qualche frase o allusione che magari mi ha detto. Non puoi pretendere che rimanga buona in disparte senza sapere di aver fatto realmente qualcosa! Alì è come un padre per me…” finii quasi con un lamento.
Mi guardò comprensivo ma non meno serio.
“E denunciarne la scomparsa ti sembra poco? Precipitarti qui ti sembra niente? Lo so che ci tieni, ma.."
“Esatto!” dissi interrompendolo “Quindi mi devi portare con te” ribadii caparbia prendendo in mano lo zaino che avevo lasciato cadere a terra.
Fece per ribattere ma Meriane intervenne “Portala con te, Michael, così almeno si sentirà più sicura, o almeno si metterà un po’ più tranquilla. Stava per mettere le mani addosso a Fabio, prima” rise divertita.
“Non che non ci abbia pensato pure io qualche volta” disse con sguardo malizioso ed alando le mani.
Mi incantai a guardare come quel suo gesto naturale fosse armonico e elegante.
Cavolo, era bella anche solo mentre faceva un gesto semplicissimi.
Mi accorsi solo in quell’istante di come anche lo sguardo di Michael fosse totalmente rivolto a lei.
Mi fermai un’istante. Che tra di loro non ci fosse solo un rapporto di lavoro?
Scacciando quella domanda strana dalla mia testa, riportai l’attenzione alla realtà.
“.. va bene, ma come la mettiamo con tuo fratello?” cercò di farmi ragionare nuovamente.
“Arriverò a casa prima che possa tornare, non ti preoccupare” gli dissi sicura.
Mi fissò serio per minuti nel silenzio dell’ufficio.
Poi qualcosa parve sciogliersi e scosse la testa.
“Donne, sempre ragione loro…. Dai, muoviti che prima lo troviamo e prima la smetti di perdere anni dalla paura” mi disse scompigliandomi i capelli in un gesto affettuoso, facendomelo riconoscere come il ragazzo del giorno prima.
Non potei trattenere un sorriso e avviandomi verso la porta non potei evitare un “Grazie” di cuore a Meriane che rispose strizzandomi l’occhio.
 
“Messe le cinture?” chiese Michael lanciandomi solo una breve occhiata per accertarsene.
“Ma se sei tu che dai le multe, di che hai paura?”
Mi lanciò un’altra occhiata di sufficienza.
“ Del fatto che per disperazione tu ti lanciassi fuori dall’auto in corsa”
Gli diedi un’occhiata di traverso e non risposi.
 
Iniziammo un eterno giro di telefonate, viaggi, identikit… una continua tortura.
Ogni dato esistente al mondo di Alì, fu inviato a tutti i comandi di polizia e centri.
Andammo in tanti di quei posti da farmi perdere il conto. “Burocrazia” mi aveva liquidato lui quando gli chiesi il perché di tutti quei viaggi visto che avevamo inviato per via web tutti i dati.
Verso le cinque del pomeriggio venne chiamato da una centrale vicina per accertarsi dell’effettivo avvistamento di Alì e il mio cuore fece un balzo.
Arrivammo lì in fretta e Michael si mise subito a seguire il discorso del tizio.
“No, non è lui” sentenziò venti minuti dopo.
In quel momento il mio stomaco decise di farsi sentire, con un rombo potente, attirando l’attenzione dei presenti.
Sentii il solito calore salirmi al volto ed un improvviso caldo pervadermi. Ero in pieno imbarazzo e i risolini o i sorrisi nascosti dei poliziotti che mi circondavano, non mi aiutavano per nulla.
“Maik, non credi sia il caso di portarla a mangiare qualcosa? Altrimenti tra un po’ morirà di fame” disse divertito un uomo con davanti tanti fascicoli nella sua scrivania.
“Resisterà, abbiamo quasi fatto..” rispose senza alzare gli occhi e continuando a sfogliare i documenti delle testimonianze del presunto avvistamento.
Io annuii convinta, accettando di buon grado la cosa.
Se questo avrebbe aiutato il ritrovamento di Alì, sarei rimasta digiuna anche fino alla morte.
Non potei non dispiacermi per Meriane quando sentii una voglia indicibile di togliermi anche l’ultima pellicina dell’indice, aprendomi ancora di più quella mini ferita e facendomi colare ancor di più sangue.
Lei aveva sperato che andando con Michael mi sarei calmata, ma il fatto era invece che mi sentivo ancor di più nervosa, conscia dei risultati che avevamo trovato.
Quell’uomo era praticamente scomparso senza che nessuno o quasi sapesse riferire nulla.
Dov’era finito il mio amico, accidenti?
Che fosse finito in qualche pasticcio a causa di quello che era successo?
Infatti io non avevo idea di dove prendesse la roba che vendeva: chi mi garantiva che non la comprasse da tipi loschi?
Oh mio Dio, e se davvero fosse così?
Iniziai a sudare freddo mentre me lo immaginavo sgozzato in qualche vicolo o trucidato e ferito nelle maniere peggiori, degne di film di mafia o horror.
La sua vita poteva essersi già spenta per mano di qualche pazzo omicida ed io ero lì immobile. Che razza di persona ero?
Mi disgustavo da sola.
Tutto quello che Alì aveva fatto per me, i suoi sorrisi di incoraggiamento quando le cose andavano male, la sua protezione quasi paterna, la sua amicizia…
Repressi un singhiozzo a stento, facendolo passare per un colpo di tosse.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi e tentai di cacciarle.
Quando vidi che non ero certa di riuscirci ancora per molto, cercai una scappatoia.
“Scusate, vado al bagno” borbottai mentre uscivo frettolosamente tenendo lo sguardo a terra.
Entrai veloce in quello che avevo ipotizzato fosse il bagno e chiusi velocemente la porta a chiave.
Una stanzina azzurra, con le piastrelle lucide alle pareti e uno specchio sopra il lavandino fecero la loro comparsa prima che la loro vista mi si appannasse.
Presi un respiro profondo, per cacciare nuovamente quelle lacrime da tensione e mi avvicinai al lavabo.
Mi specchiai involontariamente e lacrime di rabbia cominciarono a scendere, sbattendo sul mio sguardo riflesso, cerico d’odio e risentimento.
Avevo davanti la persona che avrebbe potuto fare qualcosa e che non ha fatto.
Chi avrebbe potuto risolvere i suoi problemi economici ad occhi chiusi e invece se n’era infischiata.
Perché Alì? Non poteva esser accaduto a me?
Sarebbe stato meglio infondo.
Ero io quella inutile, quella che se scompariva non sarebbe importato a nessuno, quella incapace di tenere i propri affetti.
Perché io avevo lottato anche per i mei genitori, sperando in qualche cambiamento, rimanendo poi con solo un pugno di sogni ed illusioni quasi svanite dalla mia mente.
Mi sentivo piccola, infinitamente piccola.
Non potevo correre a cercarlo, dato che tutti i posti dove sarei andata li avevamo già battuti palmo a palmo, non potevo cercare l’uomo che mi aveva dato le informazioni vicino a casa sua, scomparso anch’esso misteriosamente.
Posai il capo sul muro a fianco per cercare di arrestare i singhiozzi che minacciavano di scoprirmi.
Tutto quello che mi rimaneva era l’orgoglio ormai.
Mi raggomitolai a terra cercando conforto nel mio stesso abbraccio.
Mi facevo schifo da sola e le mie mani portate agli occhi chiedevano solo che questi non si aprissero più.
Avevo bisogno di un abbraccio.
Ero un’egoista, lo sapevo, ma desideravo davvero tanto che Alì aprisse improvvisamente quella porta e mi abbracciasse come faceva quando stavo male o quando mi vedeva giù. O anche solo quando aveva voglia di farlo.
Volevo uno di quei tanti abbracci che ti dicevano “Non ti preoccupare, qualsiasi cosa succeda, sappi che io ci sarò”.
 
 
Un bussare alla porta mi fece svegliare di colpo.
Diamine, mi ero addormentata, sfinita dal pianto!
Patetica.
Con il respiro ancora irregolare e la sorpresa a paralizzarmi la mente non mi mossi né risposi, troppo impegnata a pregare che non mi scoprissero.
Risentii bussare, dopodiché la maniglia si abbassò inutilmente.
“Ehi, Angel! Apri!” sentii il tono preoccupato di Michael attraverso la porta spessa.
“Si, Si, esco subito, dammi un secondo” mi affrettai a rispondergli, pregando che il tono di voce ancora un po’ rotto dal pianto non l’avesse insospettito.
Balzai in piedi, veloce, ma un capogiro e un po’ d’acqua nel pavimento mi fecero scivolare e sbattere con la fronte addosso al lavabo.
Mi morsi il labbro per evitare di urlare di dolore.
“Si può sapere che stai facendo?” mi chiese ora con rabbia e preoccupazione insieme.
“Sei stata ore là dentro, che diamine stai facendo? Apri immediatamente!!” mi urlò dall’altra parte.
Mi guardai allo specchi e mi feci paura da sola. Il mio volto pallido aveva intorno agli occhi un po’ rossi una lieve rientranza viola, quasi mi avessero dato dei pugni. E sopra, vicino all’attaccatura dei capelli, un bernoccolo si stava formando dove c’era una piccola striscia di sangue che si fermò subito, non appena vi passai sopra il dito.
Che scusa avrei accampato?
Sospirai, cercando di non peggiorare la situazione quando lui mi minacciò di chiamare i suoi colleghi.
Sperai che mi venisse una buona idea, ma quando aprii la porta me lo ritrovai addosso, trascinandomi di nuovo dentro.
Chiuse la porta con uno scatto e mi bloccò con le spalle al muro, squadrandomi inferocito.
“Che hai combinato?” mi chiese a stento trattenendosi.
Io volsi lo sguardo dal suo e alzai le spalle.
“Nulla, mi sono solo addormentata.”
Meglio andare per le mezze verità.
Lui mi guardò intensamente, cinico.
“In un bagno, nella centrale di polizia, alle sette di sera?” mi riprese, quasi abbaiando.
A quanto pare non apprezzava molto le menzogne.
Mi sentii in una posizione scomoda con quegli occhi che mi perforavano.
Cercai di scrollarmi le sue mani di dosso, sentendo tutto il dolore della mia situazione rimbalzarmi di nuovo contro.
“Già, non ti capita mai di avere sonno ed addormentarti a te?” ribattei acida, continuando a non guardarlo per trattenere ancora una volta quelle dannate lacrime.
Le ricacciai indietro, pregando di raggiungere casa al più presto per potermi sfogare.
Da sola, come sempre.
Qualcosa nel mio viso parve allarmarlo, ma poi sentii la sua stretta lasciarmi e il freddo riprendere possesso del mio corpo, facendomi desiderare di nuovo quel contatto.
“Sei davvero impossibile”
Sentii un sorriso amaro spuntarmi sulle labbra.
Era vero, ero impossibile, come dargli torto? Sentii nuovamente le lacrime montare e le ricacciai indietro, con un moto di stizza.
Basta compiangersi, l’avevo fatto a sufficienza.
“Vieni dai, andiamo a mangiare” mi disse neutro senza aggiungere altro.
Sentii il suono del campanile della chiesa poco distante battere l’ora.
“Le otto?” sussurrai, basita.
Mi lanciò uno sguardo e non disse niente, continuando a camminare verso l’auto affianco a me.
 
“Non ti sei nemmeno accorta che abbiamo preso una macchina differente da quella con cui siamo arrivati” sbottò ad un certo punto lui, risvegliando la mia mente dallo stato di calma apatica in cui era caduto.
Il mio sguardo era vacuo fuori dal finestrino e non potei impedirmi di riportarlo all’interno di quell’abitacolo dove qualcuno mi stava ancora chiamando.
“Angel, insomma! Rispondi accidenti a te!” ringhiò.
La neve aveva appena riiniziato a cadere e datti colpa a quella se il freddo continuava a tenermi stretta.
“Te l’ho già detto: non sono una buona compagnia” mi sforzai di dire nel tono più neutro che vi riuscii.
“Ma non ti sforzi nemmeno per esserlo!”
Sentii un moto di ribellione per quelle parole. Che ne sapeva lui dei miei sforzi?
“Cosa te lo fa credere?” dissi acida.
Frenò bruscamente in una piazzola e facendomi quasi sbattere addosso al finestrino.
“Ma sei impazzito?!” ringhiai non appena mi resi conto di quello che aveva fatto.
Una frenata così in mezzo alla neve, d’inverno, con il buio, con me a bordo e con le macchine che ci avevano sfiorato per un soffio.
Aveva intenzione di farci morire tutti?
“Cazzo, ti sei vista per caso? Sembri uscita da una tomba! Pensi che Alì rispunti fuori grazie a questo tuo auto flagellarti?”
Era furioso, inviperito, amareggiato.
“Hai ragione. La prossima volta mi butterò direttamente sotto un ponte o sotto qualche macchina. Non fa bene lasciare le cose a metà…”
Dichiarai con ironia nera.
Sentii le sue cinture che si staccavano di colpo e le sue mani afferrarmi il volto con forza.
“Ascoltami bene” sibilò nel buio dell’abitacolo “azzardati a fare anche solo a dirlo un’altra volta o a pensarlo e ti assicuro che Alì sarà la tua ultima preoccupazione.
Cazzo, non puoi abbandonare la speranza di trovarlo dopo così poco tempo! Ma soprattutto smettila, e ripeto smettila! Di darti colpe che non hai! Ci siamo chiariti?”
Mi teneva ferma la testa contro il poggia testa, costringendomi a guardarlo dritto in quei occhi verdi che avevo scoperto essere un mondo alternativo, dove potevo sprofondare senza nemmeno rendermene conto.
Improvvisamente lo trovai bello.
Bello con i suoi capelli scuri, bello con la leggera barbetta che gli era cresciuta in quel giorno, bello nel suo carattere tutto particolare.
Bello.
Rimasi lì a guardarlo, mentre nel suo sguardo leggevo nella rabbia la preoccupazione che lo pervadeva.
Sentii il suo fiato caldo vicino alla mia guancia e il freddo mi sembrò lievemente sciogliersi.
“Non dire nemmeno per scherzo che butteresti via la tua vita. Nemmeno per scherzo, mi sono spiegato?” sussurrò facendosi sempre più vicino al mio viso.
Deglutii, voltando il viso che intanto mi aveva lasciato.
“Siamo seri, Michael” risposi infine amara “Non so tenere un affetto inimmaginabile e faccio le veci della mamma ad un bambino a cui dovrei servire solo per picchiare i bulli della scuola in casi normali. Sono una nullità per i miei genitori e un peso per tutti gli altri. L’unica persona che mi riteneva il contrario è sparita e non riusciamo a trovarla. Dovrei essere felice? Mi dispiace deluderti, ma io non sono forte come voi” dissi con voce tremula spostando lo sguardo.
Lui sembrò infuriarsi ancor di più.
“Non è quello che mi aveva detto mio padre, quando ti aveva trovata fuori casa, gelata fino al midollo e comunque con il sorriso sulle labbra. Non era quello che ho visto io quando volevi quasi uccidermi per non perdere il tuo amico marocchino… Non è quello che sei!”
Cominciai a dibattermi anch’io, incapace di credere veramente alle sue parole.
“Cosa ne sai tu? Da quanti giorni mi conosci per dire così? Tu non sai niente di niente! tu non..”
Mi zittì bloccando le mie labbra con le sue.
Rimasi così scioccata che anche quando si staccò non facevo altro che guadarlo incapace di dire qualcosa.
“Senti, ognuno ha i propri problemi, le sue insicurezze con cui dover fare i conti ogni giorno e capisco che, soprattutto se affrontati da soli siano insormontabili.
Ma pensaci un attimo: sei davvero così inutile come dici di essere? Se non ci fossi tu, chi ti garantirebbe che tuo fratello non sia abbandonato a se stesso o a qualche servizio sociale? Chi ti direbbe che le parole che rivolgi alla gente, i consigli, le promesse, le ristate, non siano una piccola felicità anche per loro tra l’oscurità dei loro problemi?
Non servono grandi cose per essere utili, bastano quelle piccole e quotidiane che ti fanno strappare un sorriso e illuminare la giornata.” Sentenziò serio, asciugandomi una lacrima sfuggita al mio controllo.
Stetti zitta ripensando al suo discorso e mi accorsi che se avessi tentato di parlare non avrei trovato fiato né voce.
“E comunque guarda che piangere non vuol dire essere deboli, ma possedere un cuore” disse alzandosi e rimettendosi al suo posto.
Alzai di scatto la testa e lui mi fece un occhiolino.
“Sei una pessima attrice sai? Ho capito quello che era successo in quel bagno non appena hai aperto la porta.”
Mi sfuggì un singhiozzo che andai a far terminare nel suo petto, ignorando completamente la sorpresa che gli avevo creato.
Quando si sciolse, mi abbracciò stretta e mi passò una mano tra i capelli, togliendomeli dal volto.
Quando sussultai lo sentii arrestarsi.
“Che hai fatto alla fronte?” chiese preoccupato.
Non potei impedirmi di ridere tra le lacrime, ancora stretta al suo petto.
“Non avevi detto che avevi capito cos’era successo non appena mi hai visto?” lo presi in giro.
“Bhé, sì, ma non pensavo che avessi addirittura tentato il confronto con il muro per la disperazione..” cercò di scherzare ma con un dubbio serio alla base.
“Tranquillo, era un lavabo” lo sentii irrigidirsi.
“Ancora peggio di quel che credessi…” sussurrò.
“Non ti preoccupare, è dolo un bernoccolo. Alzandomi ho perso l’equilibrio e sono scivolata.”
“mhmh…” mi disse solo prima di prendere il mio volto tra le mani ed alzarlo, analizzandomi il piccolo taglio alla luce dei lampioni in lontananza.
“Devi medicarlo. Propongo una cena a casa mia e una buona fasciatura.”
Alzai un sopracciglio.
“Non ti dimentichi qualcosa?”
Lui ghignò. “Non mi pare”
“Mio fratello, i miei genitori, la mia opinione.. ce ne sarebbero di cose” risposi allontanando la testa un po’ da lui e guardandolo male.
Ghignò anche sta volta.
“La mamma di un amichetto di tuo fratello ha chiamato che sarebbe rimasto a casa sua a dormire e i tuoi hanno mandato un messaggio dicendoti che non sarebbero tornati che domani pomeriggio. Non hai scuse per non accettare”
Mi scostai del tutto, incrociando le braccia al petto.
“Veramente ne avrei due” dissi sicura.
Lui mi guardò curioso “Ovvero?”
“La mia opinione è negativa su di te, ti ricordi? Inoltre domani ho scuola” ribattei gongolante di aver vinto.
Comparve un sorriso poco simpatico sul suo volto e cominciò a farsi vicino.
“Ah, così non ti fidi di me, eh?” ghignò.
Non risposi, sentendo ancora una volta quegli strani brividi prendermi.
“Per quanto riguarda la scuola sappi che ti porterò io in macchia. Ci passo per di lì e non mi creerebbe problemi. Quanto alla tua opinione…” sorrise maligno “Non mi potrebbe importare di meno! Sei praticamente obbligata dal sottoscritto!”
Disse risoluto prima di far correre le mani sui miei fianchi farmi scoppiare a ridere.
Oddio, quando aveva capito che soffrivo il solletico?






Angolo autrice...
Chiedo davvero scusa per il tempo che ci ho messo ma la scuola, come di certo voi tutti saprete, non lascia vie di tregua per nessuno -.- Spero di aver fatto un capitolo decente e di non avervi annoiato con questo che è davvero il più lungo che abbia mai scritto in vita mia! XD aspetto come sempre qualche vostro consiglio/ suggerimento/ critica per aiutarmi e consigliarmi nella storia...
Bé, che dire? Alla prossima! :-*
  
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