«La verità, signor O’Neill. Ecco tutto quello che le
chiediamo.»
L’interrogatorio andava avanti da alcuni minuti. John e
Thomas O’Neill avevano di nuovo negato con forza di essere responsabili della
morte di Larissa.
Lanie aveva stabilito che la morte della ragazza era dovuta
a cause accidentali. Beckett era disposta a
credere alla loro versione dei fatti, ma non voleva negazioni, versioni
reticenti, voleva la verità. Semplicemente la verità.
«Altrimenti, la fotografia che ritrae suo figlio in
compagnia di una ragazza che è morta poche ore dopo sarebbe sufficiente per tenere
aperto il caso. A questo punto, Thomas sarà accusato di omicidio.»
«Sarei arrestato?» domandò il ragazzo spaventato.
«Tu che dici, Ryan?»
Il detective annuì. «Direi proprio di sì.»
Non era un ricatto, ma probabilmente il capitano Montgomery
non avrebbe apprezzato lo stratagemma.
I due interrogati si consultarono con lo sguardo.
«D’accordo. Vi dirò tutto.»
«La ascoltiamo.»
«La morte di mia moglie è stato un momento difficilissimo
per me. Ero distrutto, non mi vergogno a dirlo. Come vi ho già detto, ho
pensato addirittura al suicidio, sono stato in cura contro la depressione. Lei
ha mai perso qualcuno che amava, detective?»
«Mia madre.»
«Allora può capire quello che ho provato. È stato un dolore
devastante.»
Beckett annuì per farlo proseguire.
«A quei tempi l’impero sovietico era appena crollato. Da
pochi anni la nostre imprese commerciavano con quelle del nostro nemico
storico. Io avevo appena iniziato la mia attività, all’epoca scrivevo programmi
per computer. Un laboratorio scientifico nell’ex Unione Sovietica aveva chiesto
i miei servizi e io lavoravo per loro.»
Ryan lo fissò con uno sguardo stupito. Ancora non si
spiegava quale fosse il collegamento tra il laboratorio russo e la morte della
moglie.
«Di cosa si occupava questo laboratorio?» domandò.
«Di ricerche genetiche. Erano all’avanguardia. Una struttura
autorevole finanziata con soldi pubblici e diretta da scienziati molto
intelligenti e brillanti. Con il crollo dello Stato volevano espandere la
propria attività all’estero, perché non avrebbero più ricevuto i finanziamenti
pubblici. Ecco perché avevano bisogno di nuovi computer e di nuovi programmi.»
«Qual è il collegamento?» domandò Beckett.
Il signor O’Neill guardò il figlio. Poi rimase in silenzio.
Fece un gesto come per iniziare a spiegarsi poi tacque di nuovo.
«Quando Mary Ellen è morta…»
Si interruppe ancora.
Kate si sporse sulla scrivania. «Sì? Vada avanti.»
«Quando Mary Ellen è morta, ho fatto prelevare il suo DNA e…
ho chiesto a quel laboratorio di clonarla.»
Clonazione. Ecco spiegato il mistero del DNA identico.
Larissa era il clone di Mary Ellen.
Beckett e Ryan erano sbalorditi. A quanto sembrava, quel
laboratorio ex sovietico aveva anticipato il resto del mondo di quasi un
decennio. La famosa pecora Dolly, il primo animale clonato ufficialmente
presentato alla comunità scientifica, sarebbe nata solo alcuni anni più tardi.
Ufficialmente, poi, la clonazione umana non era mai stata autorizzata né
sperimentata.
Quell’uomo, invece, aveva appena dichiarato che già da vent’anni
esisteva una persona nata da un esperimento di clonazione.
Era incredibile.
Eppure tutto tornava. Lo stesso DNA, come nel caso di due
gemelli; l’incredibile somiglianza tra le due donne, che avevano pressoché la
stessa età al momento della morte; l’assenza di tracce nei database governativi
di Larissa, che era a tutti gli effetti cittadina straniera.
Non erano madre e figlia, non erano nemmeno sorelle. E non
erano nemmeno la stessa persona.
Beckett e Ryan tempestarono di domande John O’Neill. Lui non
era un esperto di biologia e medicina, non sapeva spiegare come quel
laboratorio fosse riuscito nell’impresa.
«In realtà, io avevo perso qualsiasi contatto col
laboratorio. Non sapevo niente di Larissa, non sapevo che era nata, che era
cresciuta, non sapevo niente.»
«Com’è possibile?»
«Sei mesi dopo aver fornito il DNA e aver pagato quello che
mi avevano chiesto, il direttore del laboratorio, il professor Niesvitsky, è
morto. I suoi collaboratori si sono rifiutati di rispondere alle mie domande,
all’epoca. Non ho mai saputo se l’esperimento di clonazione di Mary Ellen era
riuscito oppure no e, dopo un po’, ho smesso di insistere.»
«Allora perché Larissa è venuta negli Stati Uniti?»
«Quella povera ragazza… voi non immaginate quanta pena mi
abbia fatto.»
Secondo O’Neill, Larissa, la sosia genetica della sua amata
moglie, aveva passato la vita intera in un orfanatrofio statale. Nata a seguito
di un esperimento genetico, l’avevano trattata come una cavia da laboratorio
per un paio di anni.
«Purtroppo, non hanno mai cercato una famiglia per lei.»
«E perché? Non potevano darla in adozione?»
«Detective, nessuno vorrebbe in adozione una bambina malata.»
«Malata?» domandò Beckett.
«Larissa aveva moltissimi problemi. Alcuni fisici, malattie,
insufficienza renale, cardiaca. Nella sua breve vita ha sofferto molto. E poi,
aveva altri problemi. Era destinata ad essere una cavia da laboratorio, ma gli
scienziati l’ha studiata solo per pochi primi anni prima di consegnarla
all’orfanatrofio. Vi chiederete perché. L’hanno abbandonata per una ragione
semplice: oltre ai problemi fisici, aveva alcuni preoccupanti handicap mentali.»
L’imprenditore era commosso.
«Mary Ellen era così intelligente! Larissa, invece, era
altrettanto bella ma le sue capacità cognitive non erano pienamente
sviluppate.»
«Che significa?»
«Era una disabile, detective Ryan. Così è chiaro?
All’apparenza sembrava una giovane donna del tutto normale, ma era sufficiente
rivolgerle la parola per capire che la sua mente era quella di una bambina. E
il suo corpo era martoriato da molte malattie interne.»
«Perché è venuta a New York?»
«Perché ormai era troppo grande per stare in un
orfanatrofio. Povera ragazza…»
All’improvviso, il signor O’Neill si alzò in piedi e si
allontanò di un passo dal tavolo, nascondendo il viso in un fazzoletto.
Thomas prese la parola.
«Ci siamo ritrovati sulla porta di casa una donna che era la
copia precisa di mia madre. Anch’io non sapevo della sua esistenza. Vi
immaginate lo shock?»
Beckett e Ryan erano senza parole. Annuirono.
«Spedita da noi da un orfanatrofio in Russia. Mio padre si
sente responsabile della vita e anche della morte di Larissa. Io…»
«Tu, Thomas, eri con lei.»
«Sì, ero con lei quel giorno. Quando è arrivata, l’ho
accompagnata in giro per la città. Cos’altro dovevo fare? Era sperduta,
preoccupata, lontana da casa sua, non parlava la nostra lingua, ma in compenso
era curiosa e si divertiva a girare per New York. Le sembrava un grande parco
giochi. Mentre mio padre pensava a cosa fare e telefonava in giro, io le ho
fatto fare un giro turistico con una delle macchine dell’azienda. Verso sera,
ad un tratto, si è sentita male. È successo all’improvviso. Eravamo in
macchina, ad un tratto è svenuta, si è accasciata sul sedile. È stato
terribile. Lei… è morta prima che potessi fare qualcosa.»
«Allora hai perso la testa e l’hai abbandonata.»
«È così. Non capivo più niente. Era morta, era inutile
accompagnarla in ospedale. Avevo paura di essere accusato di omicidio. L’ho
abbandonata in un vicolo… il resto lo sapete.»
Adesso anche Thomas era sull’orlo delle lacrime che il padre
tratteneva a stento.
Beckett e Ryan uscirono dalla sala interrogatori.
«Tu gli credi?» domandò Ryan nel corridoio.
«Possiamo controllare ogni singola parola. È una storia
troppo inverosimile per essere inventata.»
«Lo penso anch’io. Parola mia, Beckett, non ho mai sentito
niente di simile.»
«Nemmeno io. Una clonazione umana. Ti rendi conto?»
«Il nostro lavoro a volte è proprio strano.»
«Già. Riferirò al capitano Montgomery.» La detective, perplessa,
appoggiò una mano al fianco. «In ogni caso, però, continua a non essere un omicidio.»