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Autore: alex8160    12/02/2014    0 recensioni
Quando si pensa ad una persona come la stella più luminosa del cielo allora e solo allora si dice: "è impossibile che mi noti!"
Ma l'amore è fatto di promesse e si nutre di speranza, gioia e dolore.
Se esprimi un desiderio è perché vedi cadere una stella;
se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo e
se guardi il cielo è perché credi ancora in qualcosa.
Quindi dire impossibile è come spegnere la luce in un corridoio buio e chi non ha luce in viso, non diventerà mai una stella.
L'anima è piena di stelle cadenti.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Graffiai la superficie dell’asfalto ghiacciato, mi tirai su con le poche energie che mi erano rimaste. La carrozzina ancora lì. Una signora di mezza età continuava a fissarmi farfugliando alcune parole a me incomprensibili. ‹‹Tule Vien sinut kotiini! Siellä sinun on hieno vauvan kanssa!››. Le orecchie mi fischiavano e la pelle era completamente secca come i rami invernali di un salice. La signora continuava a strattonarmi via insieme alla carrozzina. Cercavo di opporre resistenza ma sembrava avere una forza sovrannaturale! Provavo a instaurare una comunicazione di qualsiasi genere, ma non riuscivo a farmi capire. Alla fine ci fece entrare in una vecchia 500. July era nelle mie braccia e la carrozzina era sistemata accuratamente sui sedili posteriori. Dopo un paio di curve quasi in derapata, riuscimmo a trovare una strada meno sterrata e premendo forte sull’acceleratore la signora ci condusse nel suo “nido”. Infine capitammo davanti ad un negozio apparentemente abbandonato. Lei bruscamente si fermò e scese dalla macchina continuando a farfugliare parole, forse con l’intento di farci rimanere nella macchina. Entrò chiudendo dopo di se la porta. Dal vetro del negozio intravedevo il negoziante. Un uomo molto barbuto sulla cinquantina. La signora iniziò una conversazione alquanto animata per essere di fronte ad una persona sconosciuta. Poi l’uomo le desse una scatola e lei con animo inviperito uscì dal negozio. Sistemò con cura nel bagagliaio la scatola, aprì lo sportello e prima di riuscire a chiuderlo partì in sgommata come una corsa da rally. Resto ancora stupito da quello strano viso che aveva quella donna. Molto luminoso ma notevolmente segnato dall’età. Le rughe sulla fronte le davano un’aria sempre rude, gli occhi scavati e profondi color acquamarina, un naso piccolo e sottile rivolto all’insù come quello degli elfi, aveva una bocca grande e un sorriso dolce sebbene assediato da una ragnatela di rughe e rughette, e infine un mento tondeggiante che addolciva quel tenero ma anziano viso. Portava i capelli lunghi. Un tempo dovevano essere biondi come spighe di grano al vento ma quel giorno sembravano stoppa per idraulico. La particolarità di quella donna però risiedeva nella voce. Aveva un tono roco e minaccioso sebbene le movenze del suo corpo fossero aggraziate. E fu proprio quella contraddizione che mi mandò fino in fondo a questa vicenda che stava capitando a me e a July. Con enorme fatica riuscimmo ad arrivare a quella si presumesse fosse la casa della signora. Una specie di buco-hobbit in cui ci si poteva aspettare di tutto. La struttura tondeggiante di quella casa, come fosse nata dal sottosuolo, sembrava far muovere le pareti e le finestre. Una porta color rosso fuoco ci diede il benvenuto in una casa a dir poco stupenda e geniale. Non so se rende l’idea se vi dissi che quella casa conteneva la magia di tutte le favole di questi ed altri tempi! Credo che quel giorno fosse stato il più strano mai vissuto. Mi limitai a emettere un piccolo suono dalla mia bocca che forse nessuno sentì. July si stropicciava gli occhi e arricciava il naso, mentre la signore con un gesto accogliente ci fece entrare. L’ambiente odorava di un legno stagionato misto a qualche cenno di umidità, forse dovuto alla terra che copriva la casa, le forme tondeggianti che all’esterno facevano muovere le pareti, all’interno creavano un vero e proprio senso di disorientamento. La casa era composta da un corridoio che si allargava e si restringeva a intervalli regolari facendo ci cambiare stanza senza alcuna percezione dei vari ambienti. Non riuscivo a distinguere quale fosse il salotto e quale fosse la stanza da letto. Il bagno era all’esterno con un’altra struttura simile, assieme allo sgabuzzino o “Armadio delle scope” come lo definiva la signora. Un brivido mi scosse il lobo dell’orecchio e incomincia a sentire quello che era una canzone a me troppo familiare! Non so da dove provenisse ma di certo quello era un vinile. Precisamente ascoltato con uno Zenith U.S.A. di fine anni ’50! Mi venne in mente tanto ascoltando il suono di quelle casse. Fu indimenticabile quel giorno in cui mio nonno mi portò negli Stati Uniti per farmi ascoltare un concerto dei Pink Floyd, senza sapere che quello sarebbe stato uno dei loro ultimi concerti. Ma a proposito di mio nonno dovete sapere che fu uno dei più grandi esperti in musicologia dell’era moderna, fu lui a insegnarmi la storia e la discografia di ogni singolo gruppo e talvolta (molto raramente), spolverava quel suo giradischi (proprio lo stesso della signora) e ascoltava un brano di qualsiasi artista. Un brano, niente di più, e ancora oggi mi chiedo il motivo per cui facesse così. * You are young and life is long and there is time to kill today * Così quella canzone ci rammentava quanto bisognava vivere la vita! Entrati nella prima stanza, se possiamo definirla così, e ci fece accomodare. Mi sentivo alquanto spiazzata nel vedere alcuna sedia dove sedersi e al contempo i continui gesti di lei che ci intimavano di sederci. ‹‹Ma che il cielo mi fulmini! Che diavolo aspettate a sedervi!›› disse lei bruscamente, con un tono sarcastico, seguito poi da una piccola risatina. Tralasciando il fatto che lei mi ebbe nascosto per tutto il tempo che conosceva la mia lingua, July fece un salto, quasi mi cascava dalle braccia, poi presi coscienza di me e decisi di sedermi per terra sopra a dei cuscini tutti colorati. Lei continuava a fissarmi quasi compiaciuta, poi incrociò le gambe e si mise a sedere di fronte a me. * toc-toc bussarono alla porta. Lei immediatamente si alzò e corse ad aprire. Sentii la porta cigolare e poi qualche risatina di sottofondo. Le voci si facevano vicine e vidi affacciarsi un viso piccolo e aggraziato, subito dopo vedo la signora di cui continuo a ignorarne il nome e una ragazza poco più grande di me che alla mia vista si fermò di colpo a guardarmi e restò tremendamente pietrificata, fino a che non si girò verso la signora per chiedere, almeno credo, spiegazioni. Si avvicinò a me e mi fece un inchino e disse: ‹‹Gwen e Viki al suo servizio.›› ‹‹Piacere, Martha...›› e come una straniera le tesi la mano, ma lei sembrava non capire e così la rimisi a posto sotto July. Viki venne subito vicino a lui per accarezzarlo. Facevano così tanta tenerezza loro due che quasi mi commossi… Come aspetto, Viki, è un bambino robusto e paffutello, alto circa un metro e venti, con piccoli polpacci, rotule piccole e delicate, quasi invisibili, e spalle che promettono un futuro fusto; il suo viso è ovale, rosa tenue, senza irregolarità, il mento regolare, la bocca, che la maggior parte delle volte regala un bel sorriso, lascia intravedere due minuscoli dentini candidi; i suoi occhi, grandi e sempre spalancati, hanno l’espressione di chi è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da studiare e da toccare; la fronte è ampia e intelligente; i capelli, sottilissimi, di colore castano scuro, quasi nero, sono alti sulle tempie, come quelli di sua madre; il suo naso, per ora molto piccolo, è diritto e regolare. La sua figura esprime vivacità, simpatia e voglia di coinvolgere chi gli sta attorno nelle sue risatine. Gli piace essere al centro dell’attenzione, soprattutto quella di sua mamma: forse pensa che sia sua proprietà esclusiva. I suoi modi denotano fiducia in chi lo circonda e volentieri si fa trastullare da chiunque ne abbia voglia. Già si può indovinare un carattere deciso. Chi lo vede oggi penserebbe che la foggia nel vestire sia quella di un bambino creativo e forse più grande dell’età che ha: stivaletti di camoscio, pantaloni larghi come quelli di Aladino color verde smeraldo decorata con corone di fiori dorate, maglietta e felpa intonate ai pantaloni. Naturalmente i colori, decisi, non hanno niente a che fare con quelli normalmente indossati dai bambini di soli sei anni. Le mani, cicciottelle e sempre in movimento, sono all’instancabile ricerca di qualcosa da afferrare per, alla minima distrazione di sua madre, mettersela in tasca. In ogni caso non smetteva di giocare con July, si divertiva un mondo a rubare il suo piccolo nasino. E allo stesso tempo July si divertiva un mondo, ma ero più che sicura che quel momento di felicità sarebbe finito presto. Nemmeno il tempo di guardarli sorridere che la porta tuonò di colpo! L’anziana signora corse ad aprire allarmata e io in quegli istanti avevo un bruttissimo presentimento. Si sentì un vetro andare in frantumi e dei passi affrettati che stavano per arrivare nella nostra stanza. ‹‹Eccoti qui stupida incapace! Il battito del mio cuore si gelò per un istante… Vidi sparire dalle mie braccia July che iniziò subito a piangere, le cose iniziavano a rallentare e a prendere un colorito blu spento. Mi sentii mancare mentre sentivo ancora questa voce, che altro non era che quella di Effie, urlarmi contro. Non capivo bene cosa stesse dicendo, la voce si faceva sempre più flebile e qualcosa di oscuro si impossessò di me! Un calore cresceva imminente dentro di me, avrei preso July e sarei scappata in quel preciso momento, se non per un tocco leggero sulla spalla di Gwen che, non appena mi girai a guardarla, fissava con insistenza Effie che continuava a sbraitare contro di me. Chiusi gli occhi e la sua mano sembrava trasferire i suoi pensieri. Capivo il mio errore per non aver avvertito quella, oramai vecchia, donna delle mie condizioni, ma soprattutto quelle del bambino. Continuava a baluginare l’idea di scappare ma si allontanava sempre più come una foglia secca trasportata dal vento in un giorno d’inverno. La porta sbatté nuovamente e io aprii gli occhi: Effie se ne era andata e con lei anche July. Gwen continuava a fissare quella porta appena chiusa e Viki era dietro le sue gambe con l’indice appoggiato sulle labbra. La padrona di casa era davanti la porta in ginocchio quasi volesse chiedere perdono per aver creato quella disputa, anche se effettivamente colpa sua non era. Ero in capace di parlare, ma Gwen si girò verso di me e mise le sue mani sulle mie spalle e disse con voce autorevole: ‹‹Davvero una scenata inutile per una ragazza della sua età! Ma si può essere così arroganti verso una persona? Non ci vedo gran che di cui andare fiero. Vedrai che la sua coscienza le rovinerà lentamente la vita se continua di questo passo.›› Sconcertata spalancai gli occhi e cercai di spiegarle che aveva ragione di arrabbiarsi. Infondo diciamocelo, l’avevo combinata davvero grossa! Ma lei subito replicò: ‹‹Come disse Octavian Paler: ‘Ho imparato che quando sono arrabbiato ho il diritto di essere arrabbiato, ma non ho il diritto di essere cattivo.’›› In fondo tutti i torti non li aveva. Comunque non replicai ma la coscienza rimase comunque afflitta da quel danno che ho procurato. Certamente non tornai più da Effie tranne che per raccogliere le mie cose. Di fatti quel giorno non appena ebbi suonato alla porta, sguardi tetri, cupi e pieni di odio, mi fissavano. Entrai sgattaiolai subito di sopra, preparai in fretta la mia valigia e uscii senza nemmeno un saluto. Gwen e la signora mi aspettavano fuori con la vecchia 500. Mi appoggiai affianco la valigia e sgommammo, come solito guidare della signora, verso la “casa-hobbit”. Non una parola uscì durante il viaggio, solo quando fummo arrivati in casa e trovammo Viki nel salotto intento a giocare con vecchie trottole di legno, ci scambiammo qualche parola per conoscerci meglio, iniziando ovviamente dalla padrona di casa.
  
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