Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Flitwick    14/02/2014    4 recensioni
Cosa sarebbe successo se i nostri beneamini fossero vissuti nel 2000? E se dopo tante avventure... Fossero già sposati?
Riuscirebbero a sopravvivere ad un primo e lungo anno di matrimonio?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You're my Valentine-Oscar
 

Ero appena uscita dalla redazione e mi dirigevo a passo lento verso casa. Ero così stanca, a malapena riuscivo a camminare con quei trampoli che le donne chiamano ‘tacchi’. Era di cattivo umore, avevo dovuto scrivere ben tre articoli su un omicidio avvenuto poco vicino alla stazione Saint-Lazare. Odio scrivere sugli omicidi e i suicidi, ma mi hanno costretta e non ho potuto ribellarmi. Ad aumentare il mio cattivo umore c’era anche la mancanza di Andrè. Il mio caro maritino era partito circa dieci giorni prima per Berlino, dove era in corso un congresso di medicina, e lui è dovuto partire lasciandomi sola a casa.
Sbuffai e misi la chiave nella toppa. Ero in ritardo di ben quindici minuti, di solito per arrivare a casa ci metto pochissimo, forse perché  c’è Andrè ad aspettarmi..
Mi guardai in giro e una strana malinconia mi avvolse. La casa senza Andrè era davvero una gabbia, quella solitudine che mi rendeva così triste, solo lui la riusciva a colmare. Mi sedetti sul divano con un lungo sospiro. Non potevo sfogarmi con nessuno, solo con il mio adorato pianoforte, ma lui di sicuro non ti abbraccia, non ti fa ridere.. Non ti bacia. Uffa Andrè! Sei un maledetto! Giurai a me stessa che lo avrei scorticato vivo con le mie stesse mani appena atterrava a Parigi. Era così triste vedere la casa tutta buia, senza né pennelli né colori in giro, senza stetoscopi, né camici.. Ma soprattutto senza te, Andrè. Ogni sera è terribile addormentarsi senza le tue braccia che mi stringono a te, senza il tuo profumo, senza le tue carezze. Il letto ghiacciato, e io così piccola per occuparlo tutto.
Scossi la testa. Che idiota! Che razza di ragionamenti facevo?
Sì, è vero. Ho sempre detestato stare da sola, ma dovevo farmi forza, Andrè sarebbe ritornato domani mattina presto e sarebbe tutto passato, ma soprattutto gli avrei tenuto il muso per avermi fatto andare avanti a pizza e patatine questi giorni. Lo avrei costretto a farmi torte per due settimane, non avrei avuto pietà per quel dottorino!
Improvvisamente i miei pensieri furono interrotti dal telefono che squillava. Mi alzai di scatto e andai a rispondere.
“Pronto?”
“Pronto? Ciao amore!”
Sorrisi come una idiota e strinsi di più la cornetta al mio orecchio. Forse per imprimere, o addirittura far avvicinare di più a me quella voce.
“Ciao Andrè.” Feci cercando di trattenere la gioia.
“Come stai? Scusami, non ho potuto chiamarti prima, ho avuto tre conferenze, di cui due in tedesco.” Lo sentii ridere “E tu sai come sono bravo in tedesco!”
Scoppiai a ridere immaginandomi Andrè che cercava di capire quella lingua ostrogota. È sempre stato poco portato per le lingue, ma il tedesco e l’inglese sono da sempre i suoi Tallone D’Achille. Gli ho fatto i compiti di entrambe le lingue per anni, non è mai riuscito né a comprenderle a pieno, né a pronunciarle correttamente.
“Immagino come avrai dato sfoggio delle tue conoscenze!” scherzai
“Non hai idea, per poco mi prendevano per madrelingua!”
Ridemmo per un po’, quando improvvisamente mi ricordai che lui non era lì con me e quella nostalgia mi avvolse di nuovo.
“Bhe.. E oggi cosa hai in programma?”
“Cena di lavoro vicino al Doich Museum.”
Trattenni una risata.
“Andrè, si dice Deutsch, non Doich.”
“Quanto siamo fiscali! Già è tanto che so dove è! Penso che mi darò malato. Queste cene sono così noiose.”
“Come mai? Non ci sono ragazze carine?” chiesi provocatoria e lui ridacchiò.
“No, niente ragazze. Solo tanti tedeschi, e io non capisco un’acca.”
“Ce la farai.”
“No che non ce la faccio. Questi parlano ostrogoto!” sospirò, poi il suo tono si addolcì “Mi manca il francese, almeno è più musicale.”
Non risposi.
Quel tono di Andrè mi immobilizzava facendomi sciogliere lentamente.
“E tu invece, cosa fai di bello? Vai da Marie? O da Julienne?”
“Da nessuna delle due. Marie sta organizzando la sfilata per giovedì, ha molto da fare. Julienne invece sta preparando un esame per l’università insieme ad Aleksej. Quindi restiamo io, la casa e il pianoforte.”
“Povera la mia Oscar, mi dispiace che tu stia da sola a casa.”
Mi morsi un labbro, anche a me Andrè, anche a me dispiace.
“Non preoccuparti, io e il mio fedele piano abbiamo molto da fare stanotte. Ci aspetta una serata di Mozart e Beethoven.”
“Sinfonia numero cinque immagino, non svegliare tutto il palazzo per favore. Non vorrei trovarti in galera quando torno.”
Risi e lui mi seguì.
Dio Andrè quanto mi manchi.. Sto contando i minuti.. Non ce la faccio più a stare senza te.
“Oscar..”
“Sì..?”
“Ti manco?”
Un calore inaspettato mi riscaldò il sangue facendomi trasalire. Cosa diavolo dovevo rispondere adesso? Dannazione Andrè.. Mi manchi un sacco, ma non posso mica dirtelo! Sei un maledetto! Ma non te la darà vinta! Sappilo!
“Un pochino.. Senza esagerare.” Scherzai, ma lui non seguì il mio esempio.
“A me manchi tantissimo... Non ce la faccio più a stare con questi ostrogoti. Desidero tanto rivedere il tuo sorriso al più presto.”
Anche io Andrè.. Anche io. Non hai idea della tristezza che mi accompagna da giorni. Vorrei che tu fossi qui e che mi stringessi nelle tue braccia, facendomi dimenticare tutto il resto, sono così triste. Sono passati solo dieci giorni e già ho bisogno di te, sono proprio una donnetta. Mi credevo più forte, capace di andare avanti anche da sola.. Ma a quanto pare parte della mia forza è legata a te, e senza te non mi è possibile esercitarla.
Sono così impotente.
“Non farla tanto lunga! Torni domani!”
Silenzio. Non mi rispose, e capii che c’era qualcosa che non andava.
“Andrè? Torni domani, no?”
Il panico mi inghiottì.
Ti prego Andrè, non lasciarmi ancora da sola. Non ce la faccio più. Non lo avrei mai detto, ma ho bisogno di te per non sentirmi sola e abbandonata, ti prego.
“Bhe, ecco.. Oscar ti ho chiamato proprio per questo... Vedi, c’è stato un problema al congresso, e lo hanno dovuto prolungare per motivi tecnici.. Ma non preoccuparti! Torno il diciassette sera....”
“Ah...”
Tacqui. Altri tre giorni di agonia, non ce la avrei fatta. Ero certa, sarei crollata prima.
“Mi dispiace piccola..”
“Non preoccuparti Andrè, cose che capitano.”
Molto probabilmente il mio tono di voce doveva essersi abbassato di botto, tanto che anche Andrè lo notò. Non volevo farlo preoccupare... Però che tristezza.
“Mi dispiace, domani è San Valentino, non avrei mai voluto lasciarti sola..”
“Figurati! Non dire stupidaggini!” cercai di riprendere il tono canzonatorio di prima, ma con poco successo “Non preoccuparti Andrè.. Pensa piuttosto a capire gli ostrogoti, avrai bisogno di fortuna.”

“Sì.. Hai ragione.”
Silenzio.
Non sapevamo più che dire. Ero così sconsolata, che ormai parlare con lui non mi dava più gioia.
“Bhe Andrè, sarebbe meglio che tu vada a prepararti.. Non vorrei che per colpa mia arrivassi tardi...”
“Sì... In effetti sarei pure in ritardo.” Ridacchiò.
“E allora vai, altrimenti poi diranno male dei francesi per colpa tua. E non te lo perdono!”
Rise nuovamente, per poi addolcire nuovamente la voce.
“Ci sentiamo domani amore, fai sogni d’oro.”
“Ciao Andrè.. Fai una bella figura in mezzo a quei tedeschi.”
“Sarà fatto.”
“Divertiti, e buonanotte.”
“Buonanotte tesoro mio.”
Appoggiai la cornetta sul tavolo con un peso sullo stomaco. Tre giorni. Tre lunghissimi giorni ancora in quella solitudine e tristezza. Non ce la avrei fatta, ero così stanca. Dannati dottori tedeschi! Che diavolo dovete dirvi?? Come si cura la varicella?
Sbuffai e guardai l’orologio. Le undici e un quarto.
Forse era meglio andare a dormire, almeno non avrei avuto modo di pensare più del dovuto e non mi sarei depressa più di quanto già lo fossi.
Mi cambiai velocemente e mi tuffai nel letto cercando di riscaldarmi, benché anch’esso fosse gelido. Mi raggomitolai e strinsi le coperte a me, nel tentativo di riscaldarmi e mantenere quel calore sulla mia pelle.
Quando c’è Andrè non è così freddo... Quando mi addormento con lui c’è sempre un dolce tepore ad accarezzarmi.
Non ho mai retto il freddo; sin da piccola avevo sempre le mani e i piedi ghiacciati, e diventavo più pallida del solito. Non riuscivo mai a riscaldarmi, benché stessi perennemente attaccata al termosifone,andavo in giro per casa con tre coperte addosso e le mie sorelle mi prendevano continuamente in giro. Molto probabilmente era un problema di circolazione, ma da quando dormivo con Andrè quel problema era sparito. Avevo le mani e i piedi perennemente caldi e il mio colorito passava dal tenue rosa ad una tonalità più decisa. Il calore umano è diverso da quello artificiale, è eterno. Passavo ore sul calorifero, ma non mi riscaldavo minimamente, una sola ora con Andrè che mi abbraccia e mi tiene in braccio e il mio sangue è già bollente.
Scossi la testa, basta pensare ad Andrè!
Avrei dovuto concentrarmi sul dormire o al massimo sulla relazione che avrei dovuto esporre lunedì. Domani era sabato, e me la sarei presa comoda, poiché non era il mio turno in redazione.
Chiusi gli occhi e piano piano mi assopii, mentre la luna risplendeva in cielo.
 
Non so esattamente quanto dormii, ma venni svegliata da una fastidiosa musichetta proveniente dal mio comodino. Mugugnai qualcosa di incomprensibile e tirai fuori un braccio dalle coperte per afferrare il cellulare. Mi tirai su a sedere e sbadigliai, per poi stropicciarmi gli occhi e aprire il cellulare.
“Un nuovo messaggio”
Mi tirai la coperta sulle gambe, ravvibridendo, e aprii il messaggio.
“Andrè-00XXXXXX
Hai da fare oggi?”
Guardai il messaggio senza parole. Che cosa importava a lui se avevo da fare o meno oggi, lui era a Berlino!
“Andrè-00XXXXXX
No, perché?”
Buttai il cellulare sul suo cuscino e mi ributtai sotto le coperte chiudendo gli occhi, dopo poco sentii una vibrazione e lo afferrai senza neanche guardare.
“Andrè-00XXXXXX
Ti va di fare un gioco?”
Sbattei più volte le palpebre per capire se fossi davvero sveglia. Mi stropicciai di nuovo gli occhi, per poi tirarmi una ciocca di capelli.
Sì, ero sveglia.
Forse era impazzito, che diavolo andava blaterando? Un gioco? Ma che diavolo gli prendeva? Guardai l’orologio, le otto e mezza. Non mi sarei più riaddormentata. Grazie Andrè!
“Andrè-00XXXXXX
Sentiamo.”
Dopo neanche due minuti mi arrivò un messaggio più lungo degli altri.
“Andrè-00XXXXXX
Direi di cominciare.
Il primo indizio ti do da cercare,
hai tempo per pensare.
Prendi tempo e respira,
Ecco a te la prima via.
‘Dove un cavaliere senza armi salvò un principe senza corona.’
Aiuti non avrai,
quindi aspetta, e troverai.”
Doveva aver bevuto vodka a volontà quella mattina per essere così rimbambito. Che diavolo voleva? Non pensava veramente che io avrei fatto quel gioco scemo?? Inoltre quando si parlava di rime Andrè era proprio negato. Non aveva azzeccato minimamente la metrica, ma questi sono solo dettaglii irrilevanti.
Rilessi più volte il messaggio, per poi alzarmi sospirando.
Cosa poteva essere un cavaliere senz’armi e un principe senza corona?
Riordinai le coperte e chiusi il telefono rimurginando su quell’indizio, non aveva senso. Se un cavaliere è senza armi non è un cavaliere, e se un principe non ha la corona non è un principe.
Mi vestii lentamente.
Un principe a livello metaforico cosa potrebbe significare? La regalità? La perfezione? L’incorruttibilità?
A cosa poteva riferirsi?
Cercai di non pensarci e di rifletterci dopo con calma.
 
Dopo aver fatto colazione rilessi nuovamente l’indizio. Un cavaliere senz’armi. Rapportandosi a cosa? In quale senso senza armi? Un cavaliere dovrebbe essere coraggioso e valoroso, no? Un esempio per tutti quanti, ma doveva mi conduceva? Da nessuna parte!
Se un cavaliere combatte senza armi muore, e quindi che razza di armi può avere?
Sbuffai e maledissi Andrè e le sue stupide idee per un bel po’ di volte, non avevo la minima idea di cosa fare e dove andare. Non esistevano più né cavalieri né principi! Ma soprattutto non esistevano quel genere che lui mi aveva indicato.
Mi guardai in giro, ma niente mi suggeriva qualcosa. Provai a guardare le nostre foto, alla ricerca di qualche cosa, ma non mi indicavano niente di particolarmente importante.
Presi il cappotto e decisi di andare a fare una passeggiata, forse camminando l’ispirazione sarebbe venuta.
Mi guardai attorno e vidi tutto quanto colorato di rosa e rosso, cuori e cuoricini ovunque. Una cosa vomitevole.
Giravano solo coppiette e in quel momento preferii essere da sola, piuttosto che perdere tempo in giro senza far nulla. Osservai il cielo colorato di un timido azzurro, in inverno era difficile trovare Parigi così calda, ma soprattutto senza neve. Per certi versi non sembrava nemmeno inverno, se non fosse stato per quel venticello freddo che mi scompigliava i capelli.
Di sfuggita vidi dei bambini camminare tutti in fila indiana, tutti travestiti.
Sorrisi.
Carnevale era alle porte e in giro c’erano diversi capannelli di bimbi e ragazzi tutti vestiti in maschera. Un bambino in particolare aveva un vestito particolarmente bello. Portava un mantello lungo e una specie di casacca ricamata, accompagnato sempre da una fedele spada di legno. Era biondo e aveva degli occhi neri brillanti.
“Lucien! Lucien! Testone fermati!”
Poco distante apparve una bambina molto simile a lui che gli porse una corona.
“Scemo! Hai dimenticato a casa la corona!”
Ma certo!!!
Che stupida!!!
Come avevo fatto a non capirlo subito?? Da quel punto di vista era ovvio!
Sentii l’adrenalina crescere dentro di me, e iniziai a correre come una forsennata. Avevo capito dove voleva portarmi Andrè, non era così difficile, aveva ragione, dovevo solo capire il quale senso lui lo intendesse.
Quindi mai nel senso letterale.
Dovevo ammettere che però come idea era geniale, Andrè aveva sempre avuto una fantasia incredibile. Era una cosa a cui non sarei mai arrivata se non avessi visto quel bambino. Qualcosa di ormai appartenente al passato, ma che senza di essa non esisterebbe questo futuro. Una cosa così estremamente semplice che non ci avrei mai minimamente dato peso.
Corsi fino ad avere il fiatone e arrivai dove ero sicura fosse la soluzione.
Mi appoggiai al cancello cercando di riprendere fiato, era rimasto proprio come allora. Tutto estremamente uguale ai miei ricordi.
Il nostro asilo.
Tirai fuori il cellulare e all’improvviso il mio cuore ricominciò a battere più forte di prima, mi veniva da sorridere, così, senza alcun motivo.
Lessi di nuovo l’indizio e il mio cuore galoppò alla velocità della luce. Ero sicura, non avrei sbagliato.
Andrè era davvero un genio, ora ne avevo la conferma, un genio del male, ma pur sempre un genio. Solo qualcuno con un ingegno simile poteva creare una cosa simile.
Entrai titubante e sentii una voce che conoscevo da tempo.
“Oscar cara, da quanto tempo!”
Mi voltai e sorrisi, era la signora Géneviève, la portinaia. Lavorava là da quando io, Andrè e Marie eravamo piccoli. Era sempre stata una signora estremamente gentile e allegra.
“Salve madame!”
Mi venne incontro abbracciandomi. Aveva ancora i capelli tinti di un rosso acceso accompagnato da un profumo dolciastro alla menta.
“Oscar cara, cosa ci fai qui? Non sei un po’ grandicella per stare qui?”
Risi e mi staccai dal suo abbraccio.
“Ha ragione madame, ma sono qui per un altro motivo.”
“Ah! Sei venuta qui per iscrivere tuo figlio! Ho saputo che tu e Andrè vi siete sposati! Io ci avrei messo la mano sul fuoco! Era innamorato di te dalla prima volta che ti vide!”
Sentii il calore imporporarmi le guance. Possibile che per tutti io dovevo essere per forza già madre o incinta? Stavo bene così come stavo, possibile che tutti uscissero matti per avere un figlio?
“Ehm.. No madame.. Io e Andrè non abbiamo figli.. Sono venuta qui per cercare una cosa, posso andare nel giardino?”
“Certo cara! E torna presto a trovarmi!” mi fece l’occhiolino “Ma la prossima volta voglio vederti già in attesa di tuo figlio!”
Scossi la testa e le sorrisi per poi avviarmi verso il giardino. I bambini dovevano essere in classe, visto il freddo.
Uscii e mi avvicinai all’albero di biancospino.
Dove un cavaliere senz’armi salvò un principe senza corona.
Dove io ti salvai la prima volta Andrè.
Per un istante rividi l’immagine passarmi davanti agli occhi, limpida, chiara e viva.
Un bambino dai capelli neri che disegna, preso per il colletto e picchiato solo perché mancino. Il calore e l’adrenalina che crebbe nel mio corpo quel giorno fu incredibile. Odiavo le ingiustizie, odiavo chi trattava male le persone più deboli.
Una bambina bionda che affrontava tre maschi più grandi di lei e che riusciva a farli piangere. La soddisfazione fu incredibilmente meravigliosa.
Ricordo che Andrè stava ancora piangendo davanti ai suoi disegni, ma appena mi vide mi abbracciò continuando a piagnucolare.
Rimasi così scossa da quel contatto così diretto e intimo, nemmeno mia madre mi abbracciava. Mi imbarazzava tantissimo e non volevo farlo vedere, me lo scollai di dosso tirandogli i capelli. Smise di piangere e si asciugò le lacrime.
Io fui il suo primo amico e da quel momento stette insieme a me ogni giorno, senza mai lasciarmi.
Guardai i fiori dell’albero, bianchi e candidi, mi incantavo da piccola a vederli. Erano bellissimi, e quando cadevano dall’albero sembravano neve profumata.
Improvvisamente vidi qualcosa di azzurro nascosto tra le foglie e i fiori. Mi sporsi e lo afferrai, era un foglietto.
Lo aprii e sentii il cuore a mille. Avevo trovato il secondo indizio.
“Ben fatto amore,ora non sarò io a guidarti, ma so che tu ce la farai.
‘Vivere con qualcuno o vivere in qualcuno fa grande differenza.
Vi sono individui nei quali si può vivere senza vivere con essi, e viceversa.
Riunire le due cose è dato solo all’amore e all’amicizia più pura.’
J. W. Goethe.
Perché prima di essere mia moglie, sei la mia migliore amica.”
Sentii qualcosa dentro di me sciogliermi. Andrè aveva ragione, prima di diventare quello che siamo adesso abbiamo dovuto passare diverse tappe. Alcune tappe si possono attraversare solo da fidanzati, ma altre solo da amici.
Prima di essere mio marito sei il mio  migliore amico Andrè, e forse l’unico. Sei l’unico che come amico ha saputo leggermi l’anima e comprenderla, senza mai cercare di cambiarla a suo piacere.
Sono molto riconoscente ad Andrè per quello che ha fatto per me, e non potrò mai ringraziarlo abbastanza. Il migliore amico che si possa desiderare. Per certi versi lo tratto ancora come un amico, perché ormai l’essere sposata con lui e l’essere sua amica sono un’unica cosa. Non c’è niente che io possa nascondergli, niente che lui possa nascondere a me. Conosco l’anima di Andrè tanto quanto lui conosce la mia.
Ripiegai il foglietto e lo riposi in tasca, facendo attenzione a non sgualcirlo. Salutai la signora Géneviève e mi avviai verso la tappa successiva.
 
Stupidamente non avevo preso la macchina e mi ritrovavo a camminare al freddo, quando la tappa che avrei dovuto raggiungere era piuttosto distante. Avrei potuto chiamare Marie e chiederle di accompagnarmi.. Ma non volevo disturbarla, e poi Andrè aveva scritto che non potevo chiedere aiuti.
Mi venne da ridere, se lui era a Berlino mica  poteva sapere se io avrei usato o no degli aiuti. Non lo avrebbe mai saputo, però decisi di non imbrogliare. Avevo dato la mia parola che non avrei barato e dovevo mantenerla. Se avevo capito bene la destinazione successiva allora non riuscivo a capire cosa centrasse. Sarebbe stato uguale alla prima, e non comprendevo dove volesse arrivare. Per certi non sono mai riuscita a seguire la mente ingegnosa di Andrè, certe volte faceva dei ragionamenti contorti che per comprenderli passavano diversi minuti, se non ore intere.
Camminavo cercando di non pensare al freddo, ma era penetrato fin dentro le ossa e non riuscivo a riscaldarmi decentemente. Passai distrattamente un’occhiata all’orologio, le undici e dieci. Era ancora presto per mangiare. Sbuffai lanciando qualche maledizione al dannato freddo di Parigi e continuai a camminare quando il telefono squillò.
“Pronto?”
“Prontooo!! Oscar!! Devi aiutarmiii!!”
Julienne, la mia fastidiosa sorella minore.
E giustamente la domanda che vi fate è, perché io ho un nome da maschio quando c’era la possibilità che Julienne fosse maschio? Chiedetelo a mio padre, lui forse può darvi la risposta. Molto probabilmente così avrebbe avuto non uno, ma ben due maschi da crescere. Ma purtroppo per mio padre mai sorella ha rovinato le sue aspettative, diventando un peso enorme, visto che io e lei abbiamo quasi otto anni di differenza,
“Dimmi, che vuoi.”
“Devi venire subito a casa di mamma e papà! Mi devi spiegare una cosa per l’esame!!! Ti prego! Tra i tuoi appunti non ho trovato nulla!”
“Te lo scordi Julienne. Ora non posso proprio venire a casa di mamma e papà. Sono in giro, ho delle commissioni da fare.”

Trattenni una risata, delle commissioni molto importanti.
“Dai Oscar! Ti prego! Ho bisogno del tuo aiuto!!”
“Mi dispiace Julie, ma non posso. Perché non chiedi aiuto ad Aleksej? Da quanto mi ha detto Andrè lui lo ha già fatto quell’esame, e poi visto che sei la sua ragazza non rompere e chiedigli aiuto.”
 La sentii borbottare, per poi concludere con uno spento:
“Va bene, grazie sorellona eh!”
“Dovere cara!” scherzai per poi chiudere la telefonata.
Sorrisi e attraversai la strada correndo come una scema. La storia mia e di Julienne è davvero strana. Lei è sempre stata la prediletta di mamma, l’ha sempre ricoperta di attenzioni e non le ha mai fatto mancare niente. È sempre stata molto graziosa e femminile, e ha sempre visto in me qualcosa di assolutamente sbagliato, dal mio nome al mio modo di vestirmi tipicamente maschile. Era migliore di me in qualsiasi cosa, ma a me sinceramente non me ne è mai importato più di tanto, benché i miei continuassero ad elogiare lei e a punire me.  Eppure era la mia ombra quando era piccola. Dove ero io era lei, e un giorno finì per conoscere Andrè e Aleksej. Ricordo che quando Andrè le porse la mano sorridendole lei divenne rossa e svenne dall’emozione. Ha avuto una cotta incredibile per Andrè sin da quando aveva cinque anni, gli regalava fiori, cioccolatini, figurine, di tutto e di più. Peccato che Andrè avesse occhi solo per la sorella maggiore, ovvero me, e il fratellino di Andrè avesse una cotta spaventosa per me.
Quando ci fidanzammo entrambi ci rimasero malissimo, poiché mia sorella non riusciva a comprendere cosa ci trovasse Andrè in me, visto che non mi vestivo in modo tale da apparire bella. E Aleksej cosa avesse meno del fratello, a parte gli anni. Visto che anche lui era il cocco della nonna di Andrè, con i suoi boccoli biondi e i suoi occhi azzurro cielo incantava chiunque.
Un pomeriggio mentre io e Andrè ci stavamo bacian.. Stavamo suonando il piano, quei due sono piombati in camera annunciando che avrebbero rinunciato a noi, per poi scappare in lacrime. Dopo un paio di anni, come avevamo previsto io e Andrè, quei due finirono per mettersi assieme.
Alla fine non tutto il male viene per nuocere, ma questa unica sconfitta penso che bruci ancora nel profondo del suo animo ed è una cosa che mi dispiace, io non ho mai fatto una gara con lei, tra sorelle non ha senso gareggiare, si finisce solo per perdere.
Osservai le mura gialle della prossima tappa cercando di non pensare più a Julienne.
La nostra scuola.
Entrai e vidi alcuni ragazzi che uscivano allegri con lo zaino in spalla. Fermai una ragazzina dai capelli rossi e le domandai:
“Scusami, le elementari sono al piano terra?”
“Sì signora, elementari piano terra, medie primo piano, liceo terzo.”
“Grazie mille.”
Corsi verso la prima elementare, cercando la sezione B. Bussai e sentii una voce dolce rispondermi.
Quando entrai vidi una marea di bambini con lo zaino pronto che correvano verso l’uscita, mi spostai camminando verso la maestra.
“Lei è la maestra Rosalie Polignac?”feci tentando di restare seria.
Lei non si voltò, intenta a scrivere.
“Sì, mi scusi, ma sto finendo una cosa importante.”
“Di nulla. Sono qui per chiederle come va con il suo nuovo maritino, Bernard.” Scherzai
Rosalie alzò lo sguardo di botto e la vidi trasalire per poi sorridere.
“Oscar!”
Si alzò abbracciandomi di scatto.
“Ti prego non piangere Rosalie!!”
“Stai tranquilla.. Nono.. Non piango..” disse asciugandosi una lacrimuccia scappata per l’emozione. “Cosa ci fai qui?”
Perdonami Rosalie, ma devo mentire anche a te. Ho promesso ad Andrè, benché tu sia come una sorellina per me non posso proprio dirti la verità.
“Devo prendere una cosa.”
“Dimmi, posso aiutarti?”
“Bhe sì, Rosalie, ti ricordi dove è la mia classe del liceo? Ricordo che la tua era di fronte.”
“Oh sì! Terza porta a sinistra. Ultimo banco a destra.” Disse facendomi l’occhiolino. “Vuoi che ti accompagni?”
“No, ti ringrazio Rosalie. Vado di fretta, e poi” guardai la pila di quaderni sulla cattedra “Tu hai da lavorare.”
Sbuffò per poi abbracciarmi nuovamente.
“Un giorno però devi venire a casa mia Oscar!”
“Va bene, te lo prometto, Bernard ti tratta bene?”
“Oh certo certo.. E’ davvero un marito perfetto.” Disse arrossendo.
Sorrisi e la salutai correndo di sopra, tanto ormai non c’era più nessuno a scuola. Entrai di corsa nella mia vecchia classe e mi guardai attorno. Era rimasto tutto uguale a quello che ricordavo e mi diressi velocemente verso il mio banco, sempre con accanto quello di Andrè, e proprio nel centro tra essi si nascondeva un fogliettino verde che tirai fuori facendo attenzione a non romperlo.
“Stai diventando brava Oscar, ma credo che sia sottointeso dove tu debba andare, o vuoi un indizio? Il profumo di cioccolata ti ricorda nulla?
‘Che cos’ è l’amore? Due anime una sola carne; l’amicizia? Due corpi una sola anima.”
Joseph Roux”
Sentii il mio cuore diventare burro all’improvviso... Alzai lo sguardo e mi guardai attorno. Avevo passato la mia adolescenza fra quei banchi, la mia trasformazione da bambina a donna, ma soprattutto hanno visto la lunga crescita del nostro amore. Nato quasi per gioco, e divenuto sempre più grande e incredibile. Una amicizia che si trasforma in qualcosa di più grande e importante, che porta nuove esperienze, che ti fa sentire qualcosa di unico e speciale.
Ho passato ore e ore a giocare con Andrè a tris su questi banchi, ci ho litigato, ci ho scritto temi, ci ho preso brutti voti.. Il tutto per terminare la crescita di un amore che tardava a mostrarsi. Per certi versi sono stata una sciocca, non volevo accorgermi dello sguardo di Andrè nei miei confronti, per il semplice motivo che ero sicura che non lo avrei mai ricambiato, ma mi sbagliavo. Quel modo così strano con cui andavamo avanti, all’inizio, mi faceva sentire la fine di una amicizia, quando in realtà era solo l’inizio di una nuova crescita.
Misi il foglietto in tasca, vicino a quello azzurro e mi avviai verso l’uscita.
 
Era già l’ora di pranzo e avevo una fame da lupi, ma sapevo perfettamente dove andare stavolta, senza alcun dubbio. Sicuramente avrei fatto un pranzetto niente male.
Ero stranamente euforica, quella idea che avevo tanto odiato all’inizio si stava rivelando un gioco piuttosto eccitante. Non avrei capito quale meccanismo era scattato nel cervello di quell’uomo per capire cosa macchinava veramente, però dovevo ammettere che era una cosa che non avrei dimenticato facilmente.
Arrivai alla tappa-pranzo, molto probabilmente Andrè aveva capito perfettamente cosa avevo mangiato per giorni e voleva farmi magiare qualcosa di buono.
Corsi fino a una villetta grigia e suonai, mentre i morsi della fame mi attanagliavano lo stomaco. Il cancello si aprì e vidi la nonna di Andrè spuntare con un mestolo in mano.
“Non compro niente! Ne ho fin troppi di materassi!!” fece agitando il mestolo, ma quando mi vide si bloccò di botto.
Le sorrisi.
“Oscar!! Bambina mia! Che sorpresa averti qui!! Vieni cara, non stare lì al freddo!”
Mi si avvicinò e mi diede due baci sulle guance. Ho sempre invidiato ad Andrè questa fortuna di vivere con sua nonna, una donna magnifica. Andrè è orfano da quando ha più o meno sette anni, e da allora ha sempre vissuto con sua nonna, che lo ha tirato su egregiamente. I miei nonni sono morti quando io ero ancora troppo piccola, ma quando andavo a casa di Andrè ero sempre felicissima di sentire ancora quel calore familiare che mi avvolgeva. Quel sentirsi a casa che io non ho mai percepito in vita mia. Anche se erano già in otto a tavola, avevano sempre un posto per te, in qualunque caso.
“Ciao nonna! Scusami se sono piombata qui all’improvviso..”
“Ma non preoccuparti bambina mia! Piuttosto, dimmi, hai fame?”
Il mio stomaco rispose al posto mio e mi vergognai  un sacco.
“Mi pare di sì, vieni! Ho preparato un pranzetto che ti leccherai le dita!”
Entrai e riconobbi quell’odore di casa che adoravo da bambina, quel miscuglio tra sapone e spezie che ti inebriava immediatamente.
“Cosa ci fai qui Oscar?” chiese tornando ai fornelli
“Ero di passaggio nonna.. Sicura che non ti disturbo?”
“Nessun disturbo bambina! Anzi, mettiti comoda, oggi siamo solo io e te. Nessuno viene a mangiare, neppure Aleksej. Piuttosto, non è che quel mio nipote sciagurato ti sta trattando male? Se scopro che ti lascia a pane e ad acqua io gli..” e agitò nuovamente il mestolo.
Scoppiai a ridere, ricordandomi di quando Andrè combinava qualche marachella, e allora il mestolo della nonna non lo risparmiava.
“Nono, assolutamente nonna! Andrè è perfetto, stai tranquilla.”
Mi osservò.
“Sei dimagrita cara, non è che ti tira su solo con pane e amore? Quel ragazzo è capace per quanto è poco realista.”
“Ahahaha nono nonna, davvero stai tranquilla, è un bravo padrone di casa, e sa cucinare bene.”
“Lo spero per lui, altrimenti gli tiro il collo... Ma ora dov’è?”
Sentii il mio sorriso spegnersi.
“E’ a Berlino. Torna fra tre giorni.”
“Uhm.. Dal tuo sguardo non sei molto allegra.”
“E’ il suo lavoro. Non lo biasimo.”
“Allora quando torna lo suono con il mio mestolo! Così impara a lasciarti da sola per così tanto tempo!”
Risi di nuovo e la aiutai ad apparecchiare la tovaglia.
 
Dopo aver mangiato (ben tre piatti di zuppa), asciugai le posate e continuai a chiacchierare amabilmente con la nonna, quando mi ricordai dell’indizio.
“Nonna, posso andare un attimo in camera di Andrè?”
“Non ti senti bene cara?” disse allarmandosi
“Nono, vedi, Andrè mi ha chiesto di prendergli una cosa se passavo. Posso?”
“Certo cara.” Poi mi fece l’occhiolino “Tanto la strada la conosci.”
Le sorrisi nuovamente e mi diressi verso l’ultima stanzetta del corridoio. Aprii la porta e sentii il profumo di Andrè investirmi. Quella combinazione di lillà e profumo di matita appena temperata, così dolce, ma allo stesso tempo virile, che mi incanta tutte le volte che lo sento.
La stanza era rimasta uguale, tranne per la parte dove dormiva Aleksej, che abitava ancora qui, infatti la parte di sinistra, quella di Andrè, era in un ordine spaventoso.
Il letto era piuttosto piccolo, rispetto alla sua statura, forse è per questo che da quando abbiamo il nuovo letto adora spaparanzarsi sopra. La piccola scrivania era ancora piena di una pila di disegni, fogli, carboncini, libri di algebra e analisi. Mentre su uno scaffale c’erano diverse foto che ormai conoscevo a memoria. La prima era l’unica foto di tutta la sua famiglia al completo, poi una che ritraeva lui il primo giorno di scuola con un enorme fiocco blu. Una in cui era completamente ricoperto di schiuma insieme ad Aleksej, una dove lui e le gemelle, Celine e Dionne, stavano studiando insieme a Marie e Hans. E infine.. Il mio cuore perse un battito. Quella foto era nuova. Non la avevo mai vista.
Eravamo io e Andrè... Al mare.. Che ci baciamo... Indossavo quel costume intero verde che gli piaceva tanto... Ed eravamo ancora bagnati...
Non sapevo che avesse fatto sviluppare quella fotografia, e stranamente era l’unica che non avesse ancora la cornice, ma solo una scritta dietro.
“Moi et mon amour »
Poco sotto c’era la sua firma e il disegno di una rosa bianca. La strinsi al cuore, come se in quel momento la sua scrittura mi potesse dare conforto. La riposi sullo scaffale e mi allontanai.. Ma sulla scrivania c'era qualcosa che non mi convinceva. C’era una rosa bianca legata a una rossa e sotto un mio disegno.. Ma era troppo recente per essere uno di quando andavamo al liceo. Il tratto era troppo nitido, troppo pulito, una assenza quasi totale di cancellature e poi i miei capelli erano troppo lunghi per essere la lunghezza che portavo a sedici anni. Avevo il vestito di una dea.. Ma non una dea qualsiasi.. La dea Venere... Mi aveva ritratta come Venere. Divenni bordeaux, perché in quel disegno c’era praticamente la totale mancanza di vesti, solo una tunica che copriva in parte, poco distante una pergamena rosa confetto. La afferrai e iniziai a leggere:
“Voi siete dunque Lancillotto, figlio del nobile Ban, signore di Benoic, come era scritto nella tomba della Dolorosa Guardia." Poi, di fronte al silenzio del cavaliere, continuò: "Imprese come queste non si compiono se non per amore di una donna. Ditemi, se non sono indiscreta: chi è costei?" Un forte rossore attraversò come un lampo il viso di Lancillotto, che poi impallidì come se nel suo corpo non vi fosse più sangue: "Siete voi, signora" disse con un filo di voce. "Dunque voi mi amate? E da quando?" "Dal primo momento in cui vi vidi. " Pronunciate queste parole, il giovane fu preso da un tale tremito che non poté più parlare.
(..)
"Come posso lenire il suo dolore?" domandò la regina. "Promettetegli di diventare per sempre la sua dama ed egli sarà l'essere più felice detta terra" . "Così sia - pronunciò a bassa voce, ma con tono sicuro Ginevra - lo prometto." Tale fu la gioia di Lancillotto che egli credette di non poterla sopportare e di cadere morto al suolo. Ma non morì, e non morì neppure quando la più bella delle donne, per nulla turbata dalla presenza di Galeotto, gli si avvicinò e unì le labbra alle sue in un dolcissimo, interminabile bacio.
Penso che tu sia sazia adesso, perché dovrai fare una bella corsa per arrivare dove ti aspetta il prossimo indizio.
Andrè
P.S. Il disegno e la fotografia, se ti piacciono, prendili pure, non li avresti mai accettati di persona.”
Richiusi la pergamena e la misi in borsa insieme alla fotografia e al mio disegno per poi correre a salutare la nonna.
Le tre e quaranta, era appena iniziata la caccia pomeridiana.
 
Camminavo da più di un’ora, Parigi a piedi è davvero una tortura. Mi stavo chiedendo se non avrei potuto prendere un autobus, ma non sarebbe stato anche quello barare? Sbuffai e decisi di lasciar perdere e continuare a camminare. Intanto vedevo sempre più coppiette passeggiare per strada e improvvisamente mi venne una idea.
Corsi fino al fotografo più vicino e feci incorniciare la nostra fotografia, me la rigirai più volte fra le mani per poi uscire dal negozio rimetterla in borsa con una certa soddisfazione.
Il vento cominciava ad infastidirmi, ma ormai mancava poco alla prossima tappa.
Il Louvre.
Fortunatamente c’era meno gente del previsto, poiché la maggior parte era di sicuro alla Torre Eiffel per il solito weekend romantico di San Valentino.
Dopo essere entrata mi diressi verso il guardaroba e notai un bigliettino arancione attaccato allo sportellino diciassette.
Diciassette luglio, il giorno del nostro primo appuntamento.
Non lo aprii subito, ma decisi di farmi un giro per il Louvre, ricordandomi che supplizio fu quel pomeriggio. Marie mi aveva costretta a mettermi una gonna di jeans e mi sentivo nuda, in più mi aveva messo il lucidalabbra, così da farmi sentire un clown. Quando arrivai e vidi Andrè diventammo entrambi rossissimi, due idioti. Non riuscivamo ancora a ad abituarci al fatto di essere fidanzati.
Non spiccicammo parola per tutto il pomeriggio, io facevo finta di osservare le opere e fare finta di niente. Avevo il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Molto probabilmente Andrè aveva scelto quel posto perché non voleva essere spiato da nessuno, e di questo gli fui riconoscente, ma mi sentivo terribilmente a disagio. L’amore aveva complicato tutto. Improvvisamente mi prese per mano e io trasalii, alzai lo sguardo di botto e lo vidi tutto rosso che mi sorrideva timidamente, quasi per scusarsi. Gli sorrisi e da quel momento entrambi ci rilassammo, iniziammo a parlare e a scherzare come una volta, e in quel momento sentii che amore e amicizia per certi versi sono la stessa cosa.
Dopo un po’ non riuscii più a reggere e aprii il biglietto:
“Un rapporto di amicizia che sia fra uomini o fra donne, è sempre un rapporto d’amore. E in una carezza, in un abbraccio, in una stretta di mano a volte c’è più sensualità che nel vero e proprio atto d’amore.
Non c’è più bisogno che io ti debba guidare,
lascia scegliere al tuo cuore la strada da attraversare.
Andrè”
Riposi il biglietto in tasca e mi sedetti.
La tappa finale poteva essere quella che mi avrebbe fatto sbagliare. Andrè mi aveva scritto di seguire il mio cuore.. Ma dove andare? Ci sono tanti posti a Parigi che racchiudono la nostra vita, la nostra storia, la nostra crescita... Quale in particolare? Rilessi tutti i biglietti più volte, senza riuscire a trovare la soluzione.
Non mi aveva dato alcun indizio, non sapevo dove andare a parare.
Andrè.. Tu dove andresti? Dove lasceresti finire questa caccia folle? Mi hai fatto correre da una parte all’altra di Parigi, senza nessun aiuto. Affidandoti solo al mio buon senso e alla mia buona fede..    Dove mi porteresti?
Tirai fuori nuovamente la rosa bianca e la osservai. Amavo quel fiore, quando Andrè me ne regalava qualcuna io impazzivo completamente.. Lui stesso mi ha comparata più volte a una candida rosa con le spine.. Eppure.. Lui è riuscito a macchiare quella rosa bianca in rossa, facendola tingere del colore del’amore...
Improvvisamente la strada divenne chiara, come potevo averlo dimenticato?
Un sorriso nacque sul mio viso e guardai nuovamente la rosa. La riposi in borsa, infilai il cappotto e corsi verso la tappa finale.
 
Stavo correndo da un sacco di tempo, ma non mi importava, ormai il tesoro non era lontano.
Quando ormai mancava poco alla meta iniziai a rallentare per riprendere fiato, ma l’adrenalina scorreva nel sangue rendendomi euforica. Corsi per qualche altro minuto per poi arrivare al traguardo. Mi tremavano le gambe per l’eccitazione e saltellavo con il mio sorriso idiota da una gamba all’altra.
Andrè, tu sei matto, matto, matto matto, ma io sono più matta di te, che accetto di fare questi tuoi giochi assurdi. Sei così folle da creare delle cose assurde solo per il piacere di farlo. Sei davvero matto da legare, e ti amo per questa tua follia. Sei unico nel tuo genere.
Infilai la chiave nella toppa  con impazienza per poi entrare di colpo in casa e trattenere un grido di sorpresa.
Il pavimento era completamente ricoperto di petali bianchi, come uno strato di neve candida. Alcune candele colorate profumavano la stanza di rosa e lillà, ma una cosa rapì la mia attenzione. Una scia di petali rossi che mi guidava fino alla scala. La seguii con impazienza fino ad arrivare in camera da letto e trovare tutto il letto cosparso di petali rossi, mentre la stanza era disseminata di petali color della neve.
Il cuore batteva alla velocità della luce, mi avvicinai lentamente al letto persi un battito... Quelle lenzuola ricamate di pizzo.... Quelle lenzuola... Spostai qualche petalo e vidi un biglietto rosso fuoco, lo afferrai e mi rivelò quella macchia di sangue che ora rendeva rossa la rosa bianca. Erano le lenzuola di quella notte.. La nostra prima volta..
Passai la mano sulla macchia più volte per accertarmi che non fosse un petalo, ma era sangue. Il mio respiro divenne corto al solo pensiero di quella volta. La prima volta che le nostre anime e i nostri corpi sono diventati un’unica cosa senza mai più lasciarsi. Dove si compiva la crescita di due ragazzini e iniziava quella di due adulti. Quella paura che mi attanagliava lo stomaco, ma che Andrè è riuscito a farmi superare con pazienza e dolcezza, senza mai forzarmi. Dove è avvenuto uno scambio, dove io gli ho donato il mio essere donna e lui il suo essere uomo.
Inghiottii con fatica e aprii la busta con le mani tremanti:
“L’arte dell’amore è come la pittura,
richiede tecnica, pazienza e, soprattutto
inventiva tra gli amanti.
Ed esige anche audacia: bisogna andare al di là
Di ciò che è convenzionalmente definito
Con l’espressione ‘fare l’amore’.
 
Girati, e troverai il tesoro.”
 
Mi girai lentamente e ciò che vi trovai mi lasciò senza fiato.
Andrè era appoggiato allo stipite della porta con un sorriso dolcissimo e una rosa bianca in mano. Cercai di riprendere fiato, ma riuscì solo a sorridergli e a sussurrare.
“Tu sei completamente pazzo.”
Dopo ciò la mia parte razionale smise di ragionare, corsi verso di lui e lo abbracciai forte mentre lui mi accarezzava i capelli.
“Probabile..” poi mi alzò il mento con un dito “Buon San Valentino amore.”
Mi aggrappai a lui e lo baciai con foga, fino a trascinarlo vicino al letto dove iniziai a perdere il controllo di me stessa e iniziai a sbottonargli la camicia, ma lui mi interruppe.
“Aspetta aspetta Oscar.. Devo darti il mio regalo..”
Mi mancò di nuovo il respiro. Mi aveva regalato una giornata meravigliosa, cosa altro potevo desiderare?
“Chiudi gli occhi.”
Obbedii senza obiettare, mentre mi slacciava un po’ la camicetta. Dopo qualche secondo sentii qualcosa di freddo sulla mia pelle e aprii gli occhi di scatto.
Una collana.
Una collanina di diamanti.
“Ti piace?”
Avevo ancora il fiatone e non riuscivo a crederci, era meravigliosa.  Una fila di diamantini brillanti che convergeva in una piccola cascata luccicante. Avevo sposato un folle. Non potevo credere che avesse fatto tutto questo per me. Un uomo normale avrebbe comprato dei fiori, dei cioccolatini e avrebbe risolto.. Ma non Andrè...
“E’.. E’.. b-bellissima... Grazie Andrè...”
Mi sorrise dolcemente per poi baciarmi di nuovo, mentre passava le mani attorno al mio busto nudo mi ricordai di una cosa e mi staccai velocemente da lui.
“Aspetta Andrè.. Anche io ho una sorpresa per te, anche se un po’ meno bella.”
“Tutto quello che mi regali è bellissimo Oscar.”
Con riluttanza mi allontanai da lui e aprii la borsa, ma prima di tirare fuori la fotografia gli ordinai di chiudere gli occhi e lui obbedì.
“Apri le mani.”
“Devo preoccuparmi?” scherzò
“No scemo!” risi
Gli posai la cornice d’argento in mano e lui aprì gli occhi, rimanendo senza parole.
“T-Ti piace?”
Non gli era piaciuta, lo sapevo, era un fallimento, lo sapevo. Quando improvvisamente alzò lo sguardo sorridendo.
“E’ bellissima Oscar! È il più bel regalo che tu mi potessi mai fare.”
Poi girò la cornice e vide l’incisione che ci avevo fatto fare.
“Mon amour est pour l’éternité.”
Mi guardò negli occhi e mi sentii arrossire.
Mi baciò la fronte sussurrandomi “Ti amo..” mi baciò tutto il viso ripetendomelo, finché stordita non gli catturai le labbra facendolo tacere. Mi sdraiai lentamente sul letto, attirandolo a me, dopo poco mi staccai.
“Andrè..”
“Sì..”
“Ti amo.”
Si specchiò nei miei occhi lucidi e mi sorrise, per poi baciarmi nuovamente. Un bacio dolce, e tenero, proprio come l’inizio di tutto.
Non avrei mai immaginato che avrebbe creato tutto questo solo per me, ero al settimo cielo, non avevo parole. Quel sentirsi continuamente amata, quella sensazione di amore che ti avvolge facendoti sentire unica... L’unica persona al mondo che mi ama, e che io amo.. Il mio unico vero amico, l’unico che legge nella mia anima con un solo sguardo.  Il mio amato Andrè, l’unico che riuscirò mai ad amare per sempre.
 
Verso le quattro mi accoccolai sul petto di Andrè esausta, ma con una felicità incredibile. Quella notte gli avevo donato tutta me stessa per provargli quanto lo amassi, come la prima volta. In quel momento mi sentii completa, come se la perfezione fosse racchiusa nella nostra camera. Mi strinse di più a se e gli accarezzai i capelli sfuggiti alla coda che era solito portare. Completamente inzuppati di sudore, neanche lui si era risparmiato per me.
“Andrè...”
“Uhm..?”
“... Grazie Andrè..”
Ridacchiò per poi posarmi un bacio fra i capelli e cambiare posizione per guardarmi negli occhi.
“Mi hai detto grazie già cinque volte durante la notte Oscar, vuoi farmi sentire male?”fece ridendo
Gli feci la linguaccia e gli tirai un pizzicotto.
“Scemo. Non per quello...” improvvisamente il mio cuore si addolcì come il mio sorriso e gli accarezzai la guancia. “Grazie Andrè.. Perché esisti..”
Spalancò gli occhi per sorridermi dolcemente e attirarmi di nuovo a lui, facendo combaciare le nostre fronti. Avrei potuto restare così per sempre, ma improvvisamente un’idea malvagia mi venne in mente.
“Da quanto sei tornato a Parigi?”
“Sono qui da ieri, Hans e Marie mi hanno ospitato, mentre organizzavo tutto.”
“Non avevi paura che io ti trovassi?”
“Naa.. Sei piuttosto prevedibile, sai?” fece ridendo
Misi il muso e lui mi diede un bacetto sul collo.
“E tu sei un egocentrico. Il tesoro.. Certo che ti credo assai, eh?”
“Non ti è piaciuto il tesoro? Vuoi cambiarlo?”
Lo guardai negli occhi e mi avvicinai a lui prendendogli il viso fra le mani.
“Neanche per tutto l’oro del mondo.”
Mi baciò nuovamente.
Chiusi gli occhi verso le cinque meno un quarto. Era davvero stanchissima, ma ero così felice che quella era stata la giornata più bella della mia vita.
Mi addormentai abbracciata al mio tesoro, il mio dolcissimo e unico Andrè.
 
 
 
Buon San Valentino a tutti =)
Glaphyra
  
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