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Autore: Scarlett Rose    14/02/2014    0 recensioni
Restauro completato. Grazie per la pazienza!
Sequel di "Aspettami, non scappare!", anche se non è necessario averla letta per seguire questa fanfiction.
Siete convinti che il difficile sia dichiararsi a chi ci piace, ma che poi la strada sia tutta in discesa?
Ebbene, forse Marin ed Aiolia potrebbero non essere d'accordo! Una fanfiction dove l'Aquila ed il Leone dovranno affrontare i grattacapi di una relazione fra Saint e non solo. Ci saranno sorrisi, lacrime, combattimenti e ricongiungimenti. Se sei un Saint, puoi permetteri di amare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eagle Marin, Leo Aiolia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentivo gli occhi di Mu che mi scrutavano, ma feci finta di nulla, continuando ad avanzare lungo il sentiero. Non avevo la forza di rassicurarlo ancora una volta da quando mi aveva teletrasportata lì sul fatto che tutto andasse bene. Anche perchè non andava tutto bene e a dimostrarlo c'era una raffica di pensieri poco piacevoli che mi ronzavano in testa impazziti.
Quando si era scatenata la guerra contro Hades, conflitto il cui prezzo comprendevo e conoscevo, avevo placato la mia paura grazie ai miei Saint. Sapere di non essere sola, confidare nella vittoria del Bene, sperare di regalare un futuro all'umanità mi avevano dato forza. Ora, invece, sentivo che le cose mi stavano sfuggendo di mano. C'ero solo io, nel tentativo disperato di fermare Hera tramite l'intercessione di Zeus.
Mi sembrava di aver fatto ritorno ai primissimi giorni dopo la scoperta della mia origine divina, a quella sera lontana in Giappone in cui, per bocca del mio fedelissimo Tatsumi, avevo scoperto chi fossi destinata a diventare. Anche allora mi ero sentita così insicura, ed avevo passato le notti successive al racconto delle mie origini fissando il soffitto del baldacchino che copriva il mio letto, piena di dubbi: sarei stata sufficientemente in gamba per ricoprire un ruolo di comando? In fondo, che cosa ne sapevo io di guerre e dei e Santuari?
Come avrei fatto ad essere la guida di qualcuno?
E se avessi fallito?
E se, prima o poi, Seiya, Shun, Hyoga, Shiryu ed Ikki avessero ritenuto che non fossi abbastanza?
E se davvero io non fossi stata abbastanza?
Troppi “se”, troppi dubbi. Sentivo che prima di un'arma o un colpo speciale di qualche Saint sarebbero stati quelli ad uccidermi. Mi ero imposta di riscuotermi, non potevo crollare come una femminuccia isterica davanti a quei ragazzi che avevano sacrificato tanto per me. Ed  era stato allora che Athena mi aveva parlato per la prima volta.
Persa in quei pensieri sarei certamente inciampata a causa di una radice che sporgeva dispettosa dal sentiero se Mu non mi avesse afferrata al volo.
Imbarazzata per quella figura ben poco divina, gli sorrisi scusandomi per essere di così scarsa compagnia.
Ero partita alla volta del Santuario del mio padre divino nel giro di un paio di giorni, il tempo di organizzare in gran segreto il mio breve viaggio. Era imperativo far credere che mi trovassi al Santuario o sarebbe stato come invitare i nostri nemici ad attaccarci. Per fortuna il Cosmo di Shaka, l'unico oltre a Mu a sapere del mio progetto, in quel preciso momento stava volteggiando sopra il Santuario, creando una barriera che poteva facilmente attribuirsi a me. Non per niente Shaka era pur sempre l'uomo più vicino agli dei, sorrisi stringendo un poco l'elastico della coda.
Non avevo confidato a nessuno, nemmeno ai Gold coinvolti nella mia piccola sortita, della mia ormai certezza che il destinatario del Cosmo di Hera, colui o colei che le avrebbe permesso di reincarnarsi, si trovasse al Santuario.
Il mio sesto senso, quello che tutti possiedono ma che troppo poco ascoltano, era ben più che in allerta. Provavo le stesse sensazioni fosche della volta in cui ero partita, anni addietro, alla volta della Grecia per reclamare il mio trono. Per non parlare di quando avevo captato l'avvicinarsi delle guerre contro Poseidone ed Hades. Stessi brividi, stessa inquietudine. Perfino l'aria pareva elettrica, attorno a me ed era con un certo stupore che mi sembrava di essere l'unica tanto tesa.
Sospirai pesantemente, riflettendo su quel pessimo scherzo fattomi dalle Parche. Una persona tra coloro che mi erano fedeli sarebbe potuta divenire il mezzo per la distruzione dell'umanità.
Passai in rassegna tutti coloro che conoscevo o che riuscivo a rammentare, dalle ancelle alle venditrici del mercato a cui mi recavo in incognito di tanto in tanto per avere un assaggio di vita normale, tra le fila delle Sacerdotesse Guerriere e gli allievi. Perfino tra i Saint, non mancai di indugiare. Hades non aveva scelto Shun come suo tramite di carne e sangue?
Come avrei potuto trovare questa persona prima che le Amazzoni eseguissero l'ordine della regina dell'Olimpo e la scovassero, trascinandola davanti all'araldo che avrebbe instillato in lei, o in lui, il Cosmo e lo spirito di Hera?
Alla paura si aggiunse la frustrazione di dover dubitare dei miei accoliti. Ecco ciò che davvero mi teneva i nervi a fior di pelle. In passato mai, mai neppure una volta, avevo dubitato di chi mi circondava. Confidare l'uno nell'altro era la forza che manteneva unito il Santuario.
Invece, ora...
“Siamo arrivati, mia signora.”.
Mu si fermò, indicando l'ingresso di una capanna, davanti alla quale stava seduto un ometto minuto, dalla pelle scurita dal sole in strano contrasto con la barba bianca ordinata.
Stava giocherellando distrattamente con alcuni fili d'erba, seduto sotto il sole pomeridiano di Grecia. Nonostante ci trovassimo ai piedi del monte Olimpo, vicino ad uno dei sentieri abitualmente percorsi da turisti ed escursionisti, nella zona non c'era anima viva, esclusi noi tre.
Mu guardò il vecchio, un metro e sessanta scarso tutt'ossa, e si tolse l'elmo, inchinandosi in segno di omaggio, nonostante egli non ci prestasse apparentemente alcuna attenzione. Feci un cenno al Saint dell'Ariete, che si ritirò di alcuni passi.
Raddrizzai le spalle, non volendo certo apparire come una bimbetta spaventata, e mi diressi verso il curioso personaggio. Finalmente, l'uomo alzò gli occhi lanciandomi un sorriso di sbieco ed io mi genuflessi sull'erba, chinando la testa “Buon pomeriggio, padre.”.
*
Marin, alla fine, pur di tenersi occupata, era andata davvero ad offrirsi per un incarico qualunque alla Tredicesima Casa. Ovviamente, un Saint d'Argento non poteva essere messo a lavare i pavimenti o a spolverare soprammobili, ma qualcuno si era ricordato che alla biblioteca serviva una mano. Certo, aveva aggiunto il dignitario con circospezione, forse non si trattava di un lavoro all'altezza di un Silver Saint...
Marin era marciata fuori senza neppure stare a sentirlo. Le arene erano tropo affollate di Silver che cercavano di scacciare la noia combattendo, ma l'atmosfera era cupa e stagnante. Un'attività alternativa all'ascoltare cupi pronostici per il futuro andava bene. Se fosse stata di qualche anno più giovane, e fanatica aggiunse una vocetta nella sua testa, anche lei si sarebbe precipitata ad allenarsi, ma ormai sapeva che arrivata al suo livello, non sarebbe stata una mezz'ora in più nell'arena a fare la differenza tra vittoria o sconfitta.
Era inconcepibile che nel luogo in cui viveva la dea della saggezza la biblioteca risultasse tanto trascurata, aveva tuonato il vecchio Cleopas quando Marin era arrivata ed aveva espresso il suo stupore per il caos inenarrabile che regnava lì dentro.
L'uomo aveva scosso la testa “Ah, quando ero giovane io questo posto era un gioiellino. Il venerabile Shion in persona veniva spesso ad onorarci con la sua presenza, ma da quando quello schifoso impostore ha preso il comando, le cose sono andate a rotoli.”. Si fermò per prendere fiato, una pila di pergamene ancora tra le braccia, scrutando Marin “Sono troppo pochi i Saint che frequentano questo posto, lasciate che ve lo dica, signorina...?”
“Marin dell'Aquila. Ma va bene solo Marin.” sorrise lei, anche se l'uomo non avrebbe potuto vedere attraverso la maschera.
Cleopas Anphitriis, quarant'anni di servizio all'attivo come capo bibliotecario del Santuario, le spinse tra le braccia i rotoli che reggeva “Ottimo. I miei aiutanti sono sempre troppo pochi e tra quei pochi c'è una buona parte di cretini che viene qui solo per starsene al fresco in estate e al caldo in inverno senza neppure saper scrivere “Platone”. Seguimi Marin, sto cambiando le disposizioni di parecchi tra volumi e rotoli antichi, così se mai un giorno qualcuno si degnerà di entrare qui per acculturarsi non si smarrirà nelle ragnatele.” mugugnò “E dimmi, come mai un Silver è in biblioteca a cercare di farsi assumere come factotum?”.
La giovane donna scrollò le spalle “Voglio sentirmi utile.”
“Potresti allenarti alle arene. O sei una di quelle che pensano che arrivate ad un certo livello non si debba più faticare tanto?”
“Di solito questo pensiero è un buon modo per farsi uccidere in battaglia. No, sono stata alle arene tutti i giorni per tutto il giorno da quando Athena ha ordinato il rientro di noi Silver, ma oggi avevo voglia di vedere se potevo fare davvero qualcosa di utile per qualcuno.”
“Bene, è la tua giornata fortunata. Seguimi, ti mostro cosa dobbiamo fare.”
Marin gioì vedendo le pile sterminate davanti a lei, in paziente attesa di essere sistemate. Faticare le avrebbe tenuto la mente impegnata, considerò ascoltando  le direttive di Cleopas. In quei giorni passati fra gli altri Saint l'atmosfera cupa e stagnante di pessimi pronostici non l'aiutava ad allenarsi meglio. Come ogni combattente degno di questo nome, sapeva che la calma prima della tempesta logora i nervi peggio di qualsiasi battaglia.
Nonostante i modi decisamente spicci, per non dire bruschi, dell'uomo ben presto trovarono una loro sintonia.
“Non mi ricordo di avervi mai visto quando venivo qui da bambina.” disse ad un certo punto, impilando una serie di scritti sui moti dei pianeti che recavano la firma del famoso Degel dell'Acquario, il più sapiente fra gli uomini dell'epoca antica. Cleopas sbuffò “Ne sono sicuro. Non stavo molto simpatico ai pagliacci che lavoravano con il falso Sacerdote, quelli che sono fuggiti di qui non appena la somma Athena ha fatto ritorno. Mi hanno relegato a lavorare in altri luoghi. Per fortuna”aggiunse con un inaspettato sorriso “la nostra saggia dea non solo mi ha conferito questo incarico di nuovo, ma ha anche fatto alcune generose donazioni, sebbene lei possa fruire della sua biblioteca privata.”.
Il lavoro di spostamento, pulizia e controllo della giusta disposizione dei volumi portò Marin a considerare con un certo rammarico di aver trascurato quello scrigno del sapere. C'era una discreta quantità di cervelli fini interessati ad ampliare le proprie conoscenze tra le schiere del Santuario, senza contare che anche la gente del villaggio ai suoi piedi aveva libero accesso ai quei tomi, ma guerre, allentamenti e missioni lasciavano ben poco tempo per affinare l'intelletto oltre alle lezioni che erano obbligatorie per tutti fino ai sedici anni. Non a caso, molti degli studiosi o di coloro che lavoravano nella zona amministrativa della Tredicesima erano ex aspiranti Saint o imparentati con qualcuno di loro o con i servitori delle varie Case.
Lavorò come un mulo fino a quando Cleopas le prese un libro dalle mani con un sorriso soddisfatto “Credo che per oggi basti così. Sei stata davvero brava, lo riconosco. Se vorrai tornare, sei la benvenuta.”.
Il sole era tramontato da poco dietro l'Aeropago, lasciando una scia chiara nel cielo serale, mentre i grilli iniziavano timidamente ad accordarsi, pronti ad intonare la loro serenata alle stelle non ancora apparse.
Marin si incamminò lungo il sentiero pavimentato che si snodava sinuoso fino alla Tredicesima e girata una curva si trovò faccia a faccia con Aiolia e Milo, chiaramente di ritorno da una ronda.
Milo alzò una mano sorridendole giulivo “Buonasera, Marin. Sei andata a trovare il vecchio Cleopas?”
Aiolia sorrise, incrociando le braccia sul petto “Non sapevo che tu conoscessi addirittura il bibliotecario. Non ti ho mai visto su un libro.”. Lo Scorpione inclinò il capo, con un sorriso che sapeva di nostalgia “Camus ci viveva in quel posto. E così di tanto in tanto sentivo il bisogno di andare a stanarlo e portarlo a prendere un po' di sole, anche se sarebbe stato esilarante vederlo diventare rachitico o gobbo, vista la quantità immane di ore che passava chino sulla scrivania.”. Si riscosse e ghignò “Purtroppo il buon Cleopas non era proprio felicissimo di vedermi, sarà perchè una volta ho pensato sarebbe stato divertente....ehm... dare una disposizione più creativa a certe pergamene. E in verità anche Camus una volta o due ha manifestato una lieve insofferenza alla mia presenza.”.
Aiolia e Marin risero e poi arrossirono, perchè Milo li lasciò facendo un non discreto occhiolino al Leone.
Lui scosse la testa e si chinò per fissare Marin in faccia “Odio davvero questa maschera. Non capisco mai se ti sto guardando il naso o gli occhi.”.
Lei sbuffò con finta esasperazione, poi gli gettò le braccia al collo “Sono contenta di vederti.”
“Ed io sono curioso di sapere perchè hai più polvere che capelli in testa.”.

*
“Vieni, passeggiamo. È da molto che non abbiamo l'occasione di incontrarci.”.
Athena si alzò con un'unica mossa aggraziata e si incamminò fianco a fianco con il sommo Zeus. Pur fremendo di impazienza, sapeva che il padre degli dei andava affrontato cautamente ed al momento opportuno. Non essendo una testa calda, un' impulsiva come quello sciocco di suo fratello Ares, Athena impose la calma alla giovane Saori, impaziente di spiattellare la sua richiesta all'ospite. Fissandolo di sottecchi, la dea espresse la sua garbata sorpresa per il manifestarsi del genitore in quella forma quantomeno inusuale.
“Sai che non mi piace scendere troppo spesso fra i mortali, di questi tempi.” replicò il sovrano degli dei, passandosi distrattamente una mano sulla barba e ricordando vagamente alla fanciulla il venerabile Dokho “Questo mondo è diventato così caotico, rumoroso, frettoloso. Le vecchie tradizioni scompaiono e nascono nuovi modi di vedere le cose, ma l'umanità non progredisce bene come dovrebbe. Sono schiavi di così tanti vizi e cattivi sentimenti che ammetto di essere stupito di come non si siano ancora annientati a vicenda. Così, quando sono costretto a scendere dall'Olimpo cerco di passare inosservato per poter essere io ad osservarli meglio.”
“Certamente l'umanità muta, è nella sua natura farlo.” replicò lei con tono gentile, alzando gli occhi verso il cielo azzurro ed evitando di far notare che con quell'aspetto curioso Zeus non avrebbe potuto passare inosservato in nessun luogo “Non posso obbiettare che vi siano molti ostacoli lungo il cammino dei mortali, ma vivendo tanto in mezzo a loro, come una di loro, ho capito che dalle cadute scaturisce la forza per rialzarsi. Imparano dagli errori più di quanto non facciamo noi immortali.”
“Sempre piuttosto severa nei nostri confronti, vero figlia mia?”
“Ho visto che cosa Poseidone, Eris, Apollo ed Ade hanno provato a fare, ripetutamente, nel corso dei secoli. Il cambiamento non nasce dalla distruzione, ma dalla comprensione dei propri sbagli. Non ho provato piacere nel combatterli né...” si fermò esitante, guardandolo.
Zeus ridacchiò socchiudendo gli occhi, di un celeste tanto simile a quello della figlia, l'unica cosa che non mutava mai in nessuna delle forme che assumeva di volta in volta “Nè nell'uccidere mio fratello Ade per mano dei tuoi paladini? O nel sigillare nuovamente mio fratello Poseidone? Suvvia, non temere. Avevo avvertito entrambi di cosa li aspettava se ti avessero mosso guerra e loro avevano messo in conto quanto alla fine è accaduto. Siamo stati guerrieri, prima di essere dei, e morte e sconfitta ci erano noti già molti secoli prima della tua nascita, bambina. Dai tempi di Crono e dei suoi Titani, se vogliamo essere precisi. Non ti punirò per esserti difesa.”.
Athena ringraziò con un cenno del capo. Continuarono a camminare ancora per un po', con il vento che scuoteva le fronde dei rari ulivi selvatici facendoli suonare come argentei sonagli. Una lucertola si affacciò da sotto una pietra, fissandoli annoiata per un istante prima di tornare nel suo rifugio. Mu era ancora là dove Athena l'aveva lasciato, in attesa del ritorno della sua dea, all'erta nonostante l'apparente tranquillità del suo Cosmo.
Zeus passò nuovamente una mano sulla barba “Avanti, due giorni or sono ho sentito il tuo Cosmo che mi invocava. Devi avere un ben spinosa questione da sottopormi per chiedere di incontrarci qui, anziché nel mio tempio o direttamente sull'Olimpo.”
“Volevo parlarti lontano da occhi ed orecchie indiscrete, padre.” replicò la fanciulla, conscia che il momento decisivo fosse infine giunto. Il futuro del Santuario e della Terra dipendeva da ciò che si sarebbero detti di lì a poco.
“So già tutto, Athena.”.
La frase la gelò sul posto “Come?” boccheggiò fermandosi. Zeus proseguì ancora di un paio di passi, prima di fermarsi a sua volta e guardarla con un sorriso sfrontato “Sono il padre degli dei, il re dell'Olimpo. Davvero pensavi che fossi all'oscuro di ciò che stava accadendo? La resurrezione delle Amazzoni, l'araldo di mia moglie usato come contenitore provvisorio del suo potere. Niente sfugge al mio sguardo. Anche se tu ed Hera siete convinte del contrario, a quanto pare.”
“Vuoi dunque dire che tu conoscevi ogni dettaglio di questa faccenda dal principio? E perchè non hai fatto nulla?”.
Zeus non rispose, fissando l'Olimpo innalzarsi maestoso davanti a loro “Che cosa vuole esattamente da me mia figlia?”.
Athena si inginocchiò “Padre degli dei, ti imploro di fermare Hera. Dissuadila dal continuare questa battaglia. Sai bene che cosa intende fare agli uomini.” tacque, respirando a fondo “E sai anche che io non posso stare a guardare inerte. Se lei si reincarnerà, io la dovrò fermare e non posso garantirti che mi sarà concesso una scelta tra sigillarla o ucciderla.”.
Il silenzio cadde pesante, troppo pesante, sulle spalle di entrambi.
A testa china, la giovane dea trattenne il fiato per un tempo che parve dilatarsi all'infinito attorno a loro.
“Non posso fermare Hera.”.
Poche parole che firmano la condanna di tutti noi, fu il primo pensiero ad inondare la mente di Saori, ancora immobile nella sua scomoda posizione.
Zeus proseguì, incrociando le mani dietro la schiena “Ti sei mai chiesta perchè io non abbia mai mosso un dito durante le altre guerre combattute dai tuoi... come li chiami? Saint?”
“Saint, sì.” articolò Athena, imponendosi di non far trapelare l'angoscia che la stava invadendo ad ondate. Isterismi e scenate non avrebbero aiutato la sua causa.
“Ebbene, ho sempre seguito le vostre vicende, ma quando sei scesa fra i mortali secoli fa per la prima volta, reclamando un trono fra di loro ed erigendo il tuo Santuario, il tuo piccolo Olimpo personale, hai creato un precedente. Perchè devo permettere a te di regnare sugli uomini ed impedire agli dei tuoi parigrado di fare altrettanto?”
“Dimentichi che io non regno sugli uomini. Io li proteggo.”
“Proteggerli, sterminarli... tu agisci secondo la tua visione del bene e le altre divinità secondo la loro. Non fraintendermi, sono affezionato ai mortali, ma non tanto da rischiare di incrinare l'armonia degli Olimpi. Ho concesso a te di discendere, non posso negare il permesso agli altri.”
“Credevo che mio padre fosse il re.” replicò piano la fanciulla, alzando la testa.
Zeus stirò le labbra con disappunto in un'unica linea sottile “Perdono la tua impudenza, Athena, poiché comprendo quanto sia delicata la tua posizione. Ma non abusare della mia pazienza. Hai dimenticato di avere un'alternativa: torna sull'Olimpo. Non ostacolare Hera, evita di caricarti del peso di una nuova guerra.”
“In altre parole, dovrei fuggire abbandonando i miei Saint, i miei amici, la Terra” elencò la fanciulla calcando bene sulle parole “al loro infausto destino? E se invece volessi restare e combattere?”
“Conosci le nostre leggi. Come marito di Hera ho giurato di proteggere la mia regina, il giorno dei nostri sponsali. Se i tuoi guerrieri o tu in persona doveste mettere a repentaglio la sua vita, io interverrei. Non posso permettere di restare impunito a chi ha osato ergersi contro la propria sovrana, per nessun motivo.”.
Athena si alzò, il capo eretto e le spalle dritte, come tante volte in passato la sua insegnante di portamento le aveva imposto di camminare lungo i corridoi silenziosi di Villa Kido.
Si scrutarono, poi il padre degli dei sopirò “C'è un'ultima opzione che posso suggerirti. Hera ha inviato il suo Cosmo, ma il suo araldo non potrà sostenerlo ancora per molto, lo sai. Avrà bisogno molto in fretta del corpo in cui reincarnarsi. Trova tu questa persona prima di lei ed uccidila. Fermala prima che scenda dall'Olimpo.”. La scrutò a lungo, poi le mise una mano ossuta sulla spalla, in un gesto vagamente consolatorio “Compi una divinazione e potrai scoprire chi è il prescelto. Hai il mio permesso di consultare le Parche."
“Non posso far uccidere un essere umano a sangue freddo solo perchè una divinità tracotante ha messo gli occhi su di lui.”
“Parli così perchè sai che è molto probabile che il Fato si sia divertito a collocare il prescelto tra le tue fila. Decidi tu se sacrificare una vita sia un prezzo equo per salvarne milioni.” disse imperturbabile. Saori si sdegnò, scuotendo la testa “Non mi è mai piaciuta la matematica, padre. Scegliere cosa fare di una sola, singola vita è spesso ciò che separa il giusto dallo sbagliato. Lasciami porre un'ultima domanda. Interverresti ugualmente se la sigillassi?”
“Ritieni di poterlo fare senza ferirla o mettere a repentaglio la sua vita?” domandò Zeus, retorico. Athena chinò il capo, un terribile senso di sconfitta le dilagava nel petto rendendole difficoltoso respirare o perfino pensare.
“Addio, figlia mia. Possa tu compiere la scelta più saggia.” mormorò il dio e prima che la fanciulla potesse rispondere sparì, lasciandola sola nello spiazzo erboso.
Saori scivolò a terra e affondò il volto nella mani, ma era troppo sconvolta per piangere.
*
Sbadigliai, mentre sparecchiavo la tavola. Marin stava asciugando i piatti, nonostante avessi insistito per farlo io “Sembri bello stanco.”
“Un po' stanco e molto annoiato. Fare le ronde su e giù sta diventando monotono. Le Amazzoni non si fanno vive da un pezzo, ormai. Suppongo che con la Sorellanza decimata per tre quarti stiano attuando qualche altra cosa.”
“Non lamentarti. Tu almeno non sei costretto ad elemosinare incarichi in giro.”
“Sono certo che questa situazione di stallo si sbloccherà. Athena non può tenere Saint del vostro calibro bloccati ancora molto a lungo.” considerai riponendo la tovaglia, un orrore di cotone multicolor che Aldebaran mi aveva regalato un paio di Natali prima.
Marin non si voltò, ma la sua risposta giunse piuttosto chiara “Tu dici? Ammettiamolo, Aiolia. Ad Athena non è che i Silver siano così indispensabili. Seiya e i suoi amici l'hanno aiutata contro Ade, voi Gold Saint presidiate le Case dello Zodiaco. Ma... noi?”
La presi per la vita e la feci girare verso di me “Lascia perdere l'asciugatura dei piatti e ascolta: nessuno mette in dubbio il vostro valore, tanto meno la dea. Che ti prende? Non è da te fare simili discorsi.”.
Alzò quei suoi bellissimi occhi dorati e mi baciò la guancia “Hai ragione. Non sono io che parlo, ma il mio Cosmo frustrato. Tanto, tanto, frustrato.”.
Fece una smorfia semiseria e proseguì “Senza contare che pur non avendo un accidenti da fare tutto il giorno non riesco mai a passare un po' di tempo con Seiya.”
“Con Seiya?!” trasecolai e lei sgranò gli occhioni con aria fintamente innocente “Sicuro. È il mio allievo e devo tenerlo d'occhio se voglio che diventi un grande Gold, un giorno. Tu invece sei un uomo fatto e finito, non hai mica bisogno di essere sorvegliato!”.
Fui costretto a coprirle la bocca di baci per punirla di tanta insolenza. La spinsi contro il ripiano del lavello, mentre le sue mani si intrecciavano in mezzo ai miei capelli. La amavo da impazzire, pensai con un residuo brandello di lucidità, e l'ultima cosa che avrei voluto sarebbe stata quella di vederla scendere in guerra, ma proprio perchè l'amavo sapevo che non potevo ostacolarla.
Il che, tuttavia, non mi impediva di gioire che se ne stesse al sicuro ancora per un po'. Quando le sue labbra mi sfiorarono l'orecchio ogni pensiero razionale andò in frantumi e scesi a baciarle il collo. Una scia di piccoli baci che lei non mancò di apprezzare, ma non appena sentii la sua mano lungo il torace, mi scostai con gentilezza.
Aveva le guance arrossate, gli occhi splendenti e i capelli in disordine, ma sembrava anche tremendamente imbarazzata.
“Ho fatto qualcosa che non va?” chiese. Scossi la testa, rendendomi conto solo ora che non avevamo parlato di un certo aspetto del nostro rapporto. Stavamo insieme da un mese ormai, eppure mi trovai molto imbarazzato. Grattandomi la nuca fissai un punto sopra le sue spalle “Vorrei che... ci andassimo piano.”.
Ecco, l'avevo detto. Mi aspettai di sentire le sue risate a quella sparata che sembrava tanto anacronistica, ma io non volevo sesso. Volevo fare l'amore con lei. Volevo che fosse speciale e unico.
“Che pensieri da ragazzina sdolcinata.” sentii dire dalla vocetta nella mia testa, vocetta che chissà perchè assomigliava tremendamente a quella di Milo.
Marin mi posò un mano sulla guancia e sorrise “Ti amo e... bè, il desiderio nella coppia è normale, no? Però mi va bene aspettare, anche perchè riconosco che non sono del tutto nella disposizione d'animo adatta. Non sospettavo questo tuo lato...”
“...patetico?”
“Dolce!” mi rimbeccò lei, tirandomi una manata in fronte. 
  
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