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Autore: Gens    16/02/2014    2 recensioni
"Si sentiva in apnea. Un’apnea di bugie."
Niente è semplice: la vita non è semplice, la morte non è semplice, l'amore non è semplice.
Dal primo capitolo:
"Harry continuò a fissarlo e la prima cosa che lo colpì furono i suoi occhi: fu come se ci fosse cascato l'oceano seguito dal cielo dentro. Gli occhi brillavano di un azzurro cristallino, erano puri, quasi quanto il cuore del ragazzo. Risplendevano di una luce propria, come le gemme preziose e Harry pensò che fosse sbagliato metterli in mostra in quel modo. Ma poi mosse la testa, come se fosse assurdo pensare a quelle cose."
|| LARRY ||
Genere: Azione, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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The truth




Harry non capiva.
Come poteva essere reale tutto quello?
Lo stava prendendo in giro, per forza.
Infondo come poteva appartenere a suo padre quella realtà così cruda e violenta?
Erano solo una famiglia che viveva in un piccolo paesino. Una famiglia che poteva permettersi di mandare la propria figlia nel college più costoso, che possedeva più di quattro macchine, tutte costose, una casa pazzesca e una vita più che agiata.
Una famiglia ricca, in effetti.Troppo ricca per avere un padre che lavora in ufficio. L'unico che lavora in famiglia.
Harry aveva capito che suo padre non scherzava, ma nonostante questo, una parte di lui sperava con tutto il cuore che non fosse così, che fossero un mucchio di balle.
Il signor Styles aspettò in silenzio che suo figlio assimilasse la notizia. Avrebbe aspettato ore, ma era importante che Harry capisse bene quello in cui stava entrando.
Non c'era una via di fuga, purtroppo; come quando una lucertola è rinchiusa in un barattolo: una volta dentro, non potrà venirne più fuori.
Ed Harry non poteva venirne fuori.
Lo guardò mentre fissava a terra con gli occhi sbigottiti, mentre si passava una mano tra i capelli, e sapeva bene che tutto quello dovesse sembrargli irreale.
Gli sembrò di ritornare indietro nel tempo al giorno in cui lo aveva confessato alla sua amata Anne: lei era rimasta sconvolta, e proprio come suo figlio, aveva tenuto la testa bassa, la mano tra i capelli, e un espressione sconcertata sul viso.
Poi lei alzò gli occhi, per cercare quelli di Des, e allo stesso modo fece Harry, con i suoi diamanti verdi lucenti.
“Mi dispiace tanto, Harry” gli disse il signor Styles, che non sembrava davvero dispiaciuto. “Sei mio figlio, e come tale è arrivata l'ora che ti prenda le tue responsabilità”.
Harry le aveva già sentite quelle parole, molte e troppe volte.
Ed era stanco di sentirle.
Lui non poteva prendersi alcuna responsabilità, lui non ce la faceva, non ce l'avrebbe mai fatta.
“Zayn... lui lo sa?” chiese Harry, lasciando completamente perdere le scuse false di suo padre.
Zayn era sempre stato un punto di riferimento, per lui.
La persona a cui chiedere consiglio, quella a cui chiedere di curare le ferite da dover tener nascoste, quello con cui divertirsi, l'unica persona che ci sarebbe stata, sempre.
E se Harry perdeva Zayn, l'unica persona sicura accanto a sé, probabilmente avrebbe perso la sua strada, avrebbe perso se stesso.
Il signor Styles annuì. “Sì Harry, Zayn lo sa da un po'. Sa che te lo avrei detto, prima o poi. E proprio come lui, lo sanno anche tua madre, ovviamente, e Gemma” gli rispose, facendolo sentire completamente stupido.
Tutti sapevano, lui no.
Era giusto tutto questo?
Come poteva aver tenuto suo figlio all'oscuro di una verità così grande, per così tanto tempo?
Come avevano potuto crescerlo sotto il peso di una bugia enorme?
Come avevano potuto guardarlo negli occhi, sapendo ciò che sarebbe stato costretto a diventare?

ciò che sarebbe stato costretto a diventare
 
Harry odiava quella situazione, odiava tutte le persone che gli avevano mentito, odiava tutto.
Da una parte, però, il fatto che Zayn sapesse e non lo avesse abbandonato, lo rincuorava.
Il sempre, con lui, era davvero per sempre.
Harry però voleva urlare, forte, e con tutto se stesso. Era così arrabbiato.
E il peggio doveva ancora arrivare.
“Harry – si avvicinò Des – non abbiamo finito qui. Dobbiamo andare in un posto”
L’uomo fu investito dagli occhi verdi di suo figlio che erano un misto di ansia, paura, rabbia e altre mille emozioni che non sapeva interpretare, e un attimo dopo erano diventati il nulla.
Gli posò una mano sulla spalla, gli diede dei colpetti e poi si voltò, incamminandosi di nuovo verso la sua auto di lusso parcheggiata nella strada.
Harry guardò ancora l'albero, e un'altra domanda sorse nella sua testa.
C'era un motivo preciso che aveva spinto suo padre a recarsi lì di nuovo, dopo tanti anni, e chiedergli proprio di quell'albero?
Non riusciva a darsi una risposta, e sinceramente Harry non avrebbe voluto sapere nient'altro di quello che suo padre gli nascondeva.
Quello che aveva deciso di raccontargli quel giorno era anche troppo.
 
 

In auto il signor Styles accese la radio, per smorzare la tensione, e rimase in silenzio, scandendo il tempo della canzone sul volante.
Harry guardava fuori dal finestrino, e si rese conto che il sole stava tramontando pian piano. Guardò l'orario sul cruscotto, e rimase sorpreso quando si accorse che erano passate ore intere.
Voleva tornare a casa, mettere le cuffie e non pensare a nulla.
Voleva svegliarsi e accorgersi che era tutto un sogno.
Voleva che suo padre gli dicesse: “Ti sto prendendo in giro, Harry. Ma quanto sei stupido?”, che ridesse e lo portasse in una pizzeria per una serata tra uomini, oppure in un pub a prendere una birra e fare una partita a biliardo.
Nessuna di queste cose accadeva, ovviamente, e Harry non sapeva come reagire.
La sua mente pensava troppo e in modo assolutamente veloce e il ragazzo necessitava di una medicina, o presto avrebbe fatto indigestione di pensieri.


Passò molto tempo, troppo, ed Harry era stanco di non sapere, di nuovo.
“Dove stiamo andando?” chiese allora, secco, nervoso, turbato.
“Alla Villa, hai bisogno di allenamento” rispose il signor Styles, svoltando a destra per una stradina di campagna. Accese anche i fari superiori, perché la strada era troppo buia: l'unica fonte di luce erano dei piccoli lampioni che si trovavano sulla strada, messi lì senza un ordine preciso.
“Allenamento?” chiese Harry.
Allenamento di cosa? Ma soprattutto, per cosa?
“Quando arriviamo vedrai, Harry. Rilassati”.
Dire ‘Rilassati’ in una situazione del genere, sembra una gran presa per il culo.
Dopo tutto quello che gli aveva detto, dopo tutto quello che gli aveva sbattuto in faccia con molto poco tatto, gli diceva di rilassarsi?
Probabilmente Harry gli avrebbe fiondato un pugno sul naso e gli avrebbe sputato tutti i suoi pensieri in faccia, se il suo telefono non si fosse messo a vibrare nella sua tasca.
Lo estrasse e notò diverse chiamate perse e diversi messaggi. Lo colpì soprattutto un messaggio di sua madre, che recitava:
 
“Tornate per cena?”
 
Che domanda stupida, certo che sarebbero tornati per cena.
Ma Harry non sapeva. Non poteva neanche immaginare che quella cena avrebbe aspettato molto a lungo.
“Chi è?” chiese suo padre, che si era accorto della luce che il telefono del figlio emanava.
“Non sono affari tuoi” sbottò Harry, che di certo non era abituato agli impicci di suo padre nella sua vita.
“Invece sì. Chi è?” chiese ancora il signor Styles, che non mollava mai, proprio come suo figlio.
“Mamma, chiede se torniamo per cena” rispose Harry sbuffando, perché quella situazione lo infastidiva, tanto e troppo.
“Dille che non torniamo oggi, e neanche nei prossimi giorni” rispose impassibile il signor Styles, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
“Cosa?” chiese Harry, che credeva di aver capito male.
Non sarebbero tornati a casa?
“Scrivi Harry. Siamo quasi arrivati”
 
 

Si fermarono di fronte una cancellata enorme, tutta bianca.
Dritto sulla loro strada c'era un'entrata molto grande, per le auto, e una a destra per i pedoni.
Ma chi sarebbe venuto a piedi fin lì infondo?
Il signor Styles prese il telefono e digitò velocemente un numero; “Aprici” disse, e la cancellata più grande si aprì immediatamente, lasciandoli passare.
Il giardino era enorme, così come la struttura.
Un viale d'accesso molto largo si stagliava su un giardino ricoperto di erba ben curata, indicando la strada giusta.
Palme, fontane, panchine decoravano tutto intorno, rendendo il posto molto piacevole.
Il signor Styles lasciò l’auto sul vialetto. Scese e si diresse verso l’ingresso dell’edificio, col figlio alle calcagna.
Harry si guardava intorno, con la bocca spalancata, e spiava la ricchezza dell’ambiente interno.
Salirono le poche scale che portavano alla porta principale, ma il signor Styles si fermò di fronte un uomo tutto vestito di nero che sembrava aspettarli, gli diede le chiavi e sussurrò qualcosa.
Dopo di che aprì la porta ed entrò.
Harry rimase fuori la porta, titubante sul posto.
“Entra Harry” gli disse suo padre, che si era accorto che il ragazzo si era fermato.
Harry entrò e continuando a guardarsi intorno, seguì suo padre per un lungo corridoio.
“Forza, velocità, agilità, addestramento all’uso delle armi. Hai bisogno di allenamento, devi essere preparato sotto tutti questi aspetti. Passerai del tempo qui, fino a quando non riterremo che sarai abbastanza pronto. Allenamento tutto il giorno e tutti i giorni, nessuna pausa”.
Il signor Styles si fermò e si voltò verso suo figlio, cercando una qualche sua reazione, ma Harry non lasciava trasparire più nulla.
“Non siamo solo io e te – ricominciò il signor Styles – ci sono tanti uomini che lavorano per me e che lavoreranno per te. Hai qualche domanda?” gli chiese mentre apriva una porta ed entrava in un salotto molto lussuoso.
Si sedette sul divano e con un gesto indicò la poltrona di fronte a sé.
Harry si sedette e cercò una domanda da fare.
Erano tante e si affollavano nella sua testa. Non sapeva quale scegliere.
“Come faccio con la scuola?”. Quella era la domanda più stupida che potesse fare, ma fu la prima che la sua bocca riuscì a pronunciare.
“Per il periodo che starai qui non farai nulla di scolastico, per così dire. Ma non passerai tutta la tua vita qui e ci ritornerai presto. Probabilmente per il tuo compleanno”
Era un periodo di tempo lunghissimo e Harry doveva passarlo lì alla Villa, come suo padre l’aveva chiamata, da solo.
Per un momento pensò a Louis, al compito che avevano cominciato insieme, e pensò che non lo avrebbero mai terminato.
Pensò a tutti i pomeriggi che potevano avere e ai quali Harry era costretto a rinunciare.
“Non posso uscire?” chiese Harry allora.
“No Harry, mi spiace. Non potrai uscire dalla Villa fino a quando non finisci.
Potrebbe essere un periodo di tempo anche minore se ti impegni” aggiunse infine, notando lo sguardo afflitto  di suo figlio.
“Ma Natale? E Gemma che torna a casa? E la mamma? E Zayn, Liam e tutti i miei amici? Mi stai dicendo che non li rivedrò per un bel po’, che non passerò il Capodanno fuori, che sarò costretto a rimanere rinchiuso come in carcere?!” disse Harry urlando e alzandosi dalla poltrona.
Guardò fisso suo padre e quello sguardo avrebbe potuto accendere un fuoco.
“Devi calmarti, Harry” disse suo padre alzandosi, posando le sue mani sulle spalle del figlio e spingendolo verso la poltrona.
“TU non puoi dirmi cosa fare, chiaro? NON PUOI! Non l’hai mai fatto, nessuno l’ha mai fatto, e di certo questa cosa non cambierà! Non farò parte della tua stupida pagliacciata e della tua fottutissima vita!” urlò dando sfogo a tutti i suoi pensieri.
“Ragazzo!” urlò il signor Styles, dopo aver aspettato che suo figlio si calmasse un po’, inutilmente.
Un ragazzo biondo con gli occhi azzurrissimi entrò nel salotto da una porta posta a destra. Indossava dei pantaloni neri, una maglia bianca e una giacca di pelle nera che non si abbinava per niente al colore dolce e candido dei suoi occhi.
Harry lo osservò bene e quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo, gli sembrò di rivedere Louis, con i suoi occhi azzurrissimi.
Oh no, quelli di Louis erano assolutamente meglio, anche se quelli del ragazzo di certo non erano male.
Quando si avvicinò, Harry notò che aveva un bicchiere d’acqua in mano e glielo stava porgendo.
“Harry, dà il tuo telefono per favore”.
Harry rivolse nuovamente il suo sguardo a suo padre. “Perché mai?”
“Fallo e basta, Harry” gli rispose lui, che era stanco del comportamento di suo figlio.
“Non ci penso nemmeno” disse Harry tenendo la mano stretta intorno alla tasca in cui era sistemato il suo cellulare.
Si guardarono in cagnesco, fino a quando non sentirono una voce sussurrare: “Lo metto solo a caricare”.
Harry si voltò verso il ragazzo e  lo vide sorridente che tendeva la mano libera in attesa del cellulare.
Il biondo gli trasmetteva fiducia, per questo motivo prese il cellulare dalla tasca e glielo diede.
“Questa è per te, invece” disse questa volta il biondo, mettendogli il bicchiere d’acqua in mano.
“Cos’è?” chiese Harry. Lui non aveva chiesto niente e gli avevano portato quel liquido trasparente.
“Acqua” rispose suo padre, che impaziente aspettava che quel colloquio finisse.
Harry si voltò verso il ragazzo, in cerca di una conferma, e lui gli assicurò: “Acqua” con un sorriso che convinse Harry a berla.
Le ultime parole che Harry sentì furono quelle di suo padre che dicevano: “Grazie, Niall”.
















Chiedo scusa per non aver aggiornato la scorsa settimana, periodo pieno di impegni! Però questo è capitolo è lungo, anche se non sembra e quindi potete perdonarmi.
Harry conosce sempre più cose e sente la mancanza di Louis. Quanto sono shippabili da 1 a 10 anche se non stanno insieme fisicamente?
E poi vediamo Niall, per la prima volta dopo 10 capitoli! Nessuno aveva pensato a lui, poverino hahaha.
Mi farebbe piacere sapere che ne pensate, ovviamente.
Vi ringrazio molto per tutto e a domenica prossima! :)
p.s. Chiedo scusa per evenutali errori e risponderò a tutte le recensioni!
-Angela
  
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