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Autore: lucatrab_99    18/02/2014    2 recensioni
Jason scattò, i muscoli tesi allo spasmo, e si abbassò quel tanto che bastava per schivare un diagonale che altrimenti gli avrebbe staccato la testa di netto, poi rispose all'attacco. Si sbilanciò in avanti, e mulinò un turbine di fendenti, un assalto che sarebbe stato mortale per chiunque, ma che il suo avversario respinse con malcelata noia. Non ci vide più dalla rabbia "Al prossimo colpo sei morto" pensò.
Neanche un minuto dopo, ripose la spada ancora sanguinante nel fodero.
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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La brocca andò in frantumi, tagliata a metà da un fendente di sir Kevan, che subito si girò e tentò un diagonale impossibile verso il volto di Jason, che saltò all’indietro per evitarlo, atterrando sul tavolo.
“Adesso ho un leggero vantaggio” pensò il ragazzo, ricomponendosi, in vista di un nuovo assalto. Sir Kevan Redrose stava dimostrando che la sua fama di guerriero era più che meritata, tenendo costantemente sotto scacco Jason, che pure era un eccezionale spadaccino. Un nuovo turbine di fendenti da entrambe le parti si risolse con un assordante clangore metallico, poi sir Kevan balzò sull’altra estremità del tavolo, bilanciando la sfida.
Jason attese, girato di tre quarti verso il nemico, che quello facesse una mossa falsa. Anche i migliori spadaccini commettono degli errori, ogni tanto, e con la pazienza Jason aveva sconfitto avversari anche molto più bravi di lui. Ma lo stile di sir Redrose sembrava impeccabile: ad ogni attacco, studiato e calibrato bene, seguiva una pausa per riprendere fiato, durante la quale il guerriero non abbassava la guardia neanche di mezza spanna. Un affondo da fermo colse Jason alla sprovvista, che fece appena in tempo a deviarlo con l’elsa per evitare di finire allo spiedo. Il tessuto della casacca si lacerò, lasciando la nuda pelle in vista.
“Maledizione! – imprecò Jason – se va avanti così mi ammazza!” e indietreggiò di un paio di metri, saltando all’indietro di un paio di passi, e scendendo dal tavolo, unica posizione favorevole che avesse conquistato. Poi un’idea gli balenò per la testa: usare qualcuno dei suoi trucchi da cacciatore di taglie, anche se non sarebbe stato leale, almeno non sarebbe morto ammazzato. E soprattutto, non poteva permettere che sir Kevan sbandierasse in giro la lettera che gli aveva sottratto, oppure il suo soggiorno a Città delle Spezie sarebbe terminato in modo tutt’altro che piacevole.
Mentre teneva impegnato l’avversario con un fendente abbastanza innocuo, sfilò da dietro la schiena un sottile coltello da lancio, lungo una decina di pollici, e lo lanciò con la sinistra. Con una rapidità che quasi non sembrava umana, sir Kevan ruotò su se stesso, facendo perno su un piede, e il coltello si conficcò fino all’elsa nel muro alle sue spalle, a meno di un pollice di distanza dal suo volto. Un secondo coltello venne intercettato, il terzo si perse alle spalle dell’uomo, il quarto fu addirittura bloccato al volo e rispedito al mittente, e Jason dovette torcere il busto per evitarlo. La quinta lama centrò il bersaglio con precisione chirurgica, conficcandosi per intero nella spalla dell’uomo, nella sottile giuntura fra i pezzi dell’armatura.
Un sangue nero e denso cominciò a uscire dalla ferita, e sir Kevan storse il naso, appena infastidito da quell’inconveniente. Poi si girò e assestò un calcio alla bocca dello stomaco di Jason, che fece un volo all’indietro di almeno quattro passi, per poi rovinare pesantemente su una sedia, la spada che si perse sul pavimento. La gente nelle locanda era ammutolita dallo spavento.
Sir Kevan si avvicinò con passo baldanzoso a Jason, la lama lucente che gli scintillava fra le mani. Alzò il braccio, preparandosi a calare l’ultimo fendente, e disse: “Sei stato un valido avversario, ma ci vuole ben altro per fregarmi” poi sputò a terra, in segno di disprezzo.
Jason sorrise, il sorriso furbo di chi ha girato il mondo e si è già trovato in situazioni simili, poi rispose: “Non sono io quello con un coltello avvelenato nella spalla”
Sir Kevan sbiancò, lasciando cadere la spada, che tintinnò rimbalzando sul pavimento, prima che l’attenta mano di Jason la afferrasse. Adesso i ruoli erano ribaltati. Jason soppesò la spada dell’avversario, troppo intento a slacciarsi l’armatura. Quando la piastra frontale della pesante corazza si sganciò, la ferita apparve per la prima volta. Un taglio sottile, con ancora innestato il pugnale, da cui usciva un rivolo di sangue rosso, misto a pus. Su tutta la spalla un alone verde aveva iniziato a diffondersi. Sir Kevan guardò negli occhi Jason, quell’avversario, il primo, forse, che era riuscito a batterlo, seppur giocando sporco. Poi si portò due dita alla bocca e fischiò.
La porta della locanda fu schiantata pesantemente, e dalle finestre entrarono arcieri con le armi in resta, disponendosi poi in cerchio intorno a Jason. “Forse io morirò – il tono di voce di sir Kevan era ora un ringhio sommesso – ma tu soffrirai a tal punto da desiderare una morte veloce. Prendetelo”
Jason non ebbe, in seguito, che un ricordo sfocato di quello che successe. I soldati lo spogliarono delle sue armi, lo ammanettarono e lo portarono, legato su un cavallo, a Torre dei Giardini. I giorni di prigionia furono un tormento. La cella era piccola e buia, umida, un pagliericcio per dormire e un secchio per i suoi bisogni. L’aria era stantia e puzzava di sporco e urina. Due pasti al giorno, di solito solo pane e vino, ogni tanto una misera zuppa.
Jason perse la concezione del tempo che passava, la barba crebbe fino a coprirgli tutto il volto. Il pensiero fisso che aveva in testa era solo uno: sir Kevan agonizzante nel suo letto, la ferita infetta e inguaribile. Come aveva fatto a rubargli quella lettera? La portava nella tasca interna della giacca, proprio per tenerla quanto più al sicuro fosse possibile. Era infatti un lasciapassare che lord Blackbear gli aveva scritto, nel quale spiegava il motivo della sua missione, che avrebbe dovuto mostrare agli uomini a nord di Quattro Bastioni, se avessero tentato di fermarlo, dicendo di avere il permesso di passare del lord del Nord.
Avrebbe dovuto disfarsene prima di arrivare nel Sud, dove chiunque la avrebbe usata contro di lui, come era puntualmente successo. Ma quando gli era stata sottratta? Poi ricordò che, nella locanda di Quattro Bastioni, si era sfilato la giacca, gettandola a terra, per fronteggiare i due soldati. Allora sir Redrose gliela aveva rubata, ne fu certo. Si maledisse mentalmente, prima di sprofondare nel tetro buoi solitario della sua prigionia.
Non seppe dire quanto tempo passò prima che qualcuno venisse a cercarlo, se ore, settimane o addirittura anni. Un servo dai modi bruschi lo fece uscire, pungolandolo con una lancia, e lo ficcò a forza in una vasca di acqua calda, per farlo lavare. Poi gli consegnò addirittura dei vestiti puliti, roba molto più costosa di quanto Jason avesse mai potuto permettersi. Così conciato, e con la barba tagliata, sembrava quasi un giovane principe. Due armigeri lo scortarono lungo i corridoi di Torre dei Giardini, prima quelli angusti e neri delle prigioni, poi quelli di lucente marmo bianco della reggia.
Quando entrò nella sala delle udienze, Jason rimase abbagliato da tanto splendore: la sala era lunga il doppio di quella spartana di Rocca degli Orsi, e una parte era interamente ricoperta da una vetrata, che si affacciava sugli splendidi giardini pensili del terrazzo. Il pavimento, di marmo bianco con eleganti motivi floreali disegnati sopra, era così pulito che si sarebbe tranquillamente potuto fare la barba, pensò.
Arazzi grandi quanto la facciata di una casa abbellivano le pareti, e due scranni di lamina argentea su una piattaforma dominavano la sala. Sul quello di sinistra, sedeva un uomo alto, atletico ed elegante, nonostante i capelli canuti dimostrassero un’età piuttosto veneranda. Su quello a destra, la donna più bella che Jason avesse mai visto. “Sembra un po’ Anya”, pensò, ma subito scacciò quel pensiero sciocco. Lord Redrose e sua moglie, conosciuta come la Dama delle Rose per la sua mania di vestire di rosso, erano certamente due figure importanti. Gli altri cortigiani sembravano piccoli e inadeguati, persino sir Kevan, che a quanto pareva era tutt’altro che morto, sembrava impotente in confronto ai genitori. O meglio, in confronto al padre, che aveva perso poi la moglie durante il parto del suo secondogenito, e che poi aveva sposato una donna venticinque anni più giovane di lui. Lord Redrose aveva infatti poco più di sessant’anni, mentre la Dama delle Rose neanche trentacinque.
Jason avanzò, con passo incerto, fino alla piattaforma dei regnanti del Sud, e fu costretto a inginocchiarsi. Quando gli fu concesso di alzarsi, lord Redrose lo squadrò con aria truce, poi chiese, a bruciapelo: “Dunque lord Blackbear si fida così poco di me da dover mandare una spia a controllarmi?”
Jason non rispose subito, sia perché era intimorito dalle parole dell’uomo, sia perché un minimo passo falso avrebbe ulteriormente aggravato la sua posizione già precaria. Deglutì a fatica, poi rispose: “Non sono una spia, mio lord. Sono un cacciatore di taglie del Nord”. Jason decise di non mentire spudoratamente, ma di cercare di essere quanto più sincero possibile, sempre cercando di non tradire lord Blackbear. Lord Redrose lo fissò da sotto le folte sopracciglia bianche, poi la bocca assunse un'espressione perfida. “Hai quasi ammazzato mio figlio – continuò – non sei un uomo comune”
"Chi ti ha addestrato?"
"Nessuno, mio signore - rispose Jason in tono dimesso - è solo esperienza sul campo". Poi prese fiato e, attento a misurare le parole, chiese: "Quanto tempo sono rimasto là sotto?"
Lord Redrose esplose di collera, urlando scompostamente di come solo lui avesse il diritto di fare domande, ma fu zittito con un cenno severo del capo dalla moglie, che poi sorrise e rispose accondiscendente: "Un anno"
Lord Redrose sbuffò, ricomponendosi, mentre Jason ringraziò annuendo. "Un anno - pensò con rabbia - questi bastardi mi hanno tenuto un anno lì dentro!" ma non disse niente. L'unico pensiero che gli frullava per la testa era il perché aspettare così a lungo per riceverlo.
Come se gli stesse leggendo nei pensieri, la Dama delle Rose parlò, sorridendo calorosamente: "Ti starai chiedendo come mai ti abbiamo fatto aspettare così a lungo - attese un cenno di assenso da parte di Jason, poi proseguì - ebbene, mio caro, non eravamo pronti abbastanza. Vedi, noi sappiamo perché sei qui, e vogliamo venirti incontro. Ti daremo tutte le informazioni di cui avrai bisogno, poi sarai tu a decidere se andartene, tornare a Rocca degli Orsi, o restare ad aiutarci. Abbiamo bisogno di gente come te"
"Aiutarvi? - Jason era perplesso - aiutarvi a fare cosa?"
La Dama delle Rose lo guardò deliziata, poi cinguettò: "La guerra, tesoro mio, la guerra"


Ciao a tutti, rieccomi a fine pagina :) mi sto divertendo un mondo a scrivere questa storia, e adesso siamo ancora nella parte 'introduttiva'. Spero che vi piaccia, ma anche se non vi dovesse piacere, sarei contento di ricevere una recensione :) un saluto a tutti
- Luca
  
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