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Autore: Tomoko_chan    18/02/2014    10 recensioni
Tokyo, inverno. Naruto si imbatte in una buffa ragazza tremendamente goffa e impacciata.
All'inizio nascono alcune incomprensioni, ma poi i due cominceranno a frequentarsi assiduamente. Lei è la ricca ereditaria degli Hyuga, ma da sempre in contrasto col padre. Lui è un cantante, un chitarrista, un ex teppista e il leader di una band.
E così, fra risate, amici folli, musica e rock'n'roll, quale sarà il destino degli Origin e della giovane Hyuga?
[NaruHina doc] [Accenni SasuSaku, InoShikaTema, KibaHanabi]
****
Eccomi qui con una fic del tutto nuova. Ho accennato che nella storia si parlerà di musica: in ogni capitolo sarà presente una Song.
Tutte le canzoni saranno dei Negrita! Più che altro per le loro bellissime poesie.
Vi consiglio di aprire questa fic nonostante non amiate il genere Rock o Pop/Rock. E' pur sempre una storia d'amore!
Tratto dal testo:
Non ringrazierò mai abbastanza chiunque lassù abbia deciso di affidarmi a te. O forse devo ringraziare qualcuno all’inferno, perché non ho ancora deciso se sei l’angelo custode o il diavolo tentatore.
ULTIMO CAPITOLO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Ino, Shikamaru/Temari
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli ultimi sognatori.'
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Filosofia di vita
-
Nevrotico Alcolico Stomp

[Non constringermi (a crederci)]

 
[Negrita: Nevrotico alcolico Stomp]
 
E come no livida
Come ogni alba che mi incrimina
Sudore, fumo e nebbia che si appicica
Come nell’assa sulle ossa sulle ossa
It’s my game
 
Da dove vieni barbaro?
Da metà tra la luce e la follia
Troppo emotivo e ansioso per riflettere
Troppo impulsivo per resistere
Uguale a sempre uguale a mai
 
It’s my game… non so stare seduto sulla playa
It’s my game… a grattarmi le palle sulla ghiaia
It’s my game… vecchi conti in sospeso con la noia
It’s my game… da scalare con le unghie e l’Himalaya
 
Mama io non canto e non ballo se mi ci spingono
Mama io non canto e non ballo se mi costringono
Mama io non canto e non ballo se mi ricattano
Mama guardami impazzire two-three-four
It’s my game
 
Chi può insegnarmi tutto quello che non so?
Mi ficcherò in qualche casino già lo so
C’è stato un temo in cui cantavo per la cena
E andava bene ma ora che pena è questa la scena
 
It’s my game… e ti ritrovi per la via, Mamma mia!
It’s my game… con il cervello in avaria, cosa vuoi che sia?!
It’s my game… cresciuto a pane e dolore come i samurai
It’s my game… ti ritrovi accessorio per i bottegai
 
Mama io non canto e non ballo se mi ci spingono
Mama io non canto e non ballo se mi costringono
Mama io non canto e non ballo se mi ricattano
Mama guardami impazzire two-three-four
 
 
Sasuke canticchiava quella canzone a mezza voce, debolmente, immerso in quel silenzio infernale, accompagnato dal metallico suono dei macchinari.
Aveva avuto modo di riflettere; erano passati tre giorni e Hinata si era ripresa, mangiava un poco e beveva, costretta da tutti. Ogni giorno, nonostante i medici glielo sconsigliassero, accompagnata da qualcuno dei suoi amici, spingeva la sedia a rotelle fino ad una camera del reparto intensivo, entrandovi raramente. Perlopiù sostava fuori dalla porta a vetri, il viso triste, gli occhi morti, incapace di entrare nella stanza e sostare lì per più di un’ora. Perché li c’era Naruto, ed il dolore era lacerante.
Aveva avuto modo di riflettere, dicevamo, come mai prima: aveva pensato costantemente al suo amico, interpellandosi sul perché Naruto fosse fuggito, cercando di capirlo meglio, dato che all’inizio, in preda alla collera, non ci era riuscito.
E poi, grazie a quella canzone-messaggio, Sasuke aveva capito. Lui aveva lasciato tutto lì, in quella canzone che avevano registrato, perché sì, aveva ragione a dire che gli veniva meglio scrivere che parlare. “Da dove vieni barbaro? // Da metà tra la luce e la follia // Troppo emotivo e ansioso per riflettere// Troppo impulsivo per resistere” recitava la seconda strofa, che già di per sé era una bella spiegazione al suo comportamento. Era stato istintivo, per Naruto, scappare, preso com’era dai sentimenti e dall’ansia. Non aveva ragionato a pieno, aveva soltanto agito, aveva raccolto le sue cose ed era scappato, fine della storia. Ma perché? Questo veniva spiegato in più punti. Già quel “non so stare seduto sulla playa” era molto esplicativo; Naruto non riusciva a stare fermo, mai, né fermo nello stesso luogo senza fare niente, né, in un senso più allegorico, a guardare gli altri soffrire, ad esempio Hinata, senza agire. La sua voglia di fare lo aveva spinto a muoversi e sbagliare, ma capitava a tutti, no? Non poteva che perdonarlo, per questo. Il ritornello era la cosa più importante, perché lì c’era Naruto, quello vero. “Mama io non canto e non ballo se mi ci spingono // Mama io non canto e non ballo se mi costringono // Mama io non canto e non ballo se mi ricattano”, parole che non andavano spiegate, perfette così com’erano.
Naruto si era raccontato in “Nevroticoalcolico Stomp” come non mai. Si era meravigliato quando lo avevano registrata. Anche il sound era frutto del suo sacco, stavolta, era il biondo che aveva deciso tutto e chissà quando aveva avuto il tempo per pensarci, con tutto quello che era successo.
C’era una cosa, però, che lo aveva colpito più di tutto. Naruto aveva parlato anche di lui, in quella canzone, con quel “c’era un tempo in cui cantavo per la cena” o “cresciuto a pane e dolore”: erano cose solo loro, da soltanto loro vissute e condivise. Canticchiò quelle frasi, ricordando la loro vita.
 
 
La chitarra in mano, la custodia aperta. I due cantavano, vicini, racimolando pochi soldi.
Avevano dodici anni, troppo pochi per tenere come dovuto una chitarra da grandi, ma abbastanza per essere capaci di rubarla e di impararla a suonare. Avevano rubato quelle due chitarre dopo aver progettato con cura una strategia, tutta frutto dell’intelligenza di Sasuke, non all’infantilità di Naruto, che voleva semplicemente prenderle e scappare.
Non avevano altro da fare, il giorno, se non qualche birichinata, e così suonavo per un pezzo di pane, comprato o offerto per la prima volta dopo esserselo guadagnato.
Era una delle tante sere in cui quasi tutti li snobbavano. Sasuke si era allontanato un attimo, un solo istante, richiamato da una anziana benevola che voleva offrirgli delle caramelle, sempre meglio di niente.
Naruto era rimasto solo e, in quel momento, un teppista di circa trent’anni, la cui vita era stata sciupata fra alcool e donnacce, si avvicinò a lui per rubargli con un ghigno divertito i pochi spicci che avevano racimolato.
Subito il biondino si infuriò, scattando sull’uomo, per poi colpirgli con forza una gamba.
L’uomo gridò per il dolore provocatogli e gli diede un grosso schiaffo.
Sasuke arrivò in soccorso: si contrappose fra i due, aprendo le braccia in segno di difesa. L’uomo, che era pronto a sferrare un altro pugno, lo guardò sbalordito.
<< Teme, che fai?! >> urlò il biondo, che era a terra dietro di lui.
<< Lascialo in pace! >> gridò rabbioso Sasuke all’uomo, ignorando le sue parole << O te ne pentirai! >> osò dire.
L’uomo ghignò, uno sguardo macabro, e colpì anche Sasuke. Prese a colpirlo, alternando calci e pugni, passando di tanto in tanto a Naruto, che tentava di difenderlo come aveva fatto l’amico poco prima.
Ma nulla potevano contro quell’uomo tre volte più grande di loro, ed oramai si era fatto tardi: in giro c’era soltanto gente malfamata, nessuno interessato ad aiutarli.
Dopo un bel po’ di colpi, l’uomo si stancò. Sbuffò contrariato, raccolse i soldi e andò via. Con quelli ci avrebbe comprato a malapena una birra.
I due adesso erano a terra, malconci. Naruto guardò Sasuke ed ebbe la forza di sorridere.
<< Allora mi vuoi bene, né, teme? >> mormorò, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
<< Tsk. >> fece l’altro, tentando di alzarsi, per poi dare una mano anche all’amico.
<< Ti voglio bene anche io, teme! >>
 
Naruto era capace di tirar fuori da ogni brutta situazione un lato positivo. Ne aveva viste di ogni, aveva combattuto tante guerre personali, eppure manteneva sempre il proprio ottimismo, il proprio sorriso. Delle volte poteva risultare un po’ finto, ma soltanto lui era capace di riconoscerli, almeno finché non avevano incontrato gli altri degli Origins e Hinata.
Aveva mai risposto a quel “ti voglio bene”? In più di dieci anni di conoscenza era successo solo una volta, quando Konohamaru era morto e Naruto si era buttato giù. Per un pelo era riuscito a risollevarlo dall’oblio e quando aveva riavuto indietro il suo vecchio amico glielo aveva mormorato, sì, sottovoce, ma seriamente, senza baka o altri nomignoli. Semplicemente, glielo aveva detto, e Naruto lo aveva abbracciato, una delle rare volte in cui fu ricambiato calorosamente.
Suo fratello, quel bonaccione del suo fratello acquisito, era sempre stato delegato ai livelli di un semplice amico, di un baka qualunque, ma lui lo sopportava, sopportava i suoi silenzi, le sue urla, la sua freddezza, i suoi attacchi d’ira, perché sapeva che non era affatto un semplice conoscente: Naruto, anche se non lo aveva mai detto, aveva preso il posto vuoto lasciato da Itachi; perché sì, non lo avrebbe detto mai neanche sotto tortura, ma delle volte il biondino si era occupato di lui come soltanto un fratello maggiore poteva fare. Famiglia, famiglia, famiglia: l’avevano sempre desiderata, tanto da sopportarsi e rendersi fratelli.
E gli doleva il cuore a vederlo buttato su quel letto, rimaneva senza fiato e lo stomaco si torceva se pensava che soltanto una volta gli aveva detto di volergli bene, una soltanto in quasi 14 anni.
Si sentiva oppresso da tutte quelle sensazioni, tutte in una volta, soprattutto quando il suo sguardo passava dalla figura assente di Naruto a quella morta di Hinata, che stava lì, sulla sedia a rotelle, a guardarlo silenziosa, oppressa più di lui da mille sentimenti, come punta in tutta il corpo da mille spilli.
Gli veniva da vomitare, stava male per lei; stavolta era incapace di aiutarla e mai lo aveva desiderato tanto: lui era Sasuke Uchiha, aveva sempre dovuto badare alla sua sopravvivenza, non a quella degli altri.
<< Sasuke? >> una voce familiare e pacata lo richiamò ansiosa.
Si rese conto solo in quel momento di aver fissato il suo sguardo sulla mora, che fortunatamente non si era accorta di nulla.
Si voltò, tentando invano di non apparire troppo distrutto, per poi incontrare gli occhi smeraldini di una Sakura preoccupata.
<< Ti va di fumare? >> gli chiese semplicemente, per poi incamminarsi, sicura di essere seguita.
I due si fermarono sulla prima terrazzina disponibile. Sasuke le offrì le sue Alboro, ma lei rifiutò, perché fumava sigarette più leggere di quelle. Prima di estrarne una del suo pacchetto, e ancor prima che Sasuke riuscisse a mettersi la sigaretta fra le labbra, Sakura si fiondò su di lui, baciandolo caldamente, tentando di dargli conforto nell’unico modo che conosceva.
Istintivamente Sasuke si irrigidì. Non capitava mai che rifiutasse un bacio da una bella ragazza, per di più era Sakura, la sua Sakura, eppure Sasuke si sbloccò: si sentiva male a stare con qualcuno con Naruto in quello stato; si sentiva male a vivere, se Naruto non poteva farlo.
Non rispose al bacio, non si offrì ulteriormente. Sakura si fermò, retrocesse di qualche passo, lo guardò intristita. Non sembrava stupita, anzi, non sembrava aspettarsi niente di diverso.
Si appoggiò alla balaustra, con aria melodrammatica, si accese una sigaretta e passò l’accendino al moro, che fece altrettanto.
<< Mi dispiace molto, Sasuke. >> mormorò la ragazza, i capelli al vento, lo sguardo perso << Sappi che ti sarò vicina… voglio solo capire in che ruolo. >>
Sasuke sbuffò un po’ di fumo, strofinandosi una mano sulla fronte dove martellava la stanchezza e il dolore, incapace di pensare ad una risposta sensata. Ciò che sentiva era assurdo, impressionante, e non desiderava condividere ciò con la ragazza.
<< Non ho la testa per una relazione, adesso. >> bofonchiò il ragazzo, stringendo la sigaretta fra le labbra << Non voglio farti soffrire, ma non ci riesco, perdonami. >>
La ragazza annuì, probabilmente era proprio quello che si aspettava.
<< Quando Naruto starà meglio, ne riparleremo, Sasuke, tranquillo. Va bene così. >>
<< Quando Naruto starà meglio. >> ripetette lui, chiudendo gli occhi.
 
<< Dove sono Kiba e Hanabi? >> chiese la bionda, accarezzando la spalla del compagno.
<< A casa, a prendere qualcosa per Hinata e a riposarsi. >> rispose Shikamaru, accoccolandosi meglio sulla spalla di Ino.
Erano seduti in corridoio, davanti alla stanza di Naruto, dove Hinata sostava imperterrita.
Era inutile parlarle, lei non rispondeva; era un automa che parlava soltanto per chiedere di Naruto.
Nelle sue condizioni non mangiava neanche abbastanza, eppure così avrebbe perso tutto, tutto.
<< Dovresti andare anche tu, Shika. >> affermò la ragazza, accarezzandogli per un attimo i capelli << Devi riposare, sono giorni che non dormi, ed è strano per te. >>
<< Non ci riuscirei, Ino. Non con questa situazione. >> rispose lui, alzandosi un poco per guardarla negli occhi << Sono contento che tu sia qui. >>
<< Non potevo abbandonarti. >> disse, appoggiando la fronte contro la sua << Non ci sono liti che tengano. >>
Shikamaru la baciò, brevemente, nonostante desiderasse farlo molto più a lungo. Ino riprese a parlare.
<< Lo sai? Siamo diventati il pettegolezzo dell’ospedale. >> il senso non era giusto, così aggiunse << Per meglio dire, tutti parlano di noi. Sono tristi per quello che è successo e ammirano la vostra solidarietà. Siete sempre tutti qui, notte e giorno. >>
<< Ah bene, ci mancava solo questa, siamo già sulle copertine di tutti i giornali e riviste di Tokyo. >>
<< Ma quelli dell’ospedale non lo fanno per cattiveria, Shika… >>
Ino si bloccò, rimanendo a bocca aperta, quando vide qualcuno percorrere in lontananza il corridoio, diretto verso di loro. Si alzò in piedi, corse, mentre Shikamaru la seguiva stupito con lo sguardo.
<< Cosa ci fai qui? >> chiese subito la ragazza, fermandolo a dieci metri dalla stanza di Naruto.
<< Sono qui per mia cugina. >> rispose la figura alta e longilinea.
<< Non credo che ti voglia qui, Neji! >> affermò lei, conscia della situazione fra Neji e Hinata.
Lui si irrigidì, poi sbuffò << Lo so, ma… ho saputo e devo parlarle, davvero. Devo. >>
Ino vide, cosa inaspettata, un leggero velo di tristezza negli occhi determinati di Neji Hyuga, uno degli uomini più stronzi sulla faccia della Terra, a parer suo. Stupita da tali sentimenti, si decise.
<< Aspetta qui, vado a chiederglielo. >> asserì la ragazza << Se non vuole, te ne andrai. >>
Si incamminò nuovamente, stavolta con un passo più lento e cadenzato, e si avvicinò ad Hinata.
Si inginocchiò accanto a lei, osservando la figura smunta e smagrita della ragazza. Adesso sembrava più piccola, su quella sedia a rotelle, grande quanto una bambina. La pelle era innaturalmente bianca, cadaverica, gli occhi vacui, morti. Quella visione le fece male.
<< Hina-chan? >> la richiamò dolcemente, tentando invano di non essere sopraffatta da quel dolore << C’è qui tuo cugino… dice che è importante, vuole vederti. Sembra triste. >>
Hinata guardò oltre la sua spalla, alla ricerca della figura familiare di Neji. Annuì, brevemente, permettendo ad Ino di fare un gesto veloce che richiamò il ragazzo. Salutò Hinata con un bacio sulla guancia, prese Shikamaru con sé e li lasciò soli in meno di un secondo.
Neji si avvicinò lentamente, prendendosi del tempo ulteriore per riformulare il suo discorso.
Ogni metro in più era qualche secondo per osservare la cugina, profondamente diversa, in quel momento.
Sedeva tranquillamente su una sedia a rotelle, con indosso una veste ospedaliera bianca a fiori lillà, le gambe coperte da una plaid azzurro. I capelli erano arruffati, liberi, gli occhi stanchi, pestati, cerchiati da occhiaie profonde, la pelle sciupata, bianca, malata. Dalle maniche corte si intravedevano le numerose fasciature che le rivestivano il corpo mentre sul viso numerosi tagli erano nascosti da piccoli cerotti. Dal braccio sinistro, coperto di lividi,  partiva un lungo tubicino, attaccato ad una flebo dal colore biancastro.
In breve, fu a un metro da lei, e il vedere il suo stato, la sua espressione, lo fece vacillare. Tremò, gli tremò il cuore a vedere il suo sguardo vacuo, perso nel suo, come se non lo stesse davvero guardando negli occhi.
Ed in effetti, Hinata, lo fissava, ma non guardava lui, né soffriva per la sua presenza, quanto più per ciò che rappresentava: una famiglia distrutta, che per anni si era tenuta in piedi per miracolo, ma che ormai si era sfracellata contro il suolo. E in quella caduta, in quella famiglia corrotta, Hinata aveva coinvolto Naruto, e quella situazione ne era la conseguenza diretta. O almeno così immaginava.
Tornò alla realtà soltanto quando vide Neji accovacciarsi davanti a lei, gli occhi bianchi estremamente commossi. A quella visione, si stupì.
<< Hina-chan… >> cominciò lui, prendendola una mano, estremamente fredda << Mi hai sentito? >>
No, non lo aveva sentito, troppo persa nei propri pensieri, troppo persa a pensare al perché, all’ archè di tutto ciò che era successo. Osservò la sua mano martoriata in quella di Neji, stranamente tremante, proprio in lui, il perfetto e irreprensibile Neji Hyuga.
Quella mano tremante, quegli occhi commossi, quel tono di voce gentile e pacato, tutto di lui in quel momento gli ricordava il suo Neji, l’amico d’infanzia, il fratello amato, la prima cotta.
<< Ho detto che mi dispiace molto di vederti così, che farò di tutto per farti stare meglio. >> continuò il ragazzo, accarezzando col pollice quella bella mano affusolata << E, aggiungo adesso, voglio cominciare subito, perché ti devo una spiegazione. >>
Imperterrita, continuò a non rivolgergli lo sguardo. Sembrava un automa spento, una bambola inanimata.
<< Mi dispiace per quello che è successo anni addietro, ma sono qui per rimediare. >> riprese lui, animato da un nuovo moto di coraggio << Ho sbagliato tutto, non avrei mai dovuto mentirti, ingannarti, prendermi gioco di te. Ho cercato di farti innamorare di me, come aveva richiesto zio Hiashi, per toglierti dalla mente tutti i fannulloni della tua scuola e farti concentrare su qualcuno di degno. Ma io non sono mai stato davvero degno di te, tu sei perfetta. Non avrei mai dovuto obbedire allo zio, ma era un ragazzino stupido e incosciente. Ti prego, perdonami. >>
Stavolta, Hinata si fece attenta. Spostò il suo sguardo dalle loro mani giunte agl’occhi di Neji, specchio dei suoi.
<< Hai sempre avuto ragione su tutto. >> continuo il moro, facendosi coraggio nell’ammettere un suo errore << La nostra famiglia è corrotta e dopo l’ultima cosa che hanno fatto gli Hyuga, ripudio il mio cognome. >>
La bocca di Hinata si schiuse dallo stupore come un bocciolo di rosa. Sorpresa, sgranò gli occhi, e per un attimo non fu più quella donna senza vita degli ultimi tre giorni, ma solo la giovane Hinata Hyuga, quella stupita e delusa.
Il cugino abbassò lo sguardo, mortificato.
<< E’ stata opera loro. Un ragazzo aspettava che usciste per avvisare un mercenario di colpirti. >> la voce gli morì in gola, ma doveva continuare, glielo doveva << Finché si trattava soltanto di minacce potevo adeguarmi, ma questo… >>
La mano di Hinata tremò leggermente; lui l’avvolse più saldamente, voltandosi nuovamente per guardarla negli occhi bianchi, estremamente sofferenti e oscuri, così diversi da come erano di solito, da come erano fino a qualche giorno prima.
Allungò una mano cercando di trasmetterle un po’ di calore e affetto, accarezzandole il viso, tentando di far riemergere quella dolce Hinata ormai scomparsa, sepolta sotto il dolore.
<< Se lo avessi saputo… >> continuò << non avrei mai permesso che ti facessero del male. Ti avrei protetta. Ci tengo troppo a te per perderti completamente. >>
Lei non rispose, distolse lo sguardo, tornò a fissare Naruto steso a letto, guardandolo attraverso quel vetro simbolo di tutto ciò che adesso li separava.
<< Hinata, rispondimi, ti prego… Voglio proteggerti, voglio cominciare adesso, recuperando tutti questi anni. >> le strinse la mano ancora più forte, cercando inutilmente di richiamarla << Ti prego, Hinata-nee-san, perdonami. Posso… posso abbracciarti? Io.. ti voglio bene, da morire. >>
Stavolta Hinata aveva sentito ogni cosa, ed ogni sillaba era una lama in fondo al cuore. Vacillò, non sapendo bene cosa fare. Stranamente, quelle frasi, insieme alla consapevolezza che le avevano accompagnate, le facevano più male di tutto il resto. Era colpa sua se Naruto adesso era in coma e non si svegliava, era unicamente colpa sua, che lo aveva coinvolto in quella famiglia macabra e vendicativa, che si era innamorata di lui, lasciando che un rapporto incredibile li legasse, abbastanza profondo da mettere a repentaglio la sua vita per lei. Era colpa sua, le sussurrava una voce nella mente, che continuava a parlare facendola impazzire, e quella consapevolezza le faceva così tanto male da risollevarla dall’apatia di quegli ultimi giorni, da farle sentire così tanto male in mezzo al petto, laddove il suo motore era andato in avaria, da ricordarle che , era viva e apriva gli occhi, mentre lui no.
E mentre qualcosa la riportava alla vita scheggiandole gli occhi in cerca di una via d’uscita, annuì disperata, ricambiando la stretta di suo fratello, che era riuscito a tornare ad esserlo in meno di due minuti, che l’aveva abbracciata di slancio piangendo al suo posto.
 
<< Neji-nii-san? >>
Quella voce pacata e bambinesca lo fece tornare in un attimo alla realtà, quella in cui non poteva piangere,
no, non poteva permetterselo, perchè doveva occuparsi di lei. Alzò lentamente il viso sperando che gli occhi
arrossati non si notassero troppo, una speranza inutile e vana, lo sapeva bene.
<< Cosa ha detto papà? >>
Tentò di ignorare la domanda, detta così ingenuamente, con quel tono dolce e leggermente ansioso, guardandola
in volto, ma ciò non gli provocò che un immenso dolore. Perchè Hinata era una bambina bellissima, dolce,
di sette anni appena, la pelle bianca, le guance rosse, molto più bella di Biancaneve e di tutte le altre principesse.
Non poteva permettere che tutto quel dolore scalfisse ancora il suo cuoricino, no, e nonostante avessero la stessa
età si sentiva in dovere di proteggerla: nella loro famiglia non poteva andare tutto male,
no.
<< Ha detto che zia starà bene. Starà meglio. >>
Non aveva il coraggio di dirglielo, no. Mentì, spudoratamente, nonostante quelle parole fossero un pò vere,
perchè sua zia, la dolce e premurosa madre di Hinata, era morta, ma sarebbe stata meglio lì che tra folli sofferenze
nel loro mondo. Ma... dirlo a Hinata erano tutte un altro paio di maniche. Non credette ai suoi occhi quando la 
bambina si rabbuiò, in mezzo al corridoio di quel familiare ospedale, abbassando poi lo sguardo e smettendo di
stringere il dolce coniglietto bianco di peluche, difensore delle sue notti più buie, lasciando le braccia lungo
il corpo piccolo e infantile.
<< Non mentirmi, nii-san. >> sussurrò, la voce triste di chi è abituato fin troppo a quel genere di cose << La mamma è morta, vero? >> 
Non sapeva cosa rispondere, non ne aveva il coraggio. Fu la sua volta di abbassare lo sguardo.
<< Adesso però c'è Hanabi, Hinata. >> 

Quel pomeriggio erano nuovamente tutti insieme, seduti in corridoio su quelle sedie di plastica ormai troppo familiari, l’insegna luminosa sempre presente. Ognuno cercava di darsi conforto l’un l’altro, raramente c’erano parole, ma erano tutti uniti in quel tacito dolore. Hinata non fece parola del suo rinascente rapporto con il cugino, troppo presa a pensare a ciò che quella mattina le aveva comunicato, troppo presa a crogiolarsi in quel senso di colpa che le era stato vicino così spesso, nella sua vita.
Di tanto in tanto, Hanabi si alzava, l’abbracciava silenziosa, le baciava i capelli e le guance, perché la conosceva bene e sapeva interpretare perfettamente i minuti in cui i suoi occhi erano chiusi, ovvero i momenti in cui i suoi pensieri raggiungevano il culmine della disperazione.
Una ragazza sulla trentina, con corti capelli scuri e gli abiti da infermiera, si avvicinò al gruppo, in mano una cartelletta che continuava a sfogliare.
<< Buon pomeriggio >> esordì, cercando di non alzare mai lo sguardo su di loro, ansiosa << fra poco verrà la dottoressa, vuole parlare con i parenti più prossimi delle condizioni del paziente. >>
<< Shizune-san! >> proruppe Sakura, sgranando gli occhi, riscoprendo nell’infermiera una sua amica, non che allieva della sua sensei.
<< Ah… Sakura, non pensavo fossi qui. >> rispose, sbalordita << Mi dispiace molto per la vostra situazione… >>
<< Grazie, Shizune. >> disse l’altra, per poi affermare, intristita << Comunque non ci sono parenti prossimi. >>
<< Di solito ho sempre parlato io con il medico. >> intervenne Shikamaru << Non hanno mai chiesto di parenti, è strano. >>
<< Lo so, lo so. >> continuò la donna << Ma si tratta di una situazione diversa e la dottoressa ha espressamente richiesto di parlare con i parenti, ovvero un certo Sasuke e Hinata Hyuga. Dovete aspettarla nella camera del paziente. >>
Sakura socchiuse la bocca, stupita per la strana circostanza, ma fu la prima a riprendersi.
<< Va bene… grazie Shizune. >>
L’infermiera andò via, lesta come era arrivata. Shikamaru si voltò verso Sakura, lo sguardo interrogativo.
<< Puoi spiegarmi quello che è appena successo? >> chiese, mentre tutti si facevano attenti.
<< Non le ho mai parlato di Naruto. >> rispose la ragazza, che cercava di rifletterci << Non so come abbia saputo dei loro rapporti o come lo abbia saputo la dottoressa. >>
Un sonoro sbuffò arrivò dall’angolo più lontano del corridoio.
<< Che importanza ha? >> disse in un soffio Sasuke, avvicinandosi alla porta a vetri della camera.
Non chiese il permesso, non attese nessuna risposta. Semplicemente, arrabbiato con il mondo e con se stesso, spinse la carrozzina di Hinata dentro la stanza. L’avvicinò il più possibile al letto e non si aspettò di vederla voltare lo sguardo, incapace di guardare la persona che riposava sul letto, che invece lui prese a contemplare in ogni minimo dettaglio.
La pelle, solitamente bronzea, adesso era più pallida e malata; le mani sostavano vicino ai fianchi, sul lenzuolo candido, e da una partiva un grosso tubo, collegato al macchinario che segnava il battito cardiaco, che era lento ma cadenzato; i muscoli erano rilassati, probabilmente anche intorpiditi; dal braccio partiva un lungo tubo collegato alla flebo, come quello di Hinata; i capelli erano liberi, scompigliati, arruffati, ma sempre di quel biondo solare; il viso era pacato, tranquillo, gli occhi chiusi, come se stesse dormendo, mentre un tubo gli scendeva in gola, per farlo respirare.
Naruto era lì, fra loro, a separare Hinata e Sasuke. Sta soltanto dormendo, si disse, ingannandosi per l’ennesima volta, lasciandosi trasportare da un’illusione perfetta e dolce. Ma erano lì, in un ospedale, e se Naruto era su uno di quei letti voleva dire che non tutto stava andando per il meglio; per di più, il ricordo cocente dell’incidente gli passava ancora davanti agli occhi, ricordandogli ogni istante il momento in cui tutti, compreso lui, erano morti.
Alzò lo sguardo, tentando di distogliere il pensiero da quei ricordi atroci, e vide Hinata, il volto ancora voltato verso l’uscita, incapace di guardare il suo amato. Gli fece male, sentiva le mani prudergli per il desiderio rabbioso di sballottarla, di scuoterla, di farla tornare in vita.
<< Che fai? >> chiese, in un ringhio << Perché non lo guardi? >>
La vide deglutire, ma non accennò a nessuna risposta. Sasuke si infuriò.
<< Ma che diamine fai, Hinata?! >> quasi urlò << Non me ne fotte un cazzo che stai male, mi devi rispondere! Adesso Naruto ti fa vomitare? RISPONDI, cazzo, ti ho salvato, me lo devi! >>
<< E’ colpa mia! >> sbottò Hinata, urlando << E’ colpa mia se è così, non ci riesco a guardarlo! >>
A Sasuke caddero le braccia. Ma perché le aveva urlato contro? Non poteva semplicemente farsi gli affari suoi? Adesso non sapeva che rispondere… era lei che capiva lui, non capitava quasi mai il contrario. Cosa doveva dirle, adesso? Ma in che guai si ficcava?
<< Non è colpa tua. >> e la frase fu così poco originale che gli fece tornare la nausea << Davvero… come ti viene in mente? È stato un’incidente. >>
Hinata adesso lo guardò negli occhi, senza mai posarli su Naruto. Occhi d’odio, occhi di fuoco, intrisi di rabbia quanto i suoi.
<< No, non è stato un incidente. >> sibilò, a denti stretti << E’ stata la mia fottutissima famiglia. >>
I dubbi di Sasuke, con quella frase, si dipanarono. A chi dare la colpa di tutto? Ovvio, alla famiglia più bastarda di tutta Tokyo, gli Hyuga. Non si aspettava nessun altro colpevole e si maledisse per aver avuto ragione. Un sorriso ironico si dipinse sul suo viso. Un sorriso stanco, intristito, tirato.
<< La tua famiglia è in questa stanza e in quel corridoio >> rispose, dopo qualche istante << Noi non abbiamo fatto niente. >>
Quella risposta la colpì, la commosse quasi. Era impossibile negare la sua veridicità, eppure sentiva di doversi sentire partecipe di quel brutale assassinio… altro che incidente. Artigliò con le unghie i braccioli della sedia su cui era costretta a stare, tentando di sfogare tutta quella rabbia.
Allungò una mano, tremante, e pettino leggermente i capelli biondi di Naruto, guardando suo fratello, sperando che aprisse gli occhi e stralunato gli dicesse << Ehi, Teme, che fai? >>.
<< Non puoi non guardarlo, Hinata. >> le disse, tornando a guardarla con i suoi occhi tristi << Dobbiamo prenderci cura di lui. >>
Fu in quel momento che videro una donna bionda conosciuta, coperta da un camice, entrare nella stanza. Entrambi spalancarono gli occhi, stupiti di vederla lì, indossando per di più i panni del medico.
<< Ma lei è… >> mormorò confusa Hinata.
<< Non ci siamo mai presentati. >> l’interruppe lei, vigorosamente << Io sono Tsunade Senju. >>
Quel nome venne immediatamente accostato da parte di entrambi ai numerosi racconti di Naruto, confondendoli maggiormente.
<< Ma che diavolo significa? >> sbottò Sasuke, dando di matto << Chi è lei? >>
<< Te l’ho appena detto, ma se me lo chiedi vuol dire che Naruto vi ha parlato di me. >> la bionda si avvicinò, appoggiandosi all’inferriata del letto << Ho fatto parte dell’infanzia di Naruto per molto tempo. >>
<< Lei… Jiraya-sama era innamorato di lei. >> disse Hinata, cercando di riordinare i pensieri << Lei mi ha mentito. Mi ha detto che non vi conoscevate. >>
<< Lo so, mi dispiace molto, ma aveva fatto una promessa. >> rispose, con gli occhi lucidi al ricordo << Avevo una relazione con il povero Jiraya e alla sua morte ho lottato per avere Naruto con me, ma non avevo il titolo per farlo, così mi è stato tolto. Ho cercato di rimanere in buoni rapporti con lui, ma non mi è stato permesso. Ha sempre pensato che lo avessi abbandonato, ma penso che con il tempo abbia capito e abbia cercato la mia abitazione. Così, quando qualche giorno fa si sentiva confuso, è venuto da me per affidarmi un compito. Non credevo che arrivasse così presto il tempo per adempirlo… >>
<< Continuo a non capire. >> disse Sasuke, guardandola duramente << Perché lei e qui? >>
<< Naruto vi ha raccontato di come morì Jiraya? >> chiese lei, invece di rispondere alla domanda.
<< Gli dissero che morì di vecchiaia. >> rispose Hinata, annuendo lievemente.
<< Gli dissero una bugia. La verità è che morì di un cancro al cervello, assolutamente incurabile. >> il suo sguardo si fece nostalgico e triste << Naruto non l’ha saputo finché non è venuto da me poco tempo fa in cerca di conforto. >>
Sasuke si passò una mano sulla fronte corrucciata. Era stanco di girare in torno al punto della questione, stanco di non sapere.
<< La prego, non allunghi il discorso. >> implorò esausto << Ci dica quello che deve e basta. >>
<< Come vuoi, Sasuke. >> inspirò forte, facendosi coraggio << L’incidente che ha subito Naruto gli ha provocato varie emorragie interne, a cui si è fatto rimedio con una lunga operazione che ha sfiorato quasi le dodici ore. Avrebbe dovuto svegliarsi dopo uno-due giorni, ma non è successo perché Naruto ha un cancro all’ultimo stadio, incurabile e inoperabile, che non gli ha reso sopportabile un tale trauma. >>
Le bocche di entrambi si spalancarono. Sasuke si lasciò addirittura cadere su una sedia posta al capezzale di Naruto.
<< Cosa… un cancro? >> farfugliò Hinata, incapace di comprendere la verità.
<< Ha scoperto di averlo circa sei mesi fa, in Europa. Si sentiva sempre stanco, aveva dei forti mal di testa e delle volte anche dei capogiri. Sulle prime pensava non fosse nulla, ma si è insospettito e si è fatto fare un controllo. >> raccontò, in breve, la donna << Ha lo stesso cancro di suo nonno. E’ venuto da me perché in preda allo sconforto, non faceva altro che pensare alla sua morte e tutto quello che stava accadendo gli faceva pensare che stava perdendo il suo tempo. Gli avevano dato ancora un anno, ma con l’incidente la situazione è irrecuperabile. Mi aveva chiesto di esservi vicino quando fosse morto per spiegarvi meglio la situazione e per affidarvi la sua eredità. >>   
<< Non può essere… >> Hinata era incredula, non riusciva nemmeno a realizzare ciò che gli stava dicendo Tsunade << Naruto non sta morendo. >>
<< No, infatti, ma solo perché è attaccato ad una macchina che lo tiene in vita. >> disse la donna, negando col capo << Il suo encefalogramma non mostra nessuna attività celebrale. >>
E allora Sasuke capì, capì che realmente in quell’incidente era morto lui, era morta Hinata ed era morto anche Naruto. La sua anima era volata via, nonostante il cuore gli battesse ancora nel petto, la sua anima non c’era, né la sua mente.
Naruto aveva un cuore grande, si ritrovò a pensare, tristemente, mentre una sola, calda lacrima gli rigava il volto, tanto che è l’unica cosa ancora funzionante
<< Mi dispiace, sono desolata… Naruto non si sveglierà più. >>



 
Un bambino dai capelli mori sostava in piedi in mezzo al corridoio buio, singhiozzante,
i pugni stretti contro gli occhi cercando di trattenere quelle lacrime amare che non smettevano
di scorrere sul suo viso pallido. Piangeva, il bambino, di un pianto disperato e unico, solitario,
di un pianto che non si dovrebbe conoscere a 8 anni, l'età del gioco, della felicità, non della 
disperazione. E piangeva il piccolino, piangeva, bagnandosi le manine, la maglietta celeste
chiaro ancora sporca di sangue, imbrattata di un mondo che nessun bambino dovrebbe vedere.
Piangeva, non la smetteva, perchè era rimasto solo al mondo: la sua famiglia era stata uccisa,
erano tutti morti, e non c'erano mezze misure per dirlo. Il solo, piccolo, bambino stava già 
cambiando, in quel momento, e mentre si asciugava le lacrime decise che non avrebbe mai
più pianto. Perchè lui era Sasuke, il piccolo e fiero Sasuke Uchiha. 


 
Sono tornata, perchè non resistevo, e odio farvi aspettare
con tutta la suspance, l'ansia, insomma tutto questo >.<
Dovete scusarmi per il cambiamento di scrittura: ultimamente
sto avento dei problemi con il layout e il corsivo, e ho notato
che nelle altre storie, dove uso questo scrittura, il problema 
non sussiste. Speriamo bene! 
Che dire di questo capitolo? Una notizia bomba! 
Come vi avevo detto, tutto si sarebbe spiegato verso la fine:
come predetto Hinata è stata colpita dalla sua "famiglia", che 
voleva danneggiarla, e Neji ha cambiato parte, contenti? io si!
La donna bionda degli scorsi capitoli? Tsunade. Il suo ruolo?
Persona coinvolta che possa spiegare tutto ciò che Naruto 
ha nascosto con tatto e che sia ingrado di lasciare la sua
eredità e di far seguire il suo volere. Cosa nascondeva
Naruto? Il cancro. Perchè sì, perchè stava male e qualcuno
di voi se ne è accorto, sono contenta. Arcx... conteta? 
"Purtroppo" ci becchi sempre. Yah. Però non avevi completamente
intuito tutto quello che c'è dietro , eh. Spero che non ci 
rimaniate male, ma ormai la fine è vicina e spero vi fiderete
di me, seguendomi anche nel sequel. Nelle note dell'ultimo 
capitolo vi spoilerò un pò il sequel, ma una cosa ve la dirò
lo stesso: IL NARUHINA SARA' PRESENTE, anche se in
un modo un pò diverso, un esperimento (?). 
Se avete dubbi, chiedete.
E RECENSITE, che siamo agli sgoccioli °.°
A presto,
Tomoko.
   
 
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