Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: kiara_star    18/02/2014    5 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap14
L' ultima lacrima



XIV.





Emorragia interna. Era stata questa la prima diagnosi e Steve non riusciva a capirla, o meglio, ad accettarla.
«Dovrebbe guarire da solo» mormorò a Clint seduto accanto a lui in quell'ambulanza.
Loki era steso su una barella con quattro mani che cercavano di arginare la fuoriuscita del sangue. Sibili delle macchine e garze e aghi.
Linn sedeva sul lato opposto con un'espressione così sofferente da farlo quasi sentire in difetto per non condividerla.
Clint aveva deciso di restare in quell'ambulanza perché no, stavolta non avrebbe permesso a Loki di fotterli, così aveva detto.
«Forse è la volta buona che crepa.»
La risposta fu dura e sincera, e fu la sua sincerità a farlo sospirare.
Se da una parte la morte di Loki sarebbe stata una liberazione, dall'altra non avrebbe permesso loro di sistemare la situazione in cui si trovava Thor.
«Avete avvisato Thor?» Alla sua domanda Clint non rispose immediatamente, teneva lo sguardo fisso sul viso assopito di Loki; i medici lo avevano imbottito di antidolorifici obbligandolo in un sonno forzato.
Per non farlo soffrire...
Che insopportabile beffa.
«Nat ha chiamato Bruce.»
Annuì alle sue parole tornando a studiare quell'insolito contesto.
Natasha li seguiva con il resto degli agenti.
Alla cupola di metallo avevano trovato sette corpi sotto le macerie, avevano chiamato altrettante ambulanze perché l'unica presente era stata destinata a quell'essere.
Non avrebbero dovuto sprecare un solo medicinale con lui, avrebbero dovuto lasciarlo nelle mani dei suoi aguzzini e fargli scontare la pena a cui era stato destinato.
Steve avrebbe dovuto lasciarlo morire.
Non l'aveva fatto.
Pietà? Generosità? Nobiltà?
No, non c'era nulla di nobile nel suo gesto, non c'era la volontà di salvargli la vita.
Aveva solo eseguito, per l'ennesima volta, un ordine. Un ordine sospirato come una preghiera.
Non aveva fatto poi molta differenza.
Aiutalo, Steve...
Alzò di nuovo lo sguardo sul viso di Linn ormai senza più sorprendersi di trovarlo umido di lacrime.
Piangeva per lui, per la vita di qualcuno a cui non era mai importato di quella degli altri. Qualcuno che aveva ucciso e goduto nel farlo, che aveva massacrato innocenti senza provare rimorso.
«Ci sono novità» sospirò Clint al suo fianco con le dita che accarezzavano l'arco con movimenti studiati.
«Quali?»
«Thor.»
In quella piccola ambulanza nessuno sembrava preoccuparsi delle loro parole. I medici continuavano a curare le ferite di Loki e Linn aveva smesso di piangere e iniziato a bisbigliare qualcosa fra le labbra.
Preghiere, pensò Steve, preghiere verso chissà quale Dio.
Clint non riprese subito la parola. Lo guardò a lungo e poi ringhiò un'imprecazione fra i denti.
«La storia è un po' lunga ma, per farla breve, Thor non è propriamente Thor.»
Non capì. Aggrottò la fronte e lasciò al suo sguardo parlare della sua confusione.
«Cosa vuoi dire?»
Clint si fece più vicino.
«Voglio dire che questo bastardo ha trovato il modo di separare una parte di Thor e trasformarla in quella bionda. Ecco cosa voglio dire.»
Assimilò quelle parole e cercò di comprenderle.
Thor non era Thor.
Una parte di Thor nel corpo di una donna.
Quella donna non era Thor.
Abbassò lo sguardo sul viso addormentato di Loki e sospirò.
«Sigyn...»
«Esatto.»
Eppure c'era ancora qualcosa che non era chiara.
«Ma perché ha fatto una cosa simile?»
E fu a quel punto, mentre udiva i medici parlottare fra di loro di emocromo e pressione, che Clint gli raccontò cosa fosse accaduto qualche ora prima alla Tower. Il piano di Tony di smascherare in qualche modo le vere intenzioni di Loki. Il comportamento assolutamente assurdo di Thor - o Sigyn? - che aveva aiutato suo fratello nel recupero di un oggetto non meglio identificato ma che aveva la capacità di derubare dell'anima un essere vivente.
Troppe informazioni e troppo poco tempo per metabolizzarle.
L'ambulanza si arrestò e le porte si aprirono con un rumore metallico.
«Portatelo subito in sala operatoria» comandò uno dei medici mentre facevano scendere con rapidità la barella dallo scivolo del mezzo.
Clint la seguì immediatamente mentre Steve rimase su quell'ambulanza con i capelli e i vestiti fradici e mille domande nella testa.
Solo quando sentì nuovamente un pianto, si accorse che anche Linn era rimasta con lui; le mani intrecciate e gli occhi chiusi.
Non riuscì a chiederle nulla.
Come stai?
Chi stai pregando?
Perché ti importa tanto della sua vita?
Restò in silenzio ad ascoltare le sue lacrime.
«Lady Sigyn...» Le udì mormorare. I suoi occhi azzurri lo guardarono umidi e quasi più belli.
«È stata avvisata» rispose con troppa freddezza forse, ma Linn non parve avvertirla.
«So quanto ti è costato ciò che hai fatto, Steve.»
No, non poteva saperlo, non poteva sapere degli agenti in fin di vita nelle altre sette ambulanze. Non poteva sapere delle notti insonni con gli incubi di quella prima invasione a tormentarlo ogni notte, con le urla delle persone che non era riuscito a salvare. Linn non poteva sapere che salvando la vita di Loki aveva in qualche modo calpestato quella che avevano perso coloro morti per mano della sua follia.
«Non l'ho fatto per Loki.»
Sperava soltanto che quella motivazione potesse acquietare un po' la sua coscienza.
Linn si coprì di silenzio e asciugò il suo viso. Il resto del suo corpo era ancora bagnato dalla pioggia che li aveva investiti in quel pomeriggio.
Un pomeriggio che aveva creduto potesse essere diverso, libero dalla sua divisa, ma non era stato così.
Steve Rogers non avrebbe mai potuto smettere i panni di Captain America.
Captain America non glielo avrebbe mai permesso.



*



Quando lo vide steso su quelle lenzuola sporche di sangue, Sigyn sentì il suo cuore fermarsi per interi attimi fino a ripartire nuovamente a ritmo forsennato.
Il rumore cigolante delle ruote con cui veniva trasportato le passò accanto come un vento e lei restò immobile a guardarlo sparire dietro le porte d'acciaio di una camera luminosa.
Il tempo rallentò e si dilatò, i suoni divennero voci sott'acqua e il suo respiro era l'unica cosa che riusciva a udire.
Qualcuno le disse qualcosa. Forse era Bruce, forse Natasha.
Qualcuno le scosse una spalla.
Restò con lo sguardo fisso a quella porta finché un viso non le coprì la vista: era il viso di Natasha.
«Thor? Thor?»
Guardò le sue labbra muoversi e quel nome risuonare.
«Loki...» sospirò.
«Se ne stanno occupando i medici, anche Bruce sta per entrare.» Quella bocca vermiglia si mosse ancora.
«Sta morendo?» Non riconosceva la sua stessa voce. «Non può morire. Loki non può morire...»
Non può lasciarmi...
Era Thor a parlare? Era lui a rifiutare categoricamente di perdere così suo fratello? Perderlo senza aver avuto ancora modo di ritrovarlo?
Era Sigyn? Era lei che si sentiva schiacciare dall'idea di non rivedere più i suoi occhi? Di non udire la sua voce? Di non poter toccare le sue mani?
Dov'era ora la rabbia? Dov'era la paura di non sapere di chi era il cuore che batteva furente nel suo petto?
Aveva davvero importanza?
«Non morirà.»
Natasha parlò ancora e solo in quel momento riudì i suoni del mondo che aveva chiuso fuori in quei lunghissimi secondi. Vide le luci del corridoio e sentì il calore della sua mano che le stringeva il braccio.
«Cos'è successo?» chiese con un sospiro soffocato che tentò di rendere il più stabile possibile.
«I dettagli li conosce Steve, ma pare che Amora e qualcun altro lo abbiano attaccato.»
Tradito... Era questa la verità.
Loki era stato tradito, tradito per l'ennesima volta.
«Ma non è tutto.»
Spostò a fatica gli occhi dalla porta per riportarli al viso della sua compagna.
«Parla» le intimò con poche incertezze.
«Il tuo martello. L'hanno preso.»
E se prima era stato silenzio nella sua testa, in quel momento fu un sibilo affilato a trafiggerla.
Nessuno poteva rivendicare Mjolnir, nessuno ne era degno a parte Thor.
Fu in quel momento che la realtà prese colore e le sfumature delle domande sparirono nella definizione di una risposta.
L'anima di Thor.
Tornò a fissare la fredda porta e sentì il sapore salato della delusione scendere sulla lingua.
Cosa hai fatto, Loki?
Cosa hai fatto, fratello?





 ஐஐஐ





Frigga udì la presenza della guardia ancor prima del suono delle suole che battevano leste i pavimenti di marmo del palazzo.
L'aria mite del mattino accarezzava gentile il suo viso e il canto di un'allodola le faceva compagnia, sebbene fosse incapace di cancellare in lei ogni ombra di tristezza e timore.
Quando le ante si spalancarono con un suono deciso, l'allodola spiegò le ali e fuggì via spaventata, portando con sé le note della sua melodia.
Frigga si voltò priva di richiami per la guardia che aveva messo piede nelle sue stanze senza chiederne il permesso, perché la notizia che portava poteva solo essere di importanza tale da far mantenere a Heimdall la parola data.
«Mia regina.»
«Parla pure.» Mise fine presto alla reverenza obbligata da un ruolo e aspettò impaziente le parole dell'uomo che splendeva nella sua armatura d'oro e seta.
«Heimdall chiede la vostra presenza al ponte con premura, mia regina, e perdonatemi se ho osato mancare ai miei doveri di suddito.» Immediatamente il ginocchio del soldato toccò terra mentre a capo chino chiedeva ancora una volta perdono per aver rispettato il comando di un Guardiano e non quello di un sovrano.
«Alzati pure, soldato.» Lo invitò raggiungendolo con passi armonici ma rapidi. «E scortami al ponte cosicché il tuo cuore possa dirsi libero dal peso di questa tua mancanza.»
L'uomo abbassò ancora il capo levandosi in piedi e battendo il pugno contro il petto.
«Ai vostri comandi, mia sovrana.»


«Buon Heimdall, quali notizie mi chiedi di ascoltare?»
L'occhio perso come sempre nell'abisso dell'universo e le miriadi di vite a riflettersi nel fondo della sua ambra. Frigga sperò che le labbra del fedele alleato si muovessero a pronunciare parole che avrebbero alleviato la pena del suo cuore di madre.
«La luce di Midgard è ora ben chiara alla mia vista, regina.»
«E i miei figli? Vedi anche la loro luce?»
La sua espressione restò come al solito immutata mentre Frigga, sapeva, il suo volto parlava di preoccupazione e apprensione, di debolezze di donna che non avrebbero portato di certo lustro al suo ruolo di monarca.
«Sì, mia regina, vedo anche la loro luce ma essa si perde attraverso quella del resto delle vite di Midgard.»
«Spiegati.»
Eppure temeva di aver compreso.
«L'una è pallida e fioca eppure forte, l'altra splende di colori che non dovrebbe possedere.»
A quel punto Heimdall portò la sua millenaria vista al suo viso e Frigga capì.
«Sono al sicuro?»
Non ebbe risposta ché avvertì un brivido attraversare la sua pelle. Lo sguardo si posò al profilo di Asgard.
«È tempo di tornare, regina Frigga.»
Heimdall non pronunziò più alcuna parola tornando ai suoi doveri di guardiano.
Frigga respirò a fondo lasciando che la guardia l'accompagnasse fino ai cancelli della città per poi congedarla.
Raggiunse in solitudine le stanze del palazzo, raggiunse in compagnia solo dei propri pensieri la camera reale.
Odino l'accolse con un'occhiata gelida.
«Dove sei stata?»
«Sai bene dove sono stata.» Si mosse lentamente verso di lui raggiungendo la balconata che gettava la sua vista sul verde dei giardini. «È lì che sei venuto a chiamarmi.»
Odino continuò a regalarle gelo.
«Heimdall non conosce ogni cosa.»
«La sua vista giunge in ogni dove.»
«La vista non è conoscenza, moglie mia.» Il tono autoritario che celava malamente il suo richiamo.
Frigga guardò il viso del suo compagno a lungo.
«Sono in pericolo, questo lo sai, e devi fare qualcosa per soccorrerli.»
«Ho ancora dei mocciosi da allevare e non lo sapevo.»
«Risparmiami il sarcasmo puerile della tua rabbia, Odino!»
«E tu risparmiami le richieste sciocche di una donna spaventata! Sei una regina, comportati come tale o mi porterai a credere che non sono state mie le mancanze che hanno generato un tale fallimento.»
Strinse con forza i pugni sentendo il petto pungere.
«Loki non è stato un fallimento. È tuo figlio, e che tu sia dannato quando parli con tale astio!»
«È stato lui a scegliere di non avere un padre. Ne ha ucciso uno e tradito l'altro.» Odino abbandonò con fretta il balcone ma Frigga non aveva intenzione di concedergli ancora una fuga.
«Non hai mai voluto comprenderlo davvero.»
«Basta con questo tedio. Non ha più importanza.»
«L'avrà sempre e peserà sul tuo cuore tanto quanto pesa sul mio.»
Ma suo marito non volle ascoltare altro, le diede ancora le spalle e varcò la soglia delle loro stanze lasciando che la porta si chiudesse priva di garbo.
Frigga era conscia del dove fosse diretto e temeva il suo ritorno, stavolta temeva davvero.
Perché il Guardiano aveva giurato fedeltà al Grande Padre, e al Grande Padre doveva risposte che a lei non erano concesse.
Poteva solo pregare di poterle affrontare, pregare soprattutto che Odino potesse affrontarle.
Cercò nel cielo ancora un'allodola, ma nessuna creatura aveva per lei un canto felice.





 ஐஐஐ





Linn si avvolse ancora una volta nella coperta che un cortese soldato vestito di nero le aveva donato.
Si strinse e cercò di non tremare.
Il freddo era lieve, l'acqua che grondava sul suo corpo era nulla rispetto alla tormenta che stava soffiando dentro di lei.
Non lo aveva più visto. Da quella sera Linn non aveva più incontrato lo sguardo del suo principe.
La sera che precedette la mancata incoronazione, quando il principe Loki se ne stava in silenzio seduto sui gradini del palazzo.
Nella grande sala dei banchetti, si festeggiava la gloria e il coraggio del principe Thor, la sua prossima vita da re, la sua grandezza di condottiero e sovrano.
Il principe Loki non era in quella sala.
Linn aveva osservato da dietro una colonna il suo viso piegato in pensieri che non poteva di certo conoscere, che non osava neanche provare ad avvicinare. Aveva osservato le sue labbra prive di sorriso e i suoi occhi perdere il verde per abbracciare il nero di uno sguardo spoglio di luce.
I capelli in disordine sul viso.
Un'immagine che pensava di aver dimenticato.
Linn!” Era stata Jayr a chiamarla e in quel momento il principe l'aveva scoperta.
Aveva temuto di aver provocato la sua collera per quel comportamento inopportuno ma il principe Loki non le aveva donato rimproveri, solo uno sguardo. Un lungo sguardo che si era spezzato nel momento in cui Jayr aveva afferrato il suo braccio.
Dobbiamo andare.” Le aveva intimato tirandola via con poca gentilezza. Linn aveva guardato un'ultima volta le scale, ma quel ragazzo triste non era più lì.
La festa era continuata fra danze e baldoria.
Il giorno che ne era seguito aveva cambiato per sempre l'equilibrio di Asgard.
«Devi asciugarti.» Steve era rimasto al suo fianco, Steve aveva un cuore più grande di quanto aveva creduto.
Se non avesse versato tutte le lacrime in quella carrozza bianca, Linn ne avrebbe versate per ringraziarlo della sua generosità.
«Anche tu dovresti cambiare le tue vesti, Steve.»
I suoi capelli avevano iniziato ad asciugarsi sebbene qualche ciocca umida ancora ricadesse sulla sua fronte al momento corrucciata.
Però le aveva sorriso, quel sorriso che la stava riscaldando più della coperta che cingeva il suo corpo.
«Non mi ammalerò, tranquilla.»
I corridoi sembravano gli stessi che l'avevano accolta la prima sera, eppure il loro odore era diverso. Era un odore pungente e intenso che sembrava impregnare l'aria.
Gli uomini che avevano soccorso il principe Loki indossavano vesti bianche e Linn aveva incrociato molti altri uomini con il medesimo abbigliamento. Erano i guaritori di Midgard che utilizzavano fiale e pozioni invece di riti e rune guaritrici.
«Per di qua.» Quando svoltarono l'angolo, una fitta si conficcò nel suo stomaco nello scorgere la chioma bionda della sua signora.
Avrebbe voluto affrettare il passo eppure le sue gambe rallentarono costringendo Steve a tenere il suo ritmo lento.
Lady Sigyn era in piedi poggiata contro un muro, le braccia piegate sul seno e l'espressione seria e asciutta.
Non una lacrima le rigava il viso, non un fremito le scuoteva le membra.
Non furono che una manciata di passi prima che lei si accorgesse di loro.
Vide solo in quel momento la gola sussultare ma i suoi occhi azzurri guardavano il viso del capitano Rogers.
Al suo fianco la bella Natasha li accolse con poche parole.
«È fuori pericolo. Gli stanno dando un paio di punti sull'addome.»
Sospirò sollevata chiudendo gli occhi per ringraziare le Norne di quella notizia felice.
«Tu come stai?» La voce di Steve la riportò alla realtà.
«Bene.» Lady Sigyn rispose con freddezza.
La stessa freddezza sembrò coprire anche le parole del capitano.
«Clint mi ha detto cosa è accaduto oggi.»
La sua signora abbassò lo sguardo bagnandosi le labbra e annuì.
«Mi prendo le responsabilità per le mie azioni, Steve.»
«Non sono le responsabilità che mi interessano, Thor...» Al pronunciare quel nome entrambi cessarono di parlare.
Cos'era accaduto? Quali potevano essere queste responsabilità?
Non chiese e non ebbe risposta.
«Credo che questo sia un discorso da affrontare quando avremo modo di parlare con Loki.» Fu Natasha a riprender parola
«Perché non è guarito da solo?» E la domanda di Steve portò nell'aria un denso silenzio.
«Non lo so» asserì Lady Sigyn. «Forse è solo uno dei suoi soliti imbrogli.»
«No!» Mise più voce di quella che voleva in quella negazione e lo sguardo di Lady Sigyn fu finalmente nel suo. «La sua sofferenza era reale, mia signora... Non c'era menzogna nel dolore del principe.» Le mani erano ancora sporche del suo sangue.
«Anche a me pareva che stesse parecchio male.»
Lady Sigyn continuò a guardarla e poi abbassò lo sguardo e Linn fu più che certa di scorgere il luccicare di una lacrima nei suoi occhi.
«Come stanno gli agenti feriti?» chiese Steve.
«Sono ancora tutti vivi. Ne avranno per qualche mese ma per fortuna si rimetteranno.»
Lo udì sospirare sollevato a quella notizia.
«Bene... Dov'è Stark?»
«Alla Tower, ma non credo ci raggiungerà.»
Steve chiese ancora qualcosa a Natasha e lei gli rispose con zelo, Lady Sigyn non disse più nulla e continuò a guardare di fronte a sé una grande porta di freddo acciaio.
«Mia signora?» Ebbe di nuovo la sua attenzione ma non ne approfittò per dire nulla.
«Va' ad asciugarti, Linn.» Abbassò il capo ma non fece un solo passo.
«Ti accompagno io.» Natasha le sorrise ma fu il sorriso che non piegò la bocca di Lady Sigyn a spingerla a seguirla.



*



Il silenzio pesava come un macigno nonostante fosse centellinato dal secco girare di una lancetta sul muro.
Thor non gli aveva chiesto come stesse, non gli aveva chiesto cosa fosse successo, se Linn fosse stata in pericolo, se qualcun altro avesse rischiato la vita a causa delle azioni di suo fratello.
Thor era rimasto silente a fissare un punto che forse non era neanche davanti a sé, era più lontano e più profondo, talmente profondo che Steve si chiese fin dove potessero giungere i suoi pensieri.
Sapeva del suo martello? Gli era stato detto di Amora e di un uomo con la capacità di sollevare la sua arma?
Ma ogni sua domanda fu spazzata via quando fu Thor a porgergliene una e una soltanto.
«Perché l'hai salvato?»
Gli occhi non si mossero di un solo millimetro da quel punto impossibile da raggiungere.
Seduto su una seggiola Steve sospirò poggiando la nuca ancora umida contro il muro.
«Non lo so.»
Forse perché era giusto, forse perché me l'ha chiesto Linn, forse l'ho fatto per l'affetto che mi lega come un fratello a un amico, un amico che non riesco più a vedere quando ti guardo.
Tutto rimase fermo nella gola.
«Grazie.»
Non riuscì a non sorridere amaro.
«Per tutto il tragitto in ambulanza mi sono detto che era giusto che morisse.» Sapeva che erano parole dure e prive di tatto, ma erano anche le uniche vere.
«Lo era...» Alzò il viso e incontrò il suo sguardo. «Per questo ti ringrazio, Steve.»
Fece solo un cenno con la testa lasciando alle lancette dell'orologio di misurare quel nuovo silenzio.



*



Aveva comprato quel divano, quando? Due, tre mesi fa? Quattro?
Lo odiava. Era arrivato a questa conclusione.
Sistemò ancora il cuscino dandogli qualche colpo con il pugno.
Piedi a penzoloni sul bracciolo e il freddo di una coca cola nella mano.
Tony Stark che beveva una coca cola: il massimo dell'assurdo.
Ma erano le sette di sera e aveva già collezionato una bella dose di alcol nel suo sangue. L'addestramento di Linn poi era stato un extra non previsto.
Sentì un bozzo contro l'orecchio e con un ringhio afferrò il cuscino e lo lanciò lontano.
Udì il suono ovattato di piedi nudi sul pavimento.
«Odio questo divano» sospirò e aspettò che Pepper si affacciasse dallo schienale.
«Non puoi odiarlo, lo hai scelto tu.» E il cuscino gli ricadde sul viso.
«Non ne sono certo.» Si mise a sedere tirando un sorso dalla cannuccia della sua bibita. «Posso affermare con sicurezza che tu mi abbia circuito affinché dicessi di sì a questo orrore di design e fallimento di ergonomia.»
«Circuito?» Sorrise lei voltandosi a guardarlo coperta solo da una debole veste color lavanda.
«Vuoi negare forse di avere questa capacità?» Ed era così bella quando sorrideva che Tony avrebbe voluto fermare il tempo ogni volta.
«Se avessi la capacità di circuirti non la userei per cambiare l'arredo di casa.»
«Davvero?» E ne seguì il suono gracchiante dell'ennesimo risucchio di cannuccia.
«Davvero. Preferirei usarla per impedirti di fare qualche stupidaggine tipo cavalcare testate nucleari... o litigare con i tuoi amici sul tetto dello S.H.I.E.L.D. come un liceale con l'acne.»
Perfetto, aveva parlato con Natasha.
Si lasciò cadere ancora sul divano coprendosi stavolta volontariamente il viso con il cuscino.
«Mi hanno istigato» brontolò attraverso la stoffa.
«La versione di cui sono in possesso vede te iniziare a punzecchiare Thor.»
Sbuffò sentendo il suo fiato scaldare il tessuto. «La tua versione è quella della Romanoff ed è appurato che la Romanoff mi odi, ergo, non è attendibile.»
«Ergo, sei il solito bambino.» Il cuscino sparì giusto il tempo per ricadere sulla sua faccia.
I passi di Pepper si allontanavano in direzione delle camere.
Saltò giù dal divano facendo cadere la lattina a terra - e grazie a Babbo Natale era vuota, e quindi aveva evitato di macchiare il tappeto persiano che era più che certo avesse scelto lei.
«Se sapessi tutta la storia staresti dalla mia parte» sentenziò poggiandosi contro lo stipite della porta mentre Pepper raggiungeva la cabina armadio.
«So tutta la storia e continuo a ripeterti che ti sei comportato in modo infantile con Thor.»
«Perché è infantile l'aver ripreso il suo comportamento? È stato lui a mentire e a nasconderci la visita di Loki. Cosa dovevo fare? Fargli un applauso e chiedergli di autografarmi il calendario?»
Sull'ultima frase Pepper lo guardò aggrottando la fronte.
«Beh, Clint dice che in questa nuova forma Thor somiglia alla modella di febbraio del suo Playboy.»
E da come aveva roteato gli occhi capì che era un'informazione di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno.
«Ok, forse non le somiglia molto. Anzi, non saprei neanche dire se le assomiglia. Io non l'ho visto il calendario di Barton.»
«In compenso hai visto altro, o sbaglio?»
Ops, la ripresa del bagno.
Era logico che Natasha non si fosse lasciata sfuggire occasione di complicargli ulteriormente la vita.
«Era per fini scientifici: la nobile ricerca della verità. Non ho tratto alcun appagamento fisico né mentale dal vedere Thor che faceva il bagno.»
Un paio di vestiti furono gettati sul letto e subito ne seguono altri.
«In due anni che viviamo insieme non mi hai preparato il bagno neanche una volta.»
«Te l'ho detto, tesoro, fini scientifici.» Il successivo vestito gli cadde in testa e Tony fu felice che stavolta fosse seta e non mezzo chilo di tacco. «Vuoi che ti prepari un bagno stasera? Va bene, lo farò. Hai qualche olio preferito?»
«Ho già fatto la doccia.»
«Posso farti anche un massaggio rilassante, ne ho imparato uno qualche anno fa a Ibiza grazie a una simpatica cameriera brasiliana - ma questa non è una storia da tirare fuori al momento.»
Pepper sollevò annoiata lo sguardo su di lui mentre si liberava del vestito lavanda per indossare la gonna di un tailleur.
«Non voglio che mi prepari il bagno, voglio che tu vada allo S.H.I.E.L.D. e stia accanto ai tuoi compagni.»
Sbuffò passandosi una mano fra i capelli.
«C'è Cap con loro, non hanno bisogno di me. Tu hai bisogno di me e delle mie mani da massaggiatore.»
Le si avvicinò e le cinse la vita ancora nuda.
Pepper gli avvolse le braccia attorno al collo e lo baciò con dolcezza.
«Lo so che tutta questa storia è strana, Tony...»
«Non è strana, è allucinante. Neanche sotto peyote avrei potuto viverne una altrettanto psichedelica.»
Pepper sospirò accarezzandogli una guancia.
«Se lo è per te, come pensi possa essere per Thor?...» Non rispose, si sporse solo per toccare le sue labbra. «Ha sbagliato, hai ragione, ma non credi che abbia qualche attenuante?»
«È stato sconsiderato e imprudente, e se lo dico io vuol dire che è stato davvero sconsiderato e imprudente.» Il sorriso che si disegnò sul suo viso non fece sfiorire lo sguardo serio dai suoi occhi.
«Non avrebbe messo in pericolo né te né nessun altro. È Thor, lo conosci. Non avrebbe mai permesso a Loki di farvi del male.»
«Non è che avesse molte frecce al suo arco per potergli impedire qualcosa, a meno che non avesse deciso di aprire-»
Pepper gli premette un palmo della mano contro la bocca.
«Il mio ginocchio è all'altezza del tuo inguine. Ricordarlo.»
Annuì e lasciò che le sue labbra fossero di nuovo libere. Sorridevano. «A meno che non avesse deciso di aprire la porta e scappare urlando. Non essere maliziosa, signorina Potts.»
Pepper sciolse l'abbraccio con espressione diffidente.
«Lo so che hai cambiato versione dopo la minaccia della mia ginocchiata.»
«Sì, è vero, l'ho fatto» ammise sornione osservandola vestirsi con la solita incredibile eleganza.
«Signor Stark?»
«Jarvis» sospirò seguendo con gli occhi la linea affusolata delle sue gambe e le dita che stringevano il cinturino della scarpa attorno alla caviglia.
«Il dottor Banner ha chiesto di informarla sull'attuale situazione allo S.H.I.E.L.D.»
«Riferisci al dottor Banner che ho uno smartphone con tanto di segreteria. Può lasciarmi lì i suoi messaggi e io provvederò quanto prima a ignorarli e cancellarli dalla memoria.»
Pepper gli lanciò un'occhiataccia alla quale rispose con un fare innocente.
«E va bene, ormai sono un uomo senza più libero arbitrio. Una vittima delle decisioni altrui. Un individuo privato della facoltà di decidere cosa-»
«Continua così e sarai privato anche di qualcos'altro.» Pepper sollevò i capelli e li legò con rigore.
«Non puoi usare il sesso come merce di scambio, avevamo già affrontato questa conversazione.»
«Non mi riferivo al sesso, ma al tuo frigo bar.» Afferrò poi la borsa dalla poltrona e lo guardò con un sorriso studiato. «Non essere malizioso, signor Stark.»
E lui avrebbe solo voluto toglierle di nuovo i vestiti e gettarla su quel letto mandando bellamente al diavolo tutto il resto.
«Torno per cena.» Un leggero bacio sulle labbra ed era rimasto solo con la scia del suo profumo sulla pelle. «Vai da Thor e fate la pace come bravi compagni di banco.»
«È Bruce il mio compagno di banco. Thor siede sui gradini del campo da football con il quarterback Rogers.»
Pepper letteralmente lo ignorò e lui la guardò parlare a telefono con chissà chi.
Era abbastanza chiaro che di quell'azienda lui possedesse solo il nome. Le Stark Industries erano Virginia Potts, e lui non poteva essere più d'accordo.
«Allora, Jarvis, vuoi aggiornarmi? Sto aspettando.»
«Signore, mi ha detto di riferire al dottor Banner della sua segreteria
Ok, era il momento di fare un piccolo aggiornamento del sistema.
Afferrò lo smartphone e controllò subito i messaggi. Trovò in cima alla lista il nome di Bruce.
Tony, sono io. Senti, Loki è uscito dalla sala operatoria e non dovrebbe metterci troppo a svegliarsi.
«Come se la cosa dovesse importarmi» bisbigliò fra sé.
Il messaggio continuò: “I suoi esami sono stabili però ho riscontrato delle anomalie.
Ma perché diavolo gli stava elencano la cartella clinica di quello lì? Ma che gliene fregava a lui della conta dei suoi globuli bianchi e del livello della sua glicemia?
Avrebbero dovuto lasciarlo agonizzare a Central Park. Steve, come sempre, era stato il solito cuore gentile.
Il solito idiota.
Clint lo aveva informato subito di ciò che era successo ancor prima che potesse inserire le coordinate di Central Park nella Mark: il tipo strano che aveva fregato il martello nella roccia, la strafiga che aveva messo al tappeto il capitano, e quel rockettaro anni 80 che le aveva prese da entrambi.
Loki aveva scelto male i suoi alleati e l'aveva preso in quel posto.
Chiuso, fine della storia.
Adesso che era steso moribondo in un letto, bastava un po' di pressione – ossia tortura fisica, e di questo sarebbe stato felice Barton - e avrebbe anche rimesso Sigyn in Thor, il quale, in tutta la sua grandezza da culturista, sarebbe andato alla ricerca di questi due mattacchioni e si sarebbe ripreso il suo martello.
Era una soluzione così semplice che era quasi un insulto che qualcuno dovesse anche suggerirla.
Ma poi continuò ad ascoltare il messaggio di Bruce e capì che no, non poteva essere così semplice, che doveva esserci sempre la fregatura in tutto, e siccome c'era di mezzo Loki, le fregature erano appartate dietro ogni angolo, pronte a saltarti alle spalle al suono di Jump dei Van Halen.
Anche se le sue cellule mostrano sempre una straordinaria capacità di rigenerazione, nell'attuale stato, sulla base di alcuni esami e tenendo anche conto dei soccorsi che sono stati necessari per arginare l'emorragia beh... Tony, spero di sbagliarmi, ma credo che Loki sia-
«Umano» sospirò nel medesimo istante.
Raggiungici quanto prima e per favore non cancellare questo messaggio... cioè... Ok, vieni qui alla svelta.”
Tony guardò il display divenire sempre più scuro.
Forse sarebbe stato meglio farsi davvero di peyote.



*



Natasha osservò in silenzio Linn che si tamponava stancamente i capelli con un asciugamano. Lo sguardo fisso al pavimento e le guance arrossate dal pianto.
Clint le aveva detto di quante lacrime avesse versato per Loki eppure lei era convinta che la tristezza più grande provenisse dal comportamento di Sigyn.
«Abbiamo la stessa taglia. Dovrebbero starti bene.» Le sorrise indicandole i vestiti che aveva poggiato sulla sedia.
Linn fece un cenno con il capo e non tentò neanche di rispondere.
«Non è facile per lei.» Solo in quel momento sollevò lo sguardo. «Non è solo Loki a preoccupare Sigyn, ci sono anche altre questioni.»
La sua gola sussultò e le dita strinsero forte l'asciugamano.
«Riguardano le responsabilità di cui ha parlato prima?»
«Sì. Mentre eri con Steve sono accadute un paio di cose che hanno destabilizzato un po' tutti.»
Linn l'ascoltò e annuì. «Non sta a me chiedere risposte.»
«Sei sua amica, è naturale che tu voglia risposte.»
«Amica... No, io sono solo un'ancella, Natasha.» Un sorriso colmo di tristezza piegò la sua bocca.
«È un limite che hai deciso tu, non lei» sentenziò sicura obbligandola a spegnerlo. «Inizia con l'eliminare questo asservimento, inizia a parlare senza timore di essere ripresa o peggio, punita. Sigyn non vuole la tua lealtà o la tua obbedienza, vuole la tua amicizia.»
La gola sussultò ancora e gli occhi si inumidirono. «La mia amicizia?»
«Tu condividi con lei qualcosa che nessuno può condividere e non mi riferisco a un segreto, ma a un legame d'affetto.»
Linn tirò su con il naso asciugando le prime lacrime con le dita.
Natasha sapeva che Sigyn aveva bisogno di qualcuno che potesse capirla sul serio, qualcuno con cui sentirsi libera di dire e fare ciò che voleva senza la consapevolezza di essere giudicata.
Era Linn quella persona.
Per quanto lei stessa avesse provato, per quanto Bruce o Steve o Jane, avessero provato, nessuno avrebbe potuto comprendere la causa e il colpevole di tutti quei problemi: il legame profondo e instabile con Loki.
Ognuno di loro lo odiava e se non era odio era rabbia, rabbia bruciante e corrosiva, e perciò nessuno avrebbe potuto provare compassione per lui, nessuno di loro avrebbe potuto comprendere le lacrime che Sigyn aveva necessità di versare, nessuno poteva comprendere una storia come la loro così complessa e così sbagliata.
Ma tutti avrebbero giudicato.
No, Sigyn non aveva bisogno di questo, aveva bisogno di non crollare del tutto, di restare in equilibrio e combattere per tornare a riprendersi ciò che gli apparteneva, per tornare a essere Thor.
Sigyn aveva bisogno di Linn perché solo Linn poteva comprendere il suo amore per Loki.
«Smettila di essere la sua ancella, Linn, e inizia a essere sua amica. È di questo che ha bisogno adesso.»
Linn aveva annuito e aveva pianto ancora ma stavolta Natasha aveva visto un sorriso quasi felice su quelle labbra.
«Grazie... grazie, Natasha.»
«Avanti, adesso. Smettila di piangere e vestiti.»
«Sì, va bene.» Aveva abbandonato finalmente l'asciugamano e iniziato a togliersi le vesti umide. Sulle sue labbra quel sorriso non era più andato via.



*



Il cellulare era squillato due volte prima che Steve riuscisse a tirarlo fuori dai jeans mezzi bagnati.
Il nome sullo schermo non prometteva nulla di buono.
Guardò verso Thor che rispose al suo sguardo con un muto quesito.
«È Fury» rispose prima di premere il pulsando verde. «Direttore?»
«Capitano Rogers, come vanno le cose?» Quel tono sarcastico non era rassicurante.
«Ci sono stati dei movimenti, signore.» Gli occhi cercarono di nuovo quelli di Thor.
«Movimenti? È così che chiami l'esplosione della mia cupola d'acciaio a Central Park, il ferimento grave di sette agenti nonché il ricovero a spese dello stato di Loki che, per chissà quale motivo, pare avere un debole per la nostra struttura?... Movimenti, capitano?»
Chiuse gli occhi sperando che il direttore non potesse udire il sospiro che aveva abbandonato la sua bocca.
«Avevo intenzione di aggiornarla, signore.»
«Risparmiati la fatica, Rogers. Per fortuna allo S.H.I.E.L.D. c'è ancora qualcuno che fa il suo lavoro, come ad esempio contattarmi quando un manipolo di terroristi fa saltare in aria una delle nostri basi!»
«Non erano terroristi, er-»
«Qualsiasi cosa fossero adesso ha poca importanza... Dov'è il martello, Rogers?»
Deglutì. «È stato preso, signore.»
Dall'altra parte solo silenzio.
«Loki dovrebbe svegliarsi a momenti, ho intenzione di interrogarlo e chiedergli risposte.» E stavolta senza alcun limite di morale.
«Tu non farai proprio un bel niente, capitano. Sto per atterrare alla base. Fatevi trovare tutti insieme perché ho voglia di parlare una volta soltanto, e che nessuno entri in quella stanza. Stavolta le cose si fanno a modo mio.»
Non gli fu concessa replica che il direttore aveva interrotto ogni collegamento.
«Fury sta venendo qui.»
Thor non disse nulla. Fece solo un cenno con la testa e rimase con le braccia incrociate contro il muro.
Steve sentì leggermente i brividi per via degli abiti ancora umidi ma decise di non badarci.
«Contatto gli altri. Stark dovrebbe già essere qui.» Fu quasi un discorso a se stesso, perché qualcosa gli diceva che Thor non lo stava ascoltando.
Chiamò Clint e Natasha e per scrupolo anche Tony, il quale ne approfittò per chiedergli come fosse andato il suo appuntamento. Steve pensò bene di riagganciare senza troppi complimenti.
Appuntamento...
Bell'appuntamento!
Fra i tanti crimini di Loki, adesso poteva anche aggiungere l'avergli rovinato forse il pomeriggio migliore degli ultimi tempi.
Si sentì uno sciocco a fare simili pensieri, non quando la sicurezza della Terra era di nuovo minacciata da chissà chi, non quando Thor era chiuso in un corpo che, da quel che aveva detto Clint, era solo frutto di una magia.
Steve non avrebbe dovuto essere un egoista, eppure non riuscì a impedire al suo cuore di rattristarsi al pensiero della bella giornata con Linn conclusa in modo così sbagliato, fra lacrime e sangue.
«Steve?» Era ancora perso nei suoi pensieri quando Thor lo chiamò. Il suo viso sembrava non tradire emozioni eppure Steve lo conosceva bene per sapere che in realtà era completamente travolto da ognuna di esse, ma troppo orgoglioso per mostrarlo. «Chi ha preso Mjolnir?»
Quella domanda era infine arrivata.
«Non lo so di preciso, Amora non ha fatto il suo nome.»
«Descrivimelo.» Nella sua mente si disegnò il viso dell'uomo e il suo sorriso inquietante.
«Era un uomo, apparentemente umano, nel senso che non aveva qualche particolarità evidente... Carnagione chiara, calvo, occhi neri...» Ad ogni dettaglio vedeva il respiro di Thor accelerare e sebbene il viso sembrasse imperturbabile il suo petto non smetteva di alzarsi e abbassarsi con ritmo sempre crescente. «Aveva degli orecchini ai lobi delle orecchie, piccole gemme, non saprei dirlo, e molti anelli. L 'ho notato quando...» Quando aveva sollevato il martello per colpire Loki.
Thor non sembrava necessitare di quel dettaglio, né di alcun altro.
Le palpebre si erano leggermente serrate e la gola aveva sussultato più volte.
Steve capì che Thor doveva aver compreso chi fosse quell'uomo.
«Thor?» Si avvicinò di qualche passo poggiandogli la mano su una spalla. Thor non sembrò neanche accorgersene.
«Avevo pregato di essermi sbagliata.»
Non gli sfuggì quel femminile e ritrasse la mano quasi l'avesse sentita bruciare.
«Chi è quell'uomo? Lo conosci?»
Decise di mettere da parte altri pensieri e concentrarsi ancora una volta sull'espressione sul viso di Thor stavolta palesemente scosso.
«Il suo nome è Styrkárr.» Gli occhi sembrarono perdersi in qualche ricordo, forse lontano, ma Steve cercò di riportarlo al presente.
«È di Asgard anche lui?»
Thor scosse la testa. «No, è un Vanr... ed è un traditore.»
«Traditore?»
«Buona sera a tutti.» La risposta si perse con l'arrivo rumoroso di Tony e con il mutismo dietro cui sembrò farsi scudo Thor. «Cap, ti vedo un po' inumidito. Lo sai che alla tua veneranda età devi stare attento ai reumatismi.»
Quel sorriso era così inopportuno che non riuscì neanche a rispondergli come meritava.
Si lasciò cadere su una seduta e guardò Tony osservare con attenzione la porta d'acciaio.
«Il nostro amico è sotto i ferri?»
«No, è stato trasferito in una stanza» spiegò brevemente e Tony annuì fingendo un interesse che palesemente non aveva.
«Bene. Andiamo al dunque: Bruce vi ha detto della novità, vero?»
Fu preso alla sprovvista e d'istinto guardò verso Thor che continuava a propinare a Tony uno sguardo per nulla amichevole.
«Di che stai parlando adesso? Quale novità?»
Tony roteò la mano scenicamente. «La novità sul nostro amato Loki.»
Thor non risposte ma la sua mascella si serrò un po' troppo. Steve pensò fosse meglio mettersi in piedi e soprattutto mettersi fra di loro.
«Stark, abbiamo passato una giornata stressante, risparmiaci le tue commedie e vai al dunque.»
«Stressante? Non direi, Steve. Hai anche rimorchiato oggi! E non mi hai neanche detto grazie!»
Ok, forse sarebbe stato meglio mettere qualcuno anche fra lui e Tony.
«Che sta succedendo? Perché ogni volta che c'è una lite ci sei tu di mezzo?»
Preso com'era dal concentrarsi per non spedire Tony a far compagnia a Loki in un letto accanto al suo, Steve si era accorto solo allora dell'arrivo di Natasha e Clint, al loro fianco anche Linn. Indossava dei vestiti asciutti e i capelli legati in una coda non totalmente umida.
Nell'istante in cui incrociò i suoi occhi sentì la rabbia sfumare.
«Come stai?» Le chiese ritenendo assurdamente più importante conoscere quella risposta e non le ultime novità millantate da Stark.
Linn sorrise. «Sto bene.»
Fece solo un cenno con il capo senza spezzare quel contatto visivo.
«Manca solo Banner» evidenziò Clint.
«Sarà qui a momenti» spiegò Tony. «Aveva solo bisogno di controllare ancora una volta i risultati dei suoi test prima di lanciare la bomba.»
«Di che stai parlando stavolta?» Natasha diede voce ai suoi pensieri e Tony si posizionò di fronte a tutti con l'aria di chi era pronto a lanciare una bomba per davvero.
E adesso cos'altro poteva essere successo?
«Bruce ne era abbastanza sicuro, quindi mi prendo l'onere di far detonare l'ordigno e in fondo chi meglio di me può farlo?»
«Piantala Stark, non siamo in vena di spettacoli, oggi.»
«Come vuoi, Barton... dunque, iniziamo dalla nostra domanda: perché siamo qui? Semplice, siamo qui perché per qualche ragione il nostro temibile avversario, quello che sembrava avere più vite di un gatto, è stato sottoposto a un delicato intervento per arginare una copiosa emorragia interna. E da qui la domanda numero due: perché è stato necessario un intervento quando più volte Loki si è alzato ed è scappato - e sottolineo scappato - via a gambe levate anche dopo aver ricevuto uno dei trattamenti intensivi del caro amico Hulk senza mostrare più di qualche graffio? Ecco, a questo quesito Bruce ha trovato una risposta.»
La pausa che ne seguì snervò un po' tutti ma Steve fu come sempre portato a osservare il viso di Thor e a notare come stesse faticosamente impedendo alle sue mani di serrarsi attorno al collo di Tony, istinto che doveva ammettere condivideva.
«La risposta, Tony, prima che ti pianti una freccia dritta fra gli occhi.»
Tony sorrise e allargò le braccia. «Mi ero preso una pausa strategica nell'attesa che Bruce arrivasse con un'entrata a effetto ma magari rimandiamo alla prossima.» Il sorriso sparì e stavolta la serietà del suo sguardo la diceva lunga. «Loki è umano – o terrestre, se preferite.»
Il silenzio che ne seguì la diceva ancora più lunga.
«Che vuol dire “umano”?» chiese non riuscendo a sopportare altri misteri. Ce n'erano già troppi e Steve era ormai stanco.
«Vuol dire che l'organismo di Loki è molto simile al nostro al momento.» Fu la voce di Bruce a rispondere appena li raggiunse con una cartella fra le mani e un leggero fiatone.
«Bruce, sei in ritardo sull'entrata scenica.»
«Zitto, Stark.»
«Loki è umano? Ne sei sicuro, Bruce?» chiese ancora.
Bruce annuì e aprì la cartellina leggendo qualcosa.
«In base agli esami che abbiamo fatto i suoi valori non si discostano di molto da quelli di un normale terrestre, sebbene la sua capacità di guarigione sia comunque al di sopra della media. Una persona comune sarebbe di certo morta a seguito delle sue ferite, ma lui ha reagito bene alle cure. I medici dicono che in un tempo di quindici, venti giorni dovrebbe rimettersi del tutto. La vera sorpresa è che non abbiamo rilevato campi magnetici o stranezze nel suo corpo, nel senso che non ha riportato comportamenti che ci porterebbero a credere che-»
«Vuole dire che non ha congelato l'anestesista quando gli ha infilato un ago nella vena.»
Bruce si schiarì la voce e tornò con gli occhi sulla cartella. «Sì, più o meno era questo. Grazie per il riassunto, Tony.»
Steve saltò con lo sguardo dal viso di Tony a quello di Bruce.
Non era mai stato molto abile a comprendere i loro silenzi o le loro spiegazioni scientifiche, ma ciò che stava accadendo era chiaro anche per uno come lui.
«State dicendo che Loki non ha più alcun tipo di potere?... Che è innocuo?»
Tony fece una smorfia. «”Innocuo” è un parolone, diciamo che stavolta ci bastano delle semplici manette d'acciaio.»
«Sarà felice il direttore» sentenziò Clint e poi nessuno più parlò.
Steve si voltò alla sua destra verso Thor, ma non riuscì a incrociare il suo sguardo, in quel momento fisso al pavimento.



*



Sentiva il respiro pesante, come se qualcosa gli impedisse di far giungere l'aria fin dietro i polmoni.
Gli occhi erano pesanti, le mani lo erano, la lingua pesava come non l'avesse utilizzata per secoli.
Sollevò le palpebre e la luce fu una stilettata nelle pupille, le serrò all'istante e provò a muovere le labbra. Erano asciutte, tiravano e non pronunciavano nulla.
In bocca il sapore ferroso di sangue e di acido, più un gusto amaro che non riconosceva.
La testa girava, le gambe non le sentiva.
Non sentiva neanche il tronco e riusciva a malapena a muovere le dita delle mani.
Aveva freddo, troppo freddo. E aveva sete.
Aveva fame.
Aveva sonno.
Provò a risollevare di nuovo le palpebre e stavolta riuscì a resistere a pochi secondi di luce. Richiuse gli occhi e riprovò ad aprirli.
Dopo una decina di tentativi riuscì a vedere con meno fatica.
Bianco e verde e ancora bianco.
Grigio.
Sentì lentamente la lingua prendere il giusto peso e la mosse di poco solo per bagnare le labbra. Provò a dire qualcosa ma non uscì una sola vocale.
Poi un suono, una nenia ritmica con lo stesso tono. Intervalli regolari, un tamburo acuto... no, più una nota di corda di liuto... No, era ancora più diverso, era un suono artificiale.
Poi un nuovo suono, una voce. Non la conosceva e le parole giungevano troppo lontane per capirle.
Gli occhi si abituarono sempre più alla luminosità dell'ambiente fino a scorgere contorni più nitidi: il profilo di una lumiera al soffitto, una finestra priva di vetro e di paesaggio, sbarre d'acciaio ai bordi di un letto.
I contorni del viso di un uomo fermo nell'angolo della stanza. Nell'angolo opposto un altro uomo.
Lenti nere a coprirne lo sguardo e mani impegnate nello stringere un'arma, un'arma terrestre.
«È sveglio.»
«Avvisa il direttore.»
Iniziò a sentire la punta delle dita dei piedi, la sensazione della stoffa delle lenzuola che lo copriva, il freddo innaturale per lui di un corpo nudo.
Ruotò la testa quel poco che riuscì e scoprì la natura di quel suono ritmico, la sua provenienza.
Cercò ancora una parola ma la lingua era stanca, stanche erano anche le palpebre.
Le chiuse e udì solo suoni, solo voci, sentì solo freddo.
Il rumore di una porta che si apriva, il fruscio di fogli di carta.
«Il paziente deve riposare.»
«Non è un paziente come gli altri, dottore.»
«Finché è sotto le mie cure lo è. Fate silenzio o dovrò chiedere al direttore di farvi uscire.»
«Libero di provare, ma è una richiesta che non sarà mai accolta.»
Poi altro fruscio, altri fogli che si piegarono gli uni sugli altri e il freddo che si attenuava. L'abbraccio di una stoffa che copriva il suo petto pesante, le sue spalle nude.
La porta si chiuse.
«Dovremmo soffocarlo nel sonno...»
«Non tentarmi, Fred.»
«Basterebbe iniettare del cianuro in quella flebo e giustizia sarebbe fatta.»
«Non credo che il dottore sarebbe d'accordo.»
«Fanculo il dottore!»
Una risata, poi solo il suono della nenia che continuò ipnotico.


Quando si svegliò la seconda volta, le palpebre si sollevarono senza troppa fatica.
Sentiva i piedi, le gambe, le spalle, le braccia, il petto, l'addome ancora costretto nella morsa di una fasciatura.
Sentiva le mani e i polsi fermi. Non poteva muoverli, non ci provò neanche, non aveva ancora la forza, ma riconobbe il freddo delle manette di metallo.
Sentiva la sua lingua, soprattutto, sentiva le parole sostare su di essa.
Portò lo sguardo sulle due figure rimaste ferme lì dove le aveva vedute la prima volta.
«Avevi ragione...» fu solo un sospiro. I due uomini lo guardarono silenti. «Avreste dovuto soffocarmi nel sonno.»
E le labbra sorrisero.











***












NdA.
Quiete prima della tempesta?
Mh...
Sì, possiamo dire così.
Anche ad Asgard le cose si muovono e qui sulla Terra non stanno andando per niente bene...
Il nostro principe si è svegliato, ed è come sempre simpatico come un enterocolite!
Appuntamento al prossimo capitolo ^^
Kiss kiss Chiara
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: kiara_star