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Autore: Amitiel    20/02/2014    0 recensioni
«La solita frase….» Lei lo guardò e lo comprese .Comprese quel giovane uomo come solo tu sapevi fare e allora caddi in ginocchio. Caddi nel vuoto perché lui si era aperto a lei. Lui aveva dimenticato ogni singola promessa.
Aveva dimenticato quei sussurri alla notte, le speranze infrante, ogni singolo sogno e bacio.
Si chiudono gli occhi con forza mentre il cuore si stringe in una morsa di dolore profonda. Che dilania la ragione e annebbia la tua volontà. «Avevi d’avvero bisogno di stare da solo….» Lei sorrise e tu lo sapevi. Sapevi che lui le stava rivolgendo quel sorriso. Il tuo sorriso. Ma cosa potevi fare o pretendere ?Non era più legato a te. Tu eri solo una foto sbiadita nella memoria del cuore.
E celata dietro quel tronco con le ginocchia nel fango continuavi a guardarli. Il tuo cuore stava urlando il suo nome, ma lui non poteva più udirlo. Ora mai tu eri un cuore tra tanti altri. Un battito che aveva assunto una melodia uniforme.
I tuoi occhi seguivano il suo profilo, quelle labbra che cercavano quelle della dona per un ultima volta prima che la campanella ti riportasse indietro. Le tue labbra si dischiusero ..[...]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Paige, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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People Save The People




 
Incubi. Il silenzio  era palpabile, la stanza sembrava caduta in uno stato di oscurità tale da dare vita a tante ombre. Cosi tante che non sarebbe stato nemmeno possibile  contarle. Il sonno placido della ragazza era corrotto da quella naturale e malsana sensazione di malessere fisico, pungente come se tante lame colpissero i suoi organi. Reale come se qualcuno la stesse di nuovo colpendo. Fugge. Ma nemmeno nei suoi sogni lei sarà mai lontanamente più veloce di lui ….
 
 
 
˜ Lui era l’unico motivo che poteva condurmi fuori casa dopo le lezioni. Odiavo questa scuola, piena di cosi tanti adolescenti confusi e poco inclini ad avere un po’ di Umanità verso i propri simili e compagni. Con il passare del tempo sarebbero diventati dei mostri. Non mi riferisco ai classici mostri di Steven King o Dario Argento. No, non quelli mitologici o nati dalle leggende Folkloristiche di chissà quale paese. Io mi riferisco a persone vere. Ai mostri che siedono al governo, che vanno in giro vestiti bene, snobbando la vita.  Snobbando le persone comuni che finiscono con il farsi del male a causa loro. Finiscono con il decidere che vivere non gli riesce più cosi bene non potendo sfamare i propri figli. E prima che giunga l’ennesima busta paga scadente si tolgono la vita. Perdono la speranza. Io non l’avevo mai persa. Non potevo permettermi di perderla, ne andava della vita di mio padre. Lui era un soldato, il maggiore Stevenson  Berretti Rossi. Anche adesso mentre io entravo nella scuola, buia e silenziosa, il mio pensiero correva a lui. Immaginavo l’espressione di mio padre se solo fosse venuto a conoscenza delle mie fughe amorose. Povero Derek, avrebbe di sicuro subito  il più imbarazzante terzo grado che un padre può fare al fidanzato della figlia. “FIdanzato?” Mi faceva strano pronunciare quella parola. Brividi leggere mi diedero la pelle d’oca. Era d’avvero il Mio ragazzo?Come potevo esserne certa?Forse perché mi ripeteva in continuazione che non avrebbe mai smesso di amarmi. Un nodo alla bocca dello stomaco rese amaro il gusto sul palato. Guardi in basso cercando di vedere dove stavo mettendo i piedi. Più lui me lo ripeteva più io mi convincevo che era cosi e poi bastava un ora senza di lui per tornare  a credere che non fosse tale. Non avevo mai amato nessuno prima,come lui. Nessuno. Prima c’era solo la Musica e ora lui competeva con essa per il dominio assoluto sul mio cuore. Il mio riflesso mi fissò di rimando da uno degli specchi del bagno, sistemai i capelli e ripresi la sua ricerca. Derek non era li. Perchè? «Derek?Derek dove sei?Sono Paige!»
Lo cercai lasciando vagare i miei occhi tra le ombre. Il nodo alla bocca del mio stomaco aumentò. Lui non mi rispondeva. Forse non era ancora li?Che stupida, che fosse arrivato il giorno in cui avrei scoperto che io per lui non avevo nessun valore? Che altro  non ero che una ragazza tra tante altre che poteva avere schioccando  le dita? Sospirai fino a che un ombra mi si parò d’avanti. Era alta, dotata di una muscolatura ben definita  e piazzata, si tendeva in una posizione che mi fece ricordare un predatore prima dell’attacco,ricurvo in avanti sollevo il suo viso su di me e io smisi di respirare.
I suoi occhi erano d’un rosso accesso, dardeggiavano nell’oscurità.  Come il candore di denti divenute zanne che non erano in grado di trattenere quel ringhio gruttale che gli usciva dalla gola.  Che si spargeva nel corridoio con un eco potente. Il suo viso non era umano. E in quel momento io compresi che i Mostri esistevano d’avvero. E iniziai a correre, il cuore martellava forte nella gola. Il respiro ansante aveva ormai perso il suo ritmo. Io correvo ma lui era sempre dietro di me. «Derek!!! » ma lui non c’era, in mezzo a tutta quella oscurità, lui non c’era. E per un attimo, il frangente prima che una mano artigliasse afferrasse la mia esile gola , io fui felice che Derek non fosse stato li. Se dovevo morire io mi andava anche bene. Ma il solo pensiero di lui morente scatenava un forte dolore al cuore .Io non volevo esistere in un mondo dove lui non esisteva. E sorrisi, un attimo prima che il suo morso dilaniasse il mio fianco io sorrisi.Chiusi gli occhi urlando. Un ultimo urlo …Dio fa che finisca in fretta. Dio proteggilo…Lo amo…lo amerò sempre…Lui è diverso, lui è ….Silenzio. ˜
 

 
Urlò squarciando il silenzio della notte. Urlò mentre il suo corpo si contorceva nel dolore languido di un incubo divenuto realtà. Piccolo angelo il dolore ti trafisse il fianco, lo spettro delle zanne di Erris che erano la tua personale condanna. Tu eri immune. Come può un angelo contaminarsi quando la sua natura, la sua purezza la protegge?! Urli alla notte il tuo dolore, le esili dita piene di lividi stringono le coperte, le artigliano e tutti i muscoli del tuo corpo si contraggono sotto il peso di quell’incubo. Le lacrime escono e hai il fiato corto, che si spezza,mozzato … Ansimi e non riesci a respirare dietro quelle urla che dilatano i polmoni inglobando più aria di quanta gli sia mai stata conferita.
Urli e ti dimeni nella tua personale crociata fino a che mani caldi non afferrano le tue braccia e ti attirano in un abbraccio silenzioso, forte e stretto.
« Pidge!Pidge calmati è solo un sogno. Solamente l’ennesimo Incubo. Pidge sono Max, apri gli occhi. » Il calore di quel corpo però non ti abbandona .Il ricordo di lui. E riapri gli occhi nell’attimo esatto in cui nella tua testa echeggia l’ultima confessione di una ragazza morente. 
 Lo sapevo”
E ti piacevo comunque?”
Ti amavo.”
E riapri i tuoi occhi umidi e arrossati da quel pianto isterico che scuoteva il petto .Fissando il nulla si spengono, si richiudono sconfitti dalla morte stessa.
« Pidge?!Era un incubo sei al sicuro Dai non fare cos, ormai ci sei abituata no?!. »Il fratello la stringeva con forza, la cullava contro di se inspirando il profumo dolce dei suoi capelli. La teneva stretta,al sicuro da tutto e tutti. Ma lei non si sentiva tale. Si sentiva vuota, dopo l’ennesima battaglia si accasciava di nuovo nella cruda realtà. «Pidge?Cosa c’è?» Max la chiamava curioso da tanto abbattimento. Non comprendeva perché lei sembrasse triste di quel risveglio.
«Era solo un sogno Max … Solo un dannatissimo sogno … Lo stesso incubo di sempre. E come sempre avrei desiderato che fosse vero. Che fosse finita li. » Il fratello la strinse maggiormente chiudendo gli occhi .Con forza la tenne contro di se mentre la rabbia verso quel ragazzo gli ribolliva sotto la pelle. «E’ colpa sua non è vero Pidge?E’ colpa di quel ragazzo che vorresti essere morta?Perchè sei costretta qui con noi?Ti fa cosi tanto schifo questa vita?la nostra compagnia da pensarti sotto terra?  E la lasciò andare alzandosi,stringendo i pugni e respirando a fondo. Una vena sul collo pulsava con più forza delle altre. Lui non poteva capirla, o forse lei non gli aveva mai detto la verità. « Non fare l’idiota Max.» Lo ammonì uscendo lentamente dal letto, come fosse già priva di forze dal risveglio. Quel sogno le prosciugava sempre tante energie. « Io vi amo .Siete i miei fratelli e le mie sorelle. Non potrei mai desiderare di non avervi incontrato .Di non avervi in torno sempre. Voi siete stata l’unica cosa bella di una vita d’abbandoni. » Scuote la testa mentre  gli occhi brillano. Abbassa la testa sospirando e si alza in piedi andando ad abbracciare suo fratello.  «  A volte dico sciocchezze … Io non volevo far si che tu ci rimanessi male. Ma andiamo Max?! Questa la chiami vita? Jo si droga in continuazione, quello che dovrebbe farci da padre se ne sbatte e sta sempre fuori.  » Si stringe nelle spalle e sospira esausta. Esausta per via di una vita di lotte, rinunce e casini. Sempre a badare ai fratelli minori, acquisiti nella casa famiglia, ma che per lei sono come consanguinei. Si avvicina e con dolcezza si chiude nella t-shirt enorme nascondendo il viso nella folta chioma mossa. Osserva suo fratello che si volta e non può non sorridere. Perché l’amore ha molte forme. E l’amore che lega quei bambini sventurati ormai cresciuti è forte. L’abbraccia di slancio sollevandola e facendola ridere. E il suono della sua risata attira gli altri ragazzini della casa che corrono in camera gettandosi con loro sul lettone. Max, Asia, Alex, Clary e lei. Pidge! La ragazza sopravvissuta. La sorella, l’amica. Era tutto per loro e loro erano tutto per lei. E tra risate, spinte e pizzicotti si rannicchiarono sotto l’enorme piumone. Era la parte migliore degli incubi e lo sarebbe sempre stata. Perchè dopo loro erano tutti li,insieme sotto enormi coperte a ripararsi dal freddo e dal dolore del mondo.
 
 
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[Venerdì 9-00 A.M. ]
La solita colazione di corsa, in mezzo a un branco di affamati ragazzini che correvano a destra e sinistra non ritrovando calcini,libri,matite e per poco la testa. La solita mattinata  caotica in casa Wilde. Per questo era il nome della famiglia, anche se lei avrebbe mantenuto volentieri il suo “Stevenson” Ma non le era concesso dal giudice. Non doveva comparire tra i vivi?Non se lo era mai chiesto. Ci volle più di un  quarto d’ora per farli uscire e salire in auto. I bambini sapevano essere molto testardi se volevano. E quelli di casa Wilde, non erano di meno. Forse erano piccoli demoni vestiti da angeli.
Ma che fossero Angeli o Demoni a lei non importava li avrebbe amati lo stesso. Gli avrebbe dato amore e protezione. Le stesse cose che a lei erano mancate per undici anni. Il caos nell’auto era al limite del sopportabile,ma la sua calma le concesse di resistere .Uno ad uno furono accompagnati a scuola, per ultimo ,come sempre, mancava Alex. Lui continuava a fissarla, cuffie a palla e la faccia da schiaffi tipica di chi vuol passare per il cattivo ragazzo di turno. Lei lo fissava divertita perché invece conosceva il suo lato tenero.
Lo aveva visto fingere per tutta la sua vita, o da quando le loro strade si erano incrociate. « Che cosa ti turba campione?» Gli chiese parcheggiando d’avanti alla scuola. I suoi occhi vagavano, irrequiete fissavano il cortile come se si aspettasse di vederlo uscire fuori all’ultimo. Li in mezzo a tanti volti la sua ansia crebbe a dismisura. «Niente.» Sorrise alle parole di Alex, e tornò a concentrarsi su di lui.Su suo fratello minore. Inspirò a fondo inumidendo le labbra. «Il niente non è mai un niente reale. E soltanto il tutto camuffato sotto mentite spoglie.» Gli disse sorridendo .Allungando una mano scompigliò i suoi capelli. «E che mi sento strano da un po’ di giorni.»
Inarcò un sopracciglio fissandolo .Era preoccupata dopo l’incidente in montagna aveva pregato che fosse tutto normale. Che lui si sarebbe ripreso come lei. Alex aveva sostenuto che era stato un leone di montagna ad aggredirlo nel vecchio sentiero dietro il colle tortuoso. E tutta la famiglia, polizia e medici compresi, gli avevano creduto. Ma dopo quello che le era accaduto lei dubitava sempre. Di ogni cosa, che fosse piccola e insignificante oppure no. Arricciò le labbra sospirando più forte. «In che senso strano?Hai la febbre?L’influenza?vuoi stare a casa oggi?» Chiese con ansia e premura tastandogli la fronte.Alex scansò la sua mano divertito. «No,oggi ci sono gli allenamenti di Lacrosse. Vieni a vedermi?» Scosse la testa, lui riusciva sempre a far passare il tutto per un niente. A volte avrebbe voluto avere la sua stessa abilità. «Certo che si. Anche se il tuo Coach non gradirà la mia presenza. Quel tizio era irritante anche da ragazzo.» Risi di gusto poggiando la testa sul sedile, lasciandola dondolare verso di lui con un sorriso dolce. «Fa attenzione … Buona giornata Alex.» Solo un bacio. Il tempo di osservarlo scendere per poi ripartire.
 
 
 
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[Venerdì 16-00 P.M. ]
 
E la prima parte della mattinata passò rapida. Alex vagò da una lezione a un'altra fino al pomeriggio dove deviò i suoi passi verso il campo di Lacrosse. Gli altri si erano già cambiati. Pronti per iniziare un duro allenamento. Cosa che lui non temeva di certo. Negli ultimi mesi, dopo l’incidente in montagna stava cambiando .Era sempre più forte, più agile con i sensi  che ora sembravano perennemente sull’attenti. Vigile e anche paranoico. Sospirando si immerse nel gruppo di ragazzi che ridevano e scherzavano del più e del meno. Riusciva a percepire i loro battiti  cardiaci. Tanti tamburi in defibrillazione che lo confondevano andando a provocargli una forte emicrania. Si sentiva irrequieto e irascibile. Sul campo,oggi,mancava il capitano McCall. Non si erano mai presi a botte, ne a parole, tra di loro c’era una cooperazione neutra tipica del gioco di squadra. Un respiro profondo,ma non gli serve. Qualcuno lo tampona e lui si sbilancia girandosi per fissare il volto del colpevole. Stiles Stilinski lo stava fissando. Occhi grandi e di un marrone scuro, molto più di quelli che aveva sua sorella Pidge. Occhi che lo guardavano con ironia e curiosità.
« Scusami. Non ti avevo visto. Ero un po’ di corsa … Sei nuovo?» Lo fissava inarcando le sopraciglia confuso,, accigliato e contraddetto dal fatto stesso che gli era sfuggita la sua presenza. Alex si limitò a fissarlo, assaporando il suo profumo. Lo investì in pieno facendogli arricciare il naso e poi sospirare. « … Fa niente. Sono cose che capitano. No! Frequento la scuola da sempre. Ma mi hanno preso da poco in squadra se è questo che intendi Stiles.» Stiles lo fissò corrugando la fronte. « Sai chi sono ma io non so chi sei ..tu? » Alex finì con il sospirare seccato e pesantemente. Alzando anche gli occhi al cielo. «Alex Wilde. Ultimo Anno. » Ora il figlio dello sceriffo sembrava,almeno in  parte, soddisfatto dalle sue risposte. « Ah, benvenuto tra di noi allora.» Gli diede una pacca giocosa sulle spalle finendo come sempre per farsi male da solo. Alex avvertì improvvisamente un odore famigliare, quella nuova capacità lo straniva e allo stesso tempo incuriosiva. Alzò lentamente il viso puntando i suoi occhi  grigio fumo su sua sorella maggiore che lo fissava mentre tentava di prendere posto tra gli spalti. Pidge aveva la mano sollevata in un gesto muto di saluto. Ma il suo silenzio,cosa che il fratello sapeva bene, avrebbe avuto vita breve.
« Forza Alex. Dacci dentro!» Pidge alzò un pugno verso il cielo ridendo divertita. Si divertiva ogni tanto a far si che suo fratello finisse in imbarazzo. Non era cattiva Paige, quello era il loro modo di dimostrarsi affetto. Alex sorrise scuotendo la testa. « Dio, ma la smetterà mai di farmi fare figure del cavolo?»
Stiles sorrise vedendo Alex imprecare divertito sotto voce. Quella voce armonica e calda attirò la sua attenzione. Gli occhi color chioccolato incontrarono occhi gemelli intrisi di sfumature color miele che lo ricambiavano. Il cuore rallentò di un battito e fu lo stesso per Paige che guardandolo , non sapeva come, sentì di conoscerlo.  Cercò di focalizzare la sua immagine cercandone il viso nella propria memoria. Frugò a lungo dentro gli spazzi  nascosti di una mente dilaniata dal troppo peso e da diverse scelte. Inspirò a fondo  l’aria gelida della prima primavera avanzando di qualche passo senza rendersene minimamente conto. Ma qualcosa era scattato in Stiles, un sentore, una delle sue solite sensazioni .SI mosse verso di lei con passo spedito puntando l’indice. «Pigeon Wilde. » Lei sobbalzo di scatto sentendo il suo secondo nome , ma anche nuovo, uscire dalle labbra carnose del ragazzo .Lui la conosceva? « Si, sono io … ma tu sei?»
Ovvio che non ne aveva più la ben che minima idea. SI notava dallo sguardo smarrito, confuso e preoccupato che gli rivolgeva. Lui sorride e lei rimase di sasso. Lui rise e il suo cuore si fermo di un passo. Lui la guardò e la mente si apri come un fiore di luna in una notte argentata. « Stiles …. Sono Stiles. Il bambino a cui facevi da baby-sitter … Si insomma non sono più un bambino. Ma sono io ….Non ti ricordi? Il piccolo detective?»
Più lui le parlava più lei lo guardava lasciando sfumare la sua espressione contraddetta in una divertita. Se lo ricordava, ovvio anche lei era una ragazzina all’epoca. Ma lui era l’unico bambino che non avrebbe mai voluto abbandonare. Ma aveva trovato lavoro come cameriera e alla fine aveva mollato l’altro dopo la morte di Claudia. « Holmes. Come dimenticarmi del piccolo logorroico Detective.» Scoppiarono entrambi in una risata commemorativa mentre i loro sguardi non facevano altro che incrociarsi. « Cosa ci fai qui? » Domandò Stiles fissandola sorpreso e contento.
« Mio fratello Alex è entrato in squadra sono qui a guardarlo. Poi lo riaccompagno a casa. »
«Lui è tuo fratello?Non sapevo che tu avessi dei fratelli. » Sembrò stupito.
« Quando mi hai conosciuto a casa c’era solo Max. Loro sono stati adottati dopo. »
« Max?o cielo l’energumeno antipatico?Io pensavo fosse il tuo ragazzo, lo odiavo per questo..No cioè lo odiavo e basta … si insomma..» Deglutì rumorosamente facendola ridere a bassa voce. Stupita dal suo commento. Era solo un bambino erano normali delle cotte a quella età.
« Chiaro! Allora…Come stai?» Sorride, timida come sempre da alcuni punti di vista.
« Bene. E’ bello rivederti….Senti…» Il Coach si mise a gridare.Ovvio quando mai non lo faceva?Inutile dire che anche lei lo aveva odiato a suo tempo. Sorrise e  mosse appena le dita della mano destra in un segno di saluto. «Corri prima che gli esploda la giugulare. Ci si vede….. ?!»
Era strano che provasse quella profonda malinconia a causa del discorso interrotto. Lui la fissa sbuffando visibilmente irritato dal Coach.Non lo amava, ed era ovvio. «Fosse per me possono scoppiargli anche le tonsille. Certo. Ti…ti chiamo? » Chiese deglutendo e lei si ritrovò a fissarlo in silenzio prima di riprendersi. « Certo fatti dare il numero da Alex…. » Gli sorrise di rimando al sorriso di lui. Stiles si allontanò,il cuore che martellava al ricordo che aveva di lei. Lui le insegnò a volare e lei gli raccontava le favole. Citazione non fu mai più giusta. Perché dopo essere diventata Pidge lei aveva perso ogni speranza e voglia di esistere senza Derek. Stiles, quel bambino chiassoso e dolce allo stesso tempo era stata la sua ancora. Un fischio diede inizio agli allenamenti. E ci furono solo grida,schianti e imprecazioni.

Ed eccomi qui a chiedermi se le mie storie vi piacciano oppure no.Non ricevendo recensioni deduco di no.Ma continuerò a scrivere con piacere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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