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Autore: _joy    21/02/2014    5 recensioni
"La sera in cui Ben Barnes lasciò Rebecca Milani era una sera piovosa e grigia."
Quello che accadde tra un addio e un ritrovarsi.
Perché niente altro conta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella era la telefonata più difficile di sempre.
 
Eppure, Rebecca non esitò e prese il telefono in mano, digitando un numero che non pensava di chiamare più ma che le tornò subito alla memoria.
Ben rispose dopo solo uno squillo:
«Becky!!»
«Sì»
«Stavo… Volevo chiamarti io…»
«Bene, allora sono felice di averlo fatto, così non perdiamo tempo»
«Cosa…»
«Voglio vederti. Dobbiamo parlare»
 
*
 
Quella era la telefonata più difficile di sempre.
 
E per fortuna la fece lei, perché Ben non riusciva ad articolare due pensieri di senso compiuto uno dietro l’altro.
E sì, voleva vederla e parlare… ma quando lei gli diede appuntamento il suo cuore sprofondò.
Cosa intendeva dirgli?
Perché lo aveva chiamato con quell’urgenza?
Comunque, non poteva certo rifiutare… lui voleva vederla.
Per parlare… e dirle cosa?
Era meglio decidere in fretta.
 
 
Becky gli aveva dato appuntamento in un piccolo bar molto tranquillo vicino alla spiaggia.
Ben era già lì quando lei parcheggiò l’auto: ne scese anche l’amica del giorno prima, quella che lo guardava come se temesse che fosse rivestito di tritolo e pronto a farsi esplodere.
Doveva essere Carolina, la migliore amica.
La ragazza lo vide, lo gratificò di un’occhiata di fuoco e poi gli voltò le spalle.
Ben non se ne preoccupò nemmeno: era troppo occupato ad osservare Rebecca che, con gesti esperti e sicurezza infallibile, si sporgeva verso i sedili posteriori dell’auto e ne estraeva il bambino, senza perdere l’equilibrio o neppure spettinarsi.
Come faceva?
Quella macchina era così piccola!
 
Ed ecco il bambino.
Era vestito con dei jeans e una maglietta a righe blu e bianche.
Ben sentì una strana stretta al cuore e si impose di respirare con calma.
 
Rebecca si avvicinò tranquilla, tenendo il piccolo tra le braccia e parlandogli sottovoce; superò Ben senza degnarlo di uno sguardo né modificando la sua andatura e lui non poté far altro che ruotare su se stesso per continuare a guardarla, come un ago ipnotizzato dal nord.
Becky mise giù il piccolo vicino alla sabbia: lui fece per lanciarsi subito a giocare ma lei lo afferrò per i pantaloncini.
Il bimbo lanciò un urletto, ma poi Ben lo vide fissare la mamma con un sorriso enorme.
Il cuore gli si strinse di nuovo.
Rebecca si mise in ginocchio e strinse il bambino: rimasero allacciati per qualche lunghissimo minuto, poi lei lo riempì di baci e lui ridacchiò felice.
Carolina – che li seguiva reggendo una borsa di stoffa da cui spuntavano paletta e rastrello – si sciolse in risate estatiche, abbandonando l’aria da guardia carceraria (destinata solo a Ben, a quanto sembrava) e lanciandosi sulla sabbia.
Tommaso la vide e le trotterellò dietro.
Si muoveva come un paperotto quando cercava di correre: al quinto passo ruzzolò per terra e Ben fece un passo, allarmato, senza saper bene cosa fare.
Rebecca e Carolina, però, si limitarono a ridere; il bimbo fece lo stesso.
 
Ben infilò le mani in tasca, sentendosi un idiota.
In quel momento, Rebecca si alzò, si voltò verso di lui pulendosi le mani sui jeans e salutò:
«Ciao»
«Ciao» bisbigliò lui.
Lei si incamminò verso i tavolini del bar e lui, lanciata un’ultima occhiata al bambino, la seguì.
 
Seduti al tavolo, lui giocherellava con il menù mentre lei teneva gli occhi fissi sul figlio, che giocava con Carolina.
Quindi, Ben si schiarì la voce e fece per tenderle la lista.
«No, grazie» disse lei «Prendo un latte bianco»
«Oh… Va bene»
Chiamò la cameriera con un cenno e ordinò.
Becky era sempre intenta a guardare il bambino.
«Non…» Ben si schiarì la voce, imbarazzato dal distacco di lei «Non vuoi un caffè? Lo adoravi…»
Rebecca posò gli occhi su di lui.
Si fissarono in silenzio per un attimo, quindi lei scosse le spalle.
«Allatto Tommaso, quindi cerco di non assumerne… Anche se potrei berne un paio al giorno, me li riservo per quando lavoro molto e devo stare sveglia»
Ben trattenne il fiato.
«Si chiama… Lo hai chiamato…»
Lei fece un brusco cenno con il capo.
«Tommaso. Sì»
Ben sembrava non sapere cosa dire e lei riprese:
«Se stai per dire che tuo padre si chiama Thomas, lo so. So anche che è il tuo secondo nome»
«Lo hai fatto per…»
Becky gli rivolse uno sguardo gelido.
«L’ho fatto perché il nome piace a me»
«Quindi… io non c’entro niente?» chiese lui.
Rebecca fece una smorfia.
«Ben, questa è davvero la cosa più idiota che ti abbia mai sentito dire. E la dice lunga»
Lui espirò di botto.
«Io…»
«Perché sei venuto?» lo interruppe lei.
«Perché…volevo sapere»
«Come lo hai saputo?»
«Jack ha visto una tua foto su Facebook e…»
Lei battè un pugno sul tavolino.
«Facebook del cazzo» mormorò tra sé.
«Pensavi di non dirmelo mai?» le chiese.
«Perché, volevi saperlo?»
«Beck» lui strinse gli occhi «Stiamo parlando di mio…»
 
Si interruppe bruscamente.
«Che c’è?» chiese lei «Non riesci a dire “figlio”?»
Ben fece un gesto vago con la mano, lei esitò un paio di secondi e poi lo incalzò:
«Sì, è tuo figlio Ben»
«L’avevo capito» ringhiò lui.
«Bene. E ora che lo hai capito te ne vai?»
«Tu… ma perché non me lo hai detto?»
Lei scrollò le spalle.
«Non ti serviva saperlo»
«Questo dovevo deciderlo io!» ringhiò lui.
«Ah sì?» lei assottigliò gli occhi, segno inequivocabile che si stava infuriando «Perché, cosa avresti fatto? Saresti diventato responsabile? Saresti cresciuto di botto? O avresti pensato che stavo tentando qualche trucchetto patetico per legarti a me?»
Lui si morse il labbro: lo conosceva troppo bene.
«Ben» scandì lei «Il fatto che tu ti permetti di pensare che io avrei usato mio figlio come scusa per legarti a me è stronzo, ipocrita e mi fa venire voglia di prenderti a calci!»
Lui alzò le mani, come per placarla.
«Va bene, hai vinto: lo avrei pensato. Contenta? Lo ammetto. Ma… non era una scusa! È questo il punto! Tu non mi hai detto niente e io…»
«E tu cosa? Cosa avresti fatto, esattamente, per me? Sentiamo!»
Lui aprì la bocca, indeciso su cosa dire.
«Saresti venuto in Italia da me? Saresti stato con me durante la gravidanza, rinunciando al tuo lavoro? Alla tua vita nella scintillante Los Angeles? Avresti abbandonato il mondo del cinema per cambiare pannolini?»
«Non lo so!» esplose lui «Non posso saperlo, per colpa tua!»
«Sei un ipocrita!» ritorse lei «Non avresti fatto niente di tutto questo, e lo sai!»
«Va bene, ma potevo…»
«Che cosa? Mandarmi dei soldi? Se solo osi dirlo ti ammazzo!»
Era chiaro dalla sua espressione che lo pensava davvero.
«Avevo il diritto di saperlo» ritentò lui «Dovevi darmi la possibilità di…»
 
Era inutile: le parole non gli venivano proprio.
Lei tacque un paio di secondi e poi scosse il capo.
«Ok. Mettiamo il caso che io te lo avessi detto. Sì, avresti smesso di pensare che ero una patetica bugiarda quando avresti visto la mia pancia che cresceva. E poi? È questo il punto, Ben. Poi cosa avresti fatto?»
«Qualcosa avrei fatto!» esplose lui.
«Sì. Ti saresti sbronzato e incazzato»
Ben digrignò i denti, ma Rebecca all’improvviso scosse il capo.
«Ok, scusa. Magari sono ingiusta»
Il silenzio si protrasse per qualche minuto e poi lei riprese la parola.
«Scusami… la frustrazione per il modo in cui mi hai scaricata… evidentemente la covo ancora. Ma ora che sei qui, tanto vale che ti spieghi come stanno le cose» sospirò «Per i primi mesi ho pensato di dirtelo, davvero»
Lui taceva, ascoltandola.
«Ci ho pensato… e all’inizio l’orgoglio me lo ha impedito, lo ammetto. Ma poi, man mano che lui cresceva e poi quando è nato… Lui è la mia vita, Ben. Io non darò a mio figlio un padre che non lo vuole, che non lo ama»
«Non puoi dire che…» iniziò lui.
«Posso dire che non lo volevi: questo posso farlo»
«Allora mi stai punendo?»
«Certo che no!» lei scosse il capo, impaziente «È proprio questo che voglio spiegarti! Mio figlio non è e non sarà mai una merce di scambio! Né per il tuo affetto, né per altro! Io darò il meglio a questo bambino! E il meglio, Ben, non è un padre che, ad andar bene, potrebbe vedere una volta l’anno! La vita che tu conduci non è una vita che ti permetterebbe di fare il padre, perché fare il padre è un’altra cosa! È tante cose e la prima, di certo, è essere presente! Quando Tommi crescerà e mi chiederà perché non ci sei io cosa dovrei dirgli? Che ami il tuo lavoro più di lui?»
«Ma io… Ma come fai a dire una cosa del genere? Io non amerei il lavoro più…»
«Ma non puoi saperlo! Però è molto probabile! Amavi il tuo lavoro più di me… No, zitto!» lo zittì con un cenno «Ti giuro, non lo sto dicendo per recriminare o per ferirti, lo dico perché è la verità. L’ho capito. Sono scelte, e questa è la tua. Ma mio figlio non la pagherà come l’ho pagata io. Non per vendicarmi di te, ma perché lo amo troppo e non lo esporrò a un dolore del genere!»
Ben rimase in silenzio per qualche minuto, poi commentò:
«Ribadisco che non puoi sapere cosa avrei fatto e…»
«Va bene» lo interruppe ancora lei «Vediamola da un punto di vista diverso: se te lo avessi detto e tu avessi preso la decisione non dico di tornare con me ma di starmi accanto nella gravidanza, non avresti girato il tuo kolossal miliardario e non avresti la fama che hai ora. Lo sai, sì?»
Lui si morse un labbro: aveva toccato un nervo scoperto.
«Beck» disse invece «Proprio non lo riesci a perdere questo vizio del cazzo di interrompermi e parlare sempre tu, vero?»
 
Inaspettatamente, lei sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere.
Una risata sincera e divertita che stupì entrambi.
«Scusa. Vero. Mi dispiace. Va bene: facciamo finta che io te lo abbia detto!»
Lui sbuffò, ma replicò in modo più dolce:
«È la cosa più stupida che tu potessi dire… E tu non dici mai cose stupide»
 
Rebecca lo guardò stupita, poi rise di nuovo e lui si ritrovò a reprimere un sospiro.

   
 
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