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Autore: Dicembre    21/06/2008    3 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Dodici

- Dipendenza (parte prima) -






Aaron non uscì dalle proprie stanze per tutti i giorni che seguirono, fino alla celebrazione del matrimonio di Rebecca. Le rare volte che s’avventurò fuori dai suoi alloggi era di notte, quando aveva la certezza che non avrebbe incontrato nessuno sulla sua strada. Era andato a visitare Forgia,per assicurarsi che la sua guarigione proseguisse, era andato in visita al padre, ma nulla di più.

E per tutto il resto del tempo Aaron aveva pregato: s’era inginocchiato di fronte ad un piccolo altare consacrato a Maria, dove c’era una candela sempre accesa per rappresentare la sua infinita misericordia e dei fiori freschi che Aaron si premurava di cambiare ogni qual volta appassissero, e aveva chiesto perdono.

Sperava che Lei potesse aiutarlo.

Sin da quand’era piccolo, Aaron aveva avuto una qualche predilezione per i ragazzi e ben poca propensione per le avvenenti figure femminili. Tuttavia, a causa della sua educazione e della ferrea disciplina che s’era autoimposto, questa sua inclinazione era stata sempre ben controllata, tanto che lui stesso s’era spesso ingannato. Quand’era adolescente s’era ritrovato più volte a guardare con una certa ammirazioni i corpi maschili, aveva sempre ritenuto affascinanti le nervature delle braccia muscolose dei ragazzi che lavoravano al castello, le loro spalle ampie imperlate di sudore. Si era anche chiesto se quelle mani, che sembravano così forti, avrebbero potuto proteggerlo.

Tuttavia, era stato così bravo a mascherare i suoi desideri che s’era lui stesso convinto che fosse inclinazione verso la bellezza estetica a farlo fermare per guardare quei muscoli e quei corpi. Un episodio al quale si aggrappava con forza, rinfrancava questa bugia: a vent’anni era rimasto ammaliato dalla figlia di Coriliss, di qualche anno più grande di lui. L’aveva trovata incredibilmente bella, coi suoi capelli lunghi e neri, la sua bocca piena e rossa…

Nel suo cuore aveva accolto la notizia con così tanto entusiasmo da fargli dimenticare la differenza di rango che c’era fra lui e la ragazza, perciò aveva passato quei giorni a corteggiarla, inebriato da quella che sperava essere la salvezza per la sua anima. In realtà, Kate, questo era il suo nome, stava andando in sposa a qualcun altro e quando Aaron palesò a suo padre l’idea di chiederla per sé, il vecchio Lord andò su tutte le furie.

La ragazza se ne andò dal castello dopo il matrimonio. Nonostante casa sua fosse poco lontano, Aaron e Kate non si rividero più, fra le lacrime di lei: si erano scambiati un solo bacio. Aaron l’aveva trovato interessante, ma poco di più. Imputò l’intiepidirsi dei suoi sentimenti alla differenza di classe sociale: probabilmente il padre aveva ragione quando affermava che due come loro non avrebbero mai avuto nulla da condividere.

E così continuò ad ingannarsi, fino a quel giorno, in biblioteca, quando non c’erano state menzogne che l’avessero potuto proteggere.

L’aveva guardato e l’aveva trovato bellissimo, l’aveva ascoltato e non avrebbe mai voluto smettere.

Aaron pregò perché Sua Signora lo aiutasse ad allontanare la tentazione dalla sua mente.

Era peccato, era vietato e sbagliato.

Pregò, in ginocchio per tutti i giorni che seguirono, fino alla celebrazione del matrimonio di Rebecca.





La giornata era limpida, Cencio trovò Forgia sveglio e finalmente lucido, nel suo letto.

“Ce n’è voluto di tempo per rimetterti in sesto. Ti piaceva giocare al malato?

“Taci, che il rimanere fermo qui, sdraiato come l’ultimo dei moribondi mi pesa come non mai”
”La vita qui non è poi così male, devi vedere il capo com’è rilassato da quando è qui”

“Nero?”

“Non mi pare abbiamo un nuovo capo…”

Forgia scrollò leggermente le spalle, movimento che fu seguito da una smorfia di dolore.

“Devi stare tranquillo e a letto, senza muoverti”

“Mi piacerebbe venire in paese al matrimonio di questa Rebecca, non si parla d’altro… E’ una persona importante?”

“Non che io sappia” Cencio enfatizzò la sua frase con un gesto delle mani “ma pare che la gente del castello e del paese abbia preso la celebrazione a pretesto per una festa. So che i minatori delle vicine miniere di stagno hanno un giorno libero, tutti gli abitanti sono stati invitati…” poi strizzò gli occhi e fece quella sua tipica espressione di quando iniziava a sognare ad occhi aperti “ci saranno danze, cibo, musica…”

“Mi piacerebbe proprio poter venire, rivedere gli altri, alzarmi da questo letto…Non ne posso più”

“Guardia e Levante partiranno a breve, passeranno di qui certamente prima di andarsene. I giorni scorsi non siamo venuti a trovarti perché c’è stato sconsigliato”

“Da chi?”

“C’è stato detto da Josephine, una nuova spasimante del capo, ma penso che le parole fossero di Lord Aaron Thurlow, ha detto che avremmo facilmente potuto passarti delle malattie…dovevi vederti, Forgia, sembravi così debole!”
Forgia roteò gli occhi “Ora mi sento forte come e più di prima… se solo potessi alzarmi”

“E meglio che tu rimanga sdraiato” disse appena entrato Nero “ hai ancora la febbre, ed è da parecchio che mangi pochissimo…”

“Eravamo tutti preoccupati”
”Puoi dirlo, Cencio quasi scoppiava a piangere!” s’intromise Luppolo.
”Sei il solito insensibile, Luppo. Non è che piangevo, ero solo preoccupato! Ma Forgia ha la pelle dura!”
Era bello averli così vicini, Forgia stesso aveva temuto di non farcela. Aveva pochi ricordi di quello che era successo dalla locanda in avanti…

“Vorrei ringraziare Lord Aaron”

“Ho sentito che è molto occupato in questi giorni, pare che a breve arriveranno la sorella ed altri parenti…Non lo vedo da tempo”
”Non mi stupisce proprio, Cencio! Questi ultimi giorni hai passato più tempo in cucina con il muso dentro un piatto, che in giro…”
”E cosa vorresti insinuare?”
”Niente di più di quello che ho detto, mio caro”

Il ragazzo sbuffò e girò sdegnato le spalle all’amico che non gli dava tregua.

“E quindi non rimarremo tutti qui?”

Nero spiegò a situazione a Forgia: Guardia, Levante e Chiaro avevano deciso di partire, ma sarebbero stati di ritorno per primavera.

“E’ strano…da quant’è che siamo insieme, sei anni circa giusto? Eppure non è mai capitato che il gruppo si sciogliesse”

“Non è neanche mai capitato che uno di noi stesse per morire” disse Cencio con una freddezza che stupì gli altri “Ma non me ne preoccuperei. Tutti torneranno, nessuno saprà resistere al richiamo di Nero”
”Ma di che cosa stai parlando?”

Cencio per tutta risposta scrollò le spalle e rimase in silenzio.

“Ora è meglio che vada a sellare i cavalli, tra poco dovremo partire per andare in paese…”

Forgia gli sorrise “Grazie Figlio del Sud, conto di rivederti a breve”

Gli occhi di Cencio si riempirono di lacrime “E’ da tanto che non sentivo questo soprannome, Forgia rimettiti in piedi in fretta, mi raccomando”

“Ci puoi contare”
Forgia rimase a fissare per un attimo la porta dalla quale era uscito Cencio

“Sbaglio o il ragazzo è cambiato?”

“Sta crescendo…” commentò sotto voce Luppolo, fissando anche lui un punto indefinito di quel portone di legno.

Dopo poco anche gli altri se ne andarono, e Forgia rimase solo nella sua stanza.

Sapeva di essere debole, ma l’idea di non poter alzarsi e stare con gli altri lo frustrava. Gli mancavano, voleva tornare all’aria fresca e voleva smettersi di sentirsi un malato. Si guardò la spalla, c’era una grossa fasciatura che gli copriva la ferita, non riuscì quindi a capire quanto questa fosse estesa. Provò a muovere il braccio, ma era intorpidito e non aveva praticamente sensibilità nelle dita. Lo sforzo di parlare con gli amici e di muovere il braccio l’aveva stancato così tanto che ricadde quasi subito in un dormiveglia, dal quale non si svegliò se non molte ore dopo.





La città era vestita a festa, gli abitanti avevano preso come scusa il matrimonio della Bella per festeggiare l’inizio imminente dell’avvento, i minatori delle vicine cave di stagno avevano il giorno libero, tutto il paese godeva degli ultimi giorni di sole.

Rebecca era davvero bellissima, Cencio non potè fare altro che ammirarla, quel suo vestito bianco le donava, sembrava un angelo dai capelli rossi.

Il marito, invece, come ci si era aspettato, era impacciato anche il giorno del proprio matrimonio, rosso in viso tanto quanto i capelli della moglie. Tuttavia le teneva la mano in modo così tenero e la guardava con così tanto amore che nessuno si sentì in vena di prenderlo in giro, come avevano sempre fatto, per questa sua innata timidezza.

Finita la cerimonia, cominciarono le danze.

“Le mie congratulazione, e auguri”

“Lord Aaron, che grande onore che ci fate con la vostra presenza, grazie…grazie infinitamente” disse lo sposo inchinandosi in maniera un po’ goffa.

Aaron sorrise con benevolenza “Avete spostato la donna più ambita della contea, conto che la trattiate come si addice ad una principessa”

Lo sposo arrossì e di nuovo fece un inchino fin troppo profondo. Poi la musica iniziò a risuonare in piazza “Andate ora, a ballare con vostra moglie e portatele i miei auguri”

“Verrà lei di certo, signore, appena si sarà liberata da Josephine”
Il Lord rise “Allora le parlerò questa sera”.

Nel gazebo dove aveva preso posto Lord Aaron era molto ampio, costruito in legno per l’occasione, le colonnine erano state decorate con fiori secchi rossi e bianchi, intrecciati da mani esperte. La sedia su cui sedeva era foderata in velluto. Il nobile notò quanta cura era stata messa nella costruzione di quella, nella tettoia che sembrava ricamata e nei tavoli adibiti a lui e sorrise. Non s’aspettava niente di meno, sapeva bene che la sua presenza lì onorava e agitava un pochino le persone presenti, nonostante la musica e la birra stessero mettendo a loro agio tutti quanti. Tuttavia sapeva bene quanto lavoro era costato quella costruzione allo sposo e al falegname, aveva udito Josephine parlarne con Coriliss.

Fu felice di trovarsi lì, e all’arrivo dei cavalieri che erano stati invitati da lui nel suo gazebo, lo fu ancora di più.

“Ma siete venuto qui senza scorta?” chiese esterrefatto Cencio “Ad averlo saputo portavo il mio arco!”

“No, questo è un giorno di festa, non voglio mettere più soggezione di quanto già non faccia con la mia sola presenza. E poi, ho portato con me degli amici”

Non capendo, Cencio, si guardò intorno. Vide Cleto appollaiato su di un ramo molto vicino a dove loro erano seduti e si accorse di una volpe che sonnecchiava ai piedi del Lord.

“Se non guardate anche lì” Aggiunse Aaron indicando un lupo accovacciato nell’ombra “s’offenderà”

“Non capisco, una volpe e un lupo… E Cleto, qui fra tutti questi uomini…”
”Sono qui per me, mi fanno loro da scorta, in cambio potranno mangiarsi tutti i resti che vorranno”

Cencio guardò il proprietario di quelle terre con occhi dubbiosi “Scusatemi se sono scettico, ma non capisco davvero come possiate fidarvi così ciecamente di tre animali, così diversi fra loro…”

“Loro non sono nemici, e se avessi bisogno di aiuto, non esisterebbero a chiamarlo e prestarmi il loro”

Cencio non discusse oltre, l’aveva sempre stupito la capacità del capo di parlare con gli animale, ma Lord Aaron sembrava capace addirittura di maggior interazione.

Pensando quindi a Nero e vedendo che non era lì con loro, chiese dove fosse

“Penso sia ancora da Forgia, ma non so. Pensavo che ci avrebbe raggiunto dopo poco, ma effettivamente non l’ho visto” disse Luppolo cercando, fra la folla e i balli, il suo capo

“Dubito che lo troverai a ballare, è più probabile che sia da Forgia …Avrà insistito perché rimanesse un po’ di più”

“Perché lo pensi?”

E ancora, come quella mattina, Cencio scrollò le spalle e non rispose.

“Anche quand’eravamo nella stanza di Forgia hai evitato la domanda. Cos’è tutto questo mistero? E’ successo forse qualcosa che io non so?”

Di nuovo Cencio diede, come sola risposta, un lieve cenno del capo e uno scrollo di spalle e Luppolo sospirò sconfitto

“Pensi che Chiaro partirà?” disse d’improvviso Cencio

“Non lo so, penso di sì, così ha detto…”

“Lo dico sempre che sei un insensibile” sorrise Cencio “Chiaro non partirà”

“E come puoi dirlo?”

“Chiaro non partirà, Luppolo, così come Levante e Guardia torneranno all’equinozio come stabilito, così come Forgia voleva venire qui alla festa per stare in compagnia di Nero… “

L’attenzione di Lord Aaron, che se n’era stato in disparte, venne immediatamente catturata da questa frase e ascoltò il resto della conversazione con estrema attenzione.

“Spiegati meglio, Cencio, quando mi parli così e fai il misterioso, m’inquieti”

Cencio sorrise “Non faccio il misterioso, Luppo, dico solo quello che è evidente. Pensi davvero che Chiaro se ne andrà a casa, zitto, senza che Nero vada con lui? Ha puntato i piedi e come suo solito, ha fatto il capriccioso. Ma non muoverà un passo senza Nero.”

“Quindi pensi che abbia mentito?”
”Non penso che stesse mentendo, penso solo che sperasse di convincere il capo ad andare con lui. Nero e Chiaro, però, ragionano in modo completamente diverso, e poi soprattutto l’uno dipende completamente dall’altro, ma non si può certo dire del contrario”

“Che Chiaro sia così, già lo sapevamo…”
”Siamo tutti così, Luppo, chi in un modo, chi un altro… Guarda Guardia e Levante, che sembrano i più indipendenti del gruppo… Torneranno all’equinozio di primavera, come deciso”
”Perché sono uomini di parola…”
”Questo è certo, ma anche se avessero scelta tornerebbero perché Nero ha chiesto loro di tornare. Funziona così, Luppo, è l’aggregante del gruppo. Tutti noi facciamo e faremo sempre quello che il capo ci chiede, tutti dipendiamo da lui…completamente”

Cencio guardò Luppo e gli parve ancora un po’ dubbioso.

“Prendi noi, ti ricordi quando abbiamo incontrato il capo in Italia? Io ero un ladruncolo senza morale né principi, tu eri un autoesiliato senza una dimora fissa. Abbiamo esitato ad andare con lui? Neanche per un minuto, ci siamo uniti al suo gruppo con entusiasmo…e non sapevamo neanche chi fosse”
Luppolo cominciava a capire e annuì

“E’ il destino del Nero, non so bene cosa sia che lo circonda, se sia carisma o che… Ma tutti noi pendiamo dalle sue labbra, dipendiamo da lui qualunque cosa faccia”

“Era questo che intendevi oggi, in stanza di Forgia?”

“Hai visto come lo guardava? Sembrava che volesse mettersi in piedi solo per fare felice il capo” Cencio scosse la testa e sembrò sconsolato “Non so quando questo stato di cose possa fargli piacere, penso in realtà che questa nostra dipendenza per lui sia un peso ma..” di nuovo sospirò sconfitto “non credo ci sia niente che si possa fare. Dal canto mio, se lui non ci fosse, mi sentirei perduto…”

Luppolo non rispose e rimase, pensieroso, a guardare la piazza dove la gente ballava.

C’erano diversi tavoli pieni di frutta secca, pane e formaggio al centro, brocche di birra che continuavano ad essere riempite e calici che continuavano ad essere svuotai . La musica era allegra, coppie che ballavano e i bambini che si rincorrevano…Eppure c’era qualcosa di malinconico nello sguardo di Luppolo, le danze e i colori si susseguivano di fronte a lui, ma la sua mente era altrove

“Sai, Cencio, penso tu abbia ragione. Hai l’aria in testa, ma evidentemente qualche volta qualche pensiero buono si ferma e ti fa sembrare particolarmente sveglio.”

“Quello che mi chiedo è se tutto questo non gravi sull’animo del capo, se tutto questo non lo faccia sentire troppo solo”

“Solo?”
”Mentre noi ci aggrappiamo a lui e dipendiamo da lui, lui non può farlo con nessuno, non può avere mai una debolezza, o un’esitazione. Questo non ti renderebbe solo, Luppo?”

Non fu necessaria alcuna risposta da parte dell’amico.



E quella solitudine si trasformò in un senso di colpa nell’animo di Aaron, per non essere in grado di alleviarla e per non avere niente da offrire per sanarla.



Il sole stava calando sui tetti delle case, i fuochi delle torce venivano accesi, mentre la musica continuava vivace.


 

  
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