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Autore: Hotaru_Tomoe    22/02/2014    6 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tempo fa Macaron aveva proposto questo prompt:
- Sherlock e John, in quel periodo di transizione tra bromance e coppietta carina e coccolosa, in vacanza sulla neve in un posto isolatissimo. Ovviamente vanno sulla neve per un caso (ti pare che quello si muove?) e il caso non c'è perchè John l'ha fregato o qualcuno li ha fregati entrambi XD Tutti i peggiori clichè di cose da fare sulla neve con Sherlock che si comporta da Sherlock e odia/smonta tutto. (bonus per un pupazzo di neve e per le coccoline)
e l’ho trovato così carino che ho voluto provare. Il pupazzo di neve c’è, o forse no, dipende dai punti di vista. Forse ci sono un po’ meno coccole del previsto, ma da questi due imbecilli che altro ti aspetti?
Tra un po’ siamo a Ferragosto, e Natale è passato praticamente da due mesi, ma voi fate finta di niente, okay?

DEFROZEN

“Ma allora voi due siete una coppia o no?”
Se, ipoteticamente, un giorno un giornalista decidesse di avvicinare John e Sherlock e porre loro questa domanda, non riceverebbe una risposta precisa e soddisfacente.
Sherlock osserverebbe che “coppia” è un termine fluido, che può abbracciare e definire una quantità di rapporti molto diversi tra loro, e quindi lui e John potrebbero definirsi una coppia dal primo giorno, se la si intende nel senso di “due persone che vivono assieme”.
John probabilmente negherebbe, indignato, proclamando a gran voce che lui non è gay. Se poi però lo stesso ipotetico giornalista osasse definire Sherlock uno strambo o uno psicopatico, non è sicuro che si allontanerebbe da Baker Street con tutte le ossa intatte.
La verità è che è complicato. D’altronde, trattandosi di loro due, non potrebbe essere diversamente.
Non se lo dicono apertamente e non c’è nessun annuncio ufficiale.
Quindi non succede che in una data precisa Sherlock e John si siedano davanti a un tavolo, si dicano “Molto bene, da questo momento siamo una coppia a tutti gli effetti” e poi mandino mail ad amici e conoscenti per informarli dell’avvenimento.
Tuttavia qualcosa cambia, in modo così lento ed impercettibile che li si può giustificare se nessuno dei due se ne rende conto all’inizio; dopo il ritorno di Sherlock a Londra gli appuntamenti di John con qualche paziente o collega si fanno sempre più radi, fino a cessare del tutto, Sherlock ha l’accortezza di mandargli un messaggio quando sparisce per qualche giorno seguendo una pista, hanno raggiunto il compromesso che, nel frigorifero, gli esperimenti del consulente investigativo vanno sul ripiano più alto, mentre il cibo nei cassetti in basso.
Ora, quando siedono a far colazione al piccolo tavolo in salotto e le loro gambe si sfiorano per caso, non si ritraggono più nel loro spazio personale con un sorriso di scuse (a ben pensarci è solo John che ha cambiato atteggiamento, Sherlock non si è mai fatto problemi ad invadere il suo spazio) e se in taxi, esausti entrambi dopo una lunga indagine, si appoggiano l'uno all'altro, nessuno dei due si scansa.
E poi arriva la sera in cui sono seduti entrambi sul divano, anziché nelle rispettive poltrone, perché un canale francese sta mandando in onda un programma che parla di autopsie ed entrambi sono molto interessati e Sherlock continua a chiedere a John particolari tecnici con un entusiasmo che lo fa sorridere; quando il programma finisce è mezzanotte passata e, nell'augurare buona notte al detective, John gli sfiora la fronte con un bacio, prima di alzarsi per salire in camera sua.
Lo fa senza pensare, il gesto gli viene del tutto naturale ed è solo sulla soglia del salotto che il suo cervello arriva a rendersi conto di quello che ha fatto. Si gira verso Sherlock, che lo sta osservando con aria apparentemente tranquilla, anche se un angolo della sua bocca minaccia di sollevarsi in un sorriso.
"Va bene, no?" borbotta l'ex soldato grattandosi la nuca e a quel punto il sorriso sboccia sul serio sul viso di Sherlock, e John è diviso tra una incontenibile felicità ed un imbarazzo assoluto. "Buonanotte anche a te, John."
Sarà una sua impressione, sarà l'euforia che ancora prova per quel bacio innocente, ma gli sembra che la voce di Sherlock sia più dolce del solito.

Ovviamente anche gli altri iniziano a notare questo cambiamento: Lestrade punzecchia John con battutine su quanto il dottore sembri stanco e provato negli ultimi tempi, le sere in cui si ritrovano al pub a seguire la Champions League, finché Watson non minaccia di disertare i loro incontri. La signora Hudson è molto più spudorata, intensifica i suoi blitz a sorpresa per portar loro la posta o la colazione, e resta a guardarli sospirando con un sorriso enorme e arriva a dire di non preoccuparsi di disturbarla la notte, perché il suo udito non è più quello di una volta, cosa che dà il via ad uno dei momenti più imbarazzanti della vita di John, che sprofonda nel giornale che sta leggendo, mentre l'anima candida che si ritrova per compagno non coglie l'allusione della loro padrona di casa ed argomenta che invece la donna si lamenta spesso quando lui suona il violino a tarda notte, e quando la signora Hudson afferma che lei sta parlando di un altro genere di rumori, Sherlock non ha la più pallida idea di cosa stia parlando, mentre il rossore di John raggiunge livelli da colpo apoplettico.
"Devi avere pazienza - lo invita il giorno dopo la loro padrona di casa con l’aria saggia di chi crede di aver capito ogni cosa - ognuno ha i suoi tempi e Sherlock... diciamo che lui è un diesel."
Da quel momento John inizia a soppesare seriamente l'ipotesi di rientrare in casa passando dalla scala antincendio, o arrampicandosi fino alla sua finestra come gli acrobati cinesi, pur di evitare di passare davanti all’appartamento della donna e dover affrontare un’altra conversazione così.
Eppure non è quello il momento più imbarazzante che si ritrova a vivere il povero dottore.
Accade che una sera, al termine di un caso complicato dove Sherlock è stato molto brillante, dopo una bottiglia troppo fresca e troppo alcolica di Albana che Angelo ha offerto loro durante la cena, John sia particolarmente su di giri e, non appena rientrano in casa, lo spinga sul divano senza nemmeno dargli il tempo di sfilarsi il cappotto e gli salga sopra a cavalcioni, deciso a non fare altro per il resto della serata che non sia pomiciare con il suo ragazzo.
Peccato che la serata venga bruscamente interrotta dall'irruzione di una arzilla coppia di anziani, che spalanca la porta, sorprendendolo con una mano tra i capelli di Sherlock, l'altra che gli sta sfilando la sciarpa ed i suoi denti affondati nel labbro inferiore del compagno. Se si trattasse di semplici clienti, Watson potrebbe archiviare l'incidente con un risolino ed un'alzata di spalle, invece Sherlock si schiarisce la gola e pronuncia in tono solenne: "John, ti presento i miei genitori." e lui vorrebbe solo che arrivasse un'astronave di alieni a rapirlo, perché non riesce a pensare ad un esordio peggiore di quello con i genitori del suo compagno. Oltretutto la fantasia di mamma Holmes è estremamente florida, perché, dopo dieci minuti, lo sta già trattando con la familiarità con cui si parla ad un genero e questo è decisamente correre troppo per i suoi gusti.
Non che John sia avverso ad una relazione a lungo termine con Sherlock, tutt'altro, ma proprio perché il detective è importante per lui e non è una delle sue solite avventure da un mese ed un giorno, vuole andarci con i piedi di piombo, perché fare un solo passo falso potrebbe essere deleterio per il loro rapporto e questa è l’ultima cosa che John desidera.
Per questo decide di procedere ancor più calma, limitandosi a qualche casto bacio per augurargli buona giornata prima di andare al lavoro, al termine del quale si guarda intorno con aria circospetta: sa che è ridicolo, che non è che ci sia qualcuno nascosto in casa loro, pronto ad uscire dal frigorifero o da un armadio ad ogni loro effusione, ma dopo la performance davanti ai suoi genitori, preferisce essere cauto; Sherlock non sembra avere obiezioni al riguardo, contento di appoggiare la testa sulle sue gambe quando sono entrambi sul divano e lasciare che, di tanto in tanto, gli accarezzi la testa.
Ogni tanto John pensa che sarebbe bello fare qualcosa da coppia normale: una cena che non sia per festeggiare la soluzione di un omicidio, una passeggiata allo zoo di Regent’s Park che non sia per controllare un guardiano col vizietto di dare in pasto i genitori molesti della moglie alle tigri, magari una bella vacanza in un posticino romantico, lontano dai crimini di Londra, ma pensa che in fondo ci arriveranno, con il loro ritmo ed i loro tempi. Per il momento si limita a far scivolare le dita tra i riccioli scuri di Sherlock, godendosi i suoi sospiri di contentezza.

Il signor Holmes Senior osserva con un certo disappunto l’ultima bolletta del telefono, spostando poi lo sguardo su sua moglie, impegnata nell’ennesima conversazione con la signora Hudson.
“A che ora sono rientrati a casa?”
“... sì, e poi? Più nulla?”
“Sì, lo so: a quest’ora speravo che avessero almeno iniziato a dividere la stessa stanza.”
L’anziano uomo si muove sulla poltrona, leggermente a disagio per l’argomento portato avanti dalla consorte; cerca di renderla partecipe del suo stato d’animo indirizzandole uno sguardo contrito, cui la signora Holmes risponde con una teatrale alzata d’occhi al cielo (il figlio minore da qualcuno deve aver pur preso).
“Ora devo andare, ma se ci fossero sviluppi, aggiornami subito.” riaggancia la cornetta e solleva un dito in direzione del marito “Non una parola.”
Poi accende il computer e poco dopo delle immagini in bianco e nero che assomigliano in maniera sospetta a registrazioni di videocamere di sorveglianza iniziano a scorrere sullo schermo.
“Dimmi che non sto vedendo quello che credo di stare vedendo.” esclama il signor Holmes, posando le bollette.
“Eccoli qua: fanno arrestare un criminale e tornano a casa a piedi, senza nemmeno tenersi per mano.” glissa la moglie.
“Da dove saltano fuori queste registrazioni?”
“Caro, dimentichi forse che abbiamo un figlio che lavora nel MI6?”
“Lo so, ma…. insomma, è materiale riservato! Come hai fatto a convincere Mycroft?”
“Sono sua madre, posso costringerlo a farmi incontrare la Regina, se ne ho voglia. - poi torna a fissare lo schermo con un’aria di estremo biasimo e scuote la testa - No, non va affatto bene, occorre fare qualcosa.”
“Non puoi lasciare semplicemente che… - gesticola e poi sbuffa, in imbarazzo per dover affrontare certi argomenti - la natura faccia il suo corso?”
“Con tutto il rispetto per Madre Natura, ci sono voluti migliaia di anni affinché i fringuelli delle Galapagos si evolvessero in quello che sono oggi, non ho tutto questo tempo per aspettare di vedere finalmente il mio ragazzo felice.”
“A me sembrano esserlo.”
“Sì - concede lei - ma non sarebbe bello se fossero un po’ più felici? Solo che quei due si avvicinano alla stessa velocità di due cubetti di ghiaccio nel freezer.”
“I cubetti di ghiaccio non si muovono.”
“Appunto.”
“Lo sai che Sherlock si arrabbierà se viene a scoprire che ti sei intromessa.” la avverte puntandole l’indice addosso.
“Sciocchezze. Si vogliono bene, questo è appurato, perciò non c’è nulla di male se diamo loro una scongelatina.”
“Diamo?”
La donna sorride ed il signor Holmes si massaggia le tempie con le dita, perché quando mai è riuscito a dire di no a sua moglie?

Man mano che Natale si avvicina, l’idea di quella vacanza per due che da qualche tempo frulla nella testa di John, si fa sempre più insistente: non chiede poi molto, solo qualche giorno di coccole e relax, lontani dagli guardi rapaci dei loro amici, che sembra si aspettino di vederli strapparsi i vestiti di dosso sulla scena di un crimine.
Il problema è che, nell’ottica di Sherlock, la parola relax equivale a “crudele tecnica di tortura”: non acconsentirebbe mai ad andare in vacanza, e soprattutto non in quel periodo.
Quando, a fine novembre, in città hanno cominciato ad apparire luminarie e alberi addobbati, John era sul punto di dire che adorava l’atmosfera che si crea a Natale, ma Sherlock si è lanciato in una filippica contro il consumismo, l’abnorme spreco di corrente elettrica ed il deprecabile calo di delitti interessanti, così il dottore ha desistito.
Questo significa che si ritroverà a passare il venticinque dicembre a casa di sua sorella a rivangare vecchi rancori e rivalità.
L’idea lo sconforta al punto tale che decide di fare comunque un tentativo e chiedere a Sherlock di allontanarsi da Londra per qualche giorno, decida lui dove.
Il consulente investigativo è perso tra calcoli e diagrammi e borbotta qualcosa a proposito di un tentativo di aggiotaggio, ma quando John gli posa una mano sulla spalla e si china su di lui per baciarlo, interrompe quello che sta facendo: è un buon segno, può darsi che addirittura Sherlock lo stia ad ascoltare quando parla.
“Stavo pensando - esordisce Watson mentre va in cucina per preparare la cena - che potrei prendermi qualche giorno di ferie sotto Natale.”
“Sarebbe un’ottima idea.”
“Davvero? - domanda il dottore con un sorriso incredulo - sono contento che la vedi così, potremmo andare da qualche parte.”
“Unterharmersbach!” esclama Sherlock con un aspro accento tedesco.
“Cosa?” John non ci prova nemmeno a ripetere quello scioglilingua del cazzo.
“Unterharmersbach! - ripete il suo compagno, irritato - Come ti dicevo prima, la persona che sospetto opera dalla Germania: sono riuscito a restringere l’area sulla base di-”
“Sherlock, frena - lo interrompe - non so di cosa tu stia parlando, perché prima non ero in casa, ero al lavoro.” La sua voce suona più irritata di quanto dovrebbe essere e non perché Sherlock ha esposto le sue teorie al vuoto, pensando che lui fosse presente (quello lo fa sempre), ma perché per un istante si era illuso che gli stesse proponendo una vacanza, senza altri fini.
Si riscuote quando vede il consulente investigativo recuperare due zuppe di ramen al pollo dal congelatore e metterle nel microonde.
“Cosa stai facendo?”
“Ti aiuto con la cena, mi sembra ovvio.” gli risponde senza voltarsi.
“Nel bel mezzo di un caso?”
“Problemi?”
“No.” non ha nessun problema con Sherlock Holmes che cerca di fare ammenda per essere poco attento alla sua presenza. Gli appoggia una mano sulla schiena e si alza in punta di piedi per baciarlo sul collo e pensa che gli va benissimo trascorrere il Natale a Gruberqualcosa, perché non è detto che, se Sherlock risolvesse il caso in fretta, non ci sia tempo per fare qualcos’altro.
Qualche attività di coppia, ad esempio.
Purtroppo il treno dei suoi pensieri viene interrotto dall’odore di bruciato che si leva dal piccolo elettrodomestico davanti a loro e dall'“Oh” di disappunto del suo compagno: Sherlock ha impostato una temperatura folle per scongelare i ramen che così si sono carbonizzati e ha un’espressione così indignata che John non può fare a meno di abbracciarlo e ridere e ridere ancora, finché la milza non gli duole.

Forse sarebbe stato meglio se quel particolare treno di pensieri fosse entrato in sciopero, perché, alla vigilia della partenza per quel paesino tedesco di cui non riuscirà mai a pronunciare il nome, John, seguendo un impulso, è entrato in farmacia ed ha comprato una confezione di preservativi che ora lo fissa con fare accusatorio con il suo color ciliegia acceso dal comodino su cui John l’ha appoggiata.
Sì, quell’accessorio risulta di sicura utilità per le attività di coppia, ma rimanda ad una attività ben specifica e più ci pensa, meno crede che Sherlock o lui stesso siano pronti a tale passo, motivo per cui la scatolina è entrata almeno cinque volte in valigia, nascosta ora in mezzo ai calzini, ora dentro un boxer, ora in una pantofola, ed altrettante volte è trasmigrata sul comodino, accompagnata dai borbottii di John.
“Dovevo essere ubriaco quando sono entrato in farmacia.”
“A che diavolo stavo pensando?”
“E adesso?”

Poi gli viene in mente l’atmosfera natalizia, la neve, loro due al calduccio davanti al camino in uno chalet di montagna, avvolti in una coperta patchwork (sì, riesce anche ad immaginarsi questi particolari, va bene?) e allora pensa che forse, casomai, se si presentasse l’occasione, non sarebbe una cattiva idea farsi trovare preparati.
Avrebbe dovuto compare anche un flacone di lubrificante.
Mentre si rigira l’ennesima volta la scatolina di preservativi tra le dita, sente Sherlock salire i gradini verso la sua camera e, preso dal panico, la nasconde frettolosamente tra due camicie, poi chiude la valigia e ci si appoggia sopra con tutto il suo peso nel momento in cui Holmes apre la porta: bussare non è mai un’opzione contemplata in quella casa.
“Il taxi è arrivato, sei pronto?”
“Eh-sì, più o meno, quasi.” balbetta il dottore, cercando freneticamente la zip del borsone.
“Devi ancora chiudere la valigia? E poi hai il coraggio di lamentarti con me che la faccio all’ultimo minuto.”
“E’ che non riuscivo a decidermi se portare… determinate cose o meno…”
“Oh John, so benissimo cosa stavi facendo.”
Il povero dottore sbianca, i suoi neuroni si paralizzano e non riesce ad elaborare una giustificazione migliore di “Ehm…”, prima che Sherlock si chini su di lui e gli baci la fronte.
“Staremo via solo pochi giorni, non c’è bisogno che porti il regalo di Natale che so che mi hai già comprato. Puoi darmelo quando torniamo. Ora sbrigati a scendere.”
Sì, è vero, John ha già comprato il regalo per il suo ragazzo, un voluminoso tomo di mille pagine sui veleni usati dalle popolazioni indigene della foresta amazzonica, ma non ha mai pensato a metterlo nel bagaglio. Peccato che, dopo la candida osservazione di Sherlock, i preservativi in valigia sembrino pesare altrettanto.

Neve ce n’è nelle vicinanze della Foresta Nera.
Fin troppa.
E sottoforma di una cazzo di tempesta decisamente poco natalizia. Un vento impetuoso, in prossimità dell’aeroporto di Lahr, colpisce trasversalmente il loro apparecchio, facendolo oscillare e finché non è coi piedi sulla terraferma, John stritola la mano di Sherlock nella sua.
Poi devono aspettare due ore i loro bagagli, perché gli addetti dell’aeroporto sono troppo impegnati a cercare di tener sgombere le piste e nel frattempo il consulente investigativo si innervosisce, deduce chiunque osi passargli vicino a meno di un metro di distanza e finisce per inimicarsi il personale di sicurezza.
La mezz’ora che risparmiano saltando la coda per i taxi perché Sherlock ha preso un’auto a noleggio, la perdono cercando di montare le catene da neve: sembra che qualcuno gli abbia fatto fare un giro in una centrifuga, prima di metterle nella scatola e, nonostante le imprecazioni e le minacce di morte, le catene non si districano più in fretta e ci vuole tutta l’autorevolezza dell’ex soldato per impedire a Sherlock di partire senza catene; per terra ci sono già una ventina di centimetri abbondanti e finirebbero per impantanarsi nella neve. Non riesce tuttavia a persuaderlo a passare dall’albergo a lasciare giù i bagagli e, magari, darsi una rinfrescata, prima di mettersi sulle tracce del sospettato.
“Ci sono ancora almeno due ore di luce e intendo sfruttarle.”
John lancia un’occhiata perplessa al paesaggio, immerso in una foschia lattiginosa a stento tagliata dai fari del fuoristrada e borbotta che Sherlock ha uno strano concetto di luminosità.
“Potrebbe scappare.”
“Se lo fa è un pazzo suicida - obietta John - c’è una temperatura che farebbe congelare un orso polare e sta nevicando peggio che al Polo Nord.”
“Contrariamente a quanto si è portati a credere, le precipitazioni nelle aree artiche sono estremamente scarse.”
John gli comunica in maniera davvero poco gentile che non ha intenzione di sorbirsi una lezione del National Geographic e si guadagna un’occhiata oltraggiata del suo compagno.
Sherlock guida per una mezz’ora abbondante, imboccando una strada seconda che si inoltra nella Foresta Nera e non incontrano anima viva: non un mezzo spazzaneve, né un omino dotato di badile: evidentemente da quelle parti il concetto di pulizia strade equivale a far accumulare quanta più neve possibile sperando che la gente abbia il buonsenso di restarsene a casa.
“Se è questa la tanto decantata efficienza tedesca…” commenta John.
“In realtà questa strada è chiusa al traffico ed è percorribile solo a piedi o con le motoslitte.”
“E tu come lo sai?”
“C’era un cartello ben chiaro quando l’abbiamo imboccata: d’altronde è impensabile che tengano sgombre tutte le strade secondarie, specie quelle che non portano ad un centro abitato, chiuderle è la soluzione migliore.”
“Ricordami perché noi la stiamo percorrendo lo stesso, ti prego.” John evita di urlare solo perché non vuole correre il rischio di provocare una valanga.
“Per il caso, ovviamente.”
“Sherlock, potremmo restare bloccati in mezzo al nulla!”
“Sciocchezze, ho noleggiato un fuoristrada e montiamo le catene.”
Tuttavia John non è per niente tranquillo: la neve ha un comportamento molto simile alla sabbia e lui, quando era in Afghanistan, ha visto decine di jeep militari impantanate tra le dune e, dopo qualche chilometro, i fatti gli danno ragione: la neve è troppo fresca e farinosa e le catene non riescono a far presa, la macchina slitta e poi si ferma e nessuna delle manovre tentate da Sherlock riesce a farla smuovere.
“E’ inutile, le ruote continuano a sollevare neve e basta, così affondiamo sempre di più.” Tira fuori di tasca il cellulare, con l’intenzione di chiamare un carro attrezzi (sempre che venga a raccattarli in un luogo tanto sperduto), ma non c’è campo. “Oh, perfetto! E adesso cosa facciamo? Restiamo qui a congelare come l’orso polare di prima?”
Il consulente investigativo si stringe nelle spalle e consulta una cartina “Il rifugio del sospettato non dovrebbe essere molto lontano.”
Infatti, tra una folata di fiocchi di neve e l’altra, in lontananza si scorgono le luci calde di quello che sembra una piccola baita. I due decidono di non rivelare immediatamente la loro identità e di far finta di essere solo una coppia di turisti in vacanza che si è smarrita. John recupera anche le valigie: se si presenteranno alla sua porta stanchi, infreddoliti e con l’aria di due profughi scappati dalla guerra, forse non verranno lasciati a morire assiderati lì fuori.
Giunti davanti alla porta dello chalet trovano un bigliettino, attaccato alla maniglia, che li avvisa di accomodarsi: la porta è aperta.
“Pensi sia una trappola?” sussurra John, posando i bagagli ed afferrando la prima cosa che gli capita sottomano, una grossa pala appoggiata al muro.
“Forse.” Sherlock gli fa cenno di dividersi e si dirige verso un piccolo ripostiglio poco distante, mentre John fa il giro della baita, sbirciando prudentemente da ogni finestra: le luci sono accese, il fuoco nel camino sta scoppiettando, c’è persino un grande abete ricoperto di decorazioni e luci intermittenti, ma non c’è segno di vita.
“E’ scappato! - gli annuncia Sherlock tornando indietro - ha preso una motoslitta dal capanno ed è tornato verso la città: le tracce sono quasi scomparse del tutto, quindi deve essere successo diverse ore fa. Non ci resta che tornare indietro per proseguire le indagini.”
“Non se ne parla nemmeno!”
“Ma…”
“No, Sherlock: è quasi sera, non vede più nulla, è in corso una dannata tempesta di neve, casomai non te ne fossi accorto, l’auto è bloccata nella neve e a piedi ci impiegheremmo ore. Non ho intenzione di compiere questa follia, né - gli punta l’indice sul petto, stroncando sul nascere una sua possibile obiezione - permettere a te di farlo. Ora noi entriamo in casa, ci riscaldiamo, preghiamo che ci sia qualcosa da mangiare e domani mattina se, e dico se, la tormenta sarà passata, torneremo in città.”
Usa lo stesso tono di voce con cui era solito intimidire le reclute, ma Sherlock non è un soldato, quando si tratta di un caso è un mulo senza un grammo di buonsenso, infatti continua a guardare nella direzione da cui sono venuti, ammesso che sia possibile vedere qualcosa oltre la fitta cortina di fiocchi bianchi.
“E sono pronto a trascinarti in casa con la forza e legarti al letto, se sarà necessario.”
“E va bene!”
Dentro lo chalet trovano una lettera sul tavolo della cucina scritta con una calligrafia allungata ed elegante:

Cari ragazzi,
spero vogliate perdonare il mio piccolo inganno, ma io e papà volevamo a tutti i costi farvi una sorpresa e questo era il modo migliore per non suscitare sospetti in Sherlock.
Lo chalet è riservato sino al 27 dicembre, il frigorifero è pieno, perciò non dovete fare altro che rilassarvi e godervi la vacanza.
Vi vogliamo bene.
Violet e Sieger Holmes

A dire il vero John fa un po’ fatica a leggere il nome di chi ha scritto la lettera, perché la mano di Sherlock inizia a tremare violentemente, mentre stringe le labbra in una linea mortale.
Il suo cervello, ancora sottochoc per essere stato chiamato "caro ragazzo" dalla madre di Sherlock, fatica a comprendere il vero significato di ciò che ha appena letto.
“Vuoi dire che…”
“Non c’è nessun criminale. - sussurra Sherlock con aria grave, quasi avesse appena scoperto che la fine del mondo è prossima - E’ stata tutta una trappola organizzata da mia madre.”
“Vuoi dire che ha inscenato un crimine e… - si blocca prima di pronunciare un irreparabile tu ci sei cascato - ci ha trascinati fin qui?”
Purtroppo, lo sguardo duro e tagliente che gli rivolge Sherlock gli fa capire che la sua retromarcia non è stata abbastanza convincente: un attimo dopo il detective sta inveendo e prendendo a calci tutto ciò che gli capita a tiro, dalle sedie, ad una cesta piena di gufi di stoffa, all’incolpevole albero di Natale, che dopo il suo trattamento, resta tutto pendente da un lato, come la torre di Pisa. John sa che in questo momento il suo ego è ferito a morte e decide di lasciarlo sfogare un po’, così si allontana molto discretamente per portare i bagagli in camera: ovviamente c’è un unico letto, matrimoniale ed enorme, coperto da una trapunta tirolese rossa e verde e, su ciascun cuscino, è posato un cioccolatino a forma di cuore, e non c’è niente da fare, una parte di lui ha sempre avuto un debole per queste cose quindi, per quanto sia ancora allibito dalla trovata assurda della madre di Sherlock, decide che quel regalo inaspettato non gli dispiace affatto.
Almeno, questa è la sua intenzione, ma le urla ed i rumori che ancora vengono dal salottino gli fanno capire che il suo compagno non è dello stesso parere.
“Sherlock - azzarda John - adesso calmati.”
“Stupido, stupido, stupido!”
“Per quanto il metodo utilizzato sia poco ortodosso, l’ha fatto a fin di bene.”
“Le formule matematiche! Avrei dovuto capirlo subito.” Sherlock non ha ascoltato una sola parola di quello che ha detto.
“Ehi, ascoltami - John gli afferra i polsi e lo guida verso il divano - non hai avuto il tuo crimine da risolvere, è vero, ma guardati attorno: siamo in luogo incantevole, domani è Natale, quindi perché non approfittiamo di questa vacanza?”
Sherlock si divincola e gli offre il suo velenoso punto di vista “Vacanza? In una baita in mezzo al nulla, senza niente da fare? Chiamala piuttosto tortura.”
“L’idea nascosta dietro al termine ‘vacanza’ è che uno si rilassi.”
“E cosa suggeriresti di fare? Passare la giornata a guardare la televisione che, nel caso non te ne fossi accorto, trasmette programmi in tedesco, lingua che tu non conosci?” Gli riesce assai bene insultare chi gli sta vicino, quando è arrabbiato.
“D’accordo! - si arrende John - Tu fai quello che vuoi: urla, strepita, tieni il broncio, io mi godrò questi giorni.”
In tutta risposta Sherlock soffia, sì, soffia come un gatto idrofobo e poi si appallottola sul divano. “Immagino che non mangerai neppure.” borbotta John aprendo il frigorifero e non riceve nemmeno risposta. Fuori la temperatura sarà precipitata a dieci gradi sottozero, ma in quel momento gli sembra che lo chalet sia altrettanto freddo.
Dopo nemmeno un’ora dà la buonanotte a Sherlock, che è ancora nella stessa posizione di prima, ancora stupendamente oltraggiato per esser stato gabbato dalla madre e John non crede affatto che lo seguirà a letto. Infatti non lo fa.
La mattina seguente è una folata di vento particolarmente insistente che lo sveglia: la nevicata non è cessata, anzi, per quanto sembri impossibile, pare essersi intensificata.
Sherlock non è in salotto e la cosa lo fa leggermente allarmare: il suo amato Belstaff non è abbastanza pesante per quelle temperature. Lo allarma ancora di più vedere che nella notte il consulente investigativo si è accanito con le decorazioni dell’albero di Natale e adesso ogni omino di pan di zenzero penzola come impiccato dai cavi delle lucine. Da una scala da uno a cento per quel che riguarda i momenti di frustrazione depressa del detective, sono almeno attorno al mille.
L’inverno tedesco gli dà il suo gelido buongiorno non appena mette il piede fuori di casa: una rapida ispezione nel capanno dello chalet lo informa che Sherlock è stato lì: ha prima cercato di avviare una motoslitta, senza successo, a giudicare dal pannello di controllo lasciato aperto, e poi è uscito trascinando con sé qualcosa. John segue le sue tracce e lo trova davanti alla loro jeep, intento nell’eroica quanto vana impresa di disseppellirla dalla neve che la ricopre con l'ausilio di una pala. Il manto bianco è arrivato ai finestrini, altrettanta neve preme sul tettuccio e anche se Sherlock riuscisse nell’intento, affonderebbe di nuovo nella neve dopo nemmeno un metro.
Holmes si avvede della presenza di John, ma continua imperterrito nel suo lavoro.
“Buon Natale anche a te. Quando hai finito di comportarti come un idiota, sai dove trovarmi.” gli rende noto il dottore, prima di tornare a passo di marcia verso la baita.
Sherlock rientra poco prima di mezzogiorno, infreddolito e sconfitto, e accetta la zuppa calda ed il tè che John gli offre senza dire una parola, poi torna a raggomitolarsi sul divano.
Nel pomeriggio nevica un po’ meno e piuttosto che restare in casa ad ammattire perché Sherlock sta facendo ossessivamente zapping da più di un’ora, John indossa il cappotto ed esce per una breve passeggiata nei dintorni; se non si considera quella bufera, il posto è davvero incantevole: il tetto della baita è coperto da più di un metro di neve soffice, dalla grondaia pendono delle stalattiti di ghiaccio (deve ricordarsi di fare una foto) e il paesaggio circostante è uguale a quello dei biglietti di auguri che spediva da bambino.
Insomma, tutto quello è bello e vorrebbe che Sherlock si sforzasse di apprezzarlo almeno un po’. Alza gli occhi verso il cielo grigio ed i fiocchi che volteggiano nell’aria e, d’istinto, apre la bocca, cercando di catturarne uno sulla punta della lingua, ma i fiocchi gli danzano attorno e sembrano sfuggirgli di proposito, finché, camminando all’indietro, non sprofonda in un cumulo di neve troppo soffice e cade col sedere a terra.
“Cosa stai facendo?” gli domanda Sherlock, che lo sta occhieggiando con sospetto da dietro la porta socchiusa.
“Voglio mangiare un fiocco di neve.”
“Assai improbabile che tu ci riesca: il fiato caldo che esce dalla tua bocca si scontra con l’aria più fredda e pesante e modifica la traiettoria dei fiocchi.”
“Grazie per la lezione di fisica.”
“Perché vuoi farlo, comunque?”
“La neve ha un buon sapore. Se in casa ci fosse dello sciroppo di amarena, potemmo preparare delle granite. Da piccoli io ed Harry lo facevamo sempre.”
“Te lo sconsiglio: la foresta nera sta scomparendo a causa delle piogge acide ricche di zolfo ed azoto.”
“Smettila! - ribatte John, irritato - E’ Natale e sta nevicando: perché non provi semplicemente a divertirti? Lasciati coinvolgere dall’atmosfera, ripensa a quando eri bambino!”
“Io ricordo solo che la neve era una gran seccatura, io e Mycroft dovevamo alzarci un’ora prima per andare a scuola.”
“Un attimo: vuoi dire che non hai mai fatto a palle di neve con gli amici?”
“Io non ho mai avuto amici?”
“Un angelo nella neve?”
“E cosa sarebbe?”
“Questo.”
Il dottore si sdraia, agita le gambe e le braccia e poi si sposta per mostrare a Sherlock l’impronta lasciata nella neve.
“No, non ho mai fatto nulla del genere.”
L’espressione di John passa rapidamente dall’incredulità alla pena man mano che Sherlock continua a scuotere la testa, ed alla fine gli rivolge uno sguardo dispiaciuto,che però ha come unico effetto quello di far sbuffare il suo compagno.
“Facciamone uno adesso.”
“Facciamo cosa?”
“Un angelo, oppure, meglio ancora, un pupazzo.”
“Non puoi essere serio.”
“Lo sono.” ribatte John con decisione.
“Perché?”
“Per farti vedere come ci si diverte con la neve.”
“Risparmiami la tua commiserazione sulla mia infanzia gettata al vento.” sibila Sherlock.
“Io non volevo…”
“Vuoi fare qualcosa per me? Trovami delle sigarette o portami via da qua, perché mi sto annoiando a morte!” detto questo, sbatte la porta di casa così forte da far cadere un bel po’ di neve dal tetto.
“Come vuoi! - sbraita contro la porta chiusa - Allora me lo faccio da solo.”
Si sente un idiota per essersi illuso che, una volta tanto, Sherlock volesse fare qualcosa con lui che non fosse indagare su un omicidio, qualcosa da coppia normale, insomma.
Da innamorati.
“Ma figuriamoci.” borbotta tra i denti, mentre inizia a raccogliere la neve.
Fa così freddo che le dita gli si intorpidiscono nonostante i pesanti guanti da sci che indossa e far rotolare una grossa massa di neve da solo non è assolutamente divertente. Oltretutto l’agglomerato si rifiuta categoricamente di assumere una forma sferica, così John finisce per impilare tre palle che ricordano più una bizzarra statua astratta del MoMA che un pupazzo natalizio e nemmeno i rametti che usa per fargli le braccia migliorano la situazione.
John rientra in casa di pessimo umore e le dita delle mani ricoperte di geloni e, dal momento che Sherlock ha deciso di comportarsi come un bambino capriccioso, lui farà altrettanto, pertanto non gli rivolge la parola per il resto della serata e poi si butta sul divano a guardare un talk show, di cui, ovviamente, non capisce una parola.
“Non faresti meglio a cercare una partita di calcio o qualcosa del genere?” suggerisce Sherlock, ma proprio perché è lui a dirlo, John si incaponisce a guardare tre tedeschi che litigano (almeno a giudicare dal tono di voce… perché in quel Paese sembrano tutti perennemente incazzati quando parlano?) in diretta, poi si alza per andare in camera. Quando sta per chiudere la porta, nota che Sherlock lo sta guardando con la bocca socchiusa e le sopracciglia leggermente contratte, quasi fosse sul punto di dire qualcosa, forse persino “scusa”. Ora però non ha alcuna voglia di ascoltarlo e lo chiude fuori.
Il mattino dopo nevica ancora e anche John inizia ad averne le palle piene di quel tempo: a ben pensarci tre giorni confinati in un bilocale in mezzo al nulla non sono poi così divertenti. O meglio, lo sarebbero stati se Sherlock non fosse stato così di cattivo umore da rovinare qualsiasi suo tentativo di goderseli.
Come da copione, Sherlock non è in casa: è uscito e si è divertito a far danni, perché le stalattiti di ghiaccio che tanto voleva fotografare sono state staccate dalla grondaia ed infilzate a casaccio nel suo povero pupazzo di neve, dando alla scena un’impronta fortemente kinghiana che farebbe scappare chiunque in preda al terrore.
“Stupido! - esclama John tirando una pedata al pupazzo, che si spappola a terra - Devi sempre distruggere tutte le cose belle.”
Una serie di impronte fresche nella coltre bianca gli annunciano che l’assassino di pupazzi di neve deve aver perso completamente la ragione, perché sta veramente cercando di tornare in paese a piedi sotto una nevicata impietosa.
“Idiota. Colossale idiota! Meriterebbe sul serio di crepare assiderato e venir sbranato dai lupi.”
Tuttavia, mentre inveisce così, John si affretta verso il ripostiglio adiacente alla baita, controlla la motoslitta che Sherlock non era riuscito ad avviare e, dopo averci smanettato qualche minuto (le candele erano un po’ sporche), il mezzo si accende e John segue le tracce del consulente investigativo.
Non ci mette poi molto a raggiungerlo, perché Sherlock non indossa le racchette da neve, quindi affonda fino al ginocchio ad ogni passo e, sollevando la gamba, rischia costantemente di perdere l’equilibrio e cadere a faccia in giù. Si ferma quando sente il rumore del motore e aspetta che John lo raggiunga.
“Almeno usa questa, così non ti avrò sulla coscienza.” Smonta di sella con poca grazia e si volta per tornare indietro.
“Tu non vieni?”
“No, non sia mai che ti imponga la mia sgradevolissima presenza più del necessario.” Si allontana tutto impettito, ma dopo pochi passi finisce per caracollare a terra.
“Non è così - Sherlock ignora la motoslitta ed arranca nella coltre bianca per raggiungerlo - non sono arrabbiato con te.”
“Ah no? E allora perché hai accoltellato a morte il mio povero pupazzo di neve? Che ti ha fatto di male?” sbraita il dottore, rialzandosi, solo per affondare di nuovo nella neve dopo due passi, le sue imprecazioni che si perdono nel vento.
“Non era una molecola di biossido di azoto?” chiede Sherlock, esitante.
“Una… cosa?”
“Pensavo fosse la rappresentazione di una molecola, ma mancavano i legami chimici, così li ho aggiunti io.”
Oh.
Quindi non voleva distruggere quello che aveva fatto, ha cercato di aiutarlo, di fare qualcosa insieme. John nasconde il viso tra le mani “Solo tu puoi pensare che una persona si prenda la briga di fare molecole di neve.”
“Mi dispiace - mormora il detective - ero così arrabbiato per essere cascato nel trucco di mia mamma che non ho più pensato ad altro e, forse, ho esagerato. Un po’.”
“Un po’, eh?” ribatte John con sarcasmo da dietro i guanti.
“Tu ci tenevi a passare il Natale da solo con me ed io ho rovinato tutto.” Il suo tono mortificato sembra sincero.
“Dai, aiutami ad alzarmi.” dice così John, ma quando Sherlock gli porge una mano, lo tira con forza, lo tira giù con sé e lo zittisce con un bacio.
“Idiota. Biossido di azoto?” John scuote la testa.
“Ci assomigliava vagamente.”
“Cosa vuoi fare? Torniamo a Urukhai?”
“Unterharmersbach.”
“Quel cazzo che è.”
“No. Uhm... pensavo… - sussurra Sherlock facendo scorrere le labbra sulla guancia del suo compagno - che la baita è prenotata fino a domani, potremmo…”
John cattura di nuovo la sua bocca “E’ l’idea migliore che hai avuto da quando abbiamo lasciato Londra.”
Si rialzano e tornano verso il loro chalet e, mentre Sherlock lo precede di qualche passo, a John viene un’idea, perché proprio non gli va giù l’immagine di uno Sherlock bambino che non ha mai goduto delle cose divertenti che si possono fare d’inverno.
Raccoglie una manciata di neve e gliela tira addosso, centrandolo sulla nuca.
“JOHN! Cos-” Sherlock si gira di scatto, ma la sua espressione indignata ed altezzosa viene nascosta da un’altra palla di neve che gli si spalma sul viso. “Smettila subito.” grida, alzando le mani per proteggersi da quel bombardamento.
“Oh, non ci penso nemmeno!” risponde John, continuando a bersagliarlo.
“John Watson, te la sei andata a cercare!” lo minaccia Holmes, raccogliendo a sua volta una generosa quantità di neve e scagliandogliela contro, ma l’ex soldato si scansa.
“Mancato.”
Sherlock ci prova ancora, ma John schiva il colpo e poi risponde “Hai una pessima mira, lo sai?” Per diversi minuti ingaggiano una battaglia senza esclusione di colpi e John è in netto vantaggio, finché non cerca riparo dietro al tronco di un abete, contro cui si infrangono le palle tirate da Sherlock. Si sporge leggermente, in tempo per vedere Sherlock scagliare il suo globo di neve molto in alto, quasi sulla cima dell’albero.
“Ma dove tiri?” domanda John tra le risate.
In realtà è tutto calcolato, perché la palla colpisce la neve depositata sui rami più alti, che cade e, in un effetto a catena, trascina giù altra neve e John viene sepolto da una valanga in miniatura.
“Mai mettersi contro uno scienziato. - grida Sherlock, avvicinandosi al compagno - Però, almeno, adesso assomigli ad un pupazzo di neve.”
“Questa me la paghi!” John si lancia fuori dal cumulo con un grido, allargando le braccia, e forse è più simile ad uno yeti, Sherlock corre via, ma l’ex soldato lo raggiunge, lo cintura e lo fa cadere a terra, poi, senza troppi complimenti, afferra una manciata di neve e la fa scivolare sotto il colletto della camicia.
Sherlock urla e si divincola, si gira e spalma una manata di neve gelida sul viso di John. “Ti sta bene!” esclama ridendo.
“Va bene, va bene - il dottore gli afferra il polso - tregua.”
Vorrebbe continuare a ridere come un cretino, ma poi il suo sguardo è attirato dai capelli disordinati e fradici del detective e dalle sue guance arrossate dal freddo e l’atmosfera cambia istantaneamente. Anche Sherlock smette di ridere ed afferra John per la nuca, attirandolo verso di sé per baciarlo.
Sono baci elettrici, appassionati, decisamente più erotici di quelli che si sono scambiati finora e per qualche minuto John si dimentica completamente della temperatura sottozero e del vento gelido, prima che il dottore che in lui gli suggerisca di cambiare la location di quell’incontro.
“Che ne dici… ah - cerca di dire, mentre Sherlock gli lecca via un fiocco di neve dall’angolo della bocca - se ci trasferiamo in casa?”
“Direi che è un’ottima idea, Jawn - gli miagola il moro nell’orecchio, facendolo rabbrividire - così potremo anche alleggerire la tua valigia prima del rientro.”
“Eh?”
“La confezione di preservativi. Credevi davvero che non me ne fossi accorto?”
Se fossero in un cartone animato, ora John sarebbe completamente paonazzo e la sua temperatura corporea avrebbe fatto squagliare la neve in tutta la radura, ma dato che sono nella realtà, si limita a farsi andare la saliva di traverso e finisce per tossire violentemente accovacciato accanto a Sherlock, che gli assesta qualche pacca tra le scapole.
“Io non volevo… cioè, sì, lo voglio, ma… se tu non vuoi va bene, non devi solo perché…”
La sua sfilza di insensataggini viene interrotta da un morsetto di Sherlock sul lobo dell’orecchio destro.
“Capisco che i tuoi neuroni siano paralizzati dal freddo, ma pensi che te l’avrei chiesto se non lo volessi?”
Mentre lo prende per mano e lo porta in casa, John pensa che deve assolutamente mandare un biglietto di ringraziamento a mamma Holmes, assieme ad un mazzo di fiori.

“Dove vai?” biascica Sherlock, passando un braccio attorno alla vita di John, che sta cercando di scivolare fuori dal letto.
“A preparare la colazione, e poi i bagagli, oggi dobbiamo partire.”
“Mmh, no. - Sherlock si stringe contro la sua schiena nuda - Oggi non ci muoviamo di qui, nevica ancora.”
“A me sembra che ci sia il sole, invece.” risponde John, ma poi prende ad accarezzargli il braccio.
“No, fidati: nevica. - sussurra Sherlock baciandolo sotto l’orecchio - e nevicherà ancora a lungo.”

FINE

   
 
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