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Autore: Hotaru_Tomoe    02/03/2014    8 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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All'inizio l'avevo messa solo su Tumblr, ma poi mi sono accorta che ha una lunghezza più o meno dignitosa e allora l'ho postata anche qui. E' ispirata a questa fanart.

I'M HERE

Sherlock sta avendo un incubo, di nuovo e, prima che John possa fare qualcosa, si sveglia di soprassalto, il respiro affannato e gli occhi spalancati.
"Respira, Sherlock: è stato solo un brutto sogno."
"Io-io..."
"Ssh. Rimettiti a dormire."
"No, non voglio."
"Devi farlo, hai bisogno di riposare."
"Ma..."
"Vieni qua." John lo abbraccia, manovrando il suo corpo finché Sherlock non appoggia la fronte al suo mento. Un braccio di John gli circonda la schiena, l'altro la testa e una mano gli accarezza i riccioli densi, creando un bozzolo di calore che lo protegge.
"Non preoccuparti, io sono qui. Dormi."
E mentre il respiro di Sherlock si fa regolare, John chiude gli occhi, ma resta sveglio e ricorda, ancora una volta, gli avvenimenti degli ultimi quattro mesi.

Mycroft aveva sbagliato i calcoli: Sherlock era riuscito a portare a termine la sua missione in cinque mesi. Tuttavia venne ferito gravemente e fu riportato a Londra più morto che vivo.
I dottori non avevano molte speranze: Sherlock aveva una grave setticemia, non era cosciente al momento e, inoltre, pochi mesi prima gli avevano sparato, quindi, sebbene avesse un fisico forte, i familiari dovevano prepararsi al peggio. John fu informato dai genitori di Sherlock e corse in ospedale.
"Mi piacerebbe restare accanto a lui - disse John alla mamma di Sherlock con aria umile e mortificata - so che non sono un parente, ma..."
"John, tesoro, non essere sciocco: tu più di tutti hai diritto di essere qui." Così, da quel momento, John passò ogni momento libero accanto al suo letto d'ospedale, seduto in una scomoda sedia di plastica, la mano di Sherlock nella sua.
"Coraggio, Sherlock. So che puoi farcela, so che puoi sorprendere tutti ancora una volta."
John passava giornate intere a mormorargli frasi di incoraggiamento.
Un giorno, mentre un medico stava visitando Sherlock, John chiese "Se non gli avessero sparato, oggi le sue probabilità sarebbero maggiori?"
Il dottore non si girò nemmeno per rispondergli "Lei è un medico come me, sa perfettamente che è così."
John non seppe perché fece quella domanda: in fondo lui aveva perdonato Mary per quello che aveva fatto, giusto? Giusto?
Guardando Sherlock, pallido e morente su quel letto d'ospedale, non ne era più così sicuro.
Qualche giorno dopo Sherlock ebbe una crisi cardiaca ed i medici lo salvarono per un pelo.
"Ti prego, non farmi questo, Sherlock. Non andare dove non posso raggiungerti."
Si sentiva profondamente in colpa: non avrebbe mai dovuto lasciare che partisse per quella missione suicida. Sherlock, il suo prezioso, unico, meraviglioso Sherlock aveva sacrificato ogni cosa per la sua felicità e lui non aveva fatto nulla in cambio.
Nulla.
John odiava se stesso.
"Forse non sono più degno di essere tuo amico, ma ti prego ugualmente: torna da me, Sherlock. Ti prego, torna da me." mormorò, stringendo la sua mano contro la bocca.
Quella sera, quando John tornò a casa, litigò con Mary.
"Oh, quindi esisti ancora." fu il sarcastico saluto di sua moglie.
"Questo cosa significa?" John era esausto, spaventato e non aveva bisogno di quelle stronzate, non in quel momento.
"Significa che non ti vedo da tre giorni. Ti ricordi ancora di avere una moglie ed una figlia, sì? Ci stai trascurando."
John urlò "Sherlock sta morendo!"
"Non è colpa tua."
"Tu credi? Tu ricordi perché è dovuto andare in missione, in primo luogo?"
Mary sospirò "John, Sherlock ha ucciso Magnussen per darci la possibilità di avere una vita normale. Io credo che tu debba concentrarti solo su questo adesso, sulla nostra famiglia."
E, in quel momento, John vide Mary per quello che era davvero: ella aveva ottenuto ciò che voleva, una nuova vita, una bella casa, un marito e una bambina, ma non le importava nulla del sacrificio di Sherlock.
Sicuramente non era la prima volta che Mary calpestava qualcuno per avere ciò che voleva. John fu attraversato da un brivido di repulsione ed orrore e fu certo che Mary lo notò.
La bambina iniziò a piangere. John la prese in braccio e le diede il biberon.
"Vedi? Posso essere un buon padre anche se resto al capezzale del mio migliore amico morente."
"Ed un marito? Puoi essere anche un marito? Io ho bisogno di saperlo."
John non rispose.
Cosa che era di per sé una risposta.
John continuò ad andare a visitare Sherlock in ospedale non fu sorpreso quando, tornando a casa una sera, non trovò più né Mary, né la bambina.
Sul tavolo c'era una busta: conteneva una lettera e l'anello di Mary. La lettera gli raccomandava di trovare un avvocato per mettersi d'accordo sulle visite alla bambina. Lei non chiedeva soldi: era in grado di provvedere a se stessa.
Logico: Mary aveva sempre avuto un piano B nella vita.
Lui, invece, non aveva più nulla.
Poteva solo pregare un dio nel quale non credeva di salvare la vita a Sherlock.
Contrariamente alle fosche previsioni dei dottori, Sherlock si riprese e sconfisse la setticemia.
"Ti amo." Questa fu la prima cosa che John gli disse quando Sherlock aprì gli occhi.
Sherlock era ancora intubato e non poteva parlare, ma sorrise.
Il consulente investigativo restò ancora per molto tempo in ospedale, perché era molto debole, sofferente, debilitato, ma alla fine tornò a Baker Street, e John con lui.
"Non devi - disse Sherlock - tu hai scelto lei."
"Sì. La scelta peggiore di tutta la mia vita."
E quella fu l'unica volta in cui parlarono di Mary.

Ora Sherlock sta un po' meglio. La strada verso la guarigione è ancora lunga, ma John starà sempre accanto a lui e lo aiuterà ogni volta che ne avrà bisogno.
Quando crede che Sherlock si sia addormentato di nuovo, smette di accarezzargli i capelli.
"Non fermarti!" la voce lamentosa di Sherlock si fa sentire ancora.
"Va bene."
"Scusami."
"Per cosa?"
"Io sono ancora malato e tu sei costretto a fare da infermiere a me."
"No. - John gli prende il viso tra le mani e appoggia le labbra sulla sua fronte - Io non sono qui perché devo, ma perché lo voglio. Sherlock, guardami negli occhi."
Sherlock lo fa e John lo bacia di nuovo, questa volta sulla punta del naso.
"Io sono qui per restare, perché io ti amo ed è qui che io voglio essere. Supereremo questo insieme e poi sarà di nuovo noi..."
"... contro il resto del mondo."
"Sì, amore mio."
Sherlock sorride: non è ancora abituato ad essere chiamato così da John, ma gli piace moltissimo. Appoggia la testa sulla spalla di John e finalmente si addormenta.
John lo abbraccia di nuovo e poi chiude gli occhi e non pensa più al passato, ma al futuro che lo aspetta assieme all'uomo che ama.

   
 
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