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Autore: Water_wolf    24/02/2014    13 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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•Alex•

Sussultai a quella domanda; perché me l’aveva fatta? Cosa dovevo rispondere? Io ci tenevo un sacco a lei. L’avevo difesa dalle ingiurie che le erano state lanciate ed ero disposto a proteggerla da qualsiasi cosa la minacciasse, ma mi piaceva davvero? Volevo davvero lei?
Difficile da dirsi, perché mi piaceva, davvero tanto, ma i miei timori erano quelli di deluderla. Non volevo tradirla o illuderla. Inoltre, c’era la possibilità che mio padre non approvasse e che ci fulminasse tutti e due sul posto – anche se ce l’aveva fin troppo con me, ormai. Dovevo correre il rischio di dirle la verità?
Ok… ora o mai più, figlio di Odino. Stai per andare alla morte. Dille la verità e non pensarci più, pensai, tentando di non arrossire più di quel che ero già.
«Ecco… io…» cercai di trovare parole diverse da un banale “sì”, ma la voce non mi uscì.
«Alex!»
L’urlo di mia sorella Nora mi riportò alla realtà, mi stava chiamando, indicando una mischia tra i figli di Thor e Tyr, entrambi intenzionati ad appropriarsi delle cabine più vicine all’armeria. Deglutii e guardai Astrid, che sembrava in attesa. Eppure capì che non potevo trattenermi.
«Vai, comandante… hanno bisogno del tuo aiuto» sorrise la figlia di Hell, ma era un sorriso dietro cui, mi resi conto, nascondeva delusione.
Il giorno passò tra i preparativi per la battaglia che, sapevamo, avremmo dovuto affrontare al più presto. Alyssa ed Einar stavano cercando di portare all’ordine i loro fratelli, i figli di Loki, di Thor e Tyr avevano trovato l’accordo di mettersi gli una alla destra, gli altri alla sinistra dell’armeria e si erano messi a lucidare le spade e le asce. Qualcuno si allenava.
Danny e Petra, insieme ai loro fratelli, aiutavano i figli di Vidarr a manovrare la Skidbladnir, che era diventata qualcosa che ricordava la fusione era una drakkar antica e una moderna nave da guerra, con comandi computerizzati, sistemi di navigazione e tracciamento rotta moderni, remi meccanici che si muovevano senza bisogno di equipaggio e delle baliste sulla prua a caricamento automatico, pronte a bombardare i nemici in avvicinamento.
I figli di Ullr erano intenti a leggere miti dell’Antica Grecia, alla ricerca di informazioni sui loro possibili avversari futuri. Il mare era stranamente calmo: a quanto pare mio padre aveva ritirato l’ordine di affondarci.
Osservai il fodero in pelle che mi aveva consegnato Einar: era uno dei cimeli di Hermdor, una reliquia potente che lui teneva al sicuro nella Sala dei Trofei. Lui stesso se ne occupava e sospettai che sarebbe andato su tutte le furie, una volta scoperto il furto. Ma ne avevo bisogno: se volevo vivere, quella spada mi era indispensabile.
Ed eccola lì, la più famosa delle spade leggendarie: Excalibur, la spada di Artù, re d’Inghilterra, primo signore di tutte le Orde e figlio di Odino. Non era una spada in Acciaio Asgardiano qualunque. La sua impugnatura fatta di osso di drago, coperto da una patina d’oro, era finemente lavorata, formava un’impugnatura adatta sia per uno scontro con una mano, sia con quello a due.
Una lama di circa novanta centimetri si estendeva in avanti formata in acciaio asgardiano, ma la parte centrale era particolare, come se diventasse di puro argento, incisa di rune antiche, la cui magia era così potente da poter competere con un arma divina.
Ed era stata la rovina di molti eroi. L’orgoglio di possedere un’arma di quella potenza aveva accecato molti, portandoli a compiere imprese che andavano oltre la loro portata, ma io ne avevo bisogno. Solo il suo potere mi avrebbe potuto salvare.
In mano sentivo Excalibur vibrare di energia: l’arma benedetta da mio padre in persona non veniva brandita da più di mille anni e la sua magia si era preservata forte. Le rune sembravano piccoli diamanti brillanti, che emanavano un tenue bagliore e il fodero incantato sembrava adattarsi alla mia schiena, quasi non ce l’avessi nemmeno attaccato.
L’antica lama non solo era la più famosa delle spade magiche, ma anche la più potente: la sua fama era ben meritata dato che era stata creata da Vidarr in persona. Finché la tenevo in mano, i mostri non mi avrebbero mai ferito e qualsiasi potere o magia sovrannaturale, anche se di origine divina, sarebbe stato deviato o assorbito. Un grande vantaggio in battaglia, anche se i miei timori erano altri: i titani erano più che veri mostri, loro avrebbero potuto uccidermi facilmente.
Scacciai il pensiero: sarei tornato vivo. Lo dovevo a mia madre, ai miei amici… ad Astrid. La sera arrivò presto ed io mi ritirai nella mia cabina, insieme ad Einar, mentre Astrid e Nora si ritiravano nella loro.
«Allora, capo, come ti senti?» chiese il figlio di Loki, giocherellando con la sua spada in acciaio Asgardiano.
Sbuffai. Come dovevo sentirmi, secondo lui? Dovette accorgersi della mia espressione, perché sospirò, abbandonando i suoi soliti modi scherzosi ed irritanti. Ecco come lo apprezzavo: sincero. Einar era un figlio di Loki, ma sapeva essere onesto ed era un buon amico.
Mi aveva da subito sostenuto nel mio piano e aveva convinto suoi fratelli ad unirsi alla spedizione. Per quanto possa sembrare impossibile, di lui mi fidavo.
«Ascolta, Al… Non so come ti senti, ma tutti, in questa nave, immaginano cosa stai passando. Se volessi tornare indietro nessuno ti darebbe del codardo» disse, assumendo un aria seria.
«Lo so, ma non è per quello che vado» spiegai, sdraiandomi sul letto, cercando di non pensare a tutte le cose orribili che Hell mi avrebbe potuto fare. L’anno scorso le avevo sparato un fulmine in mezzo agli occhi. Per lei sarebbe stato il massimo della gioia potermi avere tutto per sé e giocare con la mia anima.
«Lo so, credimi… giuri sull’Isola di Foreseti, ci sono cose peggiori dell’Hellheim. Be’, amico, lasciatelo dire, sei sempre stato troppo nobile e troppo ansioso di aiutare il prossimo» sbuffò Einar, buttandosi sul letto con aria annoiata.
«Già» conclusi, cercando di non pensare a quello che mi sarebbe potuto accadere.
 
Passarono due giorni di navigazione. La Skidbladnir era velocissima e poteva percorrere una distanza incredibile come quella dell’Atlantico in poco tempo. Ci rendemmo conto di essere entrati in territorio greco quando Danny e Petra smisero di surfarci intorno, affermando che le onde stavano iniziando a diventare difficili da controllare. Eravamo entrati nel territorio di Poseidone ed era Percy, adesso, in vantaggio.
Era così che funzionava: fuori dalla nostra area, i nostri poteri si indebolivano, come quando Nico era entrato negli Inferi norreni. Lì, non era più riuscito a controllare i morti come aveva sempre fatto. In quel periodo non accadde nulla di eccitante. Io mi limitavo a parlare con Astrid, Einar, Nora o Helen, mentre tutti gli altri continuavano le loro attività – ho perso il conto di quanti palloni di basket i figli di Baldr abbiano buttato, per sbaglio, fuoribordo. Se doveste passare per l’Atlantico e vedeste un pallone da basket, potete restituirlo?
Ogni tanto cercavo di riattaccare il discorso che avevo interrotto con Astrid, ma, ovviamente, ogni volta che ci provavo, il mio cervello esplodeva a causa dell’imbarazzo, quindi iniziavo a parlare di altro, incapace di guardarla negli occhi.
Molti erano eccitati: navigare su una drakkar verso una battaglia faceva venire in mente le gesta dei nostri più coraggiosi antenati del passato, che veleggiavano senza paura contro i nemici. Tanti si davano arie da grandi guerrieri, ma intuii che era solo un modo per esorcizzare la paura. Era pomeriggio del terzo giorno di navigazione quando qualcuno mi richiamò.
«Comandante, qualcosa all’orizzonte!»
L’urlo veniva dalla coffa: Kinnon, un figlio di Heimdallr, dalla vista così acuta da non aver bisogno di cannocchiale, indicò qualcosa all’orizzonte. Una viverna… no! Era un pegaso! Una cavalcatura volante greca.
Stava volando verso nord-ovest e dalla mia distanza non potevo nemmeno vederli, ma di sicuro Kinnon sì. Corsi al castello di poppa, dove i comandi modernizzati della vecchia drakkar emettevano suoni e brillii comprensibili solo a quegli aggiusta-tutto dei figli di Vidarr.
Secondo il sistema di navigazione la nostra amata nave aveva già percorso più di tre quarti del viaggio.
Ancora qualche giorno e saremo arrivati a destinazione. Forse solo un giorno. In quel momento, però, qualcosa mi avvertì del pericolo: stava per succedere qualcosa e quel pegaso non era un buon segno. Pur essendo al di fuori di qualsiasi regola del buon senso, decisi di seguire il mio istinto.
«Seguite quel pegaso! Spingete i motori a tutta forza e date l’allarme! Preparate le armi allo scontro!» ordinai, maledicendo la sfortuna. Eravamo partiti da pochi giorni e già dovevamo affrontare uno scontro?
 
♠Percy♠
Listen to this soundtrack while reading! ---> https://www.youtube.com/watch?v=EFpnW5En33M
 
Dannazione, dannazione e ancora dannazione! Mi chiamo Percy Jackson e sono, probabilmente, il semidio figlio di Poseidone più stupido di tutto il mondo greco. Ormai era la fine, ne ero certo. Crono – o meglio, Crono dentro Luke – mi aveva messo all’angolo e Bekendorf era a terra, tenuto in piedi da due giganti iperborei.
Era ferito e il labbro spaccato colava sangue. Sul suolo c’erano una decina di scatolette di latta. Ethan si stava allontanando spaventato, alla ricerca degli esplosivi, mentre Crono mi mostrava una specie di ciondolo a forma di falce che portava al braccio.
«Non puoi fidarti nemmeno degli amici, ti deludono sempre» mi derise il titano, con un sorriso freddo stampato in faccia.
La ferita alla spalla mi stava sottraendo lucidità, impendendomi di ragionare, ma riuscii comunque a biascicare: «Un dispositivo di comunicazione… Una spia al Campo.»
Beckendorf continuava a guardarmi, cercando di comunicare, sillabando la parola “Vai!” con le labbra. Avrei voluto urlare “No!”. Non l’avrei mai abbandonato. Non sarebbe mai riuscito a salvarsi.
Poi, però, accadde qualcosa che non mi aspettai: l’aria fu attraversata da una strana musica, tanto che pensai di essere impazzito. Era proprio la colonna sonora di “Pirati dei Caraibi”. Tutti, mostri, semidei e Crono si guardarono intorno sorpresi. In effetti, non capii come diavolo potesse esserci una musica del genere, in mezzo al mare.
Poi un ordine risuonò, simile ad un “Silenzio! Avevo detto di sorpresa! SPEGNETE QUELLO STEREO!” Ed era una voce stranamente familiare.
«Andate a controllare!» ordinò subito Crono, improvvisamente nervoso, stava succedendo qualcosa e, forse, per una volta la fortuna girava a nostro favore.
«Non possiamo permet–»
Poi fu il caos. Una gigantesca nave antica, simile ad una trireme, emerse dalla nebbia che avvolgeva la Principessa Andromeda. La forma, però, era più affusolata, fatta per speronare; ai lati c’era una sola fila di remi e degli scudi tondi in acciaio scintillavano nella notte come decine di stelle. Al posto della polena c’era un potente rostro di acciaio e la prua era rialzata, scolpita a creare il volto stilizzato di un drago. Sul ponte c’erano almeno trenta mezzosangue, quasi tutti pallidi e dai capelli biondi, armati di lance, spade ed asce al comando di un ragazzo che conoscevo bene.
«Alex!» urlai, sorridendo nonostante la situazione disperata.
Lui mi vide e i suoi occhi si infiammarono di rabbia. Sapevo che non sopportava vedere i suoi amici in difficoltà, ma io mi sentivo leggero. Non riuscivo a credere che fosse capitato lì proprio in quel momento. Le due navi si scontrarono e tutti noi, compresi me e Beckendorf, cademmo a terra storditi. Mi sentii come se il pavimento sotto di me fosse diventato di gelatina.
«Uccidiamo i mostri! Per Asgard!» esclamò, mulinando una spada che non avevo mai visto.
«PER ASGARD!»
Gridando, una ventina di inarrestabili semidei vichinghi si riversò sul ponte della Principessa Andromeda, mentre i mostri erano ancora a terra. Dracene, giganti e Lestrigoni vennero infilzati prima ancora di poter riprendere l’equilibrio, mentre i guerrieri ancora sulla nave tiravano frecce. Beckendorf strisciò via, avvicinandosi a me.
«Andiamocene…» sussurrò debolmente.
Era gravemente ferito e stanco, ma riuscì, comunque, ad issarsi sui gomiti.
«Fermateli!»
L’urlo di Crono fu fermato da un figlio di Thor che gli tirò una martellata in faccia, mandandolo dall’altra parte della nave. Alex era in armatura e mulinava la sua nuova spada, mandando in polvere ogni mostro che aveva la malsana idea di intralciarlo.
«Andiamo, ragazzi! Non possiamo aspettarvi tutto il giorno!»
Alle mie spalle le onde si alzarono e apparvero un giovane che avevo già intravisto al Campo Nord e una ragazza dai capelli blu elettrico. Le loro onde ci afferrarono, trascinandoci sott’acqua, come se fossero mani. Era strano, per me, non avere il controllo mentre nuotavo. Di solito ero abituato a dominare il mare, mentre in quel caso erano i due ragazzi a farlo, mentre surfavano, impalando i mostri con delle fiocine. Le onde ci catapultarono a bordo della nave norrena, mentre gli altri semidei ritornavano a bordo su ordine del loro comandante.
«Indietro tutta!» ordinò Alex, mettendo mano al timone.
Era un po’ strano vederlo al comando di così tanti ragazzi. Alcuni, molto più robusti di lui, pendevano dalle sue labbra senza fiatare. Inoltre, aveva un atteggiamento più duro, che mi ricordava vagamente il loro istruttore Hermdor. La ragazza dai capelli blu salì a bordo e, inarcando le sopracciglia, come se stesse compiendo un enorme sforzo, controllò le acqua, costringendo la loro nave a staccarsi dalla Principessa Andromeda.
Beckendorf capì che l’occasione era perfetta e premette il pulsante del comando a distanza che aveva al polso. Pochi istanti dopo, la nave di Crono esplose, sotto gli occhi sbalorditi di tutti i compagni di Alex, che ancora osservavano la nave piena di mostri.
L’onda d’urto ci raggiunse poco dopo, ma eravamo già lontani e ci scompigliò solo i capelli. Ero distrutto, ma terribilmente felice.
«Percy, che cavolo! Passa solo un mese, e già rischi la vita?»
Alex si era avvicinato a me, dandomi una pacca sulla spalla e una mano a rialzarmi.
«Sai com’è, di solito io la vita la passo sempre su un una poltrona a dormire» risposi di rimando, cercando di controllare il tremore al braccio ferito.
Cavolo se ero felice di vederlo e non da solo. Sul ponte c’erano una cinquantina di semidei vichinghi, armati e pronti alla battaglia. Alcuni erano riusciti a portare a bordo anche dei trofei, come corna, zoccoli o pezzi di armatura che mostravano felici ai loro compagni, urlando al cielo come degli ossessi, probabilmente un loro rituale di vittoria. Sembravano entusiasti della loro prima vittoria e ansiosi di menare le mani di nuovo.
«C’è tutta la tua orda?» chiesi, osservandoli ammirato. Finalmente rinforzi freschi.
«Sì, più qualcuno delle altre che voleva menare le mani. Stanno correndo un grosso rischio, ma nessuno di noi teme veramente la morte» rispose, con voce decisa.
Eppure lo sentii vacillare, come se stesse volutamente tenendo nascoste delle informazioni.
«E le altre orde? Verranno?»
Sperai ardentemente di sì. Un mese prima ero rimasto al loro Campo per un giorno, prima di tornare in volo al Campo Mezzosangue, e mi era bastato per vedere le Orde in azione in allenamento. Se ci fossero state tutte avremmo potuto prendere Crono a calci.
«Sfortunatamente no» fu la risposta che pose fine alle mie speranze. Anche Alex sembrava dispiaciuto e non potei dargli torto. Aveva promesso che ci avrebbe aiutati, ma si sentiva comunque responsabile per non aver fatto di più. Cercai di essere ottimista per tirarlo su.
«Avanti, possiamo farcela!»
Beckendorf, accanto a me, sorrise incoraggiante e provò ad alzarsi per dire qualcosa, ma le gambe non lo ressero e crollò sul ponte della nave in viaggio.
«Ehi, amico, che succede?»
«N-non… sto molto bene…» ammise il figlio di Efesto con un ansito.
Era ferito gravemente e io me l’ero completamente dimenticato, da quanto ero stupido. Mi voltai e guardai il mio amico del Campo Nord che fece cenno a due suoi compagni.
«Sarah, Lars! Portatelo sottocoperta e medicatelo. Non sta bene» disse con cipiglio autoritario.
Non era proprio un ordine, ma i due ubbidirono. La ragazza la riconobbi – quella che aveva minacciato Einar di castrazione –, immaginai che il ragazzo accanto fosse il fratello di parte divina. Accanto a me c’era ancora la ragazza dai capelli blu tinti. Sembrava molto provata, come se avesse fatto un grande sforzo.
«Ehi, stai male?» chiesi, preoccupato, avvicinandomi a lei.
Solo quando fui a pochi passi mi accorsi che aveva occhi verdi della mia stessa sfumatura.
«Certo… Dammi un attimo, sai, comandare il mare fuori dal territorio di mio padre non è una passeggiata. Comunque, piacere di conoscerti. Io sono Petra, figlia di Njordr» si presentò tra gli ansiti.
Era strano, ma mi ritrovai a cercare somiglianze tra me e lei. Aveva i capelli tinti, ma non le stavano male, e gli occhi, così simili ai miei, mi facevano una strana impressione: riuscivo a figurarmela come una mia sorella al Campo Mezzosangue.
«Piacere. Scusami, ma credo che i nostri genitori non si sopportino. Io sono figlio di Poseidone, il dio dei mari di queste parti» ridacchiai, notando come lei sembrava ansiosa di rimettersi in piedi per non mostrare debolezze.
«Allora, come dobbiamo chiamarci? Quasi parenti? A quel che so mio…»
Ma non completò la frase, perché un corpo fuoriuscì dal mare e suo fratello castano riemerse. Aveva un aria furibonda e battagliera e tutti gli altri si avvicinarono a lui che indicava ciò che aveva pescato.
Seguendo la traiettoria vidi che era una ragazza: aveva lunghi capelli neri, la pelle abbronzata e una ciocca dei capelli neri era tinta di blu. Me la ricordavo con abiti molto più succinti, rispetto a quelli che portava in quel momento. Era la figlia di Ecate che, un mese prima, avevo visto “intrattenere” Loki in sogno.
«È una di quelli che ci minacciano! È ancora viva!»
Alex si accigliò, si avvicinò alla ragazza e disse: «Fatela rinvenire, forse può dirci qualcosa di utile.»
Vidi Einar avvicinarsi alla mezzosangue ed esaminarla per un attimo, dopodiché le fece il massaggio cardiaco e un paio di respirazione bocca a bocca, costringendola ad espellere l’acqua che aveva bevuto.
«Ok, capo, dovrebbe sopravvivere» sentenziò, una volta assicuratosi che respirasse, asciugandosi le labbra.
«Bel colpo, amico, sempre il migliore, eh?»
Notai come tra Alex e il figlio di Loki le cose fossero cambiate. All’inizio della loro prima impresa sembravano non sopportarsi, ma in quel momento erano come veri amici. Ci volle un po’ per vederla riprendersi, ma i nostri compagni ne approfittarono per legarla, allontanando le armi, in modo che non potesse essere un pericolo.
Danny, per sicurezza, usò i suoi poteri per far uscire l’acqua residua dai suoi polmoni. Il liquido fuoriuscì dal naso e dalla bocca socchiusa della ragazza, che rinvenne subito dopo, tossendo.
«Dove sono?» si chiese, confusa, scuotendo la testa.
«Sei su una drakkar vichinga e sei nostra prigioniera» spiegò Alex imperturbabile, seduto davanti a lei.
Il grosso dell’orda si era dispersa, ma al suo fianco erano rimasti Astrid, Einar, l’astuto figlio di Loki, e Petra. La figlia di Ecate si irrigidì.
«Voi… non dovevate esserci! Io… non vi dirò nulla!»
Sembrava più terrorizzata che decisa e mi faceva un po’ pena. Sapeva che Crono non avrebbe mosso un dito per salvarla. Era sola nelle mani di coloro che lei credeva un nemico. Sperai che il mio amico si rivelasse gentile, d’altro canto, lo conoscevo come un ragazzo leale e amichevole, ma contro i nemici era una furia scatenata. Ma quello riguardava i mostri. Sperai si ricordasse che lei era, comunque, un’umana.
«Non ti ho chiesto nulla. Hai qualcosa da dirmi?» domandò, senza perdere la calma.
«No, non ho nulla da dire! Lasciami, ora!» sbottò la prigioniera, dimenandosi inutilmente.
Anche se fosse riuscita a liberarsi, sarebbe stata fermata prima che potesse avvicinarsi al parapetto.
«Non siamo tuoi nemici, vogliamo aiutarti» dissi, cercando di farla sentire a suo agio, ma ebbi in risposta solo uno sguardo fulminante.
«Allora perché mi avete legata? Tu sei un figlio degli dèi maggiori! Al Campo hai una casa tutta per te, mentre io ero stipata con quelli di Ermes. Mia madre è Ecate, dea della magia. È lei che controlla la Foschia, eppure non gli è nemmeno concesso l’onore di parlare al consiglio!»
Di nuovo mi sentii in imbarazzo. Quello che diceva era vero: le divinità minori si erano, quasi tutte, ribellate contro Zeus perché lui non aveva concesso loro un posto d’onore nel consiglio e perché i loro figlio non avevano una casa al Campo. Non potevo negare le loro fin troppo evidenti ragioni.
Eppure Crono era il male, sapevo che lui avrebbe distrutto tutto ciò a cui tenevo e non mi sarei arreso. Questo, però, non giustificava Zeus e gli altri Dèi per il loro comportamento.
«Quindi, lascerai che Crono distrugga tutto il tuo mondo per avere una casa migliore?»
A parlare era stato Alex che scrutava la figlia di Ecate con un odio che non avevo mai visto nei suoi occhi. Il suo corpo sembrava sul punto di prendere fuoco, ed effettivamente vidi del fumo levarsi dalla sua pelle. Anche la ragazza doveva essersi resa conto dell’imminente esplosione, perché tornò a concentrarsi su di lui, ma questa volta, era palesemente nervosa.
«No! Io… non c’entra la mia casa… voglio solo che sia fatta giustizia. Mia madre è importantissima, ma non ha mai avuto nessun onore! I miei fratelli sono considerati dei reietti e non hanno nemmeno la possibilità di essere riconosciuti» balbettò, esasperata.
Questa volta sembrava molto meno decisa a resistere: Alex aveva trovato un punto debole nelle sue difese. Infatti il suo corpo smise di fumare e lui si calmò. Sembrò quasi stanco, ma il suo tono non cambiò molto.
«Gli Dèi non sono mai giusti, e questo lo sai tu, come lo so io. So cosa si prova, credimi. Mio padre, come Zeus, non è uno stinco di santo, ma spesso un vero eroe deve saper chinare la testa davanti a queste ingiustizie. Sei davvero disposta a distruggere tutto, anche le cose migliori, solo perché Crono possa spodestare i tuoi Dèi?»
Per un lungo istante calò il silenzio sul ponte, rotto solo dal rollio della nave e l’impatto dei remi automatici sull’acqua.
Alla fine, la figlia di Ecate abbassò lo sguardo e parlò: «D’accordo, ma cosa mi farete? Chi mi garantisce che non mi farete del male o che non mi ucciderete, quando avrò detto tutto?»
«Non lo faremo mai!» sbottai indignato.
Nessuno di noi avrebbe fatto una cosa simile.
«Forse tu no, Jackson, ma i tuoi amici del Nord non sono altrettanto clementi» protestò, agitandosi leggermente sul posto.
Stavo per ribattere, quando il cervello mi fermò, riportando la mia poca attenzione a quello che ricordavo delle lezioni di storia quando ero ancora quello che si poteva definire uno “studente normale”.
Per cosa erano famosi i vichinghi? Ottimi navigatori, guerrieri senza pari, ma, soprattutto, noti per la loro crudeltà: nella storia si erano distinti per il loro temperamento sanguinario e la distruzione che portavano. Non mi sorpresi a pensare che la paura della semidea era giustificata. Ma Alex non era il tipo da uccidere a sangue freddo una ragazza, anche se nemica.
«So che voi giurate sullo Stige, per creare dei patti infrangibili, quindi giuro sullo Stige e sull’Isola di Foreseti che nessuno di noi, qui, ti farà del male, a meno che non sia tu per prima ad attaccarci» assicurò lui, senza batter ciglio.
Qualche figlio di Thor e Tyr sembrò poco felice di quella decisione, ma nessuno protestò. Di mio, fui felice di constatare che Alex riusciva a controllare la sua sete di sangue.
La figlia di Ecate sembrò rilassarsi un po’ ed inizio a parlare:  «Io so poco dei piani di Crono. So solo che, ultimamente, stava radunando molte truppe lontano dalla Principessa Andromeda. Ho sentito che progetta un attacco contro l’Olimpo e che la nave andava usata come esca, visto che sapeva che volevate distruggerla.»
«Aspetta, allora è vero che c’è una spia! Il nostro attacco non è servito a nulla!» esclamò Beckendorf, tornato sul ponte.
Aveva la gamba fasciata e riusciva a reggersi in piedi solo grazie ad una stampella, ma almeno non era in pericolo.
«Sì, è da diversi mesi che ci passa informazioni, ma non so chi sia. Crono non l’ha mai detto a nessuno» concluse la ragazza in tono neutro.
Non sembrava così dispiaciuta di parlarne, ma temeva sicuramente le rappresaglie del Signore dei Titani. Io e Alex ci guardammo intensamente per un attimo e capii che stavamo pensando la stessa cosa.
«Se c’è una spia, le cose potrebbero mettersi male, anche con l’aiuto del Campo Nord.»
«Grazie comunque» disse, infine, Alex, per poi rivolgersi ad Einar. «Portala di sotto e tienila lontana dagli altri membri dell’orda, sarete tu e Sarah ad occuparvene.»
Nessuno dei due fu molto felice, ma la figlia di Eir non obbiettò e sollevò di peso la prigioniera, che, però, si rivolse a me: «Jackson, tuo padre sta affrontando una guerra difficile, in fondo al mare. Oceano si è schierato con Crono e sta mettendo in grave difficoltà Poseidone. Per questo lui non è potuto intervenire contro di noi.»
Detto questo, fu condotta sottocoperta, lasciandomi con un nodo di preoccupazione che mi serrava la gola. La navigazione procedette bene per un’ora, mentre io, Charles, Astrid, Alex, il ragazzo di nome Lars e i due figli di Njordr parlavamo di quanto avevamo scoperto.
I due figli del mare non sembravano particolarmente preoccupati, anzi, non vedevano l’ora di buttarsi nella mischia, ma io lo ero eccome. Non solo per la spia al Campo, ma anche per la notizia che mio padre fosse in difficoltà.
«Se c’è una spia, allora, stiamo andando nella tana del lupo, soprattutto se c’è mio padre, con Crono» borbottò Einar, accigliato.
Per quanto potesse sembrare il tipico figlio di Loki, pungente e ironico, sapevo che non gli piaceva parlarne.
«Non c’è da preoccuparsi: tutti gli Dèi Asgardiani hanno avuto un divieto esplicito di non mettere piede in territorio americano» gli ricordò Petra, facendo roteare la sua fiocina come se fosse il bastone di una majoret – sperai vivamente che sapesse tenerla in mano, non volevo che mi cavasse un occhio, per sbaglio.
«Sappiamo bene che Loki è un bastardo di prima categoria. Dagli un ordine o un divieto e lui lo infrangerà per il puro gusto di farlo. Sono certo che ce lo ritroveremo tra i piedi» disse il figlio di Odino, pensieroso.
Sapevo che aveva ragione: l’anno scorso l’avevo visto in sogno che trattava l’alleanza con il Signore dei Titani.
«Allora, gli daremo una lezione. Siamo venuti qui per combattere e combatteremo!» sentenziò una ragazza dai corti capelli biondi, che si affiancò a noi sul ponte, per poi rivolgersi a me.
«Tu devi essere Percy Jackson. Io sono Nora e sono la sorella di parte divina del nostro comandante.»
«Piacere» risposi, stringendole la mano, e io sentii la mia scricchiolare sotto la sua forte.
«Allora non abbiamo tempo da perdere. Avanti tutta! Voglio raggiungere il campo entro domani mattina» ordinò Alex, rivolto al resto della ciurma.
I figli di Vidarr si mossero subito per portare a pieno regime i macchinari che muovevano i remi automatici della drakar, ma io avevo altre cose per la mente. Per quanto sapessi che un dio non potesse morire, c’erano cose ben peggiori che potevano capitare: potevano sparire, essere dimenticati, distrutti, fatti a pezzi o esiliati nel Tartaro.
Temevo fosse in pericolo, così decisi di andare al suo palazzo. Andai dove sapevo essere la cabina di Alex e Astrid per raccontare della mia decisione.
«Sei sicuro?» mi chiese infine, la figlia di Hell, preoccupata.
«Non penso di avere altra scelta. Voglio assicurarmi che mio padre stia bene. Anche se è un dio, potrebbe essere comunque, in pericolo» spiegai, cercando di trattenere l’ansia.
«D’accordo, amico mio. Vai pure, credo che arriverai prima. Qui il mare ti è favorevole, ce la farai in tempo» disse il figlio di Odino, sorridendomi, dandomi una pacca sulla spalla.
«Grazie, sono felice di rivedervi. Davvero, mi state aiutando un sacco. Vi devo più di un’impresa.»
Ero davvero grato per la loro amicizia. Grazie a loro, forse, avremmo avuto una possibilità di vittoria. “
«Buona fortuna, Percy. Ci occuperemo noi di riportare il tuo amico al Campo» mi salutò Alex, stringendomi calorosamente la mano.
«Ciao!»
Sorrisi e mi rivolsi a quelli che mi ricordavo aver incontrato al Campo Nord, salutandoli uno ad uno, dopodiché mi issai sul parapetto della nave e saltai in mare, diretto al palazzo di Poseidone.
koala's corner.
Più in ritardo di quello che pensavamo, ma siamo qui!
Sono felicissimo che il capitolo piaccia, anche la scelta di salvare Beckendorf, che fa contenti tutti tranne questa qua.
Embè, che ci volete fare? Per me lui poteva anche morire, come Silena. *ops*
So che l'idea dei Pirati dei Caraibi è fighissima, l'ho creata apposta :P
Io potrei anche dire che mi piace il film, ed è così, ma piace più qualcuno dentro il film...
Avvisiamo già che "una vita per una vita". Vedete voi come volete interpretarla *piano solo*
E come sempre, ringraziamo per il folto seguito e le vostre recensioni, cui risponderemo prestissimo. Alla prossima!

Soon on Venti del Nord: POV Annabeth, i nostri amici si incontrano - con tutte le conseguenze del caso.
 
  
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