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Autore: _Frency_    24/02/2014    2 recensioni
Ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte, e non ci si può più tirare indietro. Bill è più deciso che mai a vivere a fondo la sua storia con Kerli, e il primo passo è presentarla ufficialmente alla famiglia. Tom desidera rimediare ad un errore commesso in passato, e tornare in Germania sembra l'occasione perfetta. Georg e Gustav si trovano coinvolti, una volta ancora, nelle balzane idee dei compagni, che sembrano pronti a tutto pur di non lasciarsi sfuggire le ragazze che hanno rubato loro il cuore. Proprio queste ultime, anime femminili coinvolte in una storia che le vede protagoniste, si trovano per la prima volta faccia a faccia. E sono due mondi agli antipodi che si scontrano, non solo due donne che all'apparenza non hanno nulla in comune. Incomincia così una rocambolesca storia che racchiude al suo interno sia giornate luminose che tempestose, proprio come gli animi mutevoli dei suoi personaggi. Perché ognuno di due cela in sé luci e ombre. Cosa succede, quando il confine tra l'una e l'altra si assottiglia, fino a diventare una mera illusione?
[Seguito di: "No Woman No Cry" e "Wonderland"; ultima parte della serie "Ricami sul Cuore".]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Capitolo 4: It Hurts, Don’t You Know?
 
Tutti ti faranno del male nella vita,
sta a te decidere per chi vale la pena di soffrire.
(Bob Marley)

 

-Zucchero?-

Quella mattinata era decisamente splendida: un risveglio così piacevole, il ragazzo nemmeno se lo ricordava. Era una mattinata dolce, come lo zucchero che la ragazza sorridente gli porgeva ad un suo cenno d’assenso; dolce come il sapore della marmellata e del pane imburrato.
Bill, Kerli e Gustav sedevano insieme ad un tavolo dove piattini, tazzine e fette di pane tostato cominciavano ad accumularsi. Era una mattinata di sole, e i caldi raggi filtravano dalle grandi finestre della Sala della Colazione dell’hotel, inondando la stanza e facendo nascere un sorriso spontaneo sui volti di tutti i commensali.

-Cosa vi andrebbe di fare oggi?- domandò ad un certo punto il cantante.

L’amico alzò solo brevemente lo sguardo dalla tazza di cereali.

-Io non ho programmi particolari. Magari porterò Hagen e quel brontolone di tuo fratello a fare due passi lungo l’Elba- rispose dopo qualche istante, per poi riportare tutta la sua attenzione ai fiocchi di granturco che galleggiavano nel latte.

-Sarebbe perfetto!- esultò Bill, forse a voce un po’ troppo alta, poiché molti presenti si voltarono verso il loro tavolo, con un’espressione a metà tra l’infastidito e l’incuriosito.

-Che ne dici di andare a fare un giretto in centro?- domandò, rivolgendosi questa volta alla sua ragazza -È grande, ci sono tantissime cose da vedere e almeno una dozzina di negozi dove dobbiamo assolutamente comprare qualcosa- disse il moro entusiasta, e sembrava proprio non essere intenzionato ad ammettere repliche. E Kerli, dopotutto, non aveva la minima intenzione di provarci.

-D’accordo- gli concesse, sorridendo.

-Ehi, Bill, e a me non mi porti a fare shopping con voi?- domandò una voce alle loro spalle. I tre si voltarono, incontrando lo sguardo limpido e il sorriso di Georg.

-Mi spiace, ma temo che Gustav abbia già deciso sia per te che per mio fratello il vostro programma per la giornata- ribatté il cantante, mentre il bassista gli si sedeva accanto.

-Che peccato…- si finse deluso Georg, rubando un sorso di caffè dalla tazza del batterista, che se ne accorse solo quando era ormai troppo tardi. Non fece neanche in tempo a protestare che il bassista liquidò la faccenda con un gesto noncurante della mano.

-A proposito, dov’è Tom?- domandò Kerli, occhieggiandosi intorno.

Bill, a quella domanda, si rabbuiò.

Già, dov’è Tom?

Erano due giorni – da quando erano tornati da Loitsche, per essere precisi – che suo fratello si comportava in maniera strana. Era assente, distante anche quando gli sedeva accanto durante la cena. E la cosa non gli piaceva per niente, proprio per niente, perché aveva paura di sapere fin troppo bene quale fosse la causa di tanto disinteresse nei confronti di tutto ciò che lo circondava.

-Avrà fatto tardi ieri sera, e adesso starà dormendo della grossa in camera sua- buttò lì il batterista.

Bill si fermò un attimo a riflettere sulle parole dell’amico, e mentre i discorsi dei compagni vertevano su altri argomenti, la sua mente rimaneva fissa lì, sul pensiero che il fratello potesse combinarne un’altra delle sue.
Sentì le dita fredde della compagna stringergli gentilmente la mano, in una stretta rassicurante. Le rivolse un’occhiata mesta, e nonostante tutto lei sorrise.

Oh, quel sorriso!

Avrebbe potuto innamorarsi di lei anche solo per quello, per quella dolce piega delle labbra che le animava tutto il viso, rendendola ancora più bella di quanto già non fosse.

-Stai tranquillo, vedrai che è come dicono i ragazzi- lo confortò Kerli sottovoce, e Bill accennò un segno d’assenso con il capo.

Certo, come no…

Il problema era la consapevolezza di chi occupasse ogni singolo pensiero del fratello da quando erano tornati in Germania. Forse, paradossalmente, avrebbe preferito essere all’oscuro di tutto, in modo da potersi godere in totale tranquillità quei giorni di vacanza. Ma, purtroppo, essendo a conoscenza di tutto e rimanendo nondimeno dell’idea di trascorrere in totale relax quella settimana, rimaneva una sola soluzione accettabile.

Hai finito di giocare, caro mio.
 


Il ragazzo storse il viso in una smorfia infastidita quando, svegliandosi di colpo per l’improvviso e insistente rumore, alcuni raggi di sole gli ferirono gli occhi ancora gonfi di sonno. Frastornato per quel brusco risveglio, cercò di scendere dal letto, ma riuscì solo ad attorcigliarsi ancora di più tra le setose lenzuola, cadendo così miseramente sulla moquette che ricopriva tutto il pavimento.
Brontolando e imprecando a denti stretti, si rimise in piedi e barcollò fino alla porta, sulla quale qualcuno, dall’altra parte, si stava divertendo a bussare violentemente.

-TOM!-

Chissà perché, aveva avuto ben pochi dubbi su chi potesse essere quel fastidioso e impertinente qualcuno.

-Tom Kaulitz, apri subito questa porta!- continuò imperterrita la voce del gemello.

-Arrivo, arrivo, stai calmo- ringhiò, aprendo la porta e lasciando che il fratello scivolasse come un’ombra all’interno della camera.
Rimasero per un attimo a squadrarsi vicendevolmente da capo a piedi, l’uno difronte all’altro. Bill, seppur osservasse il gemello con occhio critico e un’espressione di puro disappunto stampata in volto, non era eccessivamente stupito di trovarlo in quello stato trasandato. I dreadlocks corvini scendevano come sottili serpentelli arruffati sulle spalle del ragazzo, avvolto in una maglietta stropicciata di due o tre taglie di troppo. Gli occhi erano cerchiati da ombre scure, che appesantivano lo sguardo già assonnato. Bill sospirò, tra l’affranto e l’esasperato.

Ma come devo fare con te? Come? Puoi spiegarmelo?

-Sono quasi le dieci- constatò il cantante, senza tanti preamboli.

-Già, e avrei dormito volentieri ancora un po’ se non fossi venuto a svegliarmi- ribatté Tom, andando a sedersi sul divanetto posto nell’anticamera della sua stanza e prendendo un lungo sorso d’acqua dalla bottiglia dimenticata qualche giorno prima sul tavolinetto ai piedi del divano.

-Dove sei stato ieri sera?- domandò bruscamente Bill, incrociando le braccia al petto e fissando il fratello dall’alto in basso.

-Sono uscito-

-Questo lo so-

E allora cosa cazzo me lo chiedi a fare?

Ecco, Tom avrebbe tanto voluto rispondere così alla domanda del gemello (che, a sua detta, era alquanto idiota), ma sapeva che non avrebbe fatto altro che aggravare la sua posizione.

-Ho fatto un giretto qui intorno e ho bevuto un bicchiere in un locale poco distante- ribatté allora.

-Davvero?-

-Ompf, sì, davvero Bill- sbuffò, allargando le braccia, impotente davanti alla testardaggine del gemello.

-Ma si può sapere che hai questa mattina?- sbottò poi, alzandosi e dirigendosi in bagno.

Come prevedibile, il cantante lo seguì come un’ombra, e gli sbarrò la strada proprio davanti alla porta della toilette.

-Sai, non ci credo che sei semplicemente uscito per andare ad ubriacarti, l’altra sera- fece Bill.

-Non ho affatto detto questo, ho solo…- provò il chitarrista, ma l’altro continuò imperterrito.

-Perché non puzzi di alcol e non hai lo sguardo allucinato di uno che sta smaltendo una pesante sbornia. Ah, e soprattutto non ti sei portato Georg appresso- asserì con aria serafica il cantante.

-E lo sappiamo tutti e due che senza quello scapestrato d’un bassista tu non fai genialate di questo tipo. Lo hai affermato tu stesso qualche tempo fa, “da soli non è divertente”- concluse poi, scimmiottandolo e tracciando virgolette immaginarie nel riportare le parole di Tom.

-Va bene, caro il mio Sherlock Holmes, e se anche avessi ragione tu?- rispose il chitarrista, che cominciava ad averne le palle piene di tutta quella faccenda. Soprattutto perché era mattina, e lui aveva ancora sonno. Soprattutto perché era mattina, lui aveva ancora sonno e il fratello non sembrava dell’idea di voler demordere.

-Dove sei stato?- domandò di nuovo il cantante, questa volta con un tono più accondiscendente.

Tom deglutì a vuoto un paio di volte, improvvisamente a corto di parole davanti all’espressione turbata del gemello. Perché lui lo sapeva che quello sguardo corrucciato e lievemente apprensivo nascondevano una genuina inquietudine.

Per te. Tuo fratello si preoccupa per te, e tu non puoi semplicemente sviare il discorso. Non puoi.

-Lo sai, dove sono stato. Secondo te, dove potrei mai essere stato all’una di notte se non ero a far baldoria? Secondo te, dove potrei essere stato visto la cazzo di città dove ci troviamo?-

Aveva urlato, e quasi non se ne era reso conto. Aveva urlato, e il lampo di sorpresa e timore che aveva attraversato le iridi scure di Bill ne era una prova sufficiente. Il chitarrista si passò una mano sul volto stanco, con la netta sensazione di essere rientrato in un circolo vizioso che si preannunciava senza fine.

-Senti, vai via per favore. Vi raggiungo nella hall tra una decina di minuti- mormorò alla fine, senza la forza di guardare negli occhi il fratello che, in silenzio, lo superò a passo svelto e uscì dalla quella camera.
 


Kerli si era accoccolata in una delle poltroncine di velluto chiaro che facevano bella mostra di sé nella hall dell’albergo.

-Sei pensierosa?- le domandò gentile Gustav che, seduto proprio difronte a lei, non aveva potuto fare a meno di notare il turbamento dipinto sul viso della ragazza.

-Umm- mugolò lei, senza sapere bene cosa rispondere.

-Lo sai che, se vuoi, con me puoi parlare tranquillamente- le ricordò.

La ragazza lo sapeva bene. Il batterista era probabilmente il più incline, tra quei quattro scalmanati musicisti, ad ascoltare i problemi altrui e a fare il possibile per aiutare a risolverli. Era un buon ascoltatore, senza dubbio, e l’idea di confessare con qualcuno quel pensiero che la tormentava era piuttosto allettante.

-Ti posso fare una domanda?-

-Certo che sì- rispose pacato lui, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
Kerli si torse le mani per qualche istante, prima di trovare la voce e la forza di parlare.

-Cosa è successo qui? Perché i gemelli, da quando siamo arrivati, non fanno altro che lanciarsi occhiate in tralice? Perché parlottano con fare cospiratorio e appena mi avvicino si interrompono?- domandò lei, parlando velocemente per la paura che le parole potessero morirle in bocca e di non riuscire più a trovare la forza di continuare.

Gustav rimase silenzioso, maledicendo mentalmente i due compagni per la poca prudenza che avevano dimostrato.

-Bill non mi parla. Ho provato a intavolare il discorso con lui, e ha subito liquidato la domanda. Con Tom non ci ho nemmeno provato: se Bill non si confida con me, figuriamoci suo fratello- aggiunse mortificata la cantante, abbassando quasi subito lo sguardo, imbarazzata.

Il ragazzo sospirò, non esattamente sicuro di come affrontare l’argomento.

-Kerli, io non voglio assolutamente sembrare contraddittorio, dato che ti ho detto che con me puoi parlare senza remore. Però… Diciamo che questo è un tasto un po’ dolente per i ragazzi, e non spetta a me parlartene- ammise Gustav, un po’ mortificato, soprattutto notando l’espressione ancor più mogia della ragazza.

-Facciamo così: parlerò con Bill, va bene? Vedrò di convincerlo a discutere con te dell’argomento. Che ne pensi?- domandò, con un sorriso impacciato.

Il volto della ragazza s’illuminò.

-Penso che tu sia un ragazzo meraviglioso, Gustav Schäfer!-

 
Poco dopo gli raggiunse il cantante, decisamente contrariato per la discussione avuta con il fratello.

-Ehi, Bill- lo salutò la ragazza, andandogli incontro allegra. Notando la sua espressione, però, il sorriso le morì sulle labbra.

-Cos’è successo?- chiese, con un filo di voce.

-Nulla- ribatté secco il moro, ravvivandosi i capelli con una mano.

-Diciamo che per mio fratello non è giornata- aggiunse.

-Gus, Tom vi raggiunge tra qualche minuto. Non ti dispiace se…- buttò lì il ragazzo, e l’amico capì al volo.

-Tranquillo, voi andate. Rimaniamo io e Hagen ad aspettarlo- lo rassicurò il biondo.

Bill sussurrò un grazie, prima di stringere la mano della compagna e incamminandosi con lei verso le affollate strade di Amburgo. Kerli, mentre passeggiavano, apprezzò il tentativo del ragazzo di essere spigliato ed entusiasta come suo solito, ma non appena si sedettero in un grazio bar per prendere un caffè, la ragazza non resistette più.

-Bill, non devi per forza fare l’indifferente- esordì, fissandolo intensamente negli occhi e notando le iridi scure di lui sgranarsi per la sorpresa.

-Cosa?- mormorò, tossicchiando nervosamente -Io non sono affatto…-

-Sì, Bill, tu in questo momento fai esattamente l’indifferente- lo interruppe prontamente lei.

-E io non voglio vederti così. Ti conosco bene ormai, e lo so che il sorriso che hai sfoggiato con maestria tutt’oggi è solo una maschera, un modo come un altro per proteggerti. Lo so che fa male. Lo so che fa male litigare con le persone a cui si vuole così bene- affermò.

-Ma… Ma, Bill, accidenti!- si infervorò, intrecciando le dita a quelle diafane del ragazzo, appoggiate sul tavolo.

-Se non mi parli, come posso aiutarti? Se non parli nemmeno con me, se ti tieni sempre tutto dentro, come puoi andare avanti? E lo so che c’è Tom, che ti capisce come nessun altro, come nemmeno io riuscirò mai a fare, ma adesso è proprio Tom il problema. E non negarlo- proseguì, ma la sua voce, da sicura qual era, si affievolì sempre di più.

-Vi vedo, sai? Vedo come vi guardate, come parliate sempre tra voi a bassa voce per poi interrompervi quando io mi avvicino- concluse, in un sussurro soffocato.

Non sapeva nemmeno lei perché aveva iniziato quel discorso. Avrebbe dovuto aspettare che Gustav le spianasse la strada, come le aveva promesso che avrebbe fatto. Ma il problema era che lei non poteva aspettare; non poteva e soprattutto non voleva. E adesso che aveva trovato il coraggio per dar voce ai suoi pensieri, per confessargli i suoi timori, Bill la guardava con un’espressione indecifrabile. Kerli distolse lo sguardo, incapace di sostenere quelle iridi scure, improvvisamente così scure, così profonde, così misteriose.

Così belle, nonostante tutto.

Il ragazzo restava silenzioso – un silenzio pesante, carico di parole difficili da esprimere.

Dimmi qualcosa. Qualsiasi. Però parlami, ti prego.

Bill, forse intuendo i pensieri della compagna, forse decisosi a rompere quel muro di quiete, si umettò le labbra e disse:

-Il problema non è Tom-

Lo difendeva. Ancora. Seppur avessero litigato nemmeno tre ore prima e non si fossero affatto riappacificati, lui lo difendeva. Probabilmente era un istinto naturale e del tutto indipendente dalla propria volontà quello che lo portava a proteggerlo anche il quel frangente.

-Va bene, il problema non è Tom- ripeté Kerli, con un certo scetticismo, ma ben decisa a non perdere quella possibilità di far mostrare tutte le carte in tavola al ragazzo.

Sono io il problema?

-Il problema è un altro. È una storia lunga- ammise il cantante.

-Bill, tu non hai mai avuto problemi di parlantina. Perché non vuoi…-

-Ascolta- la bloccò perentorio lui, e Kerli rimase spiazzata: era raro che fosse così brusco con lei.

-È più complicato di quanto tu possa pensare. È… è difficile. Ti prego, cerca di capirlo. Ti prego- la supplicò il ragazzo, e Kerli si lasciò sfuggire un sospiro, affranta e scoraggiata.

Per quanto ancora sarebbe andato avanti quel rincorrersi infruttuoso?

Fa male, lo sai?

Fa male sapere che tu non hai la forza di essere sincero con me.

Fa male sapere di avere segreti tra noi.

Incapace di fare altro, rafforzò la presa sulle sue mani, come se quello fosse ormai l’unico appiglio che avessero per rimanere uniti.
 


Le ombre cominciavano ad allungarsi e il cielo tingeva di una pallida tonalità tra il rosa e l’arancione quando, nella zona più periferica della città, lontano dal chiasso cittadino e dalle luci sfavillanti del centro, Tom cercava di ritrovare l’orientamento in quel dedalo di stradine e viottoli. Ringraziò il cielo che Gustav e Georg avessero avuto il buon gusto di non porre troppe domande quando aveva affermato di volersi trattenere in città un altro po’, mentre loro rientravano in albergo. E adesso, finalmente solo, si ritrovava a fare il possibile per non perdersi in quelle viuzze che sembravano tutte uguali. Maledisse mentalmente la prolungata assenza da casa che in quel momento gli impediva di ritrovare con sicurezza la via giusta.

E dire che ho praticamente vissuto qui, per alcuni mesi!

Effettivamente, gli ultimi mesi trascorsi ad Amburgo gli aveva passati lì con lei, e forse qualcosa, dopotutto, se lo ricordava ancora, perché proprio quando stava per darsi per vinto, il suo sguardo si posò su una figura familiare. Era il profilo di un vecchio palazzo, dall’intonaco sbriciolato in più punti. Tom ebbe un tuffo al cuore. Era lì, a qualche metro da lui. Solo pochi passi, che fece di corsa, come se l’edificio potesse scomparire da un momento all’altro, come se fosse tutto un miraggio dai labili contorni. Tom si avvicinò al portone, accanto al quale era ben visibile un’ordinata fila di campanelli un po’ usurati.
Alla luce degli ultimi raggi del sole calante, con il cuore che batteva ad un ritmo forsennato, il ragazzo scorse quelle semplici lettere che, nero su bianco, affiancavano il pulsante di un campanello.

Green.










My Space:

Buonasera ragazze!

Pensavate che mi fossi dimenticata, eh? E invece no, eccomi qua come promesso!

Credo che non ci sia molto da dire, se non che nel prossimo capitolo (finalmente, direte voi) entrerà in scena la ragazza di cui tanto si parla e che alcune di voi probabilmente ricordano.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che le fans di Gustav abbiano apprezzato il lato più conciliante del nostro bellissimo batterista. E non preoccupatevi per Hagen: darò il giusto spazio anche a lui! Per quanto riguarda i gemelli... Eh, temo che ci sarà qualche tensione ancora per un po'... Ma non vi rivelo oltre, vi sarà tutto più chiaro con il procedere della storia, promesso.
 
E adesso i ringraziamenti!

Ringrazio
Billina_Pazza e auroramyth per aver recensito lo scorso capitolo, siete meravigliose ragazze mie! Grazie anche a tutte le lettrici che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate o che hanno semplicemente letto. Non siate timide, fatemi sentire le vostre voci!

Alla prossima,

Frency.

 
   
 
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