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Autore: AleJen    24/02/2014    1 recensioni
Serafine si è appena trasferita. E' la cittadina di Lewisville, non troppo lontano da New York ma abbastanza isolata per far sì che sia un posto tranquillo. La sua famiglia è scomparsa all'improvviso e lei è rimasta sola, ma non riesce a spiegarsi una serie di fatti che accadono proprio a lei. L'unica persona cosciente di tutto ciò sembra un ragazzo a lei sconosciuto, dall'aria ribelle e una bellezza particolare...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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There’s a black crow sitting across from me, his wiry legs are crossed. He is dangling my keys, he even fakes a toss. Whatever could it be that has brought me to this loss?
On your back with your racks as the stacks are your load…
Le note di Re: Stacks di Bon Iver riempivano l’ambiente della libreria. Serafine, arrampicata sul suo sgabello, era alle prese con la lettura. Era un libro dalla copertina consumata sui bordi che aveva ripescato dalla libreria di nonna Clara quel giorno a New York, un libro che spesso Clara aveva spesso sfogliato ma che lei non aveva mai letto.
“Ed accadde, da che aumentarono i figli degli uomini, che in quei tempi nacquero, ad essi, ragazze belle di aspetto. E gli angeli, figli del cielo, le videro, se ne innamorarono, e dissero fra loro: "Venite, scegliamoci delle donne fra i figli degli uomini e generiamoci dei figli". E disse loro Semeyaza, che era il loro capo: "Io temo che può darsi che voi non vogliate che ciò sia fatto e che io solo pagherò il fio di questo grande peccato". E tutti gli risposero e gli dissero: "Giuriamo, tutti noi, e ci impegniamo che non recederemo da questo proposito e che lo porremo in essere ". Allora tutti insieme giurarono e tutti quanti si impegnarono vicendevolmente ed erano, in tutto, duecento. E scesero in Ardis, cioè sulla vetta del monte Armon e lo chiamarono Monte Armon poiché su esso avevano giurato e si erano scambiati promessa impegnativa“.
Era prossima l’ora di chiusura e la libreria era deserta. Nessun cliente, né qualcun altro a farle compagnia. Una delle due ragazze del pomeriggio era malata, perciò Serafine si era offerta di restare anche per quel turno. Poi la ragazza con cui era restata era andata via prima, perciò ora Serafine era rimasta sola.
Sul monitor del computer era fissa la schermata di Wikipedia, la quale mostrava l’articolo sul Libro di Enoch. Serafine l’aveva aperta per fare una specie di ricerca, ma continuava a leggere.
“Si presero, per loro, le mogli ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da loro. E si unirono con loro ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostraron loro il taglio di piante e radici. Ed esse rimasero incinte e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti. Costoro mangiarono tutto il frutto della fatica degli uomini fino a non poterli, gli uomini, più sostentare.
Serafine sollevò lo sguardo sullo schermo. Fece scorrere la pagina fino a un punto che era convinta di avere visto poco prima, il paragrafo dal titolo “Libro dei Vigilanti”. Eccoli qui! “Nella Bibbia, la parola Nefilim viene spesso tradotta come Giganti o Titani. Serafine ricordava che sua nonna Clara più di una volta aveva citato i Nefilim, ma non le aveva mai spiegato nulla di più. Perciò spostò il cursore sul collegamento e aprì la pagina.
 
Gabriel proseguiva lungo la strada deserta, con le mani in tasca. Teneva solo lo sguardo sul marciapiede, e sui propri passi, sul paio di stivali neri ormai coperti di neve che indossava. Portava il giubbotto di pelle, quello nero con il cappuccio che era il suo preferito, che teneva con la zip abbassata fino al petto lasciando che si vedesse la t-shirt. Uno schermo presso un cartellone pubblicitario indicava -5°C ma non sentiva freddo, per nulla. In realtà Gabriel non sentiva mai freddo, nemmeno a temperature decisamente più rigide, infatti ben più di una volta la gente si era voltata a guardarlo con aria perplessa per il suo abbigliamento ben poco adatto e soprattutto troppo leggero. Anche Serafine era rimasta sorpresa di ciò, ma aveva capito che non era certa di volerglielo far notare.
Gabriel sorrise tra sé. Serafine non sa ancora nulla… non ha idea di quale mondo la sta aspettando. Lui, quella sera, non aveva intenzione di spaventarla in quel modo ma non aveva avuto scelta. Gabriel aveva sicuramente preferito spaventarla ma garantire la sua incolumità, piuttosto che lasciare che quell’essere la uccidesse. Prima o poi capirà… ma non posso assolutamente permettere che la uccidano. Sarebbe la fine per la sua stirpe, e sarebbe un pericolo per tutti gli altri.
Giunto all’incrocio tra la strada principale di Lewisville e la strada che portava alla chiesa, Gabriel si fermò. Aggrottò la fronte, sicuro di percepire qualcosa, perciò cercò di concentrarsi meglio. Infine alzò lo sguardo, e lo indirizzò all’altro lato della strada. All’angolo c’era la libreria con tutte le luci ancora accese, avrebbe dovuto chiudere in circa dieci minuti. Gabriel osservò meglio, notando una persona da lui conosciuta seduta dietro al bancone.
Non riuscì a non riconoscere al volo Serafine, e soprattutto era impossibile non percepire la sua presenza. Era immersa nella lettura, i capelli castani che le scendevano ai lati del volto. Non si può non vedere che discende dai Laurent… Stessi occhi e stessi lineamenti della madre e della nonna… Anche se a quanto pare non le andavano a genio i capelli biondi e la loro aria angelica. Ma la vedeva turbata. Era convinto che tutto ciò che le era successo negli ultimi tempi l’avevano sconvolta, ma in fondo non poteva che essere diversamente.
All’improvviso, un rumore distrasse Gabriel facendolo voltare di scatto. Ma le strade erano deserte, non c’era nessuno oltre a lui. Solo un repentino susseguirsi di immagini si schermò nella sua mente. Una strada buia, una lama che rifletteva la luce di un lampione, la neve accumulata a lato del marciapiede, delle sagome scure nella luce debole.
Gabriel andò velocemente a nascondersi nell’ombra, e in quel momento si spensero le luci della libreria.
 
Dovrei smetterla di andare in giro di notte. Non mi piace per niente. Serafine cercava di allungare il più possibile per arrivare a casa. Non era ancora riuscita ad abituarsi alla poca illuminazione che c’era a Lewisville, visto il tempo in cui aveva vissuto tra le mille e più luci di New York. Anche là avrebbe potuto nascondersi chiunque dietro a qualsiasi angolo, ma la componente del buio e il fatto di non poter vedere peggiorava tutto.
Inoltre, la storia dei Nefilim non l’aveva convinta più di tanto. Il Libro dei Vigilanti, sezione del volume che stava leggendo poco prima, parlava di essi come figli degli angeli e degli umani, dipingendoli soprattutto come esseri spietati e crudeli, e gli angeli vigilanti erano stati rinchiusi nelle viscere della Terra poiché si erano ribellati. Le era sembrato strano non tanto per la storia in sé, ma per il fatto che sua nonna le aveva sempre raccontato qualsiasi genere di storia o episodio riguardante gli angeli, ma di quello non le aveva mai fatto parola. Eppure quel volume l’aveva ritrovato proprio nella sua libreria e soprattutto, era uno dei più vecchi.
<< Serafine! Vieni via da lì!! >>, le urlò improvvisamente una voce dal nulla, facendola risvegliare dai propri pensieri. Ma chi…? Si guardò intorno, non vedeva altro che il lampione sotto il quale si era fermata e la neve accumulata presso il marciapiede che brillava sotto la luce, realizzando che in verità quella voce non seguita da alcun rimbombo nella strada vuota aveva gridato solo nella sua mente. Ma osservando meglio, tre sagome scure si stavano avvicinando da tre direzioni diverse convergendo verso un punto che sembrava essere proprio lei.
Il cuore iniziò ad accelerare i propri battiti, il respiro si fece più pesante. Erano tre uomini tutti vestiti di scuro e nel buio era difficile distinguerne i lineamenti del viso. Ciò che Serafine riuscì a notare, però, fu la sfumatura rossa nelle iridi dei loro occhi che man mano che si avvicinavano alla luce artificiale del lampione, si facevano sempre più nitide.
L’uomo esattamente davanti a lei strinse la mano sull’impugnatura di un’arma da taglio che non riusciva a distinguere, e i suoi occhi mandarono dei bagliori color rosso vivo. Serafine, terrorizzata, mosse lentamente e automaticamente un paio di passi indietro. Ma fu fermata dalla neve accumulata sul bordo del marciapiede, facendola inciampare all’indietro e rovinare sull’asfalto. Lui sollevò l’arma senza proferire una sillaba, con freddezza. È la fine… è la fine… Serafine portò le braccia davanti al viso come uno schermo, una difesa sebbene sapesse bene che era tutto inutile. Questo è il mio destino, finire uccisa come tutti gli altri… Serafine chiuse gli occhi in attesa del colpo, senza lottare, senza reagire. Ma tutto ciò che udì fu un gemito, e null’altro.
Si scoprì il viso, o almeno solo gli occhi. Davanti a lei, l’uomo si stava accasciando a terra trafitto da una lama. Nuovamente il cuore riprese a batterle all’impazzata, come se poco prima si fosse arrestato e poi ripartito. Al suo posto, ora, riuscì a scorgere un’altra figura sotto la luce del lampione. Era Gabriel. I capelli biondi rilucevano, era lì di fronte a lei con l’espressione fredda e immobile di un angelo vendicatore sul viso. Con un passo scavalcò il cumulo di neve e si chinò su di lei, cingendola saldamente con entrambe le braccia e sollevandola da terra. Serafine, ancora scioccata, si lasciò sollevare senza muovere un muscolo e Gabriel la strinse al proprio petto. Non appena Serafine percepì il calore che Gabriel le stava trasmettendo, scoppiò a piangere come reazione alla paura che fino a pochi attimi prima l’aveva bloccata.
<< Sshh, Serafine stai tranquilla adesso. È tutto finito >>, le sussurrò Gabriel poggiandole una mano sulla testa, tra i capelli.
<< Uccideranno anche me… come tutta la mia famiglia… >>, rispose Serafine con un tono di voce troppo acuto e innaturale rispetto al suo. Gabriel sciolse l’abbraccio e spostò entrambe le mani sul suo viso, sollevandolo e obbligandola a guardarlo dritto negli occhi.
<< No Serafine, nessuno ti ucciderà. Ci sarò io a proteggerti e giuro che nessuno ti farà del male >>. Il tono di Gabriel era dolce, ma deciso. << Lo so, mi hai già visto uccidere due volte, so che sei diffidente nei miei confronti e non posso darti torto. Ma devi fidarti di me, Serafine >>. Gabriel cercò continuamente una risposta nei suoi occhi finché Serafine non diede un segno di vita, annuendo appena. Interiorizzata la risposta, Gabriel abbozzò un sorriso. << Vieni, andiamo via da qui. Seguimi >>. Lui avanzò di qualche passo in direzione opposta rispetto a dove abitava Serafine, ma lei restò immobile, guardandosi intorno. L’uomo che stava per aggredirla stava sul marciapiede con un’enorme chiazza scura che contornava la voragine sul cuore, ma degli altri non c’era più traccia. Gabriel, poco più avanti, si voltò verso di lei facendole nuovamente cenno di seguirlo.
<< Dove… dove andiamo? >>.
<< A casa mia, è più al sicuro. C’è Julia che ci aspetta >>. Serafine si fece perplessa.
<< Ma… >>, aggiunse, anche se tacque immediatamente. Tutto stava diventando sempre più confuso, anche se realizzò che non era il momento adatto per fare domande. Gabriel la osservava, aspettando con pazienza. << …ok >>, decise infine, raggiungendolo e accostandosi a lui.
Proseguirono in direzione opposta rispetto alla casa di Serafine senza proferire parola, a debita distanza e ognuno con le mani cacciate nelle tasche delle proprie tasche. Ora che Serafine aveva riacquistato lucidità, iniziarono a sorgerle mille e più dubbi. Non capiva come facesse a sapere tutto ciò, aveva la sensazione che la diffidenza nei suoi confronti gliel’avesse letta dentro. Certo, ora che le aveva salvato la vita non poteva non fidarsi di lui. Ma perché l’ha fatto? E perché ha giurato di proteggermi? Facendo un riassunto di tutto, Serafine si era resa conto che il ragazzo che appariva nei suoi sogni alcuni anni prima ora era davanti a lei, l’aveva difesa e le aveva detto che l’avrebbe protetta. Qualcuno mi spieghi che cosa sta succedendo, per favore…
 
Non appena Gabriel aprì la porta del proprio appartamento ed entrarono, Julia si fiondò da Serafine e la abbracciò.
<< Serafine! Dimmi che stai bene! >>. Serafine sollevò lo sguardo, vedendo Gabriel che le osservava con distacco per poi voltar loro le spalle e andare ad appoggiare la giacca sull’appendiabiti, restando in t-shirt.
<< Sì… sì, sto bene >>, rispose sciogliendo subito l’abbraccio. Serafine osservò l’appartamento, il quale era abbastanza piccolo ma ben tenuto. Al centro della stanza c’era un divano con sopra una chitarra e dei fogli con gli spartiti. Niente tivù e una cucina minuscola in un angolo in fondo al salotto. Sulla sinistra invece c’erano due porte.
<< Gabriel, cos’è successo? >>, domandò improvvisamente Julia, avvicinandosi a lui. Gabriel inspirò a fondo.
<< Un gruppo di nefilim ha tentato di ucciderla >>. Julia aggrottò la fronte.
<< Ma com’è possibile? Dovevi… >>.
<< So bene cosa dovevo fare, Julia! >>, tuonò Gabriel, ammutolendola. << Avrei dovuto evitare che accadesse. Ma mi hanno tratto in inganno, c’erano due gruppi di nefilim e mi hanno attirato verso uno allontanandomi da lei mentre gli altri l’hanno raggiunta. La prossima volta provaci tu ad affrontare da sola altri sei nefilim, e poi dimmi com’è andata >>. Serafine restò presso la porta d’ingresso osservando i due che discutevano. Nefilim? Ma che stanno dicendo?
<< Scusa Gabriel, hai ragione >>.
<< Comunque credo che qui a Lewisville lei non sia più al sicuro. Ci sono troppi nefilim, non può rischiare in questo modo >>.
<< E dove dovremmo portarla? >>.
<< A New York sarà meno esposta. Là sarà più facile nasconderla, so già dove >>.
<< Ma chi va con lei? Non può restare da sola, lo sai >>.
<< Posso sapere anch’io che diavolo succede?! >>.
Silenzio. La domanda di Serafine era piovuta improvvisamente dal nulla, mettendo tutti a tacere. Gabriel e Julia la guardarono come se fosse un alieno.
<< Vado io con lei >>, disse infine Gabriel, poi si rivolse a Serafine. << Succede che adesso prepari le tue cose. Torniamo a New York >>, e in un paio di falcate andò a spalancare una delle due porte, la quale rivelò la sua camera. Serafine restò senza parole.
<< Ma… ma… come sarebbe a dire “torniamo a New York”? Perché? >>. Si voltò verso Julia e verso Gabriel da qualche parte in camera sua, ma non ottenne una parola da nessuno dei due. E iniziò a spazientirsi. << Qualcuno vuole degnarsi di rispondermi?! >>. Gabriel si affacciò sul salotto dallo stipite della porta.
<< Ti basta pensare a quel che ti è accaduto questa sera, ecco, quello è il perché >>.
<< Sì, ma… Non ne capisco il motivo. E poi perché parlavate di nefilim e di cose che mi riguardano senza che io ne sappia nulla? >>. Julia mostrò un’espressione addolorata sul viso.
<< Io non posso risponderti Serafine, mi dispiace >>. Gabriel, invece, tornò da lei e le poggiò le mani sulle spalle, guardandola negli occhi e assumendo un tono del tutto differente rispetto a quando aveva discusso con Julia.
<< Serafine, ascoltami. Se fossi al tuo posto sarei anch’io tanto confuso quanto te in questo momento, lo capisco. Ma per ora tutto ciò che posso dirti è che se non vieni via di qui subito rischieresti di nuovo la vita >>. Serafine non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri di Gabriel, era come se si fosse creato un contatto visivo impossibile da interrompere. Ma sentiva anche del calore provenire dalle sue mani, attraverso i vestiti e lo spessore del cappotto. E tutte quelle sensazioni, unite alla sua voce calma, riuscirono a rasserenarla almeno per qualche attimo. << La situazione è complicata e non c’è tempo per spiegarla, non qui e non adesso. Vedrai che andrà tutto bene >>, aggiunse infine cercando di confortarla con un sorriso. All’improvviso però si voltò di scatto, verso le finestre che si affacciavano sulla strada. << Julia, accompagna Serafine a preparare le sue cose. Stanno tornando. Vi raggiungerò il prima possibile >>.
<< Andiamo subito >>, rispose la voce di Julia alle spalle di Serafine.
 
Un’ora dopo Serafine era già in autostrada diretta a New York, a diversi chilometri da Lewisville. Era rannicchiata sul sedile di un fuoristrada e guardava perennemente fuori dal finestrino, mentre Gabriel guidava. Erano passate le nove, e ogni tanto a interrompere il silenzio che c’era nell’abitacolo era il suo stomaco che si lamentava perché non era ancora arrivata la cena.
<< Fame? >>, domandò di punto in bianco Gabriel, dal tono si sentiva che stava sorridendo. Serafine annuì.
<< Sì, tanto direi. Quanto c’è fino a New York? >>.
<< Un po’ di chilometri… Però mancano solo alcune centinaia di metri alla stazione di servizio. Se ti accontenti di un panino possiamo fermarci lì >>. Serafine sospirò.
<< Qualsiasi posto in cui non ci sia qualcuno che sta tentando di farmi la pelle va benissimo >>, rispose con sarcasmo. Gabriel ridacchiò.
<< Dai, Serafine! Non essere così tragica >>. Serafine decise di girare la testa e guardare Gabriel, il quale aveva un’aria abbastanza divertita.
<< Tragica io? Noooo, ma va! Qualcuno ha mai tentato di ucciderti, mister-so-tutto-ma-non-te-lo-dico-perché-sono-troppo-favoloso? >>, terminò con tono amareggiato.
<< Stavo solo cercando di sdrammatizzare. Però sì, delle volte sinceramente ho perso il conto >>. Questa volta, Serafine restò seriamente a bocca aperta.
<< Ah >>.
<< E non chiamarmi più in quel modo, o salti la cena >>, aggiunse Gabriel in maniera poco seria. Serafine invece gli mise il broncio.
<< Uffa. E comunque ti si addiceva >>.
<< Se porti pazienza almeno fino all’arrivo poi ti spiegherò… E comunque non ho capito perché dovrei essere “troppo favoloso” >>. Serafine non riuscì a trattenere una risatina.
<< Perché vai in giro con fare da figo e non consideri nessuno come se non fossero all’altezza. Potresti tirartela meno >>. Gabriel inarcò un sopracciglio, perplesso.
<< Boh, se lo dici tu >>, disse infine poco convinto facendo spallucce e spostandosi sulla corsia di decelerazione che portava alla stazione di servizio. << Comunque siamo arrivati >>.
In una decina di minuti, Gabriel e Serafine si sedettero a uno dei tanti tavoli vuoti, vicino alle finestre. Per cena – un panino e una lattina di coca cola a testa.
<< Non vuoi proprio anticiparmi niente? >>, ritentò Serafine parlando a bocca piena.
<< Potrei anche farlo, ma non voglio farti andare il boccone per traverso. Sarebbe inutile averti salvato la vita due volte e poi farti soffocare con un panino, no? >>. Serafine aggrottò la fronte.
<< Due volte? E… quando sarebbe stata la seconda? >>.
<< La seconda era stasera. La prima volta è stata dopo il concerto dei Paramore, quando mi hai fatto venire un infarto con quell’urlo >>.
<< Ma senti, ti avevo visto due volte e nemmeno ti conoscevo, e hai ucciso quell’uomo così a freddo… >>.
<< Nemmeno adesso mi conosci >>.
<< Appunto. E… >>.
<< …e poi quello non era un uomo qualunque, era un nefilim che voleva farti la pelle e ti aveva tenuta d’occhio da quando eri entrata al Garage >>.
<< Ecco. Però scusa, c’è qualcosa che non mi torna. Non ho ancora capito perché continui a parlare di nefilim. Voglio dire, non… >>.
<< …esistono? >>, la interruppe Gabriel sorridendo. << Certo che esistono. Fino a poco tempo fa a Lewisville non ce n’erano, era un luogo sicuro e infatti Clara ti aveva mandata lì. Ultimamente però le cose sono andate un po’ diversamente, purtroppo >>.
<< E supponendo che io ci creda, che cosa vorrebbero proprio da me? >>. Gabriel scosse la testa.
<< Finiamo di mangiare adesso >>. Serafine sbuffò.
<< Testardo >>.
<< Impaziente >>. Si guardarono per qualche istante, poi Gabriel rise. << Dai Serafine, solo un momento. E poi quando saremo arrivati, saremo entrambi più tranquilli >>. Serafine annuì.
<< Va bene, non insisto. Ma solo perché mi hai offerto la cena >>.
 
Blue jeans, white shirt, walked into the room you know you made my eyes burn.
Serafine riaprì gli occhi e si stiracchiò. Dovrei svegliarmi più spesso con la musica di Lana del Rey, è decisamente piacevole. Oltre al vetro di fronte a lei intravide migliaia di luci, e realizzò che era Manhattan con i suoi grattacieli. In fondo un pochino le era mancata.
Si sfilò le cuffiette e si voltò verso Gabriel, il quale era concentrato a guidare. Lo osservò, anche se non le sembrava tranquillo. Era teso per qualche motivo, stringeva di continuo le nocche sul volante. E poi è davvero bello.
<< Dove andiamo? >>.
<< In un posto che di sicuro ti piacerà, piace molto anche a me. Qui è Brooklyn, ci siamo >>. Gabriel svoltò su una via residenziale, con case di mattoni su entrambi i lati della strada. Era dicembre ormai da diversi giorni, e Serafine intravide qualche albero di natale addobbato dietro le finestre o in giardino. Gabriel accostò di fronte a una casa dalla luce accesa al piano superiore.
<< Ok, questa sarà casa nostra per un po’. Che ne pensi? >>.
<< Non è male. Ma mi piace la zona, è tranquilla >>. Lui nel frattempo spense il motore e scese dal fuoristrada per aprire il baule e scaricare qualche valigia e qualche borsa. Serafine si fiondò subito ad aiutarlo.
<< Ovviamente la chitarra non poteva mancare >>, osservò lei ridacchiando. Gabriel annuì.
<< Certo, mica la abbandonavo a Lewisville >>.
<< Però trovo che canti molto bene >>. Gabriel si voltò verso di lei, sorpreso del complimento, e le sorrise.
<< Grazie >>.
Man mano che scaricavano le proprie cose dalla macchina le lasciarono sui gradini davanti alla porta d’ingresso, e solo quando ebbero finito Gabriel bussò. Trascorsero alcuni minuti e solo quando Serafine iniziava a spazientirsi si udì una chiave girare nella serratura.
<< Sì? >>.
Un uomo altissimo, decisamente più alto di Gabriel (il quale comunque raggiungeva il metro e ottanta) dai capelli neri e gli occhi verde smeraldo si era affacciato alla porta d’ingresso, che non aveva aperto più di tanto. L’altezza e la sua espressione ferma incutevano timore, anche se non appena vide Gabriel cambiò atteggiamento.
<< Ah ciao Gabriel, siete arrivati finalmente >>.
<< Sì, c’era traffico per entrare in città. Possiamo entrare? >>. L’uomo, diventato improvvisamente cordiale, si scostò spalancando la porta.
<< Ma certo! Scusatemi, sai bene che devo rispettare le regole con tutti >>. Serafine corrugò la fronte. Regole? Ma che posto è? E ‘sto tizio?
<< Meglio così. Ci pensi tu alle nostre cose? >>.
<< Come sempre >>. Gabriel annuì, poi si mise in spalla la chitarra e raccolse i due borsoni. Seguendo l’esempio, Serafine prese le sue cose e lo seguì in casa. L’ingresso era abbastanza piccolo con la tappezzeria alle pareti, sulla sinistra c’erano le scale che portavano al piano di sopra, sulla parete a destra le porte che davano sulla cucina e sul salotto, e in fondo la porta che probabilmente portava al retro della casa.
<< Lasciate pure tutto qui per terra. Ah, Gabriel? >>. Gabriel riportò la propria attenzione sull’uomo, il quale abbassò leggermente la voce. << L’hai marchiata? È la prima volta che viene qui >>. Serafine spalancò gli occhi, comprendendo che stavano parlando di lei. Che cosa?! Marchiata? Come gli animali?! Gabriel scosse la testa.
<< Non ne ha bisogno >>. L’uomo si voltò quindi verso Serafine e la fissò per qualche istante, mettendola abbastanza a disagio.
<< Capisco, allora aggiungerò Serafine Laurent ai nostri abitanti. Posso vedere il tuo? >>. Gabriel abbassò lo sguardo e sollevò la manica del giubbotto. Serrò la mano in un pugno e su tutto l’interno dell’avambraccio, dal polso al gomito, lentamente apparvero dei segni dorati, dei simboli che ricordavano vagamente l’alfabeto runico, che riflettevano la luce non troppo forte della stanza. Serafine però, nel frattempo, si era fatta pensierosa.
<< Mi scusi, ma io mi chiamo Serafine Lacroix. Laurent era il cognome di mia nonna materna >>.
<< Lo so, Serafine >>.
Di punto in bianco, Gabriel afferrò il polso di Serafine facendola sobbalzare.
<< Allora noi andiamo >>, annunciò con fare frettoloso. << Buona serata >>.
<< Anche a voi >>. Gabriel strattonò Serafine, obbligandola a seguirlo fino alla porta che dava sul retro. La spalancò e oltrepassata quella soglia, si ritrovarono catapultati nel buio.
 
Quando la vista di Serafine si abituò alla pochissima luce, pensò che quello le sembrava troppo strano per essere il retro di una casa. Ogni volta che muoveva i piedi affondava nella neve fino alla caviglia, ed era proprio la neve a dare il poco chiarore e a distinguere il suolo dalle sagome scure degli alberi spogli. Più che il retro di casa, quello aveva tutta l’aria di un bosco.
<< Scusa se sono stato un po’ brusco, prima, ma non potevamo soffermarci ulteriormente. La casa del Guardiano è solo un luogo di passaggio, una specie di dogana >>. Serafine vide la figura scura di Gabriel maneggiare qualcosa, e poi si accese una piccola luce che gli illuminò il viso. Aveva acceso una lanterna, anche se la fiamma che danzava al suo interno non stava bruciando lo stoppino di una candela. Era sospesa nel nulla, e inoltre faceva molta più luce.
<< Il “Guardiano” hai detto? >>.
<< Sì, è l’uomo che abbiamo incontrato prima. Nessuno sa il suo nome, quindi tutti lo chiamiamo così. Gli basta una semplice occhiata a una persona per sapere tutto sulla sua vita, così come ha fatto con te >>.
<< E perché ti ha chiesto se mi hai marchiata? >>.
<< Il marchio identifica ogni persona che vive qui, per tenere lontano gli intrusi. Consiste nel marchiare a fuoco sulla pelle dell’individuo il suo nome nella Prima Lingua. Sei fortunata a non averne bisogno, è decisamente doloroso >>.
<< Ma scusa, sbaglio o la Prima Lingua è quella creata dagli angeli e dalla quale hanno avuto origine tutte le altre? >>. Gabriel sorrise.
<< No che non sbagli. Vedo che sei preparata. Ti spiego tutto a casa, vieni >>. Lui proseguì dritto davanti a sé, in mezzo agli alberi senza seguire un sentiero, o se ci fosse stato sarebbe comunque stato nascosto dalla neve. Serafine non capiva che posto era quello, era convinta ancora di sognare. Fino a pochi attimi prima era a Brooklyn, a New York, e non era possibile che quel luogo esistesse fisicamente. Eppure la neve era vera, non sentiva più i piedi per il freddo.
Il loro cammino rischiarato dalla lanterna non durò a lungo, in realtà. Serafine notò che dopo un po’ gli alberi iniziavano a diradarsi, e c’era più luce. In fondo, oltre agli ultimi alberi, Gabriel si fermò in mezzo alla neve e Serafine lo raggiunse. Improvvisamente restò a bocca aperta per lo stupore.
<< Wow! Ma… ma dove siamo? >>.
<< Benvenuta nella Città degli Angeli, Serafine >>.
Il panorama davanti a loro era a dir poco mozzafiato. Si trovavano su una collina e più in basso c’era una piccola cittadina tutta illuminata e incastonata in mezzo alle montagne innevate. Sembrava fosse il paesaggio di una cartolina natalizia che aveva preso forma. Non si soffermarono a lungo, Gabriel infatti riprese subito il cammino e scese dalla collina.
Appena giunsero in città, Serafine proseguiva ammirando tutte le case addobbate con ghirlande alle porte e luci.
<< Si festeggia Natale anche qui? >>.
<< Certo, forse anche di più rispetto alla dimensione terrestre >>. Gabriel però svoltò improvvisamente su una via laterale e proseguì dritto fino all’ultima casa. Da lì salì per un sentiero sul fianco della montagna, e in fondo a questo si intravedeva una casetta solitaria. Serafine faceva fatica a mantenere il passo di Gabriel, la salita era ripida e il sentiero stretto, lei era stanchissima mentre lui sembrava fresco e riposato. A un certo punto si fermò, poggiando le mani sulle ginocchia e prendendo fiato.
<< Gabriel… aspetta… >>. Gabriel tornò subito indietro, raggiungendola in un attimo.
<< Va tutto bene? >>. Serafine annuì appena, e lui le portò un braccio sulle proprie spalle accompagnandola per l’ultima ventina di passi che li dividevano dalla casa.
Era una casetta di legno a due piani, con un piccolo giardino davanti dal quale si poteva ammirare in basso tutta la città, ed era l’unica abitazione in quella zona in mezzo ai prati ora coperti di neve. Gabriel accompagnò Serafine in casa, dove li accolse un salotto dal soffitto abbastanza basso e un bel caminetto acceso. Serafine andò immediatamente a sedersi su una delle poltrone davanti al fuoco, appoggiando i gomiti sulle gambe e tenendo lo sguardo fisso sul pavimento.
<< Come ti senti? >>. Si sentì poggiare una mano sul braccio, e vide Gabriel piegato sulle ginocchia di fronte a sé.
<< Mi gira la testa >>.
<< La prima volta che vieni qui è normale. Vedrai che da domani andrà meglio, ti basta solo dormirci un po’ sopra >>. Lo sguardo di Gabriel era semplicemente stupendo, e Serafine non riuscì a non sorridere.
<< Qual è la mia camera? >>. Lui si alzò e le tese la mano, che Serafine prontamente afferrò e si lasciò sollevare.
<< Vieni, aggrappati a me >>. Serafine, con un po’ di imbarazzo, si aggrappò al braccio di Gabriel e lo seguì fino al piano di sopra. La porta era spalancata e Serafine intravide le proprie borse sul pavimento. Come diamine hanno fatto ad arrivare qui?
Gabriel la fece sedere sul letto, poi indietreggiò di qualche passo.
<< Io vado a disfare i bagagli, se hai bisogno chiamami, ok? >>. Serafine annuì, e lui sorrise. << Buonanotte, Serafine >>.
<< Buonanotte >>, e lo osservò uscire e richiudere la porta alle sue spalle.
  
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