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Autore: Ser Balzo    25/02/2014    5 recensioni
Ti hanno detto che la guerra è arte, e che Clove e Dan non potrebbero essere più diversi.
Ti hanno fatto vedere che occorre esercizio, pazienza e una certa dose di estro poetico, e che quella sadica assassina e quello stupido mandriano non sono altro che due patetiche pedine, due profili su una parete scalcinata, miserabili vittime di un gioco ben più grande di loro.
Ti hanno insegnato tutto questo e tu hai imparato. E hai fatto bene.
Fino ad oggi.
Perché i Settantaquattresimi Hunger Games hanno spazzato via tutto, e ora niente ha più importanza. E chiunque tu sia, se un umile pedone, un coraggioso cavallo, un disciplinato alfiere o un'implacabile regina… sai già cosa accadrà, quando ti ritroverai tra il fango e le bombe, a pregare qualunque cosa perché ti rimetta gli intestini nella pancia e ti conceda finalmente l'oblio.
Ora guarda quei due ragazzi, quelle due anime inseguite da eserciti di ombre, braccate da legioni di demoni, e chiediti: qual è la prima regola dell’arte della guerra, la più importante?
Vincere?
Quasi.
Vincere è fondamentale, ma non essenziale.
Dovresti saperlo: prima della regola uno viene la regola zero.
Resta vivo.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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1.
Voi tra tutti



"Run, run, run away
Buy yourself another day

A cold wind's whispering secrets in your ear
So low only you can hear"

-Kingdom Come, The Civil Wars

 

 

«Un caldo così non c’era da anni...»

Dan Martin si tolse il cappello e si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano. Davanti a lui, a qualche centinaio di metri di distanza, la mandria brucava l’erba con la sua tipica mansuetudine, in un pigro frullare di code e di orecchie bovine.

Lee Harper sorrise sotto le falde ampie del cappello. «Puoi dirlo forte, Dan. Fortuna che abbiamo trovato riparo qui sotto, o ci saremmo già sciolti...»

Dan chiuse gli occhi, cercando di assaporare il più possibile la fresca ombra della grossa quercia sotto la quale si trovavano. «Dio sa quanto vorrei farmi un pisolino...»

«Jim ci ha provato una volta» rispose Lee. «Dieci minuti e l'ha beccato il supervisore. A quanto so, è ancora nelle stalle a pulire...»

Un rumore di zoccoli al galoppo troncò di netto la conversazione. I due ragazzi si voltarono verso la fonte del rumore: un uomo stava venendo dritto verso di loro.

«Parli del diavolo...» borbottò Lee.

Il Supervisore tirò le redini a qualche metro di distanza dai due, facendo slittare gli zoccoli del cavallo sulla terra. L’uomo, ansimante e madido di sudore, prese un palmare dalla propria cintura e cominciò ad armeggiarci.

«Danyl Martin e Leeville Harper?»

«Esatto, signore.»

Il Supervisore toccò due volte lo schermo del palmare. «Il vostro turno finisce ora. Riportate la mandria alla stalla di appartenenza, preparatevi e presentatevi al Municipio tra un’ora.»

Dan e Lee si scambiarono un’occhiata perplessa. «Signore, possiamo sapere cosa succede?»

L’uomo gli scoccò un occhiata in tralice. «Davvero non lo sapete?»

«Temo di no, signore.»

«Ma come, voi tra tutti...»

Dan avvertì una dolorosa fitta al cuore.

Voi tra tutti...

Prima che l’uomo parlasse, aveva già capito.

«In quanto familiari dei tributi del nostro Distretto agli ultimi Hunger Games, avrete un posto d’onore al discorso dei tributi vincitori. Ora muovetevi, vi stanno aspettando.»

 

La prima cosa che vide fu il soffitto della sua stanza. Un bianco così acceso da fare male agli occhi. Dovette sbattere le papebre più volte prima di riuscire a mettere a fuoco dove fosse.

Un letto, un comodino, nient’altro.

Una stanza piuttosto spoglia, anche per gli standard deprimenti degli ospedali.

Scostò il lenzuolo che la copriva. Una veste da ospedale era l’unica cosa che aveva addosso. 

Provò a mettersi seduta, ma un attacco di vertigini estremamente forte la costrinse a ricadere sul materasso. Respirò profondamente, mentre il soffitto piano piano smetteva di muoversi.

Era debole. E lei odiava essere debole. 

Con un ringhio, si sollevò di nuovo. Le vertigini tornarono, ma questa volta decise di resistere. Le vene sulle tempie si gonfiarono, la testa le scoppiava, un forte senso di nausea la avvolse mentre cercava disperatamente di restare seduta. 

Fu una tortura. Ma alla fine le vertigini cessarono, la nausea sparì, e seppe di aver vinto.

Forza, in piedi.

Posò un piede a terra, poi un altro. Prese un bel respiro, e si alzò in piedi. Le gambe le tremarono violentemente, e si dovette appoggiare al comodino per non cadere. In quel momento si accorse della flebo collegata al suo braccio, e si strappò l’ago dalla carne con un ringhio.

Sto bene. Non ho bisogno di cure.

«Non essere stupida. Certo che ne hai bisogno.»

Si girò di scatto. La stanza cominciò a vorticare, e dovette di nuovo appoggiarsi al comodino per restare in piedi.

«Chi sei? Fatti vedere!» Nelle sue intenzioni il tono doveva essere quello di un grido di sfida, ma dalla sua bocca uscì solo un roco rantolio.

«Sono qui. Non mi vedi?»

La stanza smise di muoversi, e finalmente lo vide. Un alto ragazzo biondo era appoggiato alla parete della stanza, con le muscolose braccia conserte.

Inconfondibile.

Non riuscì a trattenere un sorriso. «E così ce l’hai fatta.»

Il ragazzo la guardò perplesso. «A fare cosa?»

«A vincere gli Hunger Games.»

Un espressione indecifrabile passò sul volto del giovane, come una nuvola solitaria in un pomeriggio d’estate. «Temo di doverti deludere, ragazzina. Non ho vinto.»

«E allora cosa ci fai qui?»

«Bella domanda.»

Non capiva. E lei detestava non capire.

«Dove siamo?»

«Non ne ho idea.»

«Bell’aiuto che sei.»

Il ragazzo ridacchiò. «Forse sei a Capitol City. O forse in un altro posto. In ogni caso, tra poco lo saprai.»

«Lo spero. Detesto non sapere.»

«Lo so. Sei sempre stata una tipa sveglia.»

Fece una smorfia, poi guardò il letto. «Forse dovrei riposare un altro po’.»

«Lo credo anche io.»

Si rimise a letto, tirandosi le coperte fino al mento. Il ragazzo era ancora appoggiato alla parete, e la guardava con una strana espressione, che non gli aveva mai visto sul volto prima d’ora. Il cipiglio fiero e determinato che l’aveva sempre caratterizzato era sparito, sostituito da un’espressione indecifrabile, di enigmatica imperturbabilità.

Il silenzio cadde nella stanza. Si sforzò di parlare, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Com’era possibile, se la sua testa era piena di così tante cose da dirgli?

Alla fine fu lui a spezzare il silenzio. «Beh, allora io vado.»

Sentì una strana stretta al petto. Come se qualcuno l’avesse afferrata. Una sensazione atavica proveniente da un passato che credeva di aver ormai sepolto.

Paura.

Il ragazzo era quasi fuori dalla stanza, quando le parole le uscirono di bocca come un torrente in piena, impetuose e scoordinate. «Aspetta!»

Il giovane si fermò. «Sì?»

Deglutì. Perché è così difficile parlare?

«Al mio risveglio, tu... ci sarai?» Si sentì incredibilmente stupida, e si affrettò a completare la frase. «In caso dovessi uccidere qualcuno per fuggire via di qui, potresti essermi d’aiuto.»

Ancora una volta, il ragazzo sorrise.

«Ma certo. Ora riposati.»

Uno strano calore le avvolse il petto. Maledetta morfina.

«Allora a dopo, Cato.»

«A dopo, Clove.»







L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: Ed eccoci dunque, siori e siore, al primo capitolo di questa nuova mia idea balzana. Come forse i più acuti di voi avranno compreso, Dan e Lee, i due amichetti che compaiono ad inizio capitolo, sono del Distretto Dieci, la cui principale occupazione è il bestiame: una terra di cowboy, praticamente. Nell'ideare questa storia, volevo un personaggio che fosse di un distretto sfigato forte: il Distretto Dieci non compare praticamente mai, non c'è alcun personaggio del distretto dieci degno di nota (a parte un certo Dalton nel terzo libro, ma fa praticamente una comparsata) e i due tributi scelti per i settantaquattresimi hunger games sono talmente sfigati che non compaiono neanche nella scena del bagno di sangue alla Cornucopia (dove in teoria dovrebbero esserci), nel primo film. Si vedono in un paio di scene, giusto qualche fotogramma: hai appena il tempo di dire (sempre se li noti) "ma quanto sono ridicoli quei due vestiti da cowboy?" che già sono spariti, inghiottiti dall'oblio. Entrambi sono senza nome, e quando la femmina muore (dopo tipo 26 secondi) neanche proiettano la sua faccia in cielo.
Insomma, era destino.
Anche Clove compare poco, per quanto sia un personaggio abbastanza importante: sappiamo soltanto che è prepotente, pericolosa e sadica e con un mezzo impiccio "forse no ma magari mezzo che sì" con il suo compare di Distretto. Non ho ancora ben deciso come inquadrarla esattamente, ma spero che la sua rappresentazione sia sufficientemente buona e non faccia indignare i fan della nostra amichevole coltellara di quartiere.
In ogni caso, come sempre, se avete suggerimenti o altro, non avrete che da scrivere. Potreste mettere in moto cose che non avrei mai pensato di poter pensare pensando.

Inchini e riverenze, e alla prossima!

 

  
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