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Autore: Preussen Gloria    26/02/2014    6 recensioni
"Cresce. Assomiglia a te."
C'è ancora una storia che Odino non ha raccontato.
"A chi? Al principe delle illusioni o al re dei mostri?"
Riguarda il suo primogenito. Riguarda il figlio che ha adottato.
"Al giovane con gli occhi verdi e i capelli corvini che una volta conoscevo"
Riguarda i due principi che sono venuti prima di loro.
"Non è mai esistita quella persona, Odino."
Riguarda leggende che non sono mai state scritte.
"Non puoi dirmi questo! Non mentre mi guardi con gli stessi occhi di mio figlio"
E verità che sono sempre state taciute.
"Non è tuo figlio! Non lo è mai stato. È nato nell'inganno, vive nell'inganno, le bugie sono l'unica cosa che possiede..."
Thor e Loki hanno sempre saputo di essere nati sul finire di una guerra.
"... E un giorno, forse, ne diverrà il principe."
Ma nessuno ha mia raccontato loro l'inizio di quella storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frigga, Laufey, Loki, Odino, Thor
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Mpreg
Capitoli:
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XXI
Frammenti
[Jotunheim, oggi.]


Býleistr non era mai stato un tipo romantico.
Vedere suo fratello credere negli amori sbagliati era stata una lezione sufficiente per convincerlo che non valeva la pena provare.
Eppure, non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal viso di Bàli, mentre una felicità mista a malinconia gli animava il cuore al punto da impedirgli di dormire. Era bellissimo, il suo cacciatore.
Lo sapeva... L'aveva sempre saputo ma era come se lo realizzasse per la prima volta.
Scarti, errori... Aveva sentito un sacco di nomi con cui riferirsi a quelle creature ed ora Býleistr, il principe dal cuore di ghiaccio, il futuro primo generale di Jotunheim, si commuoveva di fronte a tanta bellezza e sapeva che avrebbe sgozzato chiunque avesse osato definire debole, indegno, deforme il suo compagno o chiunque altro come lui. Si sporse in avanti e gli baciò la fronte liberandola da una lunga ciocca di capelli corvini. Ci aveva infilato le mani molte volte, mentre facevano l'amore e, ogni volta, gli erano scivolati tra le dita come seta.
Býleistr non aveva ancora avuto il tempo di farseli crescere così lunghi: i suoi a stento gli coprivano il collo ma già sapeva che non avrebbe potuto permettersi di più con quelle ridicole punte arricciolate all'insù. Helblindi non li aveva così.
Un altro dettaglio che lo faceva assomigliare a Laufey e lo distanziava da Fàrbauti.
Si stese sulla schiena e fissò l'alto soffitto di ghiaccio, mentre distrattamente si accarezzava la pancia sotto l'ombellico.
"Ci sei?" Non si rese conto di averlo detto ad alta voce.
L'amante al suo fianco ridacchiò e coprì quella mano con la sua.
Býleistr voltò il viso nella sua direzione e sorrise nell'incontrare quegli occhi scarlatti.
"È troppo presto, amore mio."
Il principe fece una smorfietta, "non è detto."
"Ci vuole tempo per avere un bambino, Býleistr."
"Il tempo è per le persone pazienti," replicò il più giovane, "nè io nè lui lo siamo."
"Hai già deciso da chi erediterà i difetti?"
Býleistr gli tirò una gomitata e Bàli rise tirandolo verso di sè per stringerlo forte.
"Non ha importanza, se avrà un carattere terribile."
"Grazie, davvero!"
"Quel che è certo è che sarà bellissimo..."
Il principe si rilassò ma decise di portare quel broncio stampato in faccia ancora per un po', "sarà uno... Sarà come te, vero?"
Bàli lo guardò, un poco ferito da quella domanda, "non ho mai visto il figlio di uno scarto divenire uno Jotun degno di tale nome."
Býleistr lo guardò, "tu sei uno Jotun degno di tale nome," protestò, "lo sei più dei nobili rimasti ad Utgard."
Il cacciatore gli concesse un bacio leggero, "con te potrebbe essere diverso, però."
"Non m'importa, Bàli."
E lo pensava davvero.
"Pretendo solo una cosa da nostro figlio: che sia forte e sano, il resto non ha importanza... Non deve avere importanza."

Laufey fissava la sconfinata pianura bianca da un numero di ore che non sapeva calcolare e nemmeno gli importava.
"Padre..." Se Helblindi era preoccupato per lui, non lo dava a vedere.
Il re non si voltò a guardarlo: e se Býleistr fosse comparso all'orizzonte proprio nel momento in cui voltava lo sguardo? Se fosse tornato indietro ferito, zoppicando tra la neve e non se ne fosse accorto in tempo per aiutarlo?
"Padre, lui non tornerà."
Non lo aveva punito. Che senso avrebbe avuto? Far del male a Helblindi, che era tutto ciò che gli era rimasto, non avrebbe riportato Býleistr da lui. 
"Non gli ho detto addio," mormorò il re distrattamente, "non mi ha concesso nemmeno questo."
"Tu non lo avresti lasciato andare," gli fece notare Helblindi con voce incolore.
"Smettila..." Il re si coprì gli occhi con una mano.
"Di fare cosa?"
"Di parlare in questo modo!" Sbottò il re concedendogli un'occhiata, "come se per te fosse una cosa ormai conclusa e non si possa fare altro che accettarlo."
"È una lezione che ho imparato da te," replicò Helblindi, "mi hai educato per pensare come re, ricordi? Býleistr ha fatto la sua scelta, non sarà la nostra emotività a riportarlo indietro e, ora, il nostro popolo ha bisogno che rimaniamo lucidi!"
Laufey sorrise amaramente. Fuori aveva ricominciato a nevicare.
"Non recitare, Helblindi," quasi lo pregò, "arriverà un giorno in cui non riuscirai più a smettere di farlo ed allora ti accorgerai di aver perso te stesso, senza che tu te ne accorgessi."
"È questo che è successo a te?"
"No, figlio mio, questo è quello che succede ai re," rispose con una nota di tristezza, "il primo nemico che un sovrano deve sconfiggere è il suo cuore. Io pensavo di esserci riuscito il giorno in cui mi sono seduto sul trono di ghiaccio ma non è stato così."
"È una storia vecchia, padre."
"Allora la ascolterai ancora una volta!" Esclamò il re, "perchè tuo fratello non deve averla ascoltata abbastanza bene per aver fatto quello che ha fatto..."
"Ha seguito il suo amore," Helblindi fece un passo in avanti, "possiamo davvero condannarlo per questo?"
Laufey alzò gli occhi verdi verso il cielo grigio: non ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva visto il cielo di Jotunheim trapunto di stelle. O, forse, sì.
Era un ricordo antico di secoli... Troppi per poterli ricordare con precisione.
"Vedi quella stella, piccolo?"
La prima volta che aveva visto Loki, aveva gli occhi aperti e grandissimi.
"Quella è Asgard... È da lì che viene il tuo papà!"
La prima volta che Loki aveva visto le stelle, gli era sembrato che in quelle iridi di smeraldo liquido potesse contenerle tutte.
"E un giorno sarà tua e di tuo fratello ed entrambi ne sarete i re."
 
[Asgard, oggi.]



Odino fissò il mare di stelle di fronte a sè, come se potesse trovare ciò che cercava da una distanza simile.
"Non c'è traccia di lui?"
"No..." La risposta del Guardiano al suo fianco fu lapidaria, "non mi fa piacere ammetterlo, ma Loki sa come nascondersi agli occhi dei Nove, mio re."
Odino annuì, "la prossima volta che avremo sue notizie sarà per suo diletto e non per un suo errore," si voltò a guardare il palazzo dorato in lontananza, "facciamo che questa sia l'ultima volta che ci sfugge."
"Sì, mio re."
"Qualunque informazione deve essere riferita direttamente a me e non per bocca di terzi, mi sono spiegato?"
"La regina è venuta ad interrogarmi prima di voi," ammise Heimdall, "mi ha chiesto la medesima cosa."
Odino lo guardò a lungo ma senza rancore, "a chi devi la tua fedeltà?"
"A voi, mio signore."
"Non serve che ti dica altro."

Thor non parlava da dieci giorni.
A stento mangiava e, sebbene passasse a letto la maggior parte del suo tempo, non riposava neanche un poco.
"Amore..." Frigga aveva lasciato la sua stanza una volta soltanto, quando era andata da Heimdall e chiedere notizie di quel figlio che, ancora una volta, gli era sfuggito di mano, "Thor, non puoi continuare così."
Il principe dorato fissava un punto nel vuoto e fingeva. Alle volte, incontrava i suoi occhi ma le dava le spalle l'istante successivo.
"Piangi!" Esclamò Frigga, "urla, disperati, maledicilo, se devi!" Gli passò una mano tra i capelli biondi, "ma non puoi lasciarti morire per questo, tesoro mio."
Thor strinse le labbra e trattenne il fiato.
"Siamo solo io e te, Thor, non devi nasconderti con tua madre... Non ne hai motivo."
Gli occhi azzurri la guardarono e fu il turno della regina di smettere di respirare.
"Non sono una fanciulla dal cuore spezzato," disse freddamente lui.
Frigga lasciò andare un sospiro di sollievo: gli sembrava di non udire la sua voce da secoli.
"Forse non sei una fanciulla," ammise lei accennando un sorriso, "ma non fingere che il tuo cuore sia integro, Thor. Non farai che farti altro male."
Lui scrollò le spalle, "che cosa vuoi dirmi?" Domandò, "che col tempo passerà? Sappiamo entrambi che è una bugia, madre. Loki non può passare... Loki non passerà mai..."
"È sveglio?" Odino era entrato senza chiedere il permesso: una brutta abitudine che aveva sviluppato quando aveva smesso di fidarsi dei suoi figli. Thor si voltò a guardarlo ma non ricambiò il sorriso che suo padre gli rivolse, "pensavamo che fossi sotto un altro maleficio," commentò il re. Il principe si mise a sedere contro i cuscini, "sto bene..."
Anche uno stolto si sarebbe accorto di quanto Thor fosse incapace di mentire.
Ma Odino era molto più di uno stolto, era un vecchio re che preferiva vedere solo quello che gli faceva comodo.
"Posso vederlo."
Frigga rimase in silenzio, mentre il marito le arrivava a fianco, "ha ancora la febbre," sottolineò lei, "non chiedere a lui, sai che negherebbe di star male anche se fosse stato trapassato da parte a parte con una lancia."
"Sto bene," ripetè Thor con più convinzione.
Frigga sbuffò, come se si ritrovasse davanti ad un bambino capriccioso.
"I tuoi amici non vedono l'ora di vederti," lo informò il sovrano, "rimettiti in sesto velocemente o sarò costretto a mettere delle guardie alla tua porta per impedire a Sif di passare."
Frigga sgranò gli occhi, "lo sanno?"
"Tutto il regno lo sa," rispose Odino guardando la consorte, "non vedo perchè dovremmo tenere nascosto il ritorno dell'erde al trono."
"Forse, perchè è necessario parlare di tutto quello che è successo negli ultimi mesi?" Propose Frigga irritata.
"Non dire sciocchezze, donna," il sovrano si oscurò di colpo, "non è successo niente e non c'è nulla di cui si debba parlare."
"Loki se ne è andato, Odino!" La regina quasi urlò, "Thor è stato vittima di una maledizione di cui non conosciamo l'attefice e..."
"Loki è l'artefice," la corresse il re.
"Mi ha giurato di non conoscere un maleficio simile."
"Se non lo conosceva, come ha fatto a spezzarlo?"
"Conosce a memoria tutti i testi scritti presenti su Asgard e ti sembra così assurdo che abbia trovato una soluzione, senza essere la causa del problema?"
Odino fece una smorfia, poi si fermò a riflettere, "c'è solo una cosa che voglio sapere da Thor," guardò suo figlio con fiducia, "Loki ha mosso delle calunnie contro di te, mentre versavi in quello stato."
Thor lo fissò senza una reale espressione.
"Figlio mio," Odino temporeggiò un poco, "ho motivo di credere che tra te e tuo fratello siano successe cose che, di fronte alla legge di Asgard, possono essere definite dei crimini?"
"No..." La rispose di Thor fu veloce, spontanea, per nulla ragionata.
Frigga ne rimase stupita.
"Non avrei mai fatto nulla che potesse disonorare il tuo nome, padre," aggiunse Thor con una compostezza che non gli apparteneva, "nè mi sarei mai permesso di gettare nuove ombre sulla famiglia reale di Asgard."
Frigga non aveva parole.
"Il mio cuore appartiene a questo regno, per esso batte e per esso smetterà, se sarà necessario."
Non sapeva cosa fosse peggio: Thor che recitava un copione già scritto come un attore consumato o suo padre, il re, che gli credeva, nonostante del vero principe dorato non ci fosse più nulla su quel viso. 
Ma, di nuovo, Odino vide semplicemente ciò che voleva vedere.
"Non avevo dubbi, figlio mio."

Sif era nell'armeria, quando le giunse notizia che il principe Thor era sceso nell'arena per salutare gli amici e i vecchi compagni di allenamento. Era stato uno dei nuovi allievi ad informarla, un ragazzino giunto pochi giorni prima e che mai aveva avuto occasione di vedere l'erede al trono da così vicino.
"Non correte a salutarlo anche voi, Lady Sif?"
"Si, vengo tra un attimo," aveva risposto lei. Non poteva ammettere che avrebbe voluto correre e spintonare chiunque si fosse messo tra lei e il centro dell'arena ma, di colpo, era stata certa che le gambe non l'avrebber retta. 
Thor era tornato.
Thor era a casa.
Che cos'era un anno nelka vita di un semi-dio? Nulla. Eppure, a Sif era parso un millennio e il fatto di non sapere dove fosse, perchè se ne fossè andato e il motivo per cui avesse deciso di farlo senza salutare nessuno non aveva fatto altro che estendere la durata di ogni istante, fino a che il sole sembrava non voler mai tramontare o la notte credeva che il cielo non si sarebbe rischiarato più.
Non brillava il sole, quel giorno e c'erano troppe nuvole perchè si potessero vedere le stelle, una volta calata la notte.
Ma a Sif parve di vedere tutte le luci dell'universo, quando quegli occhi color cielo incontrarono i suoi.
"Ciao," la salutò lui con naturalezza avvicinandosele.
Per un istante, lei non seppe che cosa dire, "sei in ritardo!" Lo rimproverò, infine.
Lui allargò le braccia, "accetterò qualsiasi punizione, mio generale."
Il sorriso di Thor non brillava come ricordava ed erano stanchi quegli occhi meravigliosi, quelli che aveva cercato in altri guerrieri senza mai ritrovarli, ma Sif non se ne curò. Se la felicità non le avesse offuscato la ragione e lo sforzo di trattenerla non l'avesse impegnata troppo, forse glielo avrebbe fatto notare. Forse, avrebbe indagato e fondo e sarebbe anche riuscita a scorgere gli innumerevoli pezzi in cui era ridotto il cuore di Thor.
Forse... Se fossero stati ancora ragazzini, se non ci fossero stati così tanti segreti a dividerli... Forse, in un tempo perduto.
Ora, Sif vedeva l'uomo che amava circondato da una folla festante e non le serviva altro.
Ora, Thor non vedeva nessuno delle decine di volti intorno a lui, tranne quello dell'unica persona assente.
 
[Asgard, secoli fa.]


"Il re ha commissionato un lavoro da cui potrebbe dipendere il destino del regno ad una persona di cui non si fida?" Domandò Loki completamente confuso.
"Conoscendo Borr, non è nemmeno la più atroce delle assurdità che abbia commesso," replicò Nàl passandosi una mano tra i capelli per lisciarli all'indietro.
"Pensate che sia uno Jotun?" Domandò Skaði.
Nàl scrollò le spalle, "il giovane che lavora per lui non ha nè confermato, nè smentito."
"Ma se è uno Jotun..." 
"Aspettiamo Odino!" Propose Loki d'impulso.
"No," rispose il principe di Jotunheim guardandolo attraverso il rilfesso nello specchio, "il Costruttore sarà qui a momenti e vi voglio preparati."
"A cosa?" Domandò Skaði confuso.
Nàl ghignò, "siete degli Jotun, fate quello che vi riesce meglio."
"Congelare l'atmosfera?" Cercò d'indovinare Loki, strappando un sorriso agli altri due.
"Osservatelo," ordinò Nàl, "studiatene l'aspetto, i movimenti, qualunque cosa. Cercate di vedere in lui qualcosa che un Aesir, con i suoi limiti, non scorgerebbe mai."
In quel mentre, qualcuno bussò alla porta della camera. I tre Jotun si scambiarono un'ultima occhiata d'intesa, poi Skaði si allontanò dai compagni per permettere all'ospite di entrare.
Il Costruttore si presentò con un sorriso elegante che sfumò in un'espressione delusa.
"Non siete il re," commentò fissando il giovane Jotun negli occhi.
Nàl gli rivolse un sorrisetto, "siete intuitivo, mio signore."
"Mi lusingate con la vostra cortesia ma temo di non avere il titolo per essere il vostro signore," replicò l'uomo facendo a stento un passo in avanti. Aveva l'aria di chi aveva gran fretta di andarsene.
"Il re ha chiesto a me di accogliervi," lo informò Nàl alzandosi dalla poltrona davanti allo specchio e muovendo qualche passo verso le alte colonne che delimitavano l'interno della camera dalla balconata esterna, "mi sono permesso di farvi preparare qualcosa per pranzo. È una splendida giornata, ho pensato che voleste consumarlo godendovi la vista della città dorata."
Il Costruttore tornò a sorridere rillassando le spalle e Nàl seppe di aver conquistato la sua attenzione.
"Non siete nemmeno il principe ereditario, vero?" Domandò.
"No, temo di no," rispose il giovane Jotun, "se, ora, volete seguirmi..."
Il costruttore non se lo fece ripetere due volte ed entrò nella stanza senza degnare di uno sguardo nè Skaði, nè Loki. 
Quest'ultimo si avvicinò al primo sorridendo sotto i baffi, "sarà meglio prepararsi..."
"Che vuoi dire?" Chiese Skaði curioso.
"Se Borr esce soddisfatto da questa storia, sarà il primo a pretendere Nàl sul trono dorato al fianco di mio fratello."
"Pensavo che il re odiasse quelli come noi," obbiettò Skaði.
Loki annuì, "ma è perfettamente consapevole che quel che sta facendo Nàl adesso, Odino non sarebbe mai in grado di farlo e, con lui, nessuna delle fanciulle ritenute degne di divenire regine per vicinanza alla famiglia reale."
Skaði guardò il suo principe, mentre invitava il Costruttore a sedersi alla tavola imbandita che i servi avevano preparato sulla balconata, "è nato per essere re."
"Molti re non lo sono."
"Lui sì!" Esclamò Skaði, "si è battuto per me. Si è sporcato le mani per uno sconosciuto, solo perchè era come lui... Faceva parte della sua gente. Questo è il genere di re che potrei seguire."
Loki fece una smorfia, "ho smesso da molto tempo di considerare gli Jotun la mia gente."
Skaði lo guardò intensamente, "eppure, sei devoto a Laufey."
"Sono devoto ad Odino."
"Ma se Laufey e Odino fossero re di un solo trono..."
"Un mondo con Laufey e Odino come re, che sia Asgard o Jotunheim, sarebbe un mondo migliore," Loki ne era convinto, "quel giorno, m'inginocchierò davanti ad entrambi senza remore. Quel giorno, accanto a mio fratello, Laufey sarà il mio re."
Skaði gli concesse un sorriso, poi tornò a guardare Nàl che sorrideva con arte, mentre il Costruttore parlava di cose che non lo interessavano affatto. "T'immagini che cosa significherebbe, per quelli come noi, avere il principe di Jotunheim sul trono di Asgard?"
"Tu non sei uno scarto..."
"Ed ho subito una sorte peggiore della tua."
"Scusami..." Loki abbassò lo sguardo.
"Forse, è solo un sogno," Skaði sorrise amaramente.
Loki appoggiò un palmo al centro della porta rimasta aperta, "però è un bel sogno," fece per chiuderla, quando una seconda figura comparve dal corridoio. Entrambi gli Jotun trasalirono per la sorpresa.
Il giovane li squadrò dall'alto al basso con i grandi occhi scuri e Loki fece un passo all'indietro nel riconoscerlo.
Con il viso pulito, i capelli in ordine ed i vestiti di un giovane della nobiltà minore sembrava una persona completamente diversa.
"Il mio Padrone?" Domandò con voce incolore.
Loki lo fissò senza riuscire a pronunciare una singola parola.
Non capiva il motivo di una simile soggezione: quel ragazzo non era nessuno e lui aveva convissuto con le occhiate velenose delle più alte personalità di Asgard per tutta la vita, senza che queste riuscissero ad affliggerlo come avrebbero dovuto. Poi, ricordò...
Ricordò di essere corso da Nàl perchè aveva visto in lui qualcosa che lo aveva fatto scattare.
Ricordò di aver sospettato di lui e di averlo, in un modo o nell'altro, accusato senza prove concrete.
Era, forse, vergogna quella che gli comprimeva il petto? Probabile...
Sentì la mano di Skaði stringerli la spalla, "il Costruttore è sulla balconata insieme a Lord Nàl," rispose.
Il giovane dai capelli scuri nemmeno lo guardò e continuò a tenere gli occhi fissi sul viso di Loki che, a sua volta, non riusciva a voltare il viso. 
Si girò di colpo ed uscì sulla balconata senza chiedere il permesso.
Loki riprese a respirare: non sapeva quando aveva cominciato a trattenere il fiato.
"Stai bene?" Gli chiese Skaði preoccupato.
"S-Sì," balbettò Loki.
No, non stava bene per niente.

"Padrone?"
Nàl voltò immediatamente lo sguardo in direzione del proprietario di quella voce. 
Svadilfari ricambiò l'occhiata chinando la testa, "mio signore."
Il Costruttore si alzò dal suo posto per posare una mano sulla spalla del ragazzo, "giovane Lord, permettetemi di presentarvi Svadilfari, il mio apprendista ed assistente."
Nàl forzò un sorriso, "ho avuto il piacere di conoscerlo questa mattina, mentre sellava lo stallone del principe ereditario."
"È un piacere incontrarvi ancora, mio signore."
"Unisciti a noi," lo invitò Nàl indicandogli una sedia vuota.
"Che ragioni avevate per preoccuparvi dello stallone del principe?" Domandò il Costruttore sedendosi nuovamente al suo posto.
"È il mio compagno," rispose Nàl con naturalezza.
Il Costruttore inarcò le sopracciglia, "voi siete...?" Sgranò gli occhi senza aggiungere altro.
"La mia fama mi precede, vedo."
"Le voci non rendevano giustizia alla vostra bellezza."
"Non sono una dama, Costruttore," la voce dello Jotun divenne appena più gelida, "non me ne faccio nulla di simili complimenti."
"Allora," l'uomo allargò le braccia e sorrise con fare amichevole, "assecondiamo le volontà del re e non annoiamoci oltre."
Nàl sorrise, "da dove venite, Costruttore?"
L'uomo rise, poi si grattò il mento: non aveva un pelo in faccia, eppure i capelli scuri erano folti e lunghi.
"Temo, principe Consorte, di non avere mai avuto una fissa dimora... Vengo da ogni Mondo conosciuto. Andando indietro nei secoli, potrei anche rispondervi che vengo da qui, da Asgard."
Nàl guardò Svadilfari, "sì, il vostro apprendista mi ha confidato che viaggiate molto."
"Fa parte del lavoro."
"Posso capire," non aveva importanza quanto il principe di Jotunheim cercasse lo sguardo del giovane seduto accanto al Costruttore, Svadilfari non ne voleva sapere di alzare gli occhi dal suo piatto.
"Chiederete di sicuro un prezzo per il vostro lavoro."
"Oh, sì!" Esclamò l'uomo.
"E come vi fate pagare?"
"Dipende dal lavoro."
"Che prezzo avete chiesto al re?"
In quel preciso istante, la porta della camera si spalancò ed una felicissima Freya saltellò in direzione di Skaði.
"Óðr era alla battuta di caccia!" Esclamò raggiante, "l'ho visto! Era bellissimo, avresti dovuto vederlo!"
"Ha trattenuto tutto questo entusiasmo fino a casa?" Domandò Odino facendo capolino dalla porta, seguito da Frigga.
"È una signora," gli ricordò quest'ultima, "una vera signora non disonora se stessa sbavando dietro ad un uomo, questo è compito di voi maschietti."
Il principe dorato le rivolse una smorfia, poi si accorse che il suo compagno non era da solo, "oh..." Fu tutto quello che riuscì a dire.
Il Costruttore sgranò gli occhi alzandosi da tavola e rientrando nella stanza, "ho l'onore di conoscere il glorioso principe Odino?" Era un modo particolarmente sfacciato di rivolgersi ad un erede al trono ma Odino non era mai stato particolarmente pignolo su questo genere di cose.
Inoltre, l'aggettivo glorioso aveva oscurato tutto il resto.
"In persona," rispose gonfiando il petto.
Nàl si schiaffò una mano in faccia per eviatarsi di andare a prendere a ceffoni la sua.
"Con chi ho l'onore di parlare?"
"Chiamatemi Costruttore," rispose l'uomo, "sono colui che vostro padre, il re, ha assunto per poter rendere più sicuro il vostro regno con un muro difensivo."
Frigga inarcò le sopracciglia, "un muro?"
"Il re ritiene che il guardiano del vostro cancello non sia così attento agli intrusi, mia cara" spiegò il Costruttore, "Asgard è un gran regno e necessita una degna protezione dalle minacce esterne."
"Che protezione?" Domandò Freya confusa, "i Regni sono in pace con Asgard e, molti di loro, ne sono alleati."
Il modo in cui gli occhi del Costruttore s'illuminarono, quando si posarono sulla minuta figura di Freya, costrinse Nàl ad alzarsi in piedi e rientrare nella stanza, "mio signore, dovete scusarmi ma il principe è appena tornato da una battuta di caccia, come le due signore e ritengo giusto che..."
"Una meraviglia," commentò il Costruttore avvicinandosi alla fanciulla di un passo, "il re Borr è stato molto onesto nel descrivervi, fiorellino."
"Come osate?" Skaði si parò davanti alla sua signora con fare difensivo, "è alla futura regina di Vananheim che state rivolgendo la parola."
L'uomo fissò lo Jotun con disprezzo.
Nàl temette che potesse colpirlo, quando Svadilfari posò una mano sulla spalla dell'uomo, "padrone?"
il Costruttore lo guardò con gli occhi febbricitanti d'ira.
"Penso che non dovremmo disturbare il principe ereditario oltre," disse con gentilezza.
L'uomo sembrò pensarci, poi lanciò un'ultima occhiata a Freya da sopra la spalla di Skaði, "a presto, mia principessa," si rivolse poi ad Odino, "mio principe," sia lui che Svadilfari s'inchinarono, poi uscirono dalla porta senza chiedere il permesso.

"L'avete venduta?"
Nàl non si era preoccupato di bussare, nè di controllare il tono della voce.
No, irruppe nella stanza del consiglio armato solo della sua rabbia e della sua indignazione.
Il re era da solo: si aspettava una sua visita.
"Te lo ha detto lui?"
"Mi è bastato vedere come la guardava," ringhiò Nàl in risposta, "ed è così che proteggete il vostro regno? Dando un'ottima ragione ai Nove Regni per attaccarvi?"
"Vananheim è sotto il governo di Asgard," gli ricordò Borr, "quel regno è una mia proprietà, come lo è la sua principessa."
Nàl ghignò, "ma non per molto, dico bene?" Strinse i pugni, "se la vendete a quell'essere finchè ancora avete potere su di lei, non dovrete più temere il suo regno."
Borr sbuffò, "rilassati, ragazzino..."
"Come posso rilassarmi, quando il sovrano del regno più alto di tutti vende giovani principesse come se fossero carne da macello?" 
"Siediti!" Ordinò.
"Non ascolterò nulla che..."
"Siediti!"
Nàl strinse le labbra ed ubbidì.
A tenerli distanti vi era un tavolo di almeno dieci metri, ghignò: aveva paura della sua ira, il re dei re.
"Freya è solo un diversivo," ammise il re, senza girarci troppo intorno.
"Spiegatevi."
"Questo Costruttore è famoso nei Nove per il modo assurdo in cui compie il suo lavoro."
Nàl incrociò le braccia contro il petto, "sarebbe a dire?"
"I tempi che impiega per completare le sue commissioni sono spiegabili solo con l'utilizzo del Seiðr."
Nàl sgranò gli occhi, poi rise istericamente.
Borr lo lasciò fare.
"Io non vi capisco," confessò il giovane, "voi temete questo potere. Lo odiate. Poi, lo ricercate in tutte le persone che potrebbero nuocervi e lo usate come giustificazione per attaccarle."
"Ho permesso a Freya d'insegnare alle nostre fanciulle," replicò Borr, "ho permesso ai curatori Vanir d'istruire i nostri ed ora le nostre donne non sono più indifese, come in principio."
"Ma guai, se un ragazzo prova ad appassionarsi all'arte della guarigione."
Borr ghignò, "voglio rivelarti un segreto, Nàl," disse quasi amichevolmente, "a noi uomini piace pensare di mandare avanti questo universo ma è un'illusione che ci creiamo per non dover affrontare il fatto che siamo delle bestie imbecilli."
Nàl inarcò un sopracciglio, "è l'unica verità che vi sento pronunciare, da quando vi conosco."
Borr rise, "arma una donna e questa si limiterà a proteggere la sua casa ed i suoi figli. Arma un uomo e questi ucciderà il suo vicino per conquistare la sua casa per sè."
"Ve lo ha insegnato Bestla?" Domandò Nàl con sarcasmo.
"Bestla è una regina, Nàl," gli ricordò il sovrano, "quando si sale su di un trono, si deve essere disposti a rinunciare alla propria umanità, se si vuol e essere grandi... Bestla sarebbe stata una grande regina, se solo non mi avesse tradito."
"Voleva solo che voi onoraste i patti di pace con Jotunheim."
"Pensavo la odiassi."
"La odio," Nàl annuì, "non ho mai accompagnato Freya su Vananheim con Odino per paura di doverle parlare ma penso abbiate dimenticato che, fancendola la vostra regina, non avete cancellato il suo essere una Jotun. Non si sarebbe mai permessa di essere grande per Asgard ed abbandonare la sua gente."
Borr non replicò e Nàl si umettò le labbra, "voi accettate che le donne studino l'arte del Seiðr perchè le considerate non pericolose," sorrise, "vengo da un mondo in cui le donne non esistono, mio signore e lasciatemi dire che, negli anni che ho vissuto qui, ho imparato che alcune di loro sarebbero più temibili di molti guerrieri sia di Asgard che di Jotunheim, se solo venisse concessa loro una possibilità su di un campo di battaglia."
Una pausa.
"Temete il Costruttore perchè potrebbe usare quel potere in un modo che non potete controllare?" 
"Che cosa hai scoperto di lui?"
"Che è un porco ed un violento," rispose Nàl, "caratteristiche comuni a troppi uomini perchè io possa dirvi di più. Ora, ditemi come Freya dovrebbe fungere da diversivo."
"Ho fatto una scommessa," spiegò Borr, "ho sfidato il Costruttore a completare il muro prima dell'estate."
Nàl sgranò gli occhi e rise, "questo è assurdo, siamo quasi alle porte dell'inverno!"
"Ha accettato."
"Non è possibile," il giovane Jotun scosse la testa.
"Ti ho appena detto che i suoi metodi sono piuttosto ambigui."
"Ma perchè v'interessa?" Domandò Nàl, "avete messo in gioco la vita di Freya, solo perchè un uomo qualunque ha avuto la fortuna di nascere con del potenziale."
"Non c'è solo questo..."
"Cos'altro, allora?"
"Ho ragione di credere che sia uno Jotun."
Nàl tacque e sgranò gli occhi, "anche io sono uno Jotun."
"Ho ragione di credere che viaggi per le corti dei Nove facendosi commissionare lavori e facendo la spia per conto di re Ymir."
Nàl strinse i pugni nel sentir pronunciare il nome di suo padre, "è assurdo, lo capite, vero?"
Borr si alzò in piedi e fissò la città dorata oltre le alte colonne che reggevano il soffitto, "no, non lo è."
"Spiegatevi..."
"Non sono stato io a cercarlo," spiegò Borr fissando il sole, mentre spariva dietro la linea dell'orizzonte, "è stato lui a venire da me, a presentarsi come il miglior costruttore mai conosciuto. Mi ha chiesto di sfidarlo, di dargli un'impresa impossibile da svolgere. Io gli ho commissionato un muro protettivo per Asgard, lui ha scommesso che avrebbe completato tutto prima dell'estate, io ho detto che, per essere impossibile, non doveva avvalersi dell'aiuto di nessun uomo. Lui mi ha chiesto solo un cavallo."
"Nemmeno mille uomini riuscirebbero nell'impresa, Borr, lo sapete bene!"
"Sì," il sovrano annuì, "io lo so, per questo gli ho concesso Freya come vincita. Però..."
"Però?"
"Quando gli ho stretto la mano, mi ha guardato come un uomo che è certo di avere già la vittoria in tasca e ne era troppo convinto, perchè si trattasse di semplice follia."
 
[Asgard, oggi.]


Festeggiamenti.
C'era stato un tempo in cui Thor non viveva per altro.
Lo scontro, certo.
Senza di quello, non avrebbe avuto una ragione per festeggiare.
Idromele, calici a pezzi in terra, canzoni volgari urlate da uomini ormai sbronzi.
Un tempo, Thor sarebbe stato un di loro. Avrebbe bevuto, cantato e riso come un folle, fino all'alba e, se non fosse stato soddisfatto da questo, avrebbe trovato una bella fanciulla con cui scaldare il letto, prima che il sonno lo vincesse. 
Quella sera, nessuno era ancora sbronzo, quando si alzò dal suo posto e prese la via delle sue stanze.
Un silenzio inquietante cadde nella sala dei banchetti, quando varcò la porta ma non si voltò per rassicurare nessuno. 
A stento aveva parlato con i suoi amici.
Aveva fatto l'impossibile per non incrociare lo sguardo dei suoi genitori.
Si era tenuto lontano da qualsiasi fanciulla e, a stento, aveva posto attenzione alle parole che Sif gli aveva rivolto.
Aveva perso la voglia di festeggiare, Thor.
L'aveva persa il giorno in cui l'unico fratello che aveva si era tolto la vita davanti ai suoi occhi e si era ritrovato costretto a rinunciare all'unica donna da cui aveva mai desiderato tornare. Poi, Loki era tornato e persino il pensiero di Jane era stato accantonato per un po'.
L'aveva pensata durante la prigionia di Loki.
Sì, l'aveva pensata, quando aveva avuto bisogno di prendersi una pausa dalle oscure riflessioni che alimentavno i suoi incubi.
Poi, si era ritrovato di nuovo su Midgard con una passione proibita a fargli ribollire il sangue e la possibilità di tornare da lei, eliminando un peccato con uno minore, perdonabile. A Loki aveva detto che l'aveva amata.
Aveva dovuto mentirgli, così che lui potesse distruggere il muro che impediva ad entrambi di scatenare quel fuoco che corrompeva l'anima di entrambi e che, prima o poi, li avrebbe consumati. Non era durata molto, quella bugia.
Thor aveva dovuto dire a Loki che non aveva mai toccato Jane.
Aveva dovuto dirgli che era andato da lei ma che, alla fine, non ce l'aveva fatta, perchè il prezzo da pagare sarebbe stato troppo grande per lui da sopportare.
Alla fine, tra Jane e Loki, Thor aveva scelto Loki.
Aveva scelto mille anni di vita insieme, contro tre giorni di rivoluzione interiore.
Aveva scelto male.
Una sola vita felice sarebbe valsa molto di più di un'eternità di dolore.
Ora, non aveva più voglia di festeggiare.
Ora, non poteva più nemmeno tornare su suoi passi, perchè il cuore con cui avrebbe amato Jane non esisteva più.
"Thor?"
Si bloccò. Si voltò.
Lo sguardo preoccupato di Sif era la cosa peggiore che potesse vedere in quel momento. 
"Ehi..." Lui forzò un sorriso.
"Va tutto bene?"
Non avrebbe mai potuto dirle che nulla sarebbe più andato bene.
"Sono molto stanco," si giustificò.
Lei annuì, "preferisci fare qualcosa di più tranquillo? Non hai l'aria di chi si può permettere di stare da solo."
E Thor non aveva il cuore di dirle che, non aveva importanza quanti sforzi avessero fatto lei, i suoi genitori, tutti gli altri.
Thor era solo.
Lo era dal momento in cui aveva deciso di amare una mortale.
Era condannato ad esserlo per sempre, perchè aveva amato il solo uomo a cui non avrebbe dovuto concedere nulla.
Alla fine, le uniche cose che in vita sua erano state veramente in grado di toccare un cuore ormai rubato, seviziato e gettato via, erano state le più sbagliate che un principe di Asgard potesse scegliere.
"Perdonami, Sif ma penso che farò un bagno caldo e andrò a dormire."
Lei annuì nuovamente, "ci vediamo domani per allenarci?"
"Non lo so, Sif."
"Oh..."
Thor non aveva la forza di preoccuparsi della delusione nei suoi occhi, "buona notte, Sif..."
"Buona notte, Thor."
Non sarebbe riuscito a chiudere occhio, quella notte.


Alla fine, almeno sul bagno caldo non aveva mentito.
L'acqua bollente, almeno, sembrava stordirlo abbastanza da concedergli qualche minuto di pace.
Appoggiò la testa contro il bordo e chiuse gli occhi con un sospiro.
Quanti secondi, prima che i ricordi cominciassero a perseguitarlo?
"L'acqua del lago non era così calda."
Sollevò le palpebre: gli occhi verdi che lo fissavano brillavano di una luce calda e maliziosa.
"Non mi ricordo," ammise, mentre l'altro aggiustava meglio le gambe ai lati del suo bacino e accendeva di passione quel corpo che non ne voleva proprio sapere di ricordarsi di essere ancora vivo. Respirava, in fondo, anche senza il suo cuore.
"L'acqua della doccia era calda," aggiunse.
L'altro gli sfiorò la bocca con la punta dell'indice, "e la pioggia?" Domandò, "te la ricordi la pioggia?"
"Amavi la pioggia."
"Era come fare l'amore con te mille volte al secondo," rispose Loki baciandolo a fior di labbra, "per colpa tua, ora vedo i temporali come la cosa più erotica che esista."
"Allora, faremo l'amore sotto la pioggia per tutta la vita."
"Lo prometti?"
Loki non gli aveva mai chiesto di promettergli niente.
Nella sua recita era stato abbastanza onesto, in fin dei conti, da non pretendere da lui nulla più di quel che avevano.
Però, era dolce, nella sua immaginazione, sentire quella voce chiedergli di fare un giuramento... Un qualcosa che potesse unirli oltre la realtà delle cose.
"Te lo prometto."
Quell'illusione svanì troppo in fretta.
Thor dovette mordersi il polso per trattenere il gemito finale che uscì dalla sua gola.
Nessuno lo avrebbe sentito ma non voleva udire se stesso gemere come un ragazzino, mentre veniva nella sua stessa mano.
C'erano ancora tracce di sperma tra le dita, quando riemersero dall'acqua.
Strinse le labbra con rabbia e disgusto, poi lavò via quello che rimaneva di quella solitaria parentesi di piacere con violenza, graffiandosi il dorso ed il palmo della mano. Poi, si strinse le ginocchia contro il petto artigliandosi le spalle.
Cominciò a piangere, quando le unghie penetrarono la carne e alcune goccioline cremisi sporcarono l'acqua cristallina della vasca ma non per il dolore fisico. Quello avrebbe voluto sentirlo di più, forse sarebbe riuscito a non pensare, in quel modo.
Si passò entrambe le mani tra i capelli bagnati tirandoli.
Sentiva ancora il suo odore addosso ed il suo sapore in bocca.
Sentiva la voce alterata dal piacere nelle sue orecchie.
Sentiva il calore umido del suo corpo accoglierlo.
Sentiva ancora l'incertezza che lo aveva bloccato, un istante prima che Thor lo lasciasse prendere ciò che non aveva concesso a nessun altro.
Nessun altro...
Un pensiero orribile gli attraversò la mente.
Il vecchio se stesso se lo sarebbe lasciato scivolare addosso provando vergogna.
Quello che era ora vi si aggrappò con tutte le sue forze.
Scosse la testa in un improvviso momento di lucidità.
Uscì dalla vasca e sperò che almeno il sonno fosse clemente con lui e lo prendesse in fretta.
 
[Asgard, secoli fa.]

Quando le guardie scesero fino alle scuderie per cercarlo, Svadilfari strinse i denti per obbligarsi a non perdere la calma.
"Ho commesso qualche errore per il quale devo rispondere?" Domandò ma non gli venne spiegato nulla.
Indossò gli abiti migliori che aveva e si limitò a seguire le due guardia nascondendo magistralmente il suo timore.
L'area del palazzo era quella riservata ai membri della famiglia reale, ma non venne condotto negli stessi appartamenti in cui aveva messo piede quella stessa mattina. 
Si fermarono davanti ad una porta dorata identica a tutte le altre.
Uno dei due uomini bussò, prima di tornare sull'attenti.
L'uscio si aprì un po' troppo velocemente, come se l'occupante della stanza avesse aspettato il suo arrivo con particolare urgenza.
Il giovane Jotun gli sorrise timidamente, poi si rivolse alle guardie, "potete andare," ordinò e queste si voltarono senza congedarsi in alcun modo. 
Svadilfari rimase immobile fissando il giovane dai capelli corvini senza una reale espressione.
"Prego, accomodati," Loki si fece da parte permettendo al suo ospite di entrare.
Svadilfari ubbidì, senza emettere suono.
Loki richiuse la porta, poi prese a torcersi le mani con agitazione, mentre l'altro osservava incantato il fuoco acceso nel camino, "ho saputo che il Costruttore ha una stanza a palazzo."
"È così," confermò il giovane apprendista senza guardarlo.
Loki avvertì uno spiacevole calore salirgli alle guance ma andò avanti, "tu dormi nelle scuderie?"
"I cavalli sono migliori di molte persone."
"Non ne dubito ma non deve essere molto comodo..."
Svadilfari lo guardò dritto in faccia e Loki si sentì costretto ad abbassare gli occhi per troppo imbarazzo, "mi avete fatto chiamare per invitarmi nel vostro letto?"
Il giovane Jotun sgranò gli occhi ed avvampò, "I-Io..."
"Non avete motivo di vergognarvi," Svadilfari accennò un sorriso, "se avete intenzione di divertirvi, sarò lieto di farvi compagnia."
L'espressione di Loki era indescrivibile, "temo di non apprezzare quel genre di divertimento."
Svadilfari inarcò le sopracciglia, "dite sul serio?"
"Ti sarei grato, se non mi deridessi per questo."
"Non lo sto facendo."
"Volevo solo chiederti scusa!" Esclamò Loki di colpo ed a voce troppo alta. 
Svadilfari reclinò la testa da un lato, "per cosa, mio signore?"
L'altro scosse la testa, "ti prego, non sono il signore di nessuno."
"Eppure dormite accanto al principe e al suo promesso."
"È una storia lunga, temo."
"Mi avete sottratto al mio giaciglio, penso che possiate intrattenermi con una storia."
Loki abbozzò un sorriso e lo invitò a sedersi accanto al fuoco co un veloce gesto della mano, "io ed il principe Odino siamo legati da un patto di sangue," raccontò accomodandosi di fronte al suo ospite, "un antico rituale che, da bambini, abbiamo trovato in un libro di magia."
Svadilfari lo guardò incredulo, "il principe dorato ed un piccolo Jotun, suona incredibile."
"Uno di quei piccoli Jotun è nel suo letto, in questo preciso momento," gli ricordò Loki, "questo è incredibile."
"Come siete giunto in queste terre."
"Chiamami Loki, ti prego."
"Loki... Mormorò Svadilfari, quasi volesse assaggiare il suono del suo nome, "perchè ti trovi così lontano da casa, Loki?"
"Jotunheim non è la mia casa," si affrettò a rispondere, "i piccoli Jotun non sono ben accetti tra la gente che li mette al mondo."
L'apprendista sorrise amaramente, "la maledizione del diverso."
Loki annuì, "sì, proprio così. Odino mi ha trovato che ero ancora un bambino. Ero tanto piccolo che, pur avendo la mia età, lui è riuscito a sollevarmi tra le braccia e portarmi al suo accampamento," gli occhi scuri si voltarono verso il fuoco, senza realmente vederlo, "ero poco più di una bestia, all'epoca. A stento riuscivo a comunicare... Non avevo neanche un nome."
"È stato Odino a chimarti Loki?"
"No, è un nome che mi sono scelto per me," rispose Loki incontrando quei grandi occhi nocciola, "è stata la prima volta che mi sono sentito libero di scegliere qualcosa."
"Non mi hai ancora detto per quale ragione senti il bisogno di chiedermi scusa."
Loki si morse il labbro inferiore, "Nàl è venuto da te perchè io ho... Sospettavo che potessi essere un pericolo."
Svadilfari abbassò lo sguardo, "lo avevo intuito."
"Ti chiedo di perdonarmi," disse Loki con sincerità, "è che hai capito che ero uno Jotun e ho imparato che solo gli Jotun riescono a riconoscersi ad un primo sguardo fuori dal loro ambiente e... Non riesco a fidarmi di quelli come me."
"Eppure, il compagno del principe..."
"Non è sempre stato così," spiegò Loki, "ci siamo odiati, prima d'imparare a darci fiducia. Temo di aver fatto lo stesso con te: ti ho accusato di qualcosa che non mi avevi dato motivo di sospettare. La stessa cosa è stata fatta a me dal momento in cui ho messo piede in questo regno e non lo sopporto... Non l'ho mai sopportato. Ti chiedo scusa perchè ti ho puntato il dito contro basandomi su un pregiudizio."
Svadilfari lo fissò per un lungo minuto di silenzio, poi annuì e si alzò in piedi, "non hai motivo di preoccuparti."
Loki si alzò in piedi a sua volta, "te ne vai?"
Il giovane apprendista lo fissò confuso, "c'è altro che posso fare per te?"
Lo Jotun si guardò intorno con imbarazzo, "è molto freddo questa notte."
L'altro non disse nulla.
"Le scuderie devono essere gelide."
"Sono abituato a ben peggio, Loki."
"Permettimi di ospitarti ancora un poco. Potremmo sedere davanti al fuoco e..."
"Non ho bisogno della tua pietà," si affrettò a dire Svadilfari con tono glaciale.
Loki trattenne il fiato e abbassò lo sguardo, "non era mia intenzione offenderti."
L'apprendista non disse altro, si limitò a voltarsi ed scire dalla camera.

"Che cos'hai?" Domandò Nàl, uscendo dall'acqua del laghetto e distendendosi sul mantello verde accanto a lui.
"Nulla..." Mentì Loki con un braccio appoggiato sopra gli occhi.
"Non è vero."
"Laufey..." Loki si girò su un fianco dandogli le spalle, "ho solo dormito poco, tutto qui."
Il principe di Jotunheim lo lasciò stare e prese a raccogliere i propri vestiti da terra, "dovremmo tornare," disse infilandosi i pantaloni, "il sole è alto, sarà quasi ora di pranzo."
Loki annuì imitandolo, "hai bisogno di me, questo pomeriggio?"
Nàl lo guardò, "se hai bisognondi riposare, mi chiuderò in biblioteca fino al tramonto, non devi preoccuparti."
Loki annuì. Non gli disse nulla nè di Svadilfari, nè di quello che era successo. Si sentiva troppo stupido per voler condividere quella cosa con qualcuno. In ogni caso, non era importante: non c'era ragione per cui lui e l'apprendista dovesse incontrarsi ancora, figurarsi parlare. 
Il Costruttore avrebbe fatto il suo lavoro e, nel giro di pochi mesi, quella parentesi sarebbe stata dimenticata sia da lui che da Svadilfari e, col trascorrere delle stagioni, avrebbero finito col dimenticare i reciproci nomi e quel che li aveva spinti a presentarsi.
Una sagoma scura uscì dagli alberi.
Loki la intravide con la coda dell'occhio e sobbalzò.
"Cosa c'è?" Domandò Nàl mettendosi subito sulla difensiva.
Entrambi tacquero, quando videro lo splendido animale uscire alla luce del sole e avvicinarsi alla riva del laghetto. Lo stallone, di questo si trattava, puntò su di loro i grandi occhi scuri, come per chiedere il permesso, poi chinò la testa e prese ad abbeverarsi. 
Loki si guardò intorno, "pensavo che non si cacciasse in questo lato della foresta."
"Sì," confermò Nàl fissando l'animale incantato. Il manto era color mogano, la criniera corvina. Doveva essere selvaggio, nemmeno le scuderie reali potevano vantare animali così belli cresciuti in cattività.
"Non credo appartenga a qualcuno."
"Eppure, non sembra disturbato dalla nostra presenza," notò Loki avvicinandosi di un paio di metri.
"Credevo non ti piacessero troppo i cavalli."
"È così..."
Ma quello stallone era troppo bello per non essere ammirato: così elegante, eppure completamente privo di qualsiasi segno che potesse provare il passaggio della mano dell'uomo su di lui. Loki aveva l'impressione che l'idea stessa di libertà avesse preso forma in quella meravigliosa creatura.
Il cavallo alzò la testa e lo guardò e, ingenuamente, Loki gli sorrise, come se fosse dotato della sensibilità giusta per capire il significato di quel suo gesto.
Il rumore di zoccoli in lontananza fece drizzare le orecchie dell'animale che si guardò intorno allarmato, prima di girare su se stesso e sparire tra gli alberi della foresta, silenzioso come un sogno scivolato via alle prime luci dell'alba.
"Arriva qualcuno."
La mano di Nàl sulla sua spalla, riportò Loki alla realtà, mentre uno stallone nero dall'aria familiare si avvicinava a loro lentamente. 
"Speravo di trovarvi qui," disse Odino sorridendo dall'alto del suo destriero, " dove sono i vostri cavalli?"
Nàl alzò gli occhi al cielo, "la fortuna ha voluto che avessimo entrambi delle gambe funzionanti."
Il principe dorato smontò dal cavallo e ne legò le cinghie al tronco di un albero, "ve ne stavate andando?"
"Cominciamo ad avere fame," rispose Nàl. Loki continuava a fissare assorto il pumto in cui lo stallone color mogano era sparito.
"Che gli prende?" Domandò Odino reclinando la testa da un lato.
"Un cavallo è spuntato dal nulla per fermarsi a bere," raccontò il principe di Jotunheim, "un animale superbo, a dire il vero."
"Degno di un re?" Domandò Odino interessato, "se vi ha colpito fino a questo pumto, potrei..."
"Lascialo stare," lo interruppe Loki di colpo.
Odino lo guardò confuso, "ho detto qualcosa che ti ha turbato, fratello?"
"Il fatto che tu sia il principe ereditario, non ti consente di legare ad una corda ogni vita di questo regno," lo rimproverò lo Jotun con un astio del tutto immotivato. Nàl lo fissò sorpreso ma fu Odino ad indagare, "volevo solo farvi un dono..."
"Nessuno te lo ha chiesto!" Sbottò lo Jotun con rabbia, "è una cosa bella e lo è proprio perchè non appartiene a nessuno. Perchè vuoi rovinarla?"
"Io non voglio fare proprio niente!" Odino alzò le mani in segno di resa.
Fu allora che il giovane Jotun sbattè le palpebre e sembrò tornare in sè, "i-io..." Abbassò lo sguardo, "mi dispiace, Odino... Non so cosa..."
Per tutta risposta il principe dorato lo prese per le spalle e ne studiò il volto con attenzione, "stai bene?" Domandò preoccupato.
Loki avrebbe solo voluto mettersi a piangere.
"È solo molto stanco," intervenne Nàl forzando un sorriso, "lo riporto a palzzo, gli faccio mangiare qualcosa e lo metto dritto a letto... Tu torna pure ad inseguire cinghiali e stai attento che Frigga e Freya non ti confondano con uno di loro."
Odino fece una smorfia, "divertente, Nàl, molto divertente..."

"Vuoi raccontarmi che cosa è successo?" Il principe di Jotunheim lo domandò solo dopo avergli messo una tazza fumante di tisana tra le mani ed averlo fatto sedere con la schiena appoggiata ad i cuscini del letto.
"Penso di aver commesso un errore," ammise Loki fissando il liquido scuro.
"Di che genere?"
"Volevo essere gentile con una persona a cui avevo fatto un torto," cercò di essere il più vago possibile, "questa, prima ha frainteso le mie intenzioni, poi, dopo aver compreso, è rimasta offesa dal mio comportamento."
Nàl lo fissò, "da quando tu parli con le persone al punto da offenderle?"
Loki arrossì e prese un sorso di tisana, "volevo scusarmi con l'apprendista del Costruttore," spiegò, "gli ho puntato il dito contro ancor prima di conoscere il suo nome e tutto basandomi su idee sbagliate e preconcetti."
"Eri preoccupato, non c'è nulla di sbagliato in questo."
"Dorme nelle scuderie, sai? Volevo solo essere ospitale e lasciare che si scaldasse un poco davanti al fuoco, prima di andarsene."
"Hai invitato Svadilfari nella tua stanza?"
Loki si morse il labbro inferiore, "volevo chiedere scusa."
"Potevi scendere stamani nelle scuderie e farlo," gli fece notare Nàl.
"Volevo palrargli," ammise il giovane Jotun, "so cosa si prova a non sentirsi a casa in nessun luogo e ad essere malvisti per il semplice fatto di essere vivi, volevo solo... Volevo essere gentile con lui, tutto qui."
Nàl annuì ed accennò un sorriso, "forse, nemmeno sa che cosa sia la gentilezza."
Loki inarcò un sopracciglio, "che cosa vuoi dire?"
"Ricordi com'ero anni fa, no? Quella che Odino chiamava passione, per me era una prova di forza. Il rispetto, la gentilezza... Nessuno mi aveva insegnato che cosa fossero. La sola lezione che avevo imparato da mio padre era che dovevo essere abbastanza forte da proteggere me stesso ed il mio popolo, una volta che sarei divenuto re, perchè ero solo in un modo molto più profondo della'assenza di compagnia e tale sarei rimasto con, o senza Fàrbauti. Sii temuto e avrai il potere, sii amato ed ogni giorno potresti rischiare di venir tradito."
Loki sentì una profonda tristezza comprimergli il petto a quelle parole ma rimase ad ascoltare, rfilettendo con cura su ciò che Nàl voleva fargli capire. 
"Bastava che Odino aprisse bocca perchè tutto quello in cui avevo sempre creduto venisse negato," continuò il principe di Jotunheim, "reagire con violenza era la sola cosa che potessi fare per non cadere a pezzi. Accettare che tutto ciò che mi avevano insegnato era sbagliato e ricominciare da capo, era una cosa troppo dolorosa e difficile perchè io la prendessi in considerazione."
Loki si asciugò velocemente una lacrima sfuggita al suo controllo, "come può qualcuno non aver mai conosciuto la gentilezza?"
Nàl si oscurò un poco, "tu l'avresti conosciuta, se Odino non ti avesse portato via da Jotuneim, quel giorno?" Domandò un po' duramente, "inoltre, quanta gentilezza ci si può aspettare da un uomo che si fa chiamare padrone dal suo apprendista?"
 
[Asgard, oggi.]


Tutto era perfettamente in ordine, come ce lo si poteva aspettare da Loki.
Non doveva aver portato nulla con sè.
Quel che aveva fatto parte della sua vecchia vita su Asgard era stato abbandonato, esattamente come lui.
Un fragore di risa attirò l'attenzione di Thor verso il balcone: i festeggiamenti dovevano essersi spostati nei giardini interni.
Sperò che non durassero a lungo: tutta quella felicità non faceva altro che nutrire il dolore che non sapeva per quanto tempo sarebbe riuscito ancora a celare. Suo padre aveva creduto alla sua verità senza battere ciglio, sua madre non smetteva di fissarlo con sospetto misto a preoccupazione, ogni qual volta che i loro sguardi s'incrociavano.
Che cosa le aveva detto, Loki? La verità? Quale delle tante?
Le aveva raccontato che erano divenuti amanti durante una notte di pioggia?
Le aveva detto che Thor lo aveva pregato di scoparlo come una puttana vogliosa?
Le aveva confessato di come aveva dato tutto per poter stringere in pugno il cuore di suo figlio, per poi stritolarlo tra le dita indossando quel ghigno di pura soddisfazione?
Suo padre gli aveva detto che Loki gli aveva fatto il lavaggio del cervello con una neonata fantoccio che l'aveva reso demente per giorni, sua madre si ostinava a difendere quel traditore che non smetteva di considerare un figlio, nonostante tutto. Nonostante quello che aveva fatto a Thor.
C'erano alcune carte sulla scrivania.
Thor percorse con l'indice la linea di una lettera scritta con eccessiva eleganza. C'era Loki nel modo in cui erano scritte quelle parole, c'era Loki in ogni angolo di quelle quattro mura.
Aprì l'armadio e trovò Loki in tutte le sfumature di verde esistenti, quelle racchiuse nei suoi occhi.
Lo trovò nel nero assoluto delle sue giacche che non era intenso nemmeno la metà di quello dei suoi capelli.
Afferrò una tunica, una delle più semplici e se la portò al viso.
Thor aveva sentito quell'odore addosso ogni mattina per più di un anno. L'aveva sentito sulla sua pelle, sulle lenzuola del suo letto, l'aveva avvertito nell'aria della sua casa... La casa in cui non avrebbe più messo piede, perchè parlava di Loki e di loro. Di tutto quello che era stato ma che, in realtà, non era mai esistito.
Con quella tunica verde ancora stretta al petto, Thor si coricò nel letto in cui Loki aveva dormito per la maggior parte della sua vita. Il letto in cui aveva nascosto i suoi sogni proibiti e in cui aveva consumato una passione peccaminosa con timide carezze segrete.
Se solo Thor fosse stato accanto a lui, quelle notti.
Se fossero state sue le mani ad accarezzarlo.
Se fossero stati veri i baci di quei sogni adolescenziali.
Se... Se...'Se...
Loki lo aveva amato nell'ombra e Thor ce lo aveva spinto tanto dentro che quell'amore era divenuto odio.
Poi, in quell'oscurità era entrato lui stesso per amarlo come non avrebbe dovuto ed ora era lì, solo.
Solo, come lo era stato Loki il giorno della verità.
Solo, come quando lo aveva avuto a meno di un metro di distanza da lui e non era riuscito a salvarlo dell'abisso.
Solo, con i pezzi di un cuore che non sapeva come riattaccare.
Thor affondò il viso nel cuscino che era appartenuto a Loki e, cullato dal suo fantasma, sprofondò in un sonno pieno di incubi.

"Thor..."
La voce di suo padre era fredda, incolore.
"Thor."
Era svgelio da ore ma gli ci volle un po' per tirarsi a sedere ed incontrare lo sguardo di quell'unico occhio glaciale.
"Io e tua madre ti stavamo cercando."
Il principe si voltò in direzione della balconata: il sole era alto, il tempo gli era sfuggito di mano.
"Chiedi scusa a mia madre per non essermi presentato a colazione, come le avevo promesso."
"I tuoi amici ti aspettavano per allenarsi," gli ricordò Odino.
"Avevo detto loro che non sapevo se sarei andato," si giustificò.
"Era un tuo dovere andare."
Thor lo guardò con astio, "ho finito il mio addestramento da anni, padre."
"Questa non è una buona ragione per oziare," replicò il re con pazienza, "che ti è successo? Ieri sera eri talmente confuso da non ricordare quale fosse la tua camera?"
"Ho infranto la legge, per caso?"
"No..." 
"Allora perchè vieni a farmi la predica?" Domandò il principe scocciato, "è il letto di mio fratello, non di un bordello."
Odino strinse le labbra, poi afferrò la coperta gettandola sul pavimento.
Thor si raggomitolò contro la tastiera del letto in un movimemto automatico ma non fu sufficiente a nascondere la tunica verde che gli era scivolata in grembo. Odino lo fissò come se lo avesse sorpreso a coccolare una testa mozzata.
"Che stavi facendo?"
"Nulla che andasse contro le regole."
"Che stavi facendo, Thor?"
"Piangevo mio fratello," rise istericamente, "nulla di diverso dal ritornello degli ultimi anni."
Odino chiuse l'unico occhio e sospirò profondamente, "che cosa deve arrivare a farti Loki, perchè tu possa capire?"
"Non preoccupatevi, padre, ho capito perfettamente," lo rassciurò Thor alzandosi dal letto, "torno in camera mia, vorrei che diceste ai miei amici che voglio restare da solo."
Se ne andò con la tunica di Loki stretta contro il petto.

Il servo di Sleipnir impiegò tre giorni ad informare Odino della scomparsa del suo signore.
Questo gli costò una serie di frustate e una notte da passare nelle prigioni.
"Pensavo fosse uscito, mio signore," singhiozzò il servitore alzando il viso da terra, "gli piace cavalcare nella foresta. Per giorni interi, alle volte."
"Non si è mai allontanato, senza prima informarmi," sibilò il re, "non ti ha insospettito che non ti abbia lasciato alcun messaggio da recapitarmi?"
Il servitore chinò il viso e scoppiò a piangere.
"Che ne dobbiamo fare di lui, maestà?" Chiese una guardia.
Odino sospirò, "lasciate che passi una notte in cella, poi riportatelo negli alloggi dei servitori... Troveranno qualcosa da fargli fare."
I singhiozzi disperati del povero servo lo accompagnarono, fino a che non risalì in superficie.

"Cosa pensi che gli sia successo?" Chiese Frigga preoccupata sedendosi sul bordo della fontana accanto al marito.
"Non lo so," Odino scosse la testa continuando a fissare il vuoto, "ho domandato a Heimdall... Non ha saputo cosa dirmi."
La regina sospirò con aria grave, "per quanto ancora dovremmo subire le conseguenze dei nostri errori?"
"Di che cosa stai parlando?"
"Loki, Thor... Ora, Sleipnir."
"Thor sta benissimo," obbiettò il sovrano con sicurezza, "diamogli qualche giorno ancora e dimemticherà questa storia, come tutte le altre."
"Quali altre?" Domandò Frigga freddamente, "pensi davvero che arriverà il giorno in cui dimenticherà l'ultimo sguardo di suo fratello, mentre si lascia cadere nel vuoto? Pensi che scorderà il modo in cui Loki gridava, mentre gli cucivi la bocca?"
Il sovrano si alzò in piedi di colpo, "ho fatto solo quel che era necessario."
"Certo!" Esclamò Frigga con sarcasmo, "continuiamo a ripeterci quanto grandi siamo stati come genitori nel sacrificare il bene dei nostri figli per uno superiore e fingiamo che il fazzoletto sporco di sangue che ci ha mostrato Thor non sia mai esistito."
"Ti proibisco di parlarne!" Le ordinò Odino puntandole un dito contro, "mi sono premurato di farlo sparire, mentre Thor delirava per la febbre e non c'è ragione per cui lui ne debba venire a conoscenza."
Frigga sgranò gli occhi, "pensi ancora che Thor sia stato sotto il comtrollo di Loki per tutto l'ultimo anno?"
"È l'unica cosa che abbia senso!"
"È l'unica cosa che sei disposto ad accettare!" Lo corresse la moglie, "ti sei fermato un minuto a riflettere sulla possibilità che sia successo quello che tanto temi?"
"Fai silenzio..."
"Hai idea di come potrebbe stare Thor in questo momento, mentre noi fingiamo di credere che è solo questione di tempo, prima che ritorni in sè?"
"Loki Laufeyson non ha toccato mio figlio," sibilò il sovrano di Asgard, "Thor non si è lasciato sedurre da un principe di Jotunheim dedito alla manipolazione e nulla... Nulla, Frigga, mi convincerà a cambiare idea in proposito."

Thor rimase chiuso nella sua stanza per dieci giorni interi, senza che la corte avesse notizie dello stato in cui versava il suo principe dorato.
Persino Frigga aveva smesso di comparire in pubblico: Odino era più che sufficiente per mandare avanti quella messa in scena.
Suo figlio non le parlava più e la regina, a stento, riusciva a porre un freno alla sua disperazione.
"Tesoro..."
Thor era seduto a terra con la schiena appoggiata ad una delle alte colonne che delimitavano la balconata.
"Tesoro, non devi nasconderti con me."
Aveva perso il conto delle volte che lo aveva ripetuto.
"Qualunque cosa sia successa tra te e tuo fratello, non sarà mai abbastanza grave da indurmi a smettere di amarti."
Thor continuò a fissare il cielo reso rossastro dal tramonto, "lo hanno trovato?"
"Thor..."
"Voglio sapere se hanno una pista, qualcosa..."
Frigga chiuse gli occhi e scosse la testa, "no, tesoro."
Thor annuì, "vorrei rimanere da solo."
"Amore mio, non puoi continuare a..."
"Madre, ti prego..."
Solo, completamente solo.
Nemmeno la donna che lo amava piu di ogni altra cosa al mondo poteva fare nulla per cambiare la sua situazione.
Thor fu abbastanza forte da reggere ancora un giorno.
Poi, quel che era rimasto di lui si spezzò sotto il peso di un dolore troppo pesante per un'anima ferita.
Aveva rifiutato la cena ancora una volta ed aveva preso a vagare per la sua camera, come un animale agonizzante in una gabbia.
Voleva piangere fino a cavarsi gli occhi, voleva strapparsi la pelle di dosso e voleva dare fuoco a quei capelli dorati che Loki aveva detto di amare così tanto. No, non era vero, Loki non gli aveva mai detto nulla di simile.
Si era limitato a passarci le dita ogni qual volta gli capitasse l'occasione. Vi aveva affondato il naso molte volte, mentre credeva che Thor dormisse e ne aveva respirato il profumo posando dei baci leggeri sulla sua nuca. Loki era innamorato dei suoi capelli.
Nella menzogna, quella poteva essere una semplice verità a cui credere.
Thor la odiò.
Si fermò davanti all'ernorme specchio dalla cornice dorata ed odiò quello che vide.
Rovistò con furia nei cassetti ma la sua ricerca fu breve.
Impugnò quelle forbici come se fossero il pugnale con cui avrebbe ucciso quell'oscurità che, minuto dopo minuto, gli rendeva impossibile respirare. Osservò il suo riflesso ancora una volta, poi prese una ciocca bionda tra le mani e tagliò... Tagliò... Tagliò e continuò a tagliare.
Ogni filo dorato che cadeva a terra era una carezza di Loki, un suo bacio, una parola sussurrata in una notte d'amore.
Nemmeno si rese conto di essere scoppiato a piangere ancora una volta, perchè era un debole, Thor e la debolezza era un crimine che un futuro re non poteva permettersi. Andava tagliata via, come i capelli che Loki amava tanto, come il ricordo della notte in cui gli aveva permesso di violarlo, in cui aveva condannato se stesso.
E si odiava, sentiva disgusto per se stesso, per aver permesso ad un uomo di usarlo come la sua puttana ed essere stato tanto stupido da illudersi che fosse qualcosa di speciale. Nella foga, la lama delle forbici gli ferì una guancia.
Con un gemito, le lasciò cadere a terra.
Non era certo che fosse stato un incidente.
Si guardò allo specchiò: i capelli corti in disordine, il viso ridotto ad una maschera sfregiata.
Alzò la mano destra e Mjöllnir rispose al suo richiamo senza indugio.
Un fulmine squarciò il cielo.
I frammenti dello specchio si mischierano, sul pavimento, ai capelli dorati.
 
[Vananheim, oggi.]


Sigyn non amava i pettegolezzi.
Era troppo riservata e bene educata per lasciarsi contaggiare dallo sciocco starnazzare di oche travestite da nobil donne.
Spesso, era stata rimproverata per questo suo comportamento introspettivo.
Sua madre, in particolare, temeva che la sua bambina, così bella ma innamorata dell'ombra, non sarebbe mai riuscita ad attirare l'attenzione di un uomo degno di tale nome. Non veniva da una famiglia potente, Sygin.
Non poteva dire di essere cresciuta in povertà, ma c'era un motivo per cui le altre dame di corte la fissavano dall'alto al basso interrogandosi in silenzio sul motivo che avesse spinto la regina Freya ad accoglierla nella cerchia delle sue ancelle.
"La tua gentilezza e la tua umiltà sono superbe," l'aveva lodata, un giorno, la sua sovrana, "mi hanno anche detto che sei un'allieva particolarmente dotata."
"Faccio solo il mio meglio, mia regina."
"Sei così discreta e silenziosa, mia cara."
"Non vedo motivo per cui debba parlare, quando non ho una buona ragione per farlo."
Freya le aveva sorriso amorevolmente, "una lezione che molte persone tendono a dimenticare."
"Mi avete fatto chiamare per una ragione, mia regina?"
"Sì, piccola Sigyn," le aveva preso il viso tra le mani, "abbiamo un ospite molto speciale di cui vorrei ti occupassi tu."

Sigyn non aveva capito, da principio.
I visitatori importanti solevano essere scortati dalle più alte dame della nobiltà, educate ad intrattenere uomini facoltosi fin dalla tenera età.
Lei non aveva mai ricevuto un'educazione simile.
Tutto ciò di cui disponeva erano buone maniere ed una rara prontezza d'intelletto. E nessun uomo che avesse avuto la sfortuna di conoscere era mai stato particolarmente interessato a donne capaci di pensare. Si era detta che domare una puledra selvaggia era molto più difficile che ricevere in consegna una cresciuta in cattività.
A Sigyn non importava di essere come tutti volevano che fosse.
Non era un ribelle, in reltà ma non si sarebbe mai calata nel ruolo di bambola per far piacere all'ego di nessun uomo.
Per questo, non capì il motivo per cui le venne affidato quel compito.
La regina le aveva chiesto discrezione e quella, certamente, era una virtù che poteva vantare più di molte altre giovani della corte ma non era sufficiente per giustificare l'assegnazione di un compito simile.
La prima volta che lo vide, lo trovò in piedi accanto alla poltrona della sua sovrana.
Non sapeva chi fosse, non lo aveva mai visto.
"Lady Sigyn si prenderà cura di voi," aveva detto Freya alzandosi in piedi ed appoggiando una mano sulla spalla del giovane.
Sigyn era stata talmente colpita dall'aspetto di quel personaggio da non notare il secondo ragazzo nell'angolo opposto della camera.
"Non devi temere, tesoro, è un mio vecchio amico."
Lui l'aveva guardata senza una reale espressione. Sigyn si era chiesta se la stesse veramente vedendo.
Poi, aveva voltato lo sguardo verso il compagno di viaggio e lo aveva esortato a seguirlo con un gesto del capo, "andiamo, Sleipnir."
Sigyn non l'avrebbe mai dimenticato.
La prima volta che lo udì parlare, un brivido le attraversò la schiena e non seppe spiegarsi il perchè.

"Come si comporta il nostro ospite?" Le domandò Freya due settimane più tardi, dopo essersi assicurata che nessuno le sentisse.
"Non parla molto," rispose la giovane, "è Sleipnir a domandarmi le cose. Non so dire quali di queste richieste siano sue."
"Che cosa domanda?" Chiese la regina curiosa.
"Libri..." Anche Sigyn ne era rimasta sorpresa, in pricipio. "Per lo più, libri."
"Esce mai dalla sua stanza?"
"Non che io sappia."
"Ti è mai capitato di entrare nella sua?" 
Per qualche strana ragione, Sigyn si sentì avvampare di fronte a quell'interrogativo e prese, di nuovo, a curare i fiori della balconata privata della sovrana con imbarazzo.
Freya rise, "non ti sto rimproverando, mia cara."
"Alle volte, mi è capitato," rispose allora lei mordendosi il labbro inferiore, "non mi ha mai degnato di uno sguardo. Si è sempre comportato come se io non esistessi."
"È tipico di lui," commentò Freya con un sorriso nostalgico, "non ha mai avuto un bel carattere, nemmeno da ragazzino."
"Lo conoscete da molto tempo, mia signora?"
"È stato mio allievo," rispose la regina con sguardo perso, "in un'epoca che sembra tanto lontana d'assomigliare ad un sogno."
Sigyn lasciò perdere i fiori e, con eleganza, si sedette sul pavimento proprio accanto alla poltrona della sua sovrana, "sembrate affezionata a lui."
Lei le sorrise tristemente, "mio malgrado, lo sono. Ai miei occhi, è sempre stato più di quanto ci fosse di simile alla perfezione... Purtroppo, non è nato in un mondo capace di apprezzarlo."
Sigyn abbassò lo sguardo fissando l'orlo dorato della veste della sua padrone, "non mi avete ancora detto il suo nome."
Freya la guardò e le posò una mano tra i capelli biondi, "non t'innamorare di lui, bambina."
Lei arrossì e sorrise, "come posso innamorarmi di un fantasma dal manto di corvo che nemmeno mi vede?"
"Non è un fantasma, tesoro," replicò Freya, "è Caos..."




  
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