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Autore: Astoria Castoldi    26/02/2014    4 recensioni
Sono passati sei mesi e non so come andare avanti. Tutti i giovedì mi siedo sulla stessa maledetta panchina, aspettando di vederlo sbucare dal sentiero che porta a casa sua, sperando che tutto torni come prima.
Ma quante possibilità ci sono? Nessuna, ormai. Me le sono giocate tutte quando ho scelto di permettergli di andarsene, quando ho deciso di dipingergli un paio di ali e lasciarlo libero.

[...] Giro pagina, ed inizio a gettare parole sul foglio.
È ora di fare un salto nel passato, di cominciare dall'inizio e parlare di questa storia.
Genere: Demenziale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto. 
Cieli Neri.

 

Danzammo in due, lei se ne andò.
Ed io ora ho i ricordi chiusi in me, 
la tristezza dentro me.
Tra due mani, le mie.
Sono cieli neri che, io so,
non si scioglieranno più.

 

Il corridoio dell'appartamento si dimostrava sempre un'ottima pista di pattinaggio, quando avevo bisogno di pensare: mi bastava scarrozzare la mia anima avanti e indietro per schiarire le idee e risolvere molti quesiti filosofici. Oltretutto era qualcosa che ero abituata a fare da tempi remoti e che, crescendo, era diventato sempre più presente nella mia quotidianità, a causa delle difficoltà che avevo e stavo incontrando sulla strada della mia vita. Era un'azione così necessaria che a volte mi chiedevo persino come fosse possibile che il pavimento non si fosse ancora logorato a causa di quell'andirivieni costante.
Quella notte giravo per casa come un fantasma rincorso da dubbi amletici post morte, il tutto condito ovviamente dall'immancabile dose di malinconia che mi perseguitava da tempo; ero completamente immersa nel mio mondo, a tal punto da non sentire Delia affacciarsi dalla camera per lamentarsi del casino.
Sobbalzai quando mi prese per una spalla in modo da fermare la mia corsa. La guardai con espressione assente e venni ricambiata con un mix di fastidio e preoccupazione. In sei anni di amicizia, non ero ancora riuscita a capire come facesse a trasmettere così tante emozioni con un solo sguardo. Quanto avrei voluto poter disegnare occhi come i suoi sui personaggi delle mie tavole da disegno...
«Sayu, ti rendi conto di che ore sono?» disse, interrompendo i miei sogni ad occhi aperti.
«Scusa, stavo pensando.»
Sbuffò, rassegnata. Ormai aveva fatto i conti con quella mia strana abitudine.
«Come al solito» rispose. Si morse un labbro e mi guardò, come se avesse voluto fare qualcosa di pericoloso o comunque poco sicuro. 
«Pensavi ancora a Roberto?» chiese infine.
Appunto. Quella frase mi colpì come un pugno ben assestato nello stomaco.
 Livello di danno raggiunto: massimo. 
Il problema più grave era che avesse azzeccato in pieno: vagavo ormai da mezz'ora per il corridoio mentre nella mia testa scorrevano immagini e filmati di una vecchia storia d'amore ormai conclusa. Mi capitava spesso di ripensare a lui e me insieme, a quanto fosse bello essere davvero innamorati di qualcuno; sognavamo come due ragazzini di andare a vivere insieme, costruire una famiglia e realizzare ogni desiderio.
Ma il più delle volte queste speranze si infrangono come vetro e si finisce a rincorrere una chimera. Io, da brava idiota, continuavo a correre da più di un anno.
Non potevo però di certo dire a Delia quello che stavo provando, si sarebbe infuriata. Così optai per la prima cosa che il mio cervello riuscì a comunicarmi a quell'ora.
«No» dissi, tenendo lo sguardo fisso fuori dalla finestra «Mi chiedevo che regalo fare a Jack.»
Non so esattamente dire quanti secondi di silenzio si intrapposero tra noi due, ma durante tutto il tempo sperai che si bevesse quella storia, per entrambe.
«E devi proprio farti queste domande alle tre di notte?» mi domandò infine, scettica.
Pensai a qualcosa di convincente e mi buttai, recitando al meglio la mia parte.
«Didi, mancano solo due giorni alla festa e mi sembra scortese presentarsi senza nemmeno un pensierino.»
La guardai preoccupata e vidi che si stava grattando la testa, come se fosse in cerca dell'ispirazione divina. Forse l'avevo scampata.
«Il loro è un modo per chiedere scusa. Dopotutto ti hanno attaccato il telefono in faccia, no?»
Stava lentamente assumendo il comportamento acido tipico delle donne single avviate ormai da qualche anno alla menopausa. Qualche volta le capitava, ma solo perché era una persona estremamente gentile ed educata, e in qualche modo si aspettava un minimo dagli altri.
«Didi, credo sia stato un incidente» dissi, cercando di farla ragionare, «dopotutto anche a noi capita molte volte, sia per distrazione o per la linea telefonica. E poi i ragazzi si sono scusati subito. Se avessero appeso il telefono apposta, non si sarebbero preoccupati di invitarci, non credi?» 
Spostò una ciocca di capelli dal viso, sbuffando. In quell'atmosfera notturna era difficile individuare con chiarezza l'espressione del suo volto, ma potevo intravedere la luce dei lampioni sulla strada rimbalzare sui suoi occhi scuri, facendomi intendere che stava seriamente prendendo in considerazione quello che le avevo detto.
«Effettivamente hai ragione» constatò infine, «ma il problema principale rimane: non sapendo niente di Jack, non possiamo fare molto per il suo regalo.»
«Potremmo chiedere ad Alex.» proposi.
Una luce di stupore le attraversò le pupille e si gettò su di me come una pesante coperta. Deglutii, sentendomi a disagio. Vidi le sue labbra dischiudersi, come a voler chiedere qualcosa, ma si fermò subito.
Sorrise, annuendo.
«Sì, mi pare una buona idea.» concluse.
Era fatta. Stranamente ero riuscita a risolvere due problemi in uno: Delia non si era infuriata e avevamo trovato la soluzione al regalo di Jack, in qualche modo.
«Credo sia comunque il caso di tornarcene a letto.» disse, dopo una breve pausa.
Sbuffai, contagiata dall'insonnia che non aveva intenzione di abbandonarmi. Decisi dunque che fosse meglio prendere ancora un po' di tempo per alleggerire i pensieri neri della mia testa e spogliarmi di quel velo di triste malinconia che mi portavo sulle spalle.
«Che ne dici di un'ultima sigaretta?» suggerii.
Mi guardò compassionevole e annuì, sorridendo.
Ci dirigemmo verso la cucina, immerse nell'ombra della notte: non avevo idea di che ore fossero, avevo completamente perso il senso del tempo. Il mio corpo si muoveva come un automa, totalmente distaccato dalla mia mente, intenta a vagare per tutt'altri mondi; ma nonostante tutto sentivo il retrogusto del sonno attaccarsi lentamente alle mie palpebre.
Fumai in silenzio, a differenza di Delia che era intenta a proporre ogni sorta di regalo possibile per Jack. In realtà, informate solo del fatto che fosse un chitarrista pervertito, non sapevamo bene da che parte rigirarci, però ogni idea poteva essere utile per altri spunti più interessanti.
Dopo aver scritto una piccola lista, decidemmo di coricarci.
Salutai Delia e mi infilai sotto le coperte, fissando il soffitto che il mese prima avevo dipinto io stessa, stanca di avere a che fare con uno sterile bianco: potevo vedere tutta la galassia, le costellazioni, i pianeti...ma di Morfeo, quella notte, nemmeno l'ombra.



Puntuale (nonostante tutto), ecco che posto il nuovo capitolo.
Non so quanto possa essere costruttivo farlo prima delle tre tappe italiane, ma ci provo lo stesso.
Ah, spero di incontrare qualcuno di voi a Milano! Se urlate "Astoria", sicuramente vi rispondo. XD
E...che dire?
Questo pezzo di storia non mi ha convinto molto, ma è il tramite al prossimo capitolo (molto più interessante, lasciatemelo dire), quindi è stato una tappa obbligatoria.
Ora che ho postato, posso tornare a disegnare il cartellone per il concerto degli ATL.
Ci sto lavorando ormai da poco meno di un mese e sono quasi alla fine.
Speriamo in bene, dai!

In ogni caso, grazie per le scorse recensioni e visualizzazioni.
Sono sempre felice di vedere che esprimete il vostro parere.
Per me è molto importante.

Vi lascio (per il momento).
Un bacio,
vostra Astoria.

:)

*credit zone*
Canzone: "Cieli Neri" dei Bluvertigo.
  
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