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Autore: pomello    26/02/2014    0 recensioni
Quando Harry Edward Styles si risveglia dal lungo coma durato due mesi non si ricorda quasi nulla.
Non ricorda di Louis, Liam, Zayn e Niall; i suoi amici.
Non si ricorda di Ellen, la sua ragazza.
Non ricorda di essere uno dei cantanti più famosi al mondo.
Ricorda poche cose.
Ricorda la voce straziata di un ragazzo.
Che canta di amori agognati e impossibili.
E questa voce, lo perseguita ovunque.
Ma è quando Harry inizia a rammentare tutto, che le cose si fanno interessanti
ATTENZIONE:
- Questa fanfiction presenta harry/louis, se non vi piace il genere e avete da criticare, vi prego gentilmente di non leggere questa storia.
- alcuni personaggi hanno ruoli differenti da quelli della realtà
- plagiate e vi spezzo le ditina
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era già passata una settimana e Louis non aveva ancora fatto visita all’ospedale. Aveva passato tutto il tempo accoccolato sul divano di Liam cercando di rilassare la mente e riordinare le idee. Quei sette giorni erano come sfocati, i ricordi si mescolavano insieme, lo sguardo vacuo di Zayn si confondeva con il pianto di Ellen, era com se si fosse svegliato improvvisamente da un sogno.
Ma Louis non stava sognano, era nel mezzo del suo’ più grande incubo. Ma c’era qualcos’ altro che lo sconvolgeva a tal punto da non permettergli nemmeno di toccare cibo. Covava dentro di sé una disperazione feroce, che lo divorava giorno per giorno, inesorabilmente. Era sicuro di provare qualcosa in più degli altri ragazzi, e questo pensiero lo tormenteva.

“che mi succede? Perché provo questo senso di dolore?”

“è normale Lou” gli rispondeva la vocina nella sua testa “il tuo migliore amico è in coma”

“già, ma credo di provare anche… altro, qualcosa di diverso da, per esempio, Niall”

“ma che dici!” lo sgridava lei con voce squillante “come puoi essere così egoista da pensare questo! Loro sono devastati quanto te”
“lo so ma cè altro, non importa, sarà solo lo shock” e annuiva con veemenza, ma di convinzione quel gesto, ne aveva meno di niente.


Quando andò a dormire Louis si sdraiò sul morbido letto e si accoccolò a destra, per la prima volta da quando viveva lì dormì sul lato opposto del letto, il lato di Harry. Fissò il soffitto per ore, l’oceano che aveva negli occhi inghiottito dal buio della notte, le labbra serrate e le dite intrecciate a vuoto. Per la prima volta si rese conto di quanto veramente sentisse la mancanza del suo migliore amico, annusò il cuscino, era impregnato di quell’odore balsamico e genuino che galleggiava sempre in sua presenza. Louis sorrise, ma solo un minuto poi tutto tornò come prima. L’aria si faceva soffocante e i respiri del ragazzo erano sempre più profondi e angosciati; la mente che lavorava frenetica. Poi all’improvviso prese una decisione, doveva andare e vederlo, non poteva aspettare ancora e Harry aveva bisogno di lui. Scese le scale con ancora le pantofole e il pigiama a scacchi rossi e verdi. Molto natalizio.

La macchina ci mise un po’ a mettersi in moto, la neve durate la notte aveva iniziato a scendere a grossi fiocchi, sommergendo l’intera città. Sarebbe stato stupendo rimanere ore a fissarli cadere, Louis avrebbe amato farlo, avrebbe amato correre sotto il cielo stellato e buttarsi a capofitto nella fredda e soffice neve e correre con la lingua fuori tentando di afferrarla durante la sua discesa. Louis avrebbe voluto fare infinite cose in quel momento, ma non poteva, doveva correre. Le strade erano deserte e non c’era anima viva, guardò l’orologio… le 4 di notte. Lo avrebbero fatto entrare? La risposta arrivo chiara da sola: ovviamente no, nemmeno parlarne.

“Cazzo” l’ingresso dell’ospedale era assediato dai paparazzi, nonostante avessero cercato di mantenere la notizia segreta essa era già trapelata, era stato tutto inutile.

“Dannazione cazzo! Levatevi!” Louis imprecava arrabbiato. Il clacson squillava come una troba d’assalto.

“Stronzi figli di puttana! Per dio, toglietevi!” le mani ben salde sul volante e gli occhi infuocati. Fu solo quando rischiò di tirarne uno sotto (che lo maledisse con parole irripetibili) che tutto si calmò. Le macchine fotografiche scomparvero e il silenzio calò surreale.

“Grazie” pronunciò a denti stretti Lou.


L’ingresso dell’ospedale era pulito ed essenziale. Il bancone dove durante il giorno sedevano cinque infermiere o segretarie, Louis non sapeva come definirle, era vuoto ed estremamente ordinato. Le piastrelle era bianche, di un biaco accecante e fastidioso, era tutto inodore ed incolore. Il rumore dei passi veloci di qualcuno fece voltare di scatto il ragazzo, il cuore in gola e le mani serrate.
“In caso di attacco sferra un destro e poi… scappa” le parole dell allenatore risuonavano nella sua mente. Ma chi avrebbe potuto esserci a quest’ora della notte in quel posto? Un pazzo? Louis non riusciva a pensare. E si sentì veramente stupido quando da dietro una colonna fece capolinio un sorriso cordiale.
“Hei” la voce apparteneva ad un ragazza, all’incirca della sua stessa età, i capelli erano blu mare e gli occhi erano piccoli, rigati da uno strato di eyeliner. Sembrava… gentile e per niente arrabbiata. “Tu devi essere Louis, giusto? Sinceramente mi stavo chiedendo quando saresti arrivato”
“Questa è pazza” fu il primo pensiero del ragazzo.
“sono Demetria, ma puoi chiamarmi Demi come fanno tutte le persone con un briciolo di cervello e nel caso te lo stessi chiedendo sono un’infermiera e sto’ facendo il turno di notte”

Ah ecco.

“Beh e ora che farai? Chiamerai la sicurezza e mi butterai fuori a calci nel sedere?” la voce di Lou uscì più dura di quanto volesse ma la ragazza scoppiò in una fragorosa risata che riepì come un getto d’aria calda tutti i corridoi deserti della struttura
“Oh no no, dove devi andare? Da Harry immagino –aggiuse poi sogghignando – e non fare quella faccia sbalordita, il tuo amico biondo mi aveva avvisato che saresti dovuto arrivare prima o poi”
E senza aspettare che lui desse risposta continuò il suo discorso
“allora, Harry è abbastanza grave quindi si trova dall’ altra parte di questo padiglione, percorri questo corridoio, e ti troverai davanti…” ma Louis non la seguiva più. La sua mente urlava –HARRY!HARRY!HARRY!- così quando lei finì di parlare nemmeno se ne rese conto e dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio disse l’unica cosa che riusciva a formulare “scusa non ho capito un tubo, puoi rispiegare?”

***
 
“Accidenti, oh dannazzione accidenti. Cazzo. Perché sono unscito vestito solo con questo pigiama? Merda” aveva dovuto aggirare il padiglione A e ora si trovava ai piedi della finestra della stanza dell’ amico. Due metri più in basso.
“Raperonzolo sciogli le tue trecce” pensò divertito nonostante il freddo gli faceva battere le ossa. Dopo una buona mezz’ora di scupolosa osservazione constatò che in fondo, arrampicarsi fino alla stanza di Harry era un gioco da ragazzi, e decise per una buona volta di mettere in atto gli insegnamenti di Paul.

La stanza era calda e colorata, le pareti, di un bel violetto alleggerivano l’ambiente ma gli occhi di Louis non guardavano le pareti, e nemmeno le pistrelle gialle canarino che stonavano terribilmente. Gli occhi di Louis erano fissi sul corpo di un ragazzo, un corpo frastagliato e livido, collegato alle macchine. Voleva strappare tutti quegli inutili cavi, strapparli con forza e buttarli per terra. Rivoleva il suo migliore amico, quegli occhi verdi sempre pieni di gioia ma spesso misteriosi, le labbra curvate in uno stupido ghigno di soddisfazione. Rivoleva i ricci, che ora erano incastrati dentro una cuffietta azzurra. Lacrime calde iniziarono a scedere e colare sulle guance, non provava nemmeno a fermarle, le lasciava correre come facessero una sfida di velocità.

“Haz..” non usava quel nomignolo da secoli, da quella stupia litigata di due mesi prima.

“Oh Haz, che hai combinato?” si era seduto sulla poltroncina blu accanto al letto e gli aveva preso la mano. Fredda, fredda come il ghiaccio. Ma il respiro c’era, vero? Lou se ne accertò. Con un dito gli accarezzò il profilo del viso, gli zigomi, la barbetta che ormai era cresciuta, gli tastò i capelli sporchi ma ancora morbidi, le labbra screpolate, il grosso livido sotto l’occhio, ancora le labbra screpolate. Le labbra screpolate. Senza rendersene conto si era avvicinato, era ad un soffio da lui, poteva sentirne l’odore e vedere tutti i pori del volto. Lo stava per fare…
Quando si bloccò di scatto.
“Ma che cazzo sto’ facendo?”
Si risedette sulla sedia e pensò.

“Asleep… che bella canzone no?” e piano piano iniziò a sussurarne le strofe sottovoce, nella penombra della stanza.


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Writer corner:

AHA! non sono morta, nono. ceh, quasi.
solo che ho avuto veramente molto da fare, e tra scuola e impegni veri il tempo libero dedicato a questa ff è diventato sempre meno. Ci ho messo così tanto sia per il fatto che avevo già scritto questo capitolo quando ho realizzato che in realtà non mi piaceva affatto e l'ho riscritto.
perdonatemi. comunque beh, ora siamo qua e spero che questo capitolo vi sia piaciuto 

ah, vi consiglio di leggere "L
ego House" ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1646415 ) che è veramente meravigliosa e che avrò letto 645723 volte.

un bacio .
  
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