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Autore: asia_mia    26/02/2014    0 recensioni
«Io non voglio una relazione con lui…»
Alza lo sguardo e lo posa ancora su di me, stavolta è fragile, incerta, si morde il labbro inferiore e trattiene il respiro, non lo aggiunge eppure glielo leggo in faccia che ciò che pensa è ‘…voglio una relazione con te’.
«Elena..»
Scuoto la testa e mi allontano di un altro passo, lascio che un Oceano inondi lo spazio tra di noi, lascio andare zattere nel blu più profondo, senza provare minimamente a lanciargli un’àncora con cui restare aggrappate alla terra ferma.
Mi allontano e non ci sono già più.
Lei però è ancora lì, dall’altra parte della riva.
«Non dire niente per favore. Ho capito, tu non sei in grado e anche se lo volessi, questo non cambierebbe le cose.»
«Vedo che siamo d’accordo.»
«C’è solo una cosa che ti sfugge.»
«Quale?»
Fa un passo avanti, si butta in mare aperto e io resto a guardarla dalla mia sponda, sicura e conosciuta.
«Io non sono una bambolina nelle vostre mani. Non potete decidere al posto mio. Tu non puoi controllare me, cosa faccio o con chi voglio stare.»
«Ma posso controllare me, ed è quello che ho intenzione di fare.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"Avevo fame di cose vere, naturali, primordiali; avevo fame di amore. L'avrebbero mai capito gli altri?"
(Alda Merini)





Damon

 
 Infilo il casco e abbasso la visiera mentre salgo svelto sulla mia moto, nel garage sotto casa.
Questa mattina ho voglia di correre, di oltrepassare qualche limite che, in questi giorni, sto rispettando fin troppo diligentemente. Ho bisogno di sentire il vento sbattermi addosso e aprirsi al mio passaggio.
Non ho voglia di starmene chiuso nella mia seppur fantastica Camaro color azzurro e poi, la Pacific Coast, è bella da morire a 150 chilometri orari mentre l’Oceano ti sfreccia accanto.
Ho un appuntamento a San Diego, per chiudere un contratto con una nuova agenzia di viaggi che ho appena assorbito ed ero già in ritardo da quando ho messo piede fuori casa.
La mia domestica non arrivava e ho dovuto lasciare le mie chiavi di casa a Caroline, mentre mi urlava contro che sarebbe dovuta uscire anche lei tra breve e che dovevamo parlare.
Mi sono defilato velocemente, lasciandole un bacio sulla fronte e un sorriso colpevole ma sincero, lo so che ha un paziente tra poco e deve correre allo studio, ancor di più so di cosa vuole parlare, però non ho tempo, non ho voglia, non so cosa dirle, perché non so neanche io cosa stia succedendo, per questo le sto sfuggendo e lei lo sa.
Lei sa sempre tutto, sa anche quello che non dico e mi capisce meglio di chiunque altro, perché siamo simili io e lei, abbiamo gli stessi muri e gli stessi occhi per analizzare il mondo.
Non so cosa farei senza di lei, sarei davvero perso. Almeno così non sono solo con le mie stranezze, siamo in due ed è più facile.
Arrivo in ritardo all’appuntamento ma il tipo con cui devo firmare il contratto non me lo fa pesare, sa di non essere nella posizione adatta per farlo, mi fa accomodare sulla poltrona del suo ufficio, davanti a lui, il quale resta però dietro la scrivania, come a voler conservare almeno un po’, almeno fino alla fine, la sua autorità in quel posto e io lo lascio fare.
Ci accordiamo sulle ultime pratiche burocratiche, gli spiego ancora qualche dettaglio sulla nostra nuova collaborazione di cui sarò io a tenere le redini, poi firmiamo entrambi tutti i fogli che gli avevo già inviato per poterli leggere e concludiamo con una energica stretta di mano.
Mi passa simbolicamente il testimone per gestire questa sua, ora mia, agenzia di viaggi, che sarebbe altrimenti colata a picco, se non avessi deciso di investirci sopra ed ampliarmi in questa nuova zona di San Diego.
Esco da lì e faccio qualche passo in direzione della mia moto, che ho lasciato parcheggiata sul marciapiede. Respiro quella nuova aria di conquista, chiudendo gli occhi e allentandomi quella cravatta che mi sta soffocando.
Cerco il telefono che continuava a vibrare nella mia giacca da quando ero in moto, prima di arrivare.
Tre chiamate perse da Stefan, ovviamente.
Quando imparerà che lavoro sul serio io, non sto dietro una scrivania a non fare nulla tutto il giorno, o a rispondere di tanto in tanto al telefono, come fa lui, smistando telefonate per il suo capo e rintracciando fornitori per qualche pezzo di computer da riparare.
Salgo sulla mia moto e prima di infilarmi il casco lo richiamo.

«Hey, mi rispondi finalmente!» mi urla dall’altro capo del telefono.
«Stavo lavorando Stef. Che succede?»
«Ci vediamo da te stasera?»

Ero certo mi avesse chiamato per qualche stupidaggine di poco conto.
«Io stacco tardi e Ric forse torna dopo cena, quindi se vuoi venire da me, portati la cena, ho il frigo vuoto e non ho tempo di fare la spesa!»
«Ok! Sento le ragazze allora e ti aggiorno! Buona giornata!»
Mormoro qualcosa mentre lui ha già attaccato, lasciandomi con il telefono a mezz’aria.
Lo ripongo nella tasca della giacca che uso per andare in moto e che ora ho infilato e do gas, pronto a ripartire verso la mia di agenzia, stavolta.
 
 
«Ti ricordi Elena, vero Damon?» mi chiede Caroline entrando in casa mia con qualche birra in mano, che berremo solo io e Stefan, perché a lei non piace, con un Elena sorridente e ancora sulla porta, al seguito.
«Certo! Vieni, entra.»
La saluto con un bacio sulla guancia e noto quanto sia cambiata dall’ultima volta, non la vedo da un anno circa, da quando Caroline si è messa con Klaus e ha iniziato ad uscire con lui e i suoi amici, disertando un po’ me e le nostre serate a casa mia a non fare niente.
Ha i capelli più lunghi ora, più mossi, un fisico più longilineo e pieno e un’aria più matura, meno infantile ed insicura.
Ricambia tranquilla il mio sguardo e il mio sorriso, poi passa a salutare Stefan, allontanandosi da me.
Trascorriamo la serata a chiacchierare e a ricordare i vecchi tempi, di quando scendevamo giù nel giardino condominiale a giocare a calcio, a nascondino, a citofonare ai vari condomini e scappare subito dopo, non capendo che il videocitofono avrebbe rivelato comunque la nostra identità. Ridiamo a crepapelle ricordando uno dei tanti pomeriggi senza i miei genitori in casa, in cui io e Stefan chiudemmo Caroline e Bonnie a chiave nella mia camera da letto e le lasciammo lì, per più di tre ore. E’ Caroline a ricordarmi di quando mi trovò dietro al nostro palazzo, nascosto tra i cespugli con una ragazzina della palazzina di fronte, intento a sperimentare i primi approcci con l’altro sesso.
Mi ero dimenticato di quanto mi prese in giro e dei miei tentativi di vendicarmi, affibbiandole una storia con il ragazzino del secondo piano che, ignaro, veniva deriso da tutti non sapendone neanche il motivo.
Avevo scordato quanto ridessi insieme a loro, quanto non avessi preoccupazioni, quanto la mia vita fosse una strada immensa e fosse tutta lì, davanti a me e non dietro, come invece la sento ora.
Non ricordavo quanto volessi bene a quei due e a quel nostro gruppo, al cui appello stasera mancavano altre due o tre persone, tra cui Ric, che alla fine è venuto a vivere con me, quando ho deciso di non seguire i miei a Malibù e affittare il nostro vecchio appartamento per restare qui, e quanto, nonostante non glielo dica mai, loro lo sappiano e lo sentano quel mio bene.
Lo vedo dai loro gesti, dai loro sguardi, dal loro sentirsi a casa, in casa mia.
Volto lo sguardo per poggiare la mia birra, ormai vuota, sul tavolo alle mie spalle e quando torno a sprofondare sul mio divano, trovo lo sguardo di Elena, seduta sulla poltrona davanti a me, che mi fissa ma che ora sposta velocemente gli occhi su Stefan, che sta raccontando qualche altro aneddoto, di cui ignoro il ricordo.
Sono io questa volta a fissarla, di nascosto, curioso, divertito, guardo le sue gambe accavallate strette nei jeans e il suo modo di stare seduta, di lato, su un fianco, con un gomito poggiato sul bracciolo della poltrona e il mento sopra la mano.
Osservo la sua aria interessata, allegra, per le parole di Stefan, il suo sguardo vivo ma timido, il suo modo di toccarsi i capelli, scompigliandoseli e come le riscendono sul viso, dandole fastidio, tanto che è costretta a spostarli, distratta, con un cenno della mano.
Vedo il suo sorriso aperto e i suoi occhi, così diversi dai miei e mi rendo conto di non sapere quasi nulla di quella ragazza, se non le cose che mi racconta Caroline. So che è la sua migliore amica, che si sono conosciute a lezione di pilates, circa dieci anni fa, so che da allora hanno stretto un rapporto quasi simbiotico, che ora è diventato più maturo ma non si sono mai allontanate, se non per le loro solite e incomprensibili discussioni di amore e odio, volte a spronarsi l’un l’altra.
Penso al mio, invece, di rapporto con Caroline e a quello con gli altri due miei migliori amici, Stefan e Ric, che conosco da quando eravamo ragazzini, perché ho vissuto praticamente insieme a loro, all’interno di queste palazzine e di questo parco condominiale, che ne avrebbe di cose da raccontare, se solo potesse parlare.
Mi sorprendo a sorridere anch’io, al pensiero di tutte le marachelle che abbiamo combinato e che ancora ci legano, alla soglia dei ventisette anni.
«Allora, deciso per domenica?»
Caroline interrompe le mie riflessioni, cogliendo in flagrante il mio aver perso completamente metà della loro conversazione.
Quand’è che hanno cambiato discorso?
«Damon?»
«Non ho la più pallida idea di cosa stavate dicendo, ma sarà abolita qualsiasi attività proposta di domenica e in particolare di domenica mattina!»
«Sei il solito guastafeste!» mi ammonisce Stefan allargando le braccia, mimando un atteggiamento seccato che non gli appartiene.
«La mostra,» interviene Caroline notando la mia aria davvero confusa, che ho cercato di dissimulare con la mia reticenza.
«Ne avevamo parlato anche qualche giorno fa, vogliamo andare a vederla domenica!» mi spiega finalmente.
«No, no e ancora no! Una mostra, di domenica oltretutto! Mai e poi mai.»
Scuoto la testa in modo secco e deciso, non ho la minima intenzione di giocarmi il mio unico giorno libero per alzarmi presto, vestirmi e andare ad una mostra di cui non mi interessa nulla e di cui non capirò altrettanto niente.
La domenica per me è imprescindibilmente giorno di riposo, al massimo il giorno che dedico per andare a pranzo dai miei e stare con mio fratello.
«Ti prego Damon, fallo per me!»
E poi è lei ad intervenire e stavolta a puntare i suoi occhi castani dentro i miei, con una finta e divertita aria di supplica.
«Ultimamente Caroline è diciamo… un tantino intrattabile ed ha bisogno di svagarsi! Dammi una mano per favore o mi farà impazzire!»
Aggiunge un sorriso complice a quelle parole e ai suoi occhi di prima, che continuano a fissarmi, senza timore né imbarazzo.
Alzò gli occhi al soffitto con fare teatrale, più per toglierli da dentro i suoi.
«Non assicuro niente.»
Cedo, solo un po’, forse solo perché me lo chiede lei, con quel tono e con quello sguardo lì ma non lo ammetto e non glielo dico.
 
 
Non lo so perché mi vengono in mente questi pensieri in questo momento, mentre ancora sfreccio su questo asfalto rovente, all’una meno un quarto e il mio stomaco inizia a brontolare per la fame. Forse per le parole di Stefan al telefono, per il tono che ha usato dicendo sento le ragazze, così confidenziale e naturale, come se fosse scontato che fossero invitate anche Caroline ed Elena, perché in realtà da quella sera, ogni volta che ci siamo visti, c’erano anche loro due, quindi sì è un tono adeguato e che non stride.
Mi viene da sorridere al pensiero che, alla fine, non ci siamo più andati a quella mostra, che ci siamo visti nel pomeriggio in spiaggia e abbiamo giocato a beach volley. Li ho convinti ad andare un altro giorno, uno in cui non c’era un così bel sole nel cielo, tanto da rendere un sacrilegio restare al chiuso, anche per la mostra fotografica del secolo!
Non lo so se poi ci sono andati nei giorni successivi, loro non mi hanno più detto nulla e io mi sono ben guardato dal chiedere.
Arrivo nella mia agenzia e sprofondo sulla mia poltrona, dando un morso al panino che avevo comprato prima di entrare, nel bar accanto, dove pranzo tutti i giorni. Oggi, però, ho un bel po’ di lavoro da sbrigare e non ho tempo per intrattenermi con il proprietario, che ormai conosco bene e le cameriere.
 
 
 
 
Elena
 
 
Stamattina neanche il caffè è riuscito a svegliarmi, continuo a sbadigliare su questi libri che ho preso in prestito nella biblioteca in cui lavoro, per preparare il mio ultimo esame di lettere.
Dovrebbe essere l’ambiente ideale questo per studiare, lo è sempre, tranne oggi. Eppure passerei la mia vita qui dentro, con questo odore inconfondibile di libri usati, con questo silenzio, con il mondo a portata di mano se solo ci si prendesse la briga di curiosare tra questi scaffali.
Passerei la mia vita a studiare, fare ricerche, aggiornarmi, continuerei a riempirmi di nozioni, se non fosse che prima o poi dovrò metterle in atto, dovrò scegliere cosa farne.
Questo pomeriggio però, proprio non riesco a concentrarmi e questo ambiente proprio non mi aiuta. Ho passato la notte a pensare, rimuginare, fare riflessioni che ovviamente appena aperto gli occhi questa mattina, avevo già dimenticato e so che non dovevo, che non mi avrebbe fatto bene, né fisicamente, né moralmente. So che ne avrei pagato le conseguenze oggi e il mio stato in questo momento, è la mia punizione.
Mi sento spenta, confusa, assonnata e non posso chiudere gli occhi neanche per un secondo, perché se li chiudo, se mi distraggo anche solo per un attimo, lui mi esplode dentro. Inizio a vedere i suoi occhi, a sentire il calore che proviene dal mio cuore e dal mio stomaco e sale fino alle guance, inizia a mancarmi l’aria e non posso permetterlo.
Non posso permettergli di entrare così tanto, perché non ha senso, non ne ho diritto. Perché ho accettato questa relazione che non è neanche una relazione, ho accettato di vederci ogni tanto, quando lui ne ha voglia, perché io vorrei vederlo ogni santo giorno. Ho detto che mi andava bene, perché neanche io volevo una storia, ho ammesso che mi faceva piacere passare del tempo con lui e non volevo altro al momento, lui mi ha creduta, anche se è rimasto incredulo all’inizio, o forse ha solo fatto finta di credermi, perché un po’ mi conosce.
Mi sono mostrata per come non sono, io sono una da storie, da relazione, anche se ne ho avuta solo una nella mia vita, per qualche anno e poi niente, neanche piccole relazioni occasionali, mentre lui, lui ha avuto solo quelle.
L’ho accettata questa situazione che ha imposto lui implicitamente, perché ho bisogno di sciogliermi, di godermi un po’ questa vita che mi sta sfuggendo dalle mani, di fare esperienze, l’ho accettata perché ho paura di perdere anche lui e ritrovarmi di nuovo, come sempre, da sola.
Mi sforzo quindi di essere leggera e spensierata, per non cadere nelle mie profondità che non ho mai saputo gestire e che non mi hanno portato a niente fino adesso.
Per fortuna ho Caroline a distrarmi dai miei pensieri, con i suoi messaggi a tutte le ore ultimamente.
 
“Stasera ceniamo da Damon! ;) Vieni prima da me che prepariamo qualcosa da mangiare! Bacio!”
 
Come non detto.
Chiudo il libro che ho davanti agli occhi da mezz’ora ormai e lo ripongo nello scaffale.
Manca ancora un’ora alla fine del mio turno, quindi opto per un caffè e una passeggiata nel corridoio, forse un po’ d’aria mi farà bene.
Arrivo da Caroline poco prima delle otto, con due buste della spesa, contenenti sfoglia fresca, carne, patatine, bibite e verdure varie.
Prepariamo un po’ di lasagna in bianco, con pesto e zucchine, insalata di pollo e qualche stuzzichino veloce.
Posizioniamo tutto in contenitori di plastica e ci prepariamo per uscire e dirigerci nella palazzina di fronte, appartamento 2B, primo piano.
Non tiriamo fuori nessun discorso, nessuna domanda a cui io non saprei rispondere.
Solo un suo sguardo, prima di suonare il campanello, che mi fa capire che lei c’è, che dietro a quella superficialità con cui abbiamo preparato la cena per i suoi amici e per il mio amico un po’ particolare, dietro a quelle risate fresche e genuine, lei è comunque con me e mi sostiene.
Le sorrido, perché lo apprezzo e perché in fondo noi due non abbiamo bisogno di molte parole, ci sentiamo dentro, io, lei, ce l’ho legata addosso.
«Qualcuno ci aiuti per favore!»
Caroline è entrata con entrambe le mani impegnate a sostenere il contenitore con la pasta e le bibite, mentre a me è toccata l’insalata di pollo e gli stuzzichini.
Stefan si prodiga subito per aiutarla e portare la pasta in cucina, Damon aiuta me.
Ci dirigiamo tutti e tre in cucina e quando Caroline si affaccia per entrare anche lei, mi guarda incerta e fa marcia indietro, trascinando Stefan con sé con la scusa di sistemare le bibite sul tavolo.
Io e lui restiamo soli e solo adesso riesco a guardarlo finalmente negli occhi, quegli occhi così tanto azzurri che mi investono.
E’ un istante, lui si avvicina un po’ troppo, con il suo sorriso pieno, che sto imparando a riconoscere quando è per me, perché mi manda completamente in confusione e con i suoi occhi, che mi entrano dentro disorientandomi e non so di chi sia stata l’iniziativa, se sua o mia che ho azzerato la distanza con un passo, ma mi ritrovo a cercare le sue labbra, in un bacio veloce, rubato ma che brucia dentro come fuoco.
Solo un attimo, tanto per uscire da quella cucina con addosso un sorriso che sa di lui e che so dovrò farmi bastare per il resto della serata.
«I miei complimenti alle cuoche! Anche se non sono davvero così sicuro che sia stata tutta farina del vostro sacco!»
Damon si complimenta con noi a fine cena, alla quale si sono poi aggiunti anche Bonnie e Ric, arrivati insieme mezz’ora fa, ostentando la sua solito sarcasmo che non tarda ad emergere.
«Sei un cafone! Ti abbiamo sfamato e metti anche in dubbio la nostra arte culinaria!» lo rimprovera piccata la mia amica.
«Se non vedo non credo, lo sai Care. Ciò non toglie che il risultato fosse comunque ottimo!»
«Siamo perfette donne da sposare, ammettilo!»
Caroline gli fa una smorfia divertita e io rido a quella battuta, gettata lì neanche tanto per caso, anche Damon ride e le stampa un bacio sulla guancia, passandole un braccio intorno al collo.
«Te l’ho sempre detto che se a trent’anni sei ancora single ti sposo io! Così i nostri genitori saranno felici e contenti e la smetteranno di assillarci su quando abbiamo intenzione di mettere su famiglia!»
Un po’ mi infastidisco a quella battuta, forse mi secca il suo tono, i suoi atteggiamenti amorevoli con lei, perché li vorrei per me, la loro complicità, il loro legame e la loro storia, in cui io non posso entrare e mi si spengono un po’ il sorriso sulle labbra.
Li osservo un attimo prima di voltare lo sguardo su Ric che sta iniziando a sparecchiare.
«Per me va benissimo! Posso addirittura lavare, cucinare e mettere in ordine, sono bravissima, neanche sporco più di tanto! E hai il mio permesso per frequentare chiunque tu voglia, ovvio!
Sarà un matrimonio assolutamente libero! Meglio di così!»
Ed eccola la mia Caroline che c’è, che mi spiana la strada e mi fa l’occhiolino maliziosa, riappropriandosi del mio sguardo e della mia attenzione. Io le sorrido complice.
Ci trasferiamo tutti sul divano per il resto della serata, dopo quella cena in cui mi sono sentita un po’ a disagio, perché non riesco ad essere me stessa, perché ciò che provo e la parte che sono costretta a recitare, non collimano, eppure ci provo lo stesso, ci provo ad apparire adulta e sicura di me.
Nel frattempo, Stefan e Ric, ignari di tutto il doppio senso che aveva preso la conversazione poco fa, insistono per organizzare un week end al mare, nella casa a Santa Monica di Caroline, cosa già avvenuta circa un mese fa, in cui ho segnato l’inizio delle mie elucubrazioni su Damon.
«Ragazzi per me va bene! Ma dobbiamo fare i conti con i miei, in fondo la casa è loro.»
«Vediamo se c’è qualcosa in programma a Santa Monica per il prossimo week end! Dai Damon prendi quel portatile!»
Bonnie prende in mano la situazione, incitandolo a rendersi operativo e lui la asseconda, seppur svogliatamente, così lei comincia a cercare qualche mostra, intrattenimento o concerto in quei giorni, con un Damon che continua a blaterare sul perché non si possa restare tranquillamente in casa o in piscina!
Finalmente trovano qualcosa, Caroline e Bonnie sono accanto a Damon, seduto sulla poltrona di pelle nera, una a destra l’altra a sinistra e sembrano entusiaste. Mi avvicino anch’io per curiosare e faccio il giro della poltrona, decidendo di prendere posto dietro di lui, in modo da dovermi sporgere in avanti per guardare sul suo portatile posizionato sulle sue gambe.
 
 
 
 
Damon
 

Non so se l’abbia fatto volontariamente ma mi sta sfiorando il viso con i suoi capelli, sento il suo braccio poggiarsi sulla mia spalla in modo naturale, disinvolto e premere leggermente per sporgersi in avanti. Il suo viso è tanto vicino al mio che, se mi voltassi appena, lo urterei e lei sembra non accorgersene, non mi rivolge mai lo sguardo, inizia a parlare con le sue due amiche, ignorandomi.
Per tutta la sera mi ha quasi evitato, ha scherzato con tutti, si è mostrata gentile e disponibile, ha anche sorriso insieme a me ma mai a me.
E non lo capisco se davvero le va bene così, come ha affermato la sera dopo a quella in cui l’ho baciata, per quel poco che la conosco non è una da portare a letto ogni tanto, cosa che non ho neanche fatto ancora, o da chiamare quando si ha voglia di uscire, solo perché non si ha niente da fare. E’ più una ragazza da storia seria e io, sinceramente, non so proprio neanche come si inizi una storia così, quindi, egoisticamente, non me la pongo proprio la questione e, in fondo, se anche a lei vada bene così oppure no, non è un mio problema.
Solo che adesso, è un mio problema il fatto che mi sia così vicina, che continui a parlare e a sfiorarmi, che continui ad emanare quel suo odore di vaniglia misto a quello dello sciampo al cocco che usa per i capelli, perciò sono costretto ad alzarmi, con una scusa e defilarmi in cucina.
Devo riappropriarmi di quella lucidità che lei è riuscita a far perdere al mio corpo e ai miei sensi nel giro di cinque minuti.
Apro il frigo e vorrei infilarmici dentro, ne resto ad osservare l’interno, come se potessi trarne una qualche ispirazione o soluzione al mio sconvolgimento fisico, quando sto per richiuderlo la mia situazione peggiora.
«Hey…»
Elena è lì, con in mano il vassoio delle patatine, vuoto.
«Hey.»
Prendo tempo, afferro una birra e chiudo lo sportello del frigorifero.
«Che fai?»
Sto raffreddando i miei ormoni per colpa tua che, tra parentesi, continui ad indossare quest’aria ingenua che non so quanto ti si addica davvero.
«Sto prendendo un’altra birra, ne vuoi?»
«No, grazie. Non amo la birra.»
«Elena Gilbert, non bevi, non fumi, non dai confidenza agli sconosciuti… ce l’hai qualche difetto?»
Le sorrido con il mio sorriso impertinente e provocante ma lei mi ricambia con uno vero, pulito.
«Forse, però se te li svelo poi non vorrai più vedermi.»
E’ maliziosa mentre me lo dice e mi piace, tanto da concludere quella inutile conversazione e andare dritto al sodo.
«Resti da me stasera? Ric dovrebbe dormire fuori.»
La spiazzo, lo vedo dal suo sguardo che cambia, si irrigidisce, si allontana, anche se non si è mossa di un millimetro, anche se non stacca i suoi occhi dai miei.
«Domattina devo attaccare presto.»
Non mi risponde, so che è un no, però non riesce a dirmelo, non riesce a correre il rischio di essere sincera, preferisce essere gentile e nascondersi dietro la sua aria perfetta, questo l’ho capito fin troppo bene.
Tuttavia non la capisco, non lo capisco cosa vuole da me, mentre invece io lo so cosa voglio da lei e lo sa anche lei.
Le faccio un cenno di assenso col capo, resto al suo gioco, accetto quel suo rifiuto e lo mando giù con un sorso di birra.
Me ne sto per andare, per tornare in salone dagli altri quando la sento continuare.
«In caso domani…»
Ci prova, ci prova a rimediare, con un tono quasi di scuse ed insicuro, come se sentisse di dovermelo, non so per quale motivo.
«Non so se ci sono, ci sentiamo se mai.»
La tengo sospesa, voglio farla sentire respinta anch’io, poco importante e sono più distante e freddo di quanto vorrei, di quanto lei meriti, perché in fondo è solo il mio orgoglio che continua a ferirsi con lei, io resto integro.
Torno dai miei amici, lasciandola lì e vedendoli già pronti per tornare a casa. Mi sono perso tutta l’organizzazione del fine settimana al mare e so già che me ne pentirò amaramente perché, mentre mi salutano, Caroline mi ricorda di non prendere impegni e di non fare il guastafeste come sempre.
La schiena, le lunghe gambe strette in quegli stessi jeans che indossava quando l’ho rivista la prima volta dopo tanto tempo e i suoi capelli un po’ scompigliati, sono l’unica cosa che vedo di Elena, prima di chiudere la porta di casa e restare da solo nel mio appartamento.







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Di nuovo qui, anzi, inizio da qui.. perché ormai tutte quelle immagini e dialoghi non riuscivo proprio più a contenerli!
Per prima cosa vorrei ringraziare le parole meravigliose con cui sono stata accolta e ammettere di aver sottovalutato da lettrice il potere di recensioni, visioni e quant'altro. Danno emozioni davvero intense ed è davvero bello leggervi.. quindi ancora Grazie.

Passando alla storia, è un inizio breve, leggero in qualche modo, in cui si intravede un minimo di rapporto, che però ancora non spiega come ci sia arrivato lì, ci sono pensieri, scorci sulla vita personale di entrambi e sulla loro visione della relazione - non relazione. Ma vorrei lasciar parlare loro, presentarsi da soli, nei prossimi capitoli.
Riguardo location e parentele forse dovrei precisare che siamo a Los Angeles (perchè adoro la California) e che sono tutti amici, Damon e Stefan non sono fratelli ma migliori amici. Damon ha un fratellino più piccolo che non fa parte della serie tv, mentre Elena ha Jeremy che apparirà in seguito.
Uso i nomi e i loro volti ma nella storia, le loro vite sono completamente diverse, così come in parte i loro rapporti e le età.

Per ora credo di aver concluso...anche questo capitolo è venuto fuori di getto, forse non è completamente legato al prologo ma è consecutivo e di passaggio. Ve lo lascio quindi così..per poter lavorare su quello successivo.

A presto.
Ale_
  
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