Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: arwriter    28/02/2014    9 recensioni
AVVISO: Storia incompiuta.
Violenza, alcool, droga, autolesionismo: gli effetti collaterali di un duro passato subito da due adolescenti, le cui vite si incrociano, si innamorano, affrontano insieme il mondo. La storia di due ragazzi che cercano di salvarsi a vicenda. Due ragazzi che, quando pensano che il peggio sia finito, devono tornare a fare i conti con il proprio passato.
Una storia dedicata a tutti gli adolescenti che soffrono senza che nessuno se ne accorga.
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=hAI3oALI-Ow&feature=youtu.be
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                 

Capitolo 2


«Hey Hey, alla fine com’è andata col ragazzo di quarta?» urlò Luca. In quel momento lo detestai. Odiavo le persone che urlavano di prima mattina, per di più cose che non si dovevano sapere.
«Perché gli hai dato il mio numero?! Potevi almeno chiedermelo, nessuno te ne ha dato il diritto.» risposi con fermezza.
«Scusa, non pensavo ti arrabbiassi così. L’ho fatto per te. Sei sempre così triste e scontrosa, volevo farti un piacere.» Aveva ragione. Ero troppo scontrosa, non se lo meritava, era una persona fantastica. E ormai io ero diventata così, fredda con tutti.
 
Era l’ora di biologia e questo non mi dispiaceva affatto, mi piaceva come materia. Ma non riuscivo a seguire il discorso della professoressa, ero distratta da qualunque cosa mi circondasse. Il cielo, l’erba, gli alberi, persino il pavimento. Mi incantavo anche per vari minuti. E pensavo, pensavo. A me, a ciò che avrei voluto succedesse.
«Quindi, Molinari, qual è la teoria di Darwin riguardo all’evoluzione delle specie?»
Mi alzai di colpo. La professoressa aveva notato la mia distrazione e aveva voluto sfidarmi. Per fortuna avevo ripassato quest’argomento il giorno prima, così risposi correttamente. Dovevo riuscire a controllarmi meglio, non potevo far notare tutto ciò che mi passava per la testa.
Luca mi guardò come rimproverandomi scherzosamente. Ma fu solo un istante, dopo si voltò nuovamente a scrutare Sol. Sol Castro era una ragazza bellissima, più grande di un anno, che aveva perso per problemi personali. Non ero gelosa di lui, ma mi dava molto fastidio questo suo atteggiamento verso di lei. Mi dava fastidio perché lei era bella, era simpatica, era tutto ciò che potesse piacere in una ragazza. Mi dava fastidio perché, nonostante non lo volessi ammettere, ero totalmente invidiosa di lei.
 
Miriana camminò verso di me.
«Giu ma che ti sta succedendo? Non è mai successo che tu sia stata ripresa. Vieni con me a prendere qualcosa da mangiare?»
«Andiamo.» ignorai la sua precedente affermazione e mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare subito dopo: ero sicura che al bar ci sarebbe stato anche Mattia. Non sapevo come affrontarlo. Non avevo idea di cosa dirgli.
Passai di fronte al solito gruppo, ormai sapevo le loro facce a memoria. Tra loro c’era anche Mattia, che a un certo punto mi puntò lo sguardo addosso. Gli altri lo notarono e si voltarono, per poi scoppiare in una forte risata.
«Il nostro Mattia pensava ci fossimo dimenticati della scommessa. Com’è andata con l’avvocato difensore? L’hai conquistata?» tutti scoppiarono a ridere dopo le parole di Daniel.
In quel preciso istante arrivò Sara.
«Ciao tesoro, come stai oggi?» chiese a Mattia, stampandogli un bacio sulla bocca.
Non avrei potuto sopportare altro, mi voltai e tornai in classe, con lo sguardo di Mattia ancora su di me.
Non ci potevo credere. Mi misi a piangere. Ero stata illusa un’altra volta. Ero stata oggetto di una scommessa. Mi sentivo tanto stupida, forse come mai in vita mia.
Cercai di dimenticare ciò che era successo, ma non facevo a meno di chiedermi perché non ci fosse nessun’amica a consolarmi. Andai a prendere a scuola Martina, mia sorella, rimanendo con questo dubbio.
Martina era una bambina fantastica. Aveva 9 anni. Mi faceva sempre stare meglio anche solo con un sorriso. Mi faceva felice perché era ingenua, perché lei non chiedeva nulla, lei viveva bene così, accettava se stessa, accettava la sua vita e gli altri. Io non riuscivo a farlo, non riuscivo a rassegnarmi all’essere triste, incompleta. In quel momento avrei voluto solo coricarmi su un letto, magari a baldacchino, magari sulla spiaggia, e riposare, finché non fosse finito tutto questo. Volevo chiudere gli occhi e immaginare un mondo migliore, fuggire dalla realtà che mi circondava e aprire una porta che mi avrebbe condotta ad un altro universo dove tutto era diverso e niente rispettava le leggi spazio-temporali, dove non c’erano limiti, né ostacoli, magari nemmeno il dolore. E così ci prova, serrai gli occhi, e niente cambiò. La realtà era sempre uguale, e niente poteva condurmi a qualche altro pensiero che non fosse l’umiliazione ricevuta la mattina stessa a scuola.
 
Erano le 10 di sera. Mi affacciai alla finestra. L’aria era fredda, le foglie a terra. Il cielo scuro era coperto da nebbia. La Luna appariva all’orizzonte, luminosa e brillante.
Mi voltai verso il letto e presi sonno.
                                
 
«Giulia svegliati, è molto tardi!» le urla di mia madre mi risvegliarono improvvisamente. «Non vorrai far tardi a scuola»
Si mamma, anzi vorrei proprio non andarci, pensavo. Lei non mi avrebbe capita, così mi alzai dal letto e andai a prepararmi, controvoglia. Dal giorno in cui conobbi Mattia era passata una settimana. Non ce l’avrei fatta a rivedere tutte quelle persone. Non ce l’avrei fatta a rivedere quel ragazzo dallo sguardo intrigante che mi aveva colpito già dal primo giorno in cui lo conobbi. Eppure non capivo, non riuscivo a capire. Mi sembrava sincero.
 
Andai a scuola in autobus, con Chiara. Le raccontai tutto riguardo Mattia, visto che lei non era presente. La pensava esattamente come me. Anche a lei era sembrato sincero, e non riuscivamo davvero a capire cosa fosse successo.
Non avevo alcuna voglia di stare 5 ore a scuola. Volevo andarmene subito, anche se sapevo che non avrei trovato rifugio da nessuna parte per scappare ai miei pensieri.
La prima ora passò velocemente, così decisi di andare in bagno. Non mi sentivo affatto bene.
Dovetti passare anche davanti alla 4 F, la classe di Mattia, che proprio in quel momento uscì. Io continuai per la mia strada e, davanti alla porta del bagno, mi voltai verso di lui e vidi che non mi toglieva gli occhi di dosso. Se ne andò lentamente. Furono due minuti, poi davanti a me vidi tutto nero.
 
«Spostatevi, devo vedere cosa succede.»
«Ma che cosa è successo?»
«Perché è a terra?»
Sentivo voci urlanti ovunque e riconobbi i miei compagni insieme alla mia professoressa.
«E’ stato sicuramente un calo di zuccheri, niente di importante» annuii. Odiavo essere al centro dell’attenzione, soprattutto per cose brutte. Mi incantai a guardare Sol. Luca aveva ragione, era davvero bellissima. Aveva dei capelli stupendi. Nei suoi occhi ci si poteva vedere il mare, il suo naso aveva una forma perfetta e la sua bocca era carnosa al punto giusto. Aveva un fisico invidiabile in tutto e per tutto. Avrei voluto tanto essere come lei, ma ero così, non potevo cambiare, nemmeno provandoci.
Per fortuna nessuno fuori dalla mia classe venne a sapere del mio incidente, ma dopo circa 10 minuti dal fatto mi arrivò un messaggio. Era Mattia.
“Non è come pensi.”  
Rimasi 5 minuti fissa sullo schermo del cellulare. Cosa voleva dire quella frase? In che senso? Non riuscivo a spiegarmelo. Quel ragazzo era strano, non lo capivo. E a quel punto non sapevo più che fare, così lasciai scorrere tutta questa storia. Avevo deciso di dedicarmi un po’ di più alle amicizie nella mia classe. Avevo legato più o meno con tutti, anche se il mio desiderio di avere un’amica con cui condividere tutto non si era ancora realizzato. In quel periodo mi stavo avvicinando a Sofia, una mia compagna di classe. Avevamo in comune, oltre ad interessi vari, problemi interiori. Lei non lo faceva vedere, ma io ero brava a capire le persone. Non conoscevo la sua storia e non avevo mai avuto il coraggio di chiederle qualcosa, ma vedevo nel suo sguardo la sofferenza. Riuscivamo entrambe ad immedesimarci nell’altra, e questo era molto confortevole per me. Lei era l’amica che aiutava sempre. Cercava di dare consigli, era saggia. Si faceva vedere forte agli occhi degli altri, ma in realtà avrebbe voluto che qualcun altro la aiutasse come lei faceva.
 
Tornata a casa, incontrai i miei genitori. Mia madre mi salutò amorevolmente come sempre. Mi piaceva la sua spensieratezza nei miei confronti.
Riflettei tutto il pomeriggio. In tutta la mia vita avevo sempre recitato la parte della persona felice e contenta, ma era arrivato il momento di affrontare la realtà, il momento di affrontare Mattia.
E l’indomani l’avrei fatto.
Non riuscii a dormire per tutta la notte a causa degli incubi e dell’ansia. Perciò, la mattina dopo, allo specchio, oltre a vedere un’immagine orrenda che corrispondeva al mio volto, scorsi delle evidenti occhiaie sotto i miei occhi. Nonostante ciò, non mi scoraggiai. Mi convinsi del fatto che il giorno stesso mi sarei tolta un peso parlando con Mattia.
La mattinata scolastica passò molto lentamente, ma chiacchierai molto con le mie amiche e con Luca, raccontando loro la mia situazione e viceversa. Miriana mi disse che avevo ragione e parlarne faccia a faccia era il modo migliore per risolvere la situazione. Riusciva sempre a darmi una carica positiva. E’ stata la prima persona che ho conosciuto della scuola superiore e condividevamo molte cose. Era una persona che aveva sempre il sorriso sulle labbra. Affrontava i problemi che le si presentavano con un sorriso, anche se, molte volte, dopo un po’ non ce la faceva più.
Una delle cose che mi piacevano di più della mia classe era il fatto che tutte avessimo problemi, di ogni tipo e natura, ma che si ricollegavano tutti l’un l’altro.
Io cercavo sempre di non avere conflitti con nessuno e di aiutare tutti il più possibile.
Guardai attraverso la finestra: il cielo era azzurro e limpido, senza nemmeno una nuvola. L’erba era verde smeraldo con alcune foglie rosse. Gli alberi erano quasi sfolti. C’erano panchine ovunque, ma pochissime persone. Una bambina giocava sullo scivolo insieme al nonno. Mi venne in mente la mia infanzia, ma anche il mio futuro, immedesimandomi nei passanti. Vedevo il mondo, guardavo le persone vivere. Io, invece, ero lì. Non potevo andare oltre quella finestra. Mi piaceva guardare gli altri mentre conducevano la loro vita con serenità. Mi piaceva perché sapevo di non poter farlo io. Desideravo qualcuno che mi sostenesse, esattamente come stava facendo il nonno con la bambina sullo scivolo. Le teneva le mani da dietro, e la spingeva piano per non farle fare male. Così mi voltai, ma dietro di me non c’era nessuno.
 
 
All’uscita mi incamminai verso Mattia. Le mie amiche si erano offerte ad accompagnarmi, ma avevo rifiutato: era una cosa che avrei dovuto risolvere solo io. Gli corsi incontro, per fortuna era da solo.
«Ciao, io ho bisogno di spiegaz..» non riuscii a finire la frase.
«Ho capito cosa vuoi dire e ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è successo» continuava a camminare, sempre più veloce. Era così sfuggente.
«E’ tutto questo quello che hai da dire?» urlai sempre più forte. «Mi fai schifo, davvero!» piansi.
«Tu non sai niente!»
«Mi basta sapere quello che ho visto e ciò che mi hai appena detto!»
Si voltò e vidi delle lacrime sul suo viso.
«Tu non sai niente! Tu non sai perché io sono in questa scuola, tu non sai perché io sono amico con i ragazzi che odi di più nella scuola, tu non sai perché mi sono comportato così con te!» gridò.
Piangevamo a dirotto tutti e due.
«E allora perché non vuoi dirmelo? Sono qui per questo, io non voglio soffrire! E tu lo sapevi, te n’eri accorto! Mi hai illusa!» urlai con tutta la voce che avevo in gola.
«Hai ragione, io so qualcosa di te ma tu non sai nulla di me!» mi prese per il braccio e mi portò in un giardino lì vicino dove c’era una panchina. Pian piano smise di piangere, e io lo seguii.
«Guarda.» mi disse cautamente, mentre si tolse la benda che aveva sulla mano, strappandola. Aveva le falangi viola, come se avesse appena preso una botta. Lo osservai incuriosita.
«Stamattina ho tirato un pugno contro il muro. Credo di avere una frattura, ma non sono ancora andato al pronto soccorso: mia madre non lo sa.» disse.
Non dissi nulla. In quel momento non servivano parole, potevamo capirci. Ognuno aveva il proprio modo di sfogarsi.
Lo abbracciai forte.
Sul suo viso scendevano delle lacrime.
«Solo una persona che ha provato certe cose può capirle. E adesso posso comprendere come avevi fatto quel giorno a capire tutto di me, senza conoscermi quasi.» gli dissi.
Sorrise.
«Già, sei la ragazza dal sorriso spezzato.» rispose.
Gli sorrisi dolcemente e iniziai a piangere anche io.
Così mi prese il braccio e scese con la sua mano sempre di più, fino alla mia, per poi intrecciarle.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sentivo bene. Mi sentivo ascoltata e capita.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui si voltò verso di me. Eravamo molto vicini e questo provocò in me una sensazione strana: non mi era mai capitato di essere in una situazione simile.
Mi guardò fisso negli occhi, per poi avvicinare il suo volto al mio e stampare lentamente un bacio sulla mia bocca. Dopo poco ritrasse la testa e mi guardò come per scusarsi. E a quel punto misi le mani sulla sua nuca, mi avvicinai a lui e lo baciai con passione, capendo che ciò che stava succedendo sarebbe stata la cosa più bella della mia vita.
«Hey Hey, alla fine com’è andata col ragazzo di quarta?» urlò Luca. In quel momento lo detestai. Odiavo le persone che urlavano di prima mattina, per di più cose che non si dovevano sapere.
«Perché gli hai dato il mio numero?! Potevi almeno chiedermelo, nessuno te ne ha dato il diritto.» risposi con fermezza.
«Scusa, non pensavo ti arrabbiassi così. L’ho fatto per te. Sei sempre così triste e scontrosa, volevo farti un piacere.» Aveva ragione. Ero troppo scontrosa, non se lo meritava, era una persona fantastica. E ormai io ero diventata così, fredda con tutti.
 
Era l’ora di biologia e questo non mi dispiaceva affatto, mi piaceva come materia. Ma non riuscivo a seguire il discorso della professoressa, ero distratta da qualunque cosa mi circondasse. Il cielo, l’erba, gli alberi, persino il pavimento. Mi incantavo anche per vari minuti. E pensavo, pensavo. A me, a ciò che avrei voluto succedesse.
«Quindi, Molinari, qual è la teoria di Darwin riguardo all’evoluzione delle specie?»
Mi alzai di colpo. La professoressa aveva notato la mia distrazione e aveva voluto sfidarmi. Per fortuna avevo ripassato quest’argomento il giorno prima, così risposi correttamente. Dovevo riuscire a controllarmi meglio, non potevo far notare tutto ciò che mi passava per la testa.
Luca mi guardò come rimproverandomi scherzosamente. Ma fu solo un istante, dopo si voltò nuovamente a scrutare Sol. Sol Castro era una ragazza bellissima, più grande di un anno, che aveva perso per problemi personali. Non ero gelosa di lui, ma mi dava molto fastidio questo suo atteggiamento verso di lei. Mi dava fastidio perché lei era bella, era simpatica, era tutto ciò che potesse piacere in una ragazza. Mi dava fastidio perché, nonostante non lo volessi ammettere, ero totalmente invidiosa di lei.
 
Miriana camminò verso di me.
«Giu ma che ti sta succedendo? Non è mai successo che tu sia stata ripresa. Vieni con me a prendere qualcosa da mangiare?»
«Andiamo.» ignorai la sua precedente affermazione e mi concentrai su ciò che avrei dovuto fare subito dopo: ero sicura che al bar ci sarebbe stato anche Mattia. Non sapevo come affrontarlo. Non avevo idea di cosa dirgli.
Passai di fronte al solito gruppo, ormai sapevo le loro facce a memoria. Tra loro c’era anche Mattia, che a un certo punto mi puntò lo sguardo addosso. Gli altri lo notarono e si voltarono, per poi scoppiare in una forte risata.
«Il nostro Mattia pensava ci fossimo dimenticati della scommessa. Com’è andata con l’avvocato difensore? L’hai conquistata?» tutti scoppiarono a ridere dopo le parole di Daniel.
In quel preciso istante arrivò Sara.
«Ciao tesoro, come stai oggi?» chiese a Mattia, stampandogli un bacio sulla bocca.
Non avrei potuto sopportare altro, mi voltai e tornai in classe, con lo sguardo di Mattia ancora su di me.
Non ci potevo credere. Mi misi a piangere. Ero stata illusa un’altra volta. Ero stata oggetto di una scommessa. Mi sentivo tanto stupida, forse come mai in vita mia.
Cercai di dimenticare ciò che era successo, ma non facevo a meno di chiedermi perché non ci fosse nessun’amica a consolarmi. Andai a prendere a scuola Martina, mia sorella, rimanendo con questo dubbio.
Martina era una bambina fantastica. Aveva 9 anni. Mi faceva sempre stare meglio anche solo con un sorriso. Mi faceva felice perché era ingenua, perché lei non chiedeva nulla, lei viveva bene così, accettava se stessa, accettava la sua vita e gli altri. Io non riuscivo a farlo, non riuscivo a rassegnarmi all’essere triste, incompleta. In quel momento avrei voluto solo coricarmi su un letto, magari a baldacchino, magari sulla spiaggia, e riposare, finché non fosse finito tutto questo. Volevo chiudere gli occhi e immaginare un mondo migliore, fuggire dalla realtà che mi circondava e aprire una porta che mi avrebbe condotta ad un altro universo dove tutto era diverso e niente rispettava le leggi spazio-temporali, dove non c’erano limiti, né ostacoli, magari nemmeno il dolore. E così ci prova, serrai gli occhi, e niente cambiò. La realtà era sempre uguale, e niente poteva condurmi a qualche altro pensiero che non fosse l’umiliazione ricevuta la mattina stessa a scuola.
 
Erano le 10 di sera. Mi affacciai alla finestra. L’aria era fredda, le foglie a terra. Il cielo scuro era coperto da nebbia. La Luna appariva all’orizzonte, luminosa e brillante.
Mi voltai verso il letto e presi sonno.
                                
 
«Giulia svegliati, è molto tardi!» le urla di mia madre mi risvegliarono improvvisamente. «Non vorrai far tardi a scuola»
Si mamma, anzi vorrei proprio non andarci, pensavo. Lei non mi avrebbe capita, così mi alzai dal letto e andai a prepararmi, controvoglia. Dal giorno in cui conobbi Mattia era passata una settimana. Non ce l’avrei fatta a rivedere tutte quelle persone. Non ce l’avrei fatta a rivedere quel ragazzo dallo sguardo intrigante che mi aveva colpito già dal primo giorno in cui lo conobbi. Eppure non capivo, non riuscivo a capire. Mi sembrava sincero.
 
Andai a scuola in autobus, con Chiara. Le raccontai tutto riguardo Mattia, visto che lei non era presente. La pensava esattamente come me. Anche a lei era sembrato sincero, e non riuscivamo davvero a capire cosa fosse successo.
Non avevo alcuna voglia di stare 5 ore a scuola. Volevo andarmene subito, anche se sapevo che non avrei trovato rifugio da nessuna parte per scappare ai miei pensieri.
La prima ora passò velocemente, così decisi di andare in bagno. Non mi sentivo affatto bene.
Dovetti passare anche davanti alla 4 F, la classe di Mattia, che proprio in quel momento uscì. Io continuai per la mia strada e, davanti alla porta del bagno, mi voltai verso di lui e vidi che non mi toglieva gli occhi di dosso. Se ne andò lentamente. Furono due minuti, poi davanti a me vidi tutto nero.
 
«Spostatevi, devo vedere cosa succede.»
«Ma che cosa è successo?»
«Perché è a terra?»
Sentivo voci urlanti ovunque e riconobbi i miei compagni insieme alla mia professoressa.
«E’ stato sicuramente un calo di zuccheri, niente di importante» annuii. Odiavo essere al centro dell’attenzione, soprattutto per cose brutte. Mi incantai a guardare Sol. Luca aveva ragione, era davvero bellissima. Aveva dei capelli stupendi. Nei suoi occhi ci si poteva vedere il mare, il suo naso aveva una forma perfetta e la sua bocca era carnosa al punto giusto. Aveva un fisico invidiabile in tutto e per tutto. Avrei voluto tanto essere come lei, ma ero così, non potevo cambiare, nemmeno provandoci.
Per fortuna nessuno fuori dalla mia classe venne a sapere del mio incidente, ma dopo circa 10 minuti dal fatto mi arrivò un messaggio. Era Mattia.
“Non è come pensi.”  
Rimasi 5 minuti fissa sullo schermo del cellulare. Cosa voleva dire quella frase? In che senso? Non riuscivo a spiegarmelo. Quel ragazzo era strano, non lo capivo. E a quel punto non sapevo più che fare, così lasciai scorrere tutta questa storia. Avevo deciso di dedicarmi un po’ di più alle amicizie nella mia classe. Avevo legato più o meno con tutti, anche se il mio desiderio di avere un’amica con cui condividere tutto non si era ancora realizzato. In quel periodo mi stavo avvicinando a Sofia, una mia compagna di classe. Avevamo in comune, oltre ad interessi vari, problemi interiori. Lei non lo faceva vedere, ma io ero brava a capire le persone. Non conoscevo la sua storia e non avevo mai avuto il coraggio di chiederle qualcosa, ma vedevo nel suo sguardo la sofferenza. Riuscivamo entrambe ad immedesimarci nell’altra, e questo era molto confortevole per me. Lei era l’amica che aiutava sempre. Cercava di dare consigli, era saggia. Si faceva vedere forte agli occhi degli altri, ma in realtà avrebbe voluto che qualcun altro la aiutasse come lei faceva.
 
Tornata a casa, incontrai i miei genitori. Mia madre mi salutò amorevolmente come sempre. Mi piaceva la sua spensieratezza nei miei confronti.
Riflettei tutto il pomeriggio. In tutta la mia vita avevo sempre recitato la parte della persona felice e contenta, ma era arrivato il momento di affrontare la realtà, il momento di affrontare Mattia.
E l’indomani l’avrei fatto.
Non riuscii a dormire per tutta la notte a causa degli incubi e dell’ansia. Perciò, la mattina dopo, allo specchio, oltre a vedere un’immagine orrenda che corrispondeva al mio volto, scorsi delle evidenti occhiaie sotto i miei occhi. Nonostante ciò, non mi scoraggiai. Mi convinsi del fatto che il giorno stesso mi sarei tolta un peso parlando con Mattia.
La mattinata scolastica passò molto lentamente, ma chiacchierai molto con le mie amiche e con Luca, raccontando loro la mia situazione e viceversa. Miriana mi disse che avevo ragione e parlarne faccia a faccia era il modo migliore per risolvere la situazione. Riusciva sempre a darmi una carica positiva. E’ stata la prima persona che ho conosciuto della scuola superiore e condividevamo molte cose. Era una persona che aveva sempre il sorriso sulle labbra. Affrontava i problemi che le si presentavano con un sorriso, anche se, molte volte, dopo un po’ non ce la faceva più.
Una delle cose che mi piacevano di più della mia classe era il fatto che tutte avessimo problemi, di ogni tipo e natura, ma che si ricollegavano tutti l’un l’altro.
Io cercavo sempre di non avere conflitti con nessuno e di aiutare tutti il più possibile.
Guardai attraverso la finestra: il cielo era azzurro e limpido, senza nemmeno una nuvola. L’erba era verde smeraldo con alcune foglie rosse. Gli alberi erano quasi sfolti. C’erano panchine ovunque, ma pochissime persone. Una bambina giocava sullo scivolo insieme al nonno. Mi venne in mente la mia infanzia, ma anche il mio futuro, immedesimandomi nei passanti. Vedevo il mondo, guardavo le persone vivere. Io, invece, ero lì. Non potevo andare oltre quella finestra. Mi piaceva guardare gli altri mentre conducevano la loro vita con serenità. Mi piaceva perché sapevo di non poter farlo io. Desideravo qualcuno che mi sostenesse, esattamente come stava facendo il nonno con la bambina sullo scivolo. Le teneva le mani da dietro, e la spingeva piano per non farle fare male. Così mi voltai, ma dietro di me non c’era nessuno.
 
 
All’uscita mi incamminai verso Mattia. Le mie amiche si erano offerte ad accompagnarmi, ma avevo rifiutato: era una cosa che avrei dovuto risolvere solo io. Gli corsi incontro, per fortuna era da solo.
«Ciao, io ho bisogno di spiegaz..» non riuscii a finire la frase.
«Ho capito cosa vuoi dire e ti chiedo scusa. Mi dispiace per quello che è successo» continuava a camminare, sempre più veloce. Era così sfuggente.
«E’ tutto questo quello che hai da dire?» urlai sempre più forte. «Mi fai schifo, davvero!» piansi.
«Tu non sai niente!»
«Mi basta sapere quello che ho visto e ciò che mi hai appena detto!»
Si voltò e vidi delle lacrime sul suo viso.
«Tu non sai niente! Tu non sai perché io sono in questa scuola, tu non sai perché io sono amico con i ragazzi che odi di più nella scuola, tu non sai perché mi sono comportato così con te!» gridò.
Piangevamo a dirotto tutti e due.
«E allora perché non vuoi dirmelo? Sono qui per questo, io non voglio soffrire! E tu lo sapevi, te n’eri accorto! Mi hai illusa!» urlai con tutta la voce che avevo in gola.
«Hai ragione, io so qualcosa di te ma tu non sai nulla di me!» mi prese per il braccio e mi portò in un giardino lì vicino dove c’era una panchina. Pian piano smise di piangere, e io lo seguii.
«Guarda.» mi disse cautamente, mentre si tolse la benda che aveva sulla mano, strappandola. Aveva le falangi viola, come se avesse appena preso una botta. Lo osservai incuriosita.
«Stamattina ho tirato un pugno contro il muro. Credo di avere una frattura, ma non sono ancora andato al pronto soccorso: mia madre non lo sa.» disse.
Non dissi nulla. In quel momento non servivano parole, potevamo capirci. Ognuno aveva il proprio modo di sfogarsi.
Lo abbracciai forte.
Sul suo viso scendevano delle lacrime.
«Solo una persona che ha provato certe cose può capirle. E adesso posso comprendere come avevi fatto quel giorno a capire tutto di me, senza conoscermi quasi.» gli dissi.
Sorrise.
«Già, sei la ragazza dal sorriso spezzato.» rispose.
Gli sorrisi dolcemente e iniziai a piangere anche io.
Così mi prese il braccio e scese con la sua mano sempre di più, fino alla mia, per poi intrecciarle.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sentivo bene. Mi sentivo ascoltata e capita.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lui si voltò verso di me. Eravamo molto vicini e questo provocò in me una sensazione strana: non mi era mai capitato di essere in una situazione simile.
Mi guardò fisso negli occhi, per poi avvicinare il suo volto al mio e stampare lentamente un bacio sulla mia bocca. Dopo poco ritrasse la testa e mi guardò come per scusarsi. E a quel punto misi le mani sulla sua nuca, mi avvicinai a lui e lo baciai con passione, capendo che ciò che stava succedendo sarebbe stata la cosa più bella della mia vita.


SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti, ecco il secondo capitolo :) qui si entra nel vivo della storia, ma ovviamente ci saranno sempre più novità e colpi di scena.
Inoltre vorrei ringraziare le persone che hanno letto la mia storia, le poche( ma buone) persone che hanno messo la storia tra preferiti/seguite.
Il più grande ringraziamento va ai miei amici, grazie per il sostegno e per l'ispirazione che ogni giorno mi date, perchè nella storia c'è un qualcosa di tutti voi.
Appena potrò pubblicherò il terzo capitolo.
Fatemi sapere che cosa ne pensate!
Un bacio

                                  @jepsenseyes
Banner creato da @flawsnov
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: arwriter