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Autore: Sakyo_    28/02/2014    3 recensioni
[Dal quinto capitolo]
Eloise stava tremando.
Il guinzaglio di Demon scivolò via dalle mani di Castiel come conseguenza naturale dell’emozione appena nata in lui, e le sue mani si posarono così piano sulle esili spalle della donna, che tutto parve capovolgersi.
Quasi a chiedere permesso.
Quasi a voler esplorare l’inaccessibile.
Lei rimase inerme. Lui l’abbracciò da dietro. Più che un abbraccio, era un tocco leggero. Solo per farle avvertire la sua presenza.
Lei, così piccola e indifesa che non pareva possibile fosse proprio la professoressa.
In quel momento, in quel luogo avevano dato vita a qualcosa.
Qualcosa che non sarebbe dovuto essere.
Ma qualcosa che ormai, c'era.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Lysandro, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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3. Particolare

Eloise non aveva portato l’ombrello con sé quando aveva deciso di scendere un attimo sotto casa per comprare una nuova penna usb, dato che quella che stava usando cinque minuti prima di punto in bianco aveva smesso di funzionare senza un valido motivo.
Il negozio di articoli elettronici distava soltanto cinque minuti di camminata dal suo condominio, ecco perché nessun ombrello si trovava stretto tra le sue mani nel momento in cui il cielo decise di mandare giù un acquazzone che avrebbe fatto un certo scalpore attraverso i notiziari del giorno e i quotidiani serali. Non se ne vedevano così da mesi, ma sfortuna volle che Eloise lo beccasse in pieno e la faccia della commessa la disse lunga su come quello scherzo della natura avesse ridotto i vestiti e i capelli della ragazza.
In quel periodo non faceva freddo, anzi, si percepiva ancora un avanzo di afa estiva attaccarsi alla pelle durante le ore più calde della giornata. Per questo Eloise era scesa in strada con indosso una maglietta leggera, degli shorts e un paio di infradito ai piedi.
Mai scelta fu più sbagliata di quella. O forse si. L’ombrello mancante si aggiudicava a tutti gli effetti il primo posto nel podio della sfiga annuale.
Strusciò più volte i piedi sul tappetino all’entrata del negozio, ma più per rabbia che per asciugarseli davvero. Strizzò i capelli nel portaombrelli e cercò di sistemarseli alla bell’e meglio. La commessa, che aveva osservato tutta la scena, non riuscì a trattenere una risatina di scherno.
«Desidera?» chiese quando Eloise si avvicinò al bancone come un sub alla spiaggia.
«In questo momento avrei davvero bisogno di un qualche aggeggio tecnologico che permetta di mantenere i nervi saldi, ma credo che dovrò accontentarmi di una penna usb» dalla sua voce trapelò una certa irritazione, per cui la commessa capì che era meglio non aggiungere commenti superflui.
Ad acquisto avvenuto, Eloise fece una corsa per non incappare di nuovo nella pioggia che sarebbe potuta scendere da un momento all’altro. Pensava che la situazione non si sarebbe potuta aggravare ulteriormente, ma si sa che al peggio non c’è mai fine.
Stava prendendo le chiavi di casa dalla tasca del pantalone, quando la vibrazione del suo cellulare annunciò una chiamata in arrivo.
Lo estrasse dall’altra tasca e socchiuse gli occhi per cercare di leggere il nome sul display. Ma al posto del nome vi era solo un numero non salvato nella rubrica.
Un qualcosa dentro di lei le suggerì che forse sarebbe stato meglio non rispondere, ma alla fine, pensando che potesse essere una chiamata importante, premette il tastino verde e si portò il telefono all’orecchio.
Una voce fin troppo gioiosa si presentò in modo innaturale ai suoi timpani.
«Eloise, da quanto tempo!»
Dato che non riuscì subito a capire a chi appartenesse quella voce, rimase in silenzio per qualche istante.
«Chi è?» si decise a dire alla fine.
«Ma come, non mi riconosci? Sono Renée!»
Renée. Conosceva soltanto una persona con quel nome, e quella persona era una sua compagna di classe del liceo. Se la mente non la ingannava, dovevano essere passati più o meno sette anni dall’ultima volta che l’aveva vista.
Una sensazione simile a un blocco duro e pesante andò a farsi spazio nella parte inferiore dello stomaco.
«Reneé, certo. Come stai?» le chiese, ma la vera domanda era un’altra.
Perché mi hai chiamata?
«Una meraviglia. Sai che tra poco mi sposo? Sono così impegnata con tutti i preparativi, che quasi mi sono pentita di aver detto il fatidico sì!» seguì una risata a quella frase così triste, che Eloise fu tentata di simulare un’accidentale caduta della linea.
«Mi fa piacere, congratulazioni. Chi è il fortunato?»
«Oh, non lo conosci» disse e accantonò il discorso come se non fosse abbastanza importante da meritare altre parole. «Comunque, ti ho chiamata perché qualche giorno fa ho rivisto per caso Damien, te lo ricordi? Il tipo che ci provava con tutte in classe... Beh insomma, abbiamo pensato che sarebbe stato carino organizzare una rimpatriata tra noi compagni del liceo! Non credi? Perciò lui si è incaricato di telefonare ai ragazzi, mentre io sto chiamando le ragazze... Allora, che ne pensi?» il tutto era stato pronunciato con una tale velocità che Eloise ci impiegò un po’ per focalizzare la discussione nel cervello.
E quando finalmente si concentrò sull’informazione che le aveva dato l’ex amica, il suo cuore mancò di un battito.
Fissò un punto vuoto davanti a sé, che poco dopo fu occupato dalla signora del terzo piano che stava scendendo le scale insieme ai suoi tre cagnolini al guinzaglio. Questa sorrise amabilmente a Eloise, la quale, nonostante la stesse guardando, in realtà non vedeva nulla. Nella sua testa rimbombavano solo le parole di Reneé riguardo la cena di classe a cui era stata appena invitata.
«Pronto, ci sei ancora?»
«Sì, scusami» disse riprendendosi, «Quel... Quel giorno temo avere un impegno»
«Cosa? Ma non ti ho ancora detto il giorno!» esclamò Reneé risentita.
Il volto di Eloise si strizzò in una smorfia di disagio «Oh. È che sono in macchina e non ho capito bene...»
Il tono dell’altra si fece più cupo. «Forse ti ho chiamata in un momento sbagliato. Comunque ancora non abbiamo deciso il giorno, tu hai delle preferenze?»
«Direi di no...» si limitò a rispondere Eloise.
«In questo caso ti farò sapere quando avrò chiesto anche alle altre. Ci risentiamo, d’accordo?»
Reneé riagganciò senza aspettare nemmeno una risposta. Evidentemente se l’era presa.
Ma Eloise non si aspettava una chiamata del genere.
Con i capelli ancora gocciolanti entrò in casa. Quell’invito l’aveva scossa non poco e dire che era contenta di averlo ricevuto equivaleva ad affermare una grande, profonda bugia.
 
***
 
Lysandre non la smetteva di fissare Anne. Distoglieva gli occhi da lei solo per rivolgerli al suo taccuino su cui appuntava frettolosamente chissà quali parole.
Dal canto suo, Anne alternava sbuffi sonori a lunghi e intensi gemiti di disperazione. Quel giorno avrebbe tanto voluto rimanere a casa, ma i suoi genitori non gliel’avrebbero mai permesso senza un valido motivo. E lei non era una di quelle persone in grado di fingere un malanno recitando in modo convincente, perciò le quattro mura dell’aula la soggiogavano come una prigione.
«Lys, potresti cortesemente finirla di guardarmi come se fossi un esperimento da laboratorio uscito male?»
Il ragazzo, come tornato di colpo alla realtà dopo un’estasi mistica, assunse un’espressione dispiaciuta e chiuse il quadernino.
«Perdonami. Avevi uno sguardo così struggente che mi sono sentito di colpo ispirato»
Anne lo guardò esterrefatta. «Stavi scrivendo i versi di una canzone?»
«Esattamente» rispose Lysandre, trattenendo a stento la voglia di riprendere in mano la penna.
La ragazza non sapeva se sentirsi lusingata o ancora più affranta. Se a Lysandre era partito l’estro musicale grazie a lei, doveva vedersi bene anche all'esterno quanto stava da schifo quel giorno.
«Comunque» esordì il ragazzo con un colpetto di tosse, «non dovresti prendertela per le sue battute. Sai com’è fatto...»
«Tu lo giustifichi sempre. Non bisogna essere dei geni per capire che a volte sarebbe meglio stare zitti»
Lysandre si sistemò il foulard, poi congiunse le mani sul banco, guardando Anne negli occhi in modo penetrante.
«Sai anche che non immagina minimamente nulla di quello che provi...»
Anne arrossì. Non ne aveva mai parlato esplicitamente con Lysandre, ma ormai anche lui se ne era reso conto. L’unico a non averlo capito era proprio Castiel.
Lysandre parve esitare un momento prima di continuare. «Se non glielo dirai chiaramente, non lo capirà»
Per Anne quelle parole non furono una novità. Erano mesi che ci pensava e ripensava, ma alla fine non trovava mai il coraggio di affrontare l’argomento con il diretto interessato. Il solo immaginare l’eventualità di una possibile rottura tra lei e Castiel la faceva subito demordere dal suo intento.
“Sono una stupida” si ripeteva nella mente. Ma era più forte di lei.
Non era il coraggio che le mancava. Piuttosto soccombeva al terrore di dover rinunciare a lui anche come amico. Quello non l’avrebbe mai sopportato.
La causa di tutti i suoi pensieri fece il suo ingresso in aula senza degnare nessuno di uno sguardo. Sul viso si intravedeva ancora un lieve rossore dello schiaffo che aveva ricevuto il giorno precedente. Anne si torturò le mani, pentendosi di avergli dato quella sberla così forte. Ma non lo salutò e non fu salutata.
Rimase un po’ interdetta, perché di solito Castiel cercava di riappacificarsi con lei quando ne combinava qualcuna delle sue. Forse quella volta si era sentito ferito anche lui, dopo aver ricevuto un trattamento simile dalla sua migliore amica.
L’aria si fece particolarmente tesa.
Da una parte, Castiel, che maneggiava il suo mp3 come se volesse spaccarlo da un momento all’altro. Uno sguardo glaciale non lasciava spazio alle parole.
Dall’altra, l’aria trafitta di Anne. Un mezzo broncio celava malamente la sua malinconia.
Lysandre, accanto a loro, scosse la testa. Altre volte si era ritrovato in situazioni del genere, ma quella sembrava davvero dura da risolvere.
 
***
 
«Questo pezzo non mi piace, suona troppo sdolcinato» constatò Castiel, sdraiato sul suo letto mentre leggeva il taccuino che gli aveva passato Lysandre.
«Perché non lo leggi con il giusto sentimento...»
Lysandre si alzò in piedi, si schiarì la voce e chiudendo gli occhi, cantò piano:

 
Frugar nei tuoi misteri,
nelle onde dei tuoi occhi,
e finire ancora soli,
mentre tremi ai miei tocchi…

 
«Non so amico, mi ricorda quelle poesie un po’ sfigate... Non mi caccia fuori la giusta adrenalina per suonarla, capisci?»
«Allora proponi tu qualcosa... Non mi pare che finora abbia avuto idee così brillanti»
«Non sono ispirato, ultimamente»
«Strano, potresti prendere spunto da avvenimenti recenti. Che so... Un litigio, per esempio»
Castiel lanciò un’occhiataccia all’amico. «Se devi dirmi qualcosa, parla chiaro»
«Il tuo problema è che hai bisogno che ti venga spiegata ogni cosa»
«Che intendi?»
«Ecco, appunto...» Lysandre riprese il taccuino e lo infilò dentro la cartella «Non sarò io a dirti quello che già avresti dovuto capire da un pezzo», poi guardò il rosso con occhi seri «Sta’ attento a quello che fai».
Castiel rimase alquanto confuso da quelle parole. Non capiva a cosa si stava riferendo l’amico, ma il suo tono solenne gli suggerì che era meglio non parlare a sproposito.
Vedendo che questo si stava preparando per tornare a casa, lo fermò.
«Aspetta, Lys» Poi, non sapendo bene cosa dire, restò in silenzio.
Lysandre attese che continuasse, anche se aveva già capito cosa stava per chiedergli.
«Ho ritrovato il dvd del primo tour dei Winged Skull... Resti a cena?»
Aveva perso il conto delle serate passate a vedere quel dvd... Ormai lo conoscevano entrambi a memoria. Ma non era tanto la voglia di rivederlo, quanto quella di non rimanere da solo, che spingeva Castiel a chiedergli di rimanere ancora un po’ da lui. Lysandre lo sapeva bene, per questo accettava sempre di cenare con una birra e una pizza surgelata, nonostante i suoi gusti troppo raffinati non gli permettessero di apprezzare quel tipo di alimentazione.
Posò la cartella e sorrise all’amico. «Ma certo! Avevo proprio voglia di rivederlo»
 
***
 
Quando arrivò a scuola la mattina dopo il suo giorno libero, Eloise non aveva una bella cera. Aveva passato la notte in bianco e non era ancora al livello di concentrazione adatto per poter affrontare bene la giornata.
Mancavano cinque minuti all’inizio della sua lezione, per cui aveva tutto il tempo per prendere un caffè al distributore automatico. Per lei il caffè era sacro, e non ce n’era peggiore di quello che offriva il distributore, ma non avrebbe fatto in tempo ad arrivare al bar quindi si accontentò.
Era quasi certa di incontrare lo studente modello lì, visto che era uno dei luoghi che preferiva quando voleva saltare una lezione. Ma si sbagliò, perché di Castiel non v’era ombra.
“Probabilmente starà ancora dormendo”, pensò sarcastica mentre inseriva le monete.
Il movimento della mano nel portare il bicchiere di plastica alla bocca fu deviato dall’arrivo di un ciclone umano. Il liquido contenuto nel bicchiere finì completamente sulla sua camicia bianca, andando a formare una macchia che ad ogni secondo si allargava sempre di più.
Eloise spalancò gli occhi e voltò di scatto la testa, incontrando una Anne che definire terrorizzata sarebbe stato un eufemismo.
«Oh Dio! M-mi perdoni, professoressa! Stavo andando di fretta e...»
«E non mi hai vista» concluse Eloise per lei.
Anne, con il fiato e il cuore a mille, annuì energicamente.
«Non preoccuparti, è stato un incidente»
La ragazza credette di assistere ad un miracolo. Senza sapere come, era riuscita a non far arrabbiare la professoressa Laurent. Questa era la sola cosa importante.
«Ma ricordati che non si corre nei corridoi»
«Ha ragione, è che avevo la testa altrove...» si scusò nuovamente.
“Già” pensò Eloise, “A chi lo dici”.
«Come farà con quella?»
La professoressa seguì lo sguardo della ragazza e si ritrovò ad osservare la sua camicia macchiata. «Credo proprio di dover chiedere una tuta in prestito»
«Mi scusi ancora...»
Eloise sorrise. Vedendo scappare via quella ragazza, provò tenerezza. Non conosceva ancora bene i suoi studenti, ma Anne le era piaciuta da subito. Forse perché in qualche modo le ricordava se stessa ai tempi del liceo.
Lanciando un’occhiata al suo orologio da polso si decise che era meglio raggiungere la sua classe. Con il piede però schiacciò qualcosa a terra e quando abbassò lo sguardo, notò che si trattava di un portafogli. Che fosse di Anne?
Quando lo raccolse per portarlo al Segretario Delegato, una piccola foto scivolò via da uno scomparto cadendo sul pavimento. Di nuovo si chinò e la raccolse.
Era una vecchia foto sgualcita di due bambini in un parco. Una con due trecce castane e un enorme sorriso, l’altro con i capelli scuri e due occhi furbetti. Stavano seduti in un’area piena di sabbia, intenti a creare un castello dalle proporzioni troppo azzardate.
Eloise, guidata da un presentimento osservò a lungo quella fotografia, come alla ricerca di qualcosa.
Alla fine, un particolare catturò la sua attenzione.
Sgranò gli occhi. Il cuore accelerò di qualche battito.
No, non era possibile. Eppure...
La campanella decretò l’inizio delle lezioni. Qualsiasi pensiero si fosse insinuato nella sua testa, avrebbe dovuto chiuderlo in un cassetto. In seguito, quel cassetto sarebbe stato sicuramente riaperto.


 
 
Note dell'autrice:
Finalmente riesco a pubblicare questo terzo capitolo!
Durante tutta la sessione d'esami ho avuto una voglia matta di scriverlo,
purtroppo però ho dovuto reprimere questo istinto per cause di forza maggiore (studio matto e disperatissimo).
Ora, però, eccolo qui.
All'inizio la storia non prevedeva il personaggio di Lysandre, ma con qualche modifica ho deciso di inserirlo.
Spero che questo capitolo vi piaccia!
A presto ^^/

Sakyo
  
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