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Autore: HuGmyShadoW    28/02/2014    0 recensioni
Camilla è una ragazza assolutamente normale: normali capelli castani, normali occhi marroni, normale famiglia, vita normale... ma con una grande e talentuosa passione per le fan fiction, che le farà realizzare il suo più grande sogno per mezzo di un fortuito concorso: incontrare i Tokio Hotel! Ovviamente, al "fatidico giorno", nonostante l'emozione, Bill con lei si dimostrerà smagliante, Georg sempre in vena di battute, Gustav gentile come al solito, e Tom... be', Tom forse non sarà come Milla se l'era immaginato... Perchè in fondo, niente è mai ciò che sembra...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*20*

 

Ecco, lo sapevo. Ero spacciata.

La mia giovane, sofferta vita era già giunta alla sua conclusione? Era così che finiva tutto? In questo modo che la mia esistenza veniva cancellata?, mi domandavo.

Sarei riuscita ad accettarlo?

Una rabbia non mia mi si accese nel petto, un'ira mai provata che mi infiammò le vene, appiccando scintille di adrenalina in tutto il mio corpo. Abbandonai ogni timore e mi rannicchiai in posizione di attacco di fronte al mio aggressore ignoto, pronta a soccombere combattendo. O almeno a provarci.

-Fatti sotto se ne hai il coraggio!- strillai con l'isterismo che traboccava da ogni sillaba. Una manciata di secondi più tardi mi pentii di aver pronunciato un tale cliché, che nella mia bocca di scrittrice in erba suonava ancor di più come un'infantile battuta di un cartone animato.

Prima che il mio orgoglio di artista mi spingesse ad apostrofare in modo più consono lo sconosciuto maniaco (incredibile come anche in un caso del genere tenessi di più alla grammatica che a tutto il resto...), il maniaco sconosciuto parlò.

- Ma che stai dicendo? -, esclamò con aria di rimprovero e una voce familiare.

Sbattei le palpebre, stupita. Che?

- E che hai fatto alla gamba? Sei inciampata come tuo solito, immagino. Aah, ma che dovrò mai fare con te?! Dai, ti aiuto ad alzarti -, continuò l'ombra porgendomi la mano. Una mano dalla pelle resa ruvida e callosa da anni di lavoro manuale e prove incessanti alla batteria. Una mano che più volte avevo stretto con la mia e dalla quale ancora di più mi ero fatta carezzare e abbracciare. Probabilmente, la mano che da tre anni a questa parte mi era mancata più di tutte.

- Sei tu... -, mormorai, senza fiato, una volta in piedi. Come se il pensiero provenisse da qualcuno accanto a me e non dal mio cervello sovraccarico mi resi conto distrattamente di aver assunto un'espressione piuttosto stupida, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, ma non riuscii a far altro che deglutire e rimanere a fissare il suo viso, segnato dal tempo, meno giovane, meno bambino, più bello.

Senza lasciare la mia mano, mi guidò sotto la luce diretta della lampada in cucina, permettendomi, finalmente, di imprimermi nella mente ogni particolare dei suoi lineamenti.

Ridacchiando, mi posò un dito sotto il mento e mi chiuse la bocca.

-Sì, sono io -, sussurrò dolcemente. E anche lui si mise a contemplarmi, scivolando su e giù lungo la mia altezza (se così, sigh, potessi dire), sfiorandomi il viso e scrutandomi intensamente negli occhi, sempre senza abbandonare quell'accenno di sorriso.

Mi accigliai. I suoi erano sempre stati così grandi e chiari? E il naso, non era più lungo? Da quando aveva i denti così bianchi e dritti?

Arretrai un po' per osservarlo nel complesso. Sì, indubbiamente, era lui, ma più... ecco, non credo esista un aggettivo per definirlo.

Risposi al suo sorriso e senza pensarci gli gettai le braccia al collo, che, essendo molto più in alto dei miei standard, riuscii solo a circondare con le mani.

Lui se ne accorse e, ridendo, mi sollevò per le gambe permettendomi di allineare gli occhi con i suoi. Ridacchiammo insieme, soprano e tenore, e io gli posai un tenero bacino sulla guancia.

-Mi sei mancato -, sussurrai contro il suo zigomo pungente. Aveva un buon odore di dopobarba. Il pensiero che si radesse abitualmente mi sconvolse un po': in fondo, nei miei ricordi lui era ancora un sedicenne dalla pelle di pesca.

Superai il pensiero senza troppe difficoltà.

- Anche tu, Milla. Però, senti... -, esordì lui con aria grave.

- Che succede? -, chiesi allarmata. Oddio. Non poteva trattenersi. Doveva andarsene. Stava male. Era nei guai. Stava fuggendo dalla legge e io dovevo nasconderlo. Si era sposato e aveva figli. E chi più ne ha più ne metta.

Col fiato sospeso lo vidi mordersi il labbro inferiore, preda di chissà quale sofferenza interiore. Infine, il suo sguardo color miele tornò a tuffarsi nel mio.

-Posso metterti giù? -, disse. - Mi sta venendo un'ernia-.

Ci guardammo ad occhi sbarrati, lui un po' affaticato, e pochi secondi dopo, anche se mi persi qualche passaggio dell'intera sequenza, eravamo entrambi a terra, piegati in due dalle risate.

Strisciando, sempre senza riuscire a respirare, mi trascinai verso di lui e mi accasciai sul suo petto, sconquassato dai singulti. Lui mi abbracciò e appoggiò la testa sui miei capelli e me li baciò.

Era troppo bello per essere vero. 

- Ma che ci fai qui? Credevo di rivederti fra qualche settimana! -

- Lo so, ma come potevo rimanere lontano ancora dalla mia adorata sorellina? -, sghignazzo spettinandomi a piene mani.

- E smettila, non mi incanti! – mi scansai ridendo. – Lo so che c’è qualcosa sotto. –

Il mio fratellone mi fissò per un po’ da sotto le sue lunghe ciglia.

- E va bene, piccolo detective, ti racconto tutto. Adesso però alziamoci, così posso preparare un thè. Tu vai pure a sederti –.

Mi sospinse giocosamente al mio posto a tavola e cominciò a trafficare con bollitori e bustine. – Lo zucchero è sempre al solito posto, giusto? –

- No, mamma l’ha messo nella credenza a destra, ultimo scaffale – indicai sbracciandomi e rischiando di scivolare giù dalla sedia. – Ops! -

- Ma tu che diavolo ti sei fatta alla gamba, veramente? – si accigliò lui lanciandomi un’occhiata da dietro la spalla.

- È una storia complicata – sospirai.

L’idea di rivangare quei ricordi ancora dolorosamente freschi non mi allettava, ma mio fratello aveva il diritto di sapere. E poi, lui era più grande e maturo e avrebbe sicuramente avuto qualche buon consiglio da darmi, anche a proposito di Axel.

- Quanto ti fermerai? – chiesi non appena mi ebbe appoggiato davanti due tazze fumanti di ottimo thè alla menta.

- Qualche giorno, non ho ancora definito nulla. Ho delle cose da portare a termine col lavoro, ma una piccola vacanza non farà saltare all’aria la fabbrica – rise.

- Allora è meglio se ti metti comodo  perché abbiamo davanti a noi giorni di racconti interminabili – ghignai.

 

*

 

- Ma sono liane quelle che hai in testa? -.

Sospirai e mi immersi nel cappuccio della mia felpa, nascondendo qualche dread fuggitivo. Era la quinta volta nel giro di dieci minuti che sentiva quella domanda.

- Non disturbare il signore, tesoro -, sospirò mollemente la donna seduta davanti a me, poi voltò una pagina del quotidiano e vi scomparve dietro.

- Ma ha delle piante che gli spuntano dalla testa! – proseguì imperterrito il molestatore.

Ne avevo affrontati parecchi di personaggi irritanti durante la mia carriera: reporter, stalker, intervistatori idioti, groupies assatanate… ma un bimbo di cinque anni col moccio al naso con la capacità di non sbattere le palpebre per interi minuti mentre ti fissava, be’, questa era una novità.

- Ehm, bimbo… - mormorai lanciando occhiate preoccupate da dietro gli occhiali scuri. – Perché non… perché non stai con la tua mamma e giochi con lei?

Il piccolo mostro mise in mostra la dentatura irregolare, fissandomi malignamente. – Ma tu sei mooolto più divertente! Allora, sono davvero liane? Come sono spuntate? Hai mangiato i semini delle angurie? Oppure hai bevuto una formula segreta? Da quanto sono lì? Posso toccarle? Fanno male quando crescono? Ti sono mai spuntatii dei frutti? E perché non le tagli? Posso…

“Attenzione” risuonò la voce dell’altoparlante. Emisi un gemito sollevato e alzai gli occhi al finestrino per orientarmi. “Avvisiamo i gentili passeggeri che saremo al capolinea fra cinque minuti. Ripeto…”

- Grazie al cielo – sospirai iniziando a raccogliere le mie cose. Quel maledetto viaggio al mio inferno personale stava per concludersi e mi sarei lasciato alle spalle quella piccola peste che… che… Ma dov’era finita?

Non feci in tempo a guardarmi intorno che un dolore acuto alla tempia mi punse ripetutamente.

- Ahi! – squittii con le lacrime agli occhi.

- Ehi, ma non sono liane vere! – strillò la vocetta acuta del bambino dritto nel mio orecchio. Imperterrito, continuava a tirarmi un dread, come se avesse mai potuto staccarsi!

- E molla! – esclamai tirando più forte. Mi riappropriai dei miei capelli, ma il mostro rotolò giù dal sedile, finendo a gambe all’aria.

Ebbe un momento di smarrimento, poi la sua espressione si contrasse e…

Reagii con prontezza. Un secondo prima che iniziasse a piangere strillando come un’aquila, mi alzai in fretta, afferrai la valigia e corsi fuori dallo scomparto.

Non appena mi lasciai alle spalle tutte quelle grida, mi sentii già più sollevato.

“Come mi sono ridotto… dopo aver sopportato un viaggio del genere in classe economica, spero davvero che Milla sia in casa!” brontolai tra me e me, reggendomi mentre il treno rallentava.

Mi aggiustai gli occhiali sul viso e scesi velocemente, lasciandomi trasportare dal flusso di persone verso l’uscita della stazione.

Iniziavo ad avvertire una sensazione fastidiosa e adrenalinica all’altezza dello stomaco, molto simile a quella che provavo quei dieci minuti prima di salire sul palco.

Per calmarmi, pescai nelle infinite tasche dei jeans il biglietto su cui mi ero scritto l’indirizzo della ragazza.

Sì, non era nulla di che. Sarei arrivato, le avrei parlato, mi sarei reso conto di che brutta persona in realtà fosse, l’avrei mandata a quel paese e me ne sarei tornato a casa con un peso in meno, pronto a ripartire con la mia vecchia vita senza visioni né pensieri.

Attraversai il piazzale a passo baldanzoso, trascinandomi dietro il trolley, e nella luce debole dell’ultimo sole strizzai gli occhi alla ricerca di un taxi.

Uhm. Strano che non ce ne fosse nemmeno uno.

Aspettai per dei buoni minuti, guardandomi attorno, infine mi decisi a dirigermi alla biglietteria.

- Mi scusi – esordii in tono seccato. – Si può sapere perché non si trova nemmeno un taxi? Sono venti minuti che aspetto, e… -.

- Non ha letto i cartelli? – mi interruppe la donna dietro il vetro con aria visibilmente scocciata. – Ci sono avvisi ovunque, oggi è lo sciopero dei tassisti. Fino a domani può scordarsi di trovare un singolo taxi disponibile.

- Domani? Ma… ma a me serve adesso! – protestai, sconvolto.

- Crede di essere l’unico a subire il disagio? Dovevo incontrarmi col mio amante dopo il lavoro, ma senza un taxi è troppo lontano per poterlo raggiungere, quindi mi tocca rimanere a casa con mio marito a sopportare le sue tirate sul lavoro! Ha idea di cosa significa dopo un turno di dieci ore?! – sbottò lanciando fulmini dagli occhi.

Arretrai lentamente, deglutendo. – N-no… però, io… - ritentai. La donna scoprì i denti in una specie di ringhio. – N-nulla. Ehm, grazie dell’informazione e… e auguri col suo amante - .

Arretrai ancora finché non fui fuori dal suo campo visivo, poi corsi più lontano che potei.

Trovai una panchina e mi ci accasciai, sconvolto.

“Pazzi! Sono tutti pazzi qui!” pensai, tenendo un occhio alla strada, in caso qualcun altro avesse intenzione di aggredirmi con i suoi problemi da casalinga disperata.

- E adesso, come ci arrivo da Milla? – mormorai, sentendomi come un anatroccolo sperduto.

Studiai l’indirizzo. Non conoscevo la zona e con il buio che stava calando, rischiavo di perdermi dopo neanche due incroci.

Mi abbassai il cappuccio e mi sfregai la testa a palmi aperti, riflettendo.

- Ehi, tu sei quello del treno! – esclamò una vocetta irritante. Quella vocetta irritante.

Alzai gli occhi e vidi il bimbo che mi indicava, a manina con la madre.

- Serve aiuto? – domando poco convinta la donna.

I miei occhi incontrarono quelli del bambino. Il suo sorriso sporco di cioccolata aveva un che di inquietante.

Sospirai, passandomi una mano sul viso. Ero veramente caduto in basso per arrivare a quel punto.

Mi alzai in piedi e con le mani in tasca, mi schiarii la voce. Desideravo essere ovunque tranne che lì, anche stare a sentire la bigliettaia inveire contro il marito sembrava un buon passatempo. Invece il tempo a mia disposizione cominciava a scarseggiare e quella sembrava l’unica soluzione plausibile. Almeno un tentativo dovevo farlo.

- Ecco, per la verità… sì. Non è che potreste darmi un passaggio? – bofonchiai pentendomene dopo mezzo secondo.

Il bambino scoppiò a ridere fragorosamente.

- Ma certo, non c’è problema! Dove devi andare? – sorrise la madre, adesso così gentile nel suo ruolo di ‘persona per bene che aiuta il prossimo’.

Le diedi l’indirizzo, imbarazzato.

- Oh, non è troppo lontano da casa nostra! Sali pure in macchina, io arrivo subito – disse con cortesia allontanandosi a prendere le sue valigie.

La osservai incamminarsi e non appena fu abbastanza lontana sentii qualcosa tirarmi i jeans all’altezza del ginocchio.

Abbassai lo sguardo e mi trovai a fronteggiare l’espressione furbetta della piccola peste.

- Noi due ci divertiremo un sacco insieme – ghignò beffardo ricominciando a punzecchiarmi la gamba.

Alzai gli occhi al cielo, gemendo.

“Sono un completo imbecille.”

 







** Surpriiiiiiiise!
   
 
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