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Autore: Rinalamisteriosa    01/03/2014    1 recensioni
[La famiglia italiana]
- Minilong AU | Presenza di Fem!Nord Italia | Accennini SeboMona -
“Davvero? Possiamo sapere come mai?” domandò perplessa Flavia, guardandola confusa.
Romano invece sgranò gli occhi, certo di aver capito male. Niente lavoro per lui… Possibile?
Assunta annuì. “Avrete tutta la mattina per prepararvi: alle undici in punto dovrete essere all'aeroporto di Roma Ciampino. Mentre dormivate, ha telefonato Giulio e ha chiesto espressamente che andiate ad accogliere vostro cugino Diego. È tutto chiaro?” s’interruppe, per accertarsi che la notizia fosse stata recepita a dovere dai figli.
Assistette a due reazioni completamente opposte.

(...)
“Non potrei desiderare di meglio. In famiglia siamo delle brave persone e ci vogliamo tanto bene!”.
“Tu la metti sempre su un piano troppo sdolcinato per i miei gusti”

**Dedicata a SunliteGirl**
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nord Italia/Feliciano Vargas, Principato di Seborga, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Capitolo V

 

 

 

 

 

Sedici anni prima.

 

Stessa città di sempre e lui, che aveva meno anni a pesargli sulle spalle e tanta voglia di mangiarsi il mondo intero.

Quel giorno non si sarebbe mai fermato al Cimitero Monumentale del Verano se non fosse successo nulla.

Non ci sarebbe mai entrato se non si fosse celebrata, due ore prima, una messa funebre.

Sarebbe già in viaggio… Invece era stato costretto a rimandare di qualche giorno la partenza, lo doveva alla famiglia, non potendo più rimediare al tempo perduto.

Suo fratello Michele era venuto improvvisamente a mancare a causa di un infarto, lasciando a tutti i suoi cari un vuoto incolmabile, un senso di sconfortante abbandono e un’intima sofferenza.

Anche dentro di lui. Anche se non avevano mai avuto un rapporto fraterno solido, anche se erano incompatibili, anche se non si parlavano da anni.

Sospirò amareggiato.

Era dura sorridere alla vita, quando dettava condizioni così ingiuste.

Sì, ingiuste, perché soltanto adesso che l’aveva perso, si rendeva veramente conto del fatto che a modo suo Michele gli aveva sempre voluto bene.

Doveva accorgersene prima, passando sopra ai rimproveri e alle discussioni per ogni singola cosa.

Giulio spostò uno sguardo apatico tutto intorno: c’era il bianco delle statue ben proporzionate e il grigio dei marmi levigati che abbellivano le tombe statiche e i monumenti alla memoria; c’erano persino i vasi con semplici fiori e crisantemi, o le aiuole piene di erbacce dal verde spento a rendere tutto più reale e triste di quanto avesse elaborato fino a quel momento.

Svoltato l’angolo, era tornato nella vecchia cappella di famiglia, al centro della quale una figura vestita interamente di nero stava china a pregare – o forse stava solo conversando per l’ultima volta con il marito, prima di accettare di essere rimasta vedova.

La stimava. Davvero.

A differenza del fratello maggiore, la sua compagna di vita era sempre stata una buona amica, tollerante e indulgente di fronte ai capricci e alla vitalità di Giulio.

Con Assunta si poteva chiacchierare di tutto, da quando loro due si erano fidanzati era come la sorella che non aveva avuto.

Lo ascoltava e lo comprendeva.

E a quei tempi, lo giustificava di fronte a Michele dicendo che era normale essere così irrequieti alla sua età.

Giulio la rispettava talmente tanto che non avrebbe mai pensato a lei come a una donna da sedurre e da conquistare.

Quando la vide alzare il capo coperto dal velo del lutto e riaprire gli occhi lucidi, pensò che avesse finito.

“Gli altri se ne sono andati. Quando vuoi, ti accompagno a casa”, si espresse in un sussurro condiscendente.

Il silenzio che seguì quelle parole, eloquente e pesante come se una cappa di malinconia non ancora sfumata gravasse dal soffitto granitico in alto fino alle mattonelle usurate in basso, non durò a lungo.

Giusto il tempo che la giovane cognata impiegò a issarsi lentamente in piedi e a voltarsi in modo da porsi faccia a faccia, e non solo di profilo.

“Dovresti pregare, ora. Gli farebbe piacere…” mormorò seria.

“È inutile…” negò con malcelata rassegnazione.

“Giulio, lui non ce l’aveva con te. Ti amava, eri il suo unico fratello…” si spiegò, addolcendo la sua espressione.

“Non lo odio, ma con una semplice preghiera non lo riporterò certo indietro. La cerimonia in Chiesa è stata più che sufficiente. Ha scelto proprio un bel momento per morire, lasciandoti sola con…” qui gli tremò la voce ed esitò un attimo, “con due figli piccoli”.

“Già… I nostri bambini. Mi faranno loro da pilastri, da adesso in avanti. Saranno la mia ragione di vita”.

Assunta si volse nuovamente a guardare il punto in cui era stata rinchiusa e murata la salma dell’amato Michele, in attesa del marmo che avrebbe contenuto nome, date e un piccolo ritratto in cornice.

Giulio le si accostò. “Sarà contento di sapere che non speri di raggiungerlo tanto presto. Lasciamolo riposare in pace e continuiamo il discorso fuori”, tentò di sdrammatizzare senza risentimento, dimostrando che sarebbero andati avanti comunque, che il brutto momento sarebbe passato e che solo il tempo avrebbe lenito la sofferenza interiore di quella donna forte solo in apparenza.

Finora il suo modo di reagire composto e raccolto in preghiera era stato ammirevole, ma sapeva che aveva passato anche una fase di disperazione molto intensa, dato che il giorno precedente l’aveva trovata con gli occhi tutti arrossati per il pianto e la voce rotta.

Romano e Flavia non erano presenti, per fortuna. Una vicina di casa si era offerta gentilmente di occuparsi di loro per tutto il tempo necessario.

La vide fare il segno della croce, la imitò e chinando la testa uscirono dalla silenziosa cappella.

“Immagino che avrai già deciso come comportarti con loro, quando chiederanno perché mio fratello…” si bloccò, sicuro che aveva capito a cosa alludesse.

Assunta si aggrappò al suo braccio prima di rispondere.

“Sì. Tra qualche anno dirò loro la verità, per il momento solo Romano potrebbe farmi questa domanda e io inventerò che suo padre è andato a lavorare molto lontano da noi… Del resto, tu tra qualche giorno lascerai l’Italia”.

“Mi rincresce moltissimo, però ne ho bisogno. Devo assentarmi. E inoltre vorrei arrivare in tempo all’apertura di un convegno internazionale che si terrà in Germania tra cinque giorni: ho sentito che sarà interessante!” si scusò sinceramente.

“Porterai anche Claudia con te?”.

“No. Non si è sentita bene ultimamente. Mi aspetterà in Liguria, dai suoi parenti”, rispose con il broncio, poiché Assunta la considerava già parte della famiglia pur sapendo che i diretti interessati non avevano ancora nemmeno accennato al loro matrimonio.

Claudia era semplicemente la sua attuale “compagna”. Non sapeva nemmeno se sarebbe durata, la loro storia.

Non erano mica come lei e Michele, che erano stati fidanzati per sei anni prima di compiere il grande passo.

“Vedrai che non sarà nulla di grave…” lo rassicurò la donna interrompendone i pensieri.

Continuarono a parlare in tono basso, per timore di mancare di rispetto ai morti e alle croci, e a procedere sul percorso verso l’ingresso principale rimanendo vicini per consolarsi a vicenda.

 

 

*

 

 

Il giovane tassista che gli aveva accordato un piccolo favore aveva proprio ragione: stava andando tutto secondo i suoi piani.

Gli mancava un tassello, uno soltanto, prima di completare il puzzle che l’avrebbe elevato moralmente a zio dell’anno.

Dipendeva tutto da lei, dalla sua graziosa assistente.

 

Tante volte aveva immaginato Michele, ancora vivo ed emotivo come soltanto lui sapeva essere, che lo rimproverava aspramente per i vizi e per gli eccessi che con la scusa del lavoro si concedeva.

Per il suo vivere alla giornata, Carpe diem che l’aveva spinto lontano dalla famiglia, a viaggiare, scoprire, esplorare il vasto mondo.

A farsi affascinare dallo studio, dall’arte e dalla cultura di antiche civiltà e nel contempo a ubriacarsi di vino e a intrattenere le donne, incapaci di resistere a cotanto fascino.

E Caroline Grimaldi, donnina elegante e affidabile, sembrava esserne immune.

Se ne stava comodamente seduta al tavolino del bar in cui si era cambiato per ricoprire il secondo e ultimo ruolo della giornata, un abbigliamento assolutamente antico e originale che avrebbe stupito i suoi adorati nipotini, degnandolo di una rapida occhiata annoiata prima di tornare a concentrarsi sui fogli sparpagliati sulla sua superficie.

Teneva in una mano un bicchiere di granita alla menta semivuoto, mentre con il dito di quella libera scorreva i suoi appunti.

“Caroline, devo ancora aspettare molto per ottenere un parere positivo? Non sono forse perfetto in queste vesti storiche?” domandò, pavoneggiandosi impaziente di uscire e di recitare la sua parte.

“Lo siete, signor Giulio”, commentò. “Non riesco a comprendere il senso di questa frase. Potete avvicinarvi?” gli chiese cortesemente.

Nel mentre, lei ne approfittò per lisciarsi la gonna del tailleur rosa e per controllare che i suoi lunghi capelli biondo scuro intrecciati lateralmente fossero in ordine, sorridendo lieve.

Dietro le lenti trasparenti degli occhiali, un paio di occhi blu scrutavano con velata curiosità le azioni dell’uomo.

“Questa? De gustibus non est disputandum*?” lesse il signor Vargas, perplesso. Non era una frase complicata, perciò s’insospettì un po’.

“Ehm…” si schiarì la voce, “Caroline, non intendi aggiungere altro, vero?”.

“No. Ero sicura che avreste capito”, apprezzò fintanto che rimetteva in ordine tutti i fogli scritti in latino e li riponeva nella valigetta dell’archeologo.

Il signor Vargas rise tranquillo, segno che non se l’era presa e che potevano andare.

Lasciò i soldi della granita sul bancone, ringraziò per avergli permesso di usare la stanza sul retro del locale e uscì dopo la sua assistente.

“Dobbiamo separarci. Hai capito quello che devi fare?” le chiese, accarezzandosi la barbetta ispida sul mento, prima di lasciarla da sola nel suo compito giornaliero.

Caroline sospirò e annuì. “Oui. Percorro questa via finché non incontro il calesse che avete noleggiato per loro. Mi faccio condurre fino al fiume Tevere e li attendo a Ponte Cavour. Ho dimenticato qualcosa, signore?”.

“No. Sei bravissima come al solito”, la lusingò fiero.

Merci…” ringraziò in francese. “Oh, ma è sicuro che li incontrerò proprio in quel luogo? Non potrebbero scegliere un’altra strada per la loro ricerca?” dubitò.

“Come è vero che il mio nome completo è Giulio Cesare Vargas. Quando ho visto mio figlio, gli ho consigliato di farsi portare al fiume e sono certo che se ne ricorderà. Era tutto pianificato, quindi rilassati e goditi il tragitto, mia cara”, le consigliò facendo l’occhiolino.

Avrebbe voluto domandare un’altra cosa, ma lui, che era chiaramente su di giri per chissà quale motivazione nota esclusivamente alla sua persona, si era già avviato nella direzione opposta, alzando la mano in segno di saluto.

Caroline non se ne stupì più di tanto, in fondo gli faceva da assistente da circa due anni e aveva imparato a convivere con la sua vistosa eccentricità.

Si erano conosciuti al celebre Casinò di Montecarlo, nel Principato di Monaco, dove lei era nata e cresciuta.

Glielo aveva presentato sua madre, che era un’attrice di teatro e che spesso veniva invitata in quegli ambienti lussuosi e bellissimi.

Caroline stava puntando le sue fiches alla roulette quando l’aveva presa da parte e aveva incontrato, con logico disappunto per essere stata allontanata dai giochi, l’archeologo romano.

Un incontro forzato in un primo momento, successivamente aveva scoperto che entrambi avevano in comune la passione per il gioco d’azzardo.

Così, tra una partita e l’altra, le aveva proposto più volte di essere la sua assistente fidata.

E le tornò alla mente la frase che l’aveva infine convinta ad accettare il lavoro: “non cerco qualcuna che cada ai miei piedi, di quelle se ne trovano tantissime. A me serve una ragazza di sani principi, educata e professionale”.

Ed erano in sintonia proprio perché avevano messo in chiaro dall’inizio che non si sarebbero mai messi insieme.

“Potrebbe essere mio padre. C’è troppa differenza d’età”, aveva replicato una volta in tutta onestà, di fronte alla domanda inopportuna e indiscreta della proprietaria di un albergo durante un soggiorno in Francia.

Caroline scosse la testa alzando gli occhi al cielo, anche perché a ripensarci era una cosa stupida. Prenotavano sempre camere separate e quella volta c’era un’altra donna in compagnia del signor Vargas.

Camminò a passo sostenuto senza farsi prendere da altri ricordi e con la speranza che filasse realmente tutto liscio come prospettato.

 

 

*

 

 

Al ristorante, i piatti usati erano appena stati portati via.

Flavia si toccava lo stomaco da due minuti buoni, contentissima di aver mangiato la pasta che aveva ordinato personalmente.

Anche Diego aveva fatto il suo stesso ordine, perciò gli chiese se era stata di suo gradimento.

“Oh, sì. Un piatto di pesce davvero buono. Avrei preferito la pasta al pesto, lo sai, ma anche questa mi ha saziato”, rispose con celerità, per poi accorgersi dello sguardo dubbioso di Romano.

“Cosa c’è, cugino? Non sei soddisfatto?” s’interessò.

“Come? Non erano buone le penne all’arrabbiata?” intervenne la ragazza, pronta a consolare il fratello.

“Non è per ciò che ho mangiato. Non saltate subito a conclusioni affrettate, per carità!” si giustificò lui. Guardò in basso, per assicurarsi di aver rimesso bene il tovagliolo sopra le sue gambe, perché se il pantalone si macchiava allora sì che si sarebbe arrabbiato, chiaro com’era quel tessuto.

“Posso farti una domanda?” si rivolse subito a Diego, mettendosi comodo sullo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto. Forse lui poteva togliergli un piccolo dubbio…

Quando annuì sereno, riprese: “Tu devi aver parlato con quel folle di tuo padre; all’aeroporto ci hai detto che si era portato dietro anche la tua valigia e che-”.

“Esatto, è così”.

“Va bene, ma non interrompermi, accidenti!” sbottò, perdendo quella parvenza di serietà e concentrazione che aveva assunto, al posto del suo solito nervosismo. “Dicevo…”.

“Con calma fratellone”, lo incoraggiò Flavia, versandosi un bicchiere d’acqua naturale contenuta nella brocca di vetro.

“Sì, Fla’, dicevo… Si era portato dietro la tua valigia ed è arrivato a Roma prima di te. Due giorni prima di te… Ma deve averti accennato qualcosa, no? Ripensaci perché questo potrebbe aiutare molto!” gli consigliò serio, per poi rilassarsi mentre aspettava una risposta, che poteva rivelarsi utile o meno a seconda di quello che avrebbe ricordato il signorino.

Toccò a Diego concentrarsi, spostando lo sguardo talvolta sulla cugina, intenta a bere tranquillamente dal proprio bicchiere, talvolta su Romano che guardava sotto il tavolo.

“Il fiume…” mormorò pensoso, attirando di nuovo la loro attenzione su di sé. Sorrise. “Sì, il fiume di Roma. Mi aveva consigliato di vederlo. Mi pare che abbia nominato anche un ponte, ma il suo nome mi sfugge…”.

Era tutto ciò che ricordava. “Pensate che sia sufficiente?” volle sapere, visto il loro silenzio perplesso.

Finché Flavia non saltò quasi dalla sedia per la gioia che provava.

“Scherzi? Non potevi darci indizio migliore, sei stato bravo!” si complimentò lei, sporgendosi per stringergli la mano con le proprie. Il suo sorriso radioso lo fece arrossire leggermente.

“Fratellone, hai capito anche tu, non è vero? Il ponte è-”.

“Smettila di urlare così, sembri una bambina!” la rimproverò Romano bloccandola. “E comunque sì, stiamo pensando alla stessa cosa. Consumate i vostri secondi, paghiamo e ce ne andiamo…” disse, ansioso di scoprire se lo zio fosse davvero andato in quella direzione precisa.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

***

*Sui gusti non si discute

 

Note: Sorvoliamo sul ritardo, please. Questo mese ho avuto così tanti pensieri che preferisco evitare di parlarne ^^’

Il quinto capitolo è finalmente online, e come avevo anticipato parla di un altro personaggio principale.

È stato veramente difficile scriverlo, soprattutto la prima parte nel passato, poiché non mi piace trattare di morti e funerali, ma quella scena era necessaria per capire come mai Giulio si sia mosso in quella precisa direzione senza voltarsi indietro.

Le sue vere intenzioni con i nipotini non sono ancora state chiarite, lo so, ma come ha detto Assunta tiene a loro e non vorrà che si ripeti la stessa storia di lui e di suo fratello… Dovete immaginare quest’uomo come il suo opposto, provvisto di occhiali, ma del tipo incompatibile e non complementare, perciò sono finiti così ç_ç eh, a volte succede, e questa storia è incentrata sui vari aspetti di una famiglia, quindi penso che vada bene…

Non svelo altro, per il momento.

 

Il Cimitero Monumentale del Verano esiste davvero, ho letto che è il più antico cimitero di Roma e vi sono seppelliti persone famose e una volta, prima del 1980, anche gente comune… se sbaglio correggetemi, non è che sono esperta xD

 

Ah, è comparsa Monaco. Non mi appartiene, lei è un personaggio minore (che non aveva nome, perciò l’ho chiamata Caroline Grimaldi) e penso che sia perfetta in coppia con Seborga, infatti ho già abbozzato le scene successive e potrebbe nascere qualcosa in futuro (della serie: se non può esserci una storia con il padre, vada per il figlio xD).

Capirete che per mantenermi sul rating verde non ho potuto esagerare, quindi spero che Antica Roma non sia troppo OOC ^^’

 

Del ponte che ho scelto parlerò la prossima volta. L’aggiornamento è diventato mensile, quindi non aspettatelo tanto presto, vorrei scrivere gli ultimi capitoli con calma e soprattutto per bene, che mi soddisfino =)

 

Ringrazio la cara SunliteGirl, che aspettava con ansia, e quanti hanno letto fin qui ^^

 

A presto spero!

 

Baci,

Rina

  
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