Capitolo
V
Sedici
anni prima.
Stessa
città di sempre e lui, che aveva meno anni a pesargli sulle spalle e tanta
voglia di mangiarsi il mondo intero.
Quel
giorno non si sarebbe mai fermato al Cimitero Monumentale del Verano se non
fosse successo nulla.
Non
ci sarebbe mai entrato se non si fosse celebrata, due ore prima, una messa
funebre.
Sarebbe
già in viaggio… Invece era stato costretto a rimandare di qualche giorno la
partenza, lo doveva alla famiglia, non potendo più rimediare al tempo
perduto.
Suo
fratello Michele era venuto improvvisamente a mancare a causa di un infarto,
lasciando a tutti i suoi cari un vuoto incolmabile, un senso di sconfortante
abbandono e un’intima sofferenza.
Anche
dentro di lui. Anche se non avevano mai avuto un rapporto fraterno solido, anche
se erano incompatibili, anche se non si parlavano da
anni.
Sospirò
amareggiato.
Era
dura sorridere alla vita, quando dettava condizioni così
ingiuste.
Sì,
ingiuste, perché soltanto adesso che l’aveva perso, si rendeva veramente conto
del fatto che a modo suo Michele gli aveva sempre voluto
bene.
Doveva
accorgersene prima, passando sopra ai rimproveri e alle discussioni per ogni
singola cosa.
Giulio
spostò uno sguardo apatico tutto intorno: c’era il bianco delle statue ben
proporzionate e il grigio dei marmi levigati che abbellivano le tombe statiche e
i monumenti alla memoria; c’erano persino i vasi con semplici fiori e
crisantemi, o le aiuole piene di erbacce dal verde spento a rendere tutto più
reale e triste di quanto avesse elaborato fino a quel
momento.
Svoltato
l’angolo, era tornato nella vecchia cappella di famiglia, al centro della quale
una figura vestita interamente di nero stava china a pregare – o forse stava
solo conversando per l’ultima volta con il marito, prima di accettare di essere
rimasta vedova.
La
stimava. Davvero.
A
differenza del fratello maggiore, la sua compagna di vita era sempre stata una
buona amica, tollerante e indulgente di fronte ai capricci e alla vitalità di
Giulio.
Con
Assunta si poteva chiacchierare di tutto, da quando loro due si erano fidanzati
era come la sorella che non aveva avuto.
Lo
ascoltava e lo comprendeva.
E
a quei tempi, lo giustificava di fronte a Michele dicendo che era normale essere
così irrequieti alla sua età.
Giulio
la rispettava talmente tanto che non avrebbe mai pensato a lei come a una donna
da sedurre e da conquistare.
Quando
la vide alzare il capo coperto dal velo del lutto e riaprire gli occhi lucidi,
pensò che avesse finito.
“Gli
altri se ne sono andati. Quando vuoi, ti accompagno a casa”, si espresse in un
sussurro condiscendente.
Il
silenzio che seguì quelle parole, eloquente e pesante come se una cappa di
malinconia non ancora sfumata gravasse dal soffitto granitico in alto fino alle
mattonelle usurate in basso, non durò a lungo.
Giusto
il tempo che la giovane cognata impiegò a issarsi lentamente in piedi e a
voltarsi in modo da porsi faccia a faccia, e non solo di
profilo.
“Dovresti
pregare, ora. Gli farebbe piacere…” mormorò seria.
“È
inutile…” negò con malcelata rassegnazione.
“Giulio,
lui non ce l’aveva con te. Ti amava, eri il suo unico fratello…” si spiegò,
addolcendo la sua espressione.
“Non
lo odio, ma con una semplice preghiera non lo riporterò certo indietro. La
cerimonia in Chiesa è stata più che sufficiente. Ha scelto proprio un bel
momento per morire, lasciandoti sola con…” qui gli tremò la voce ed esitò un
attimo, “con due figli piccoli”.
“Già…
I nostri bambini. Mi faranno loro da pilastri, da adesso in avanti. Saranno la
mia ragione di vita”.
Assunta
si volse nuovamente a guardare il punto in cui era stata rinchiusa e murata la
salma dell’amato Michele, in attesa del marmo che avrebbe contenuto nome, date e
un piccolo ritratto in cornice.
Giulio
le si accostò. “Sarà contento di sapere che non speri di raggiungerlo tanto
presto. Lasciamolo riposare in pace e continuiamo il discorso fuori”, tentò di
sdrammatizzare senza risentimento, dimostrando che sarebbero andati avanti
comunque, che il brutto momento sarebbe passato e che solo il tempo avrebbe
lenito la sofferenza interiore di quella donna forte solo in
apparenza.
Finora
il suo modo di reagire composto e raccolto in preghiera era stato ammirevole, ma
sapeva che aveva passato anche una fase di disperazione molto intensa, dato che
il giorno precedente l’aveva trovata con gli occhi tutti arrossati per il pianto
e la voce rotta.
Romano
e Flavia non erano presenti, per fortuna. Una vicina di casa si era offerta
gentilmente di occuparsi di loro per tutto il tempo
necessario.
La
vide fare il segno della croce, la imitò e chinando la testa uscirono dalla
silenziosa cappella.
“Immagino
che avrai già deciso come comportarti con loro, quando chiederanno perché mio
fratello…” si bloccò, sicuro che aveva capito a cosa
alludesse.
Assunta
si aggrappò al suo braccio prima di rispondere.
“Sì.
Tra qualche anno dirò loro la verità, per il momento solo Romano potrebbe farmi
questa domanda e io inventerò che suo padre è andato a lavorare molto lontano da
noi… Del resto, tu tra qualche giorno lascerai l’Italia”.
“Mi
rincresce moltissimo, però ne ho bisogno. Devo assentarmi. E inoltre vorrei
arrivare in tempo all’apertura di un convegno internazionale che si terrà in
Germania tra cinque giorni: ho sentito che sarà interessante!” si scusò
sinceramente.
“Porterai
anche Claudia con te?”.
“No.
Non si è sentita bene ultimamente. Mi aspetterà in Liguria, dai suoi parenti”,
rispose con il broncio, poiché Assunta la considerava già parte della famiglia
pur sapendo che i diretti interessati non avevano ancora nemmeno accennato al
loro matrimonio.
Claudia
era semplicemente la sua attuale “compagna”. Non sapeva nemmeno se sarebbe
durata, la loro storia.
Non
erano mica come lei e Michele, che erano stati fidanzati per sei anni prima di
compiere il grande passo.
“Vedrai
che non sarà nulla di grave…” lo rassicurò la donna interrompendone i
pensieri.
Continuarono
a parlare in tono basso, per timore di mancare di rispetto ai morti e alle
croci, e a procedere sul percorso verso l’ingresso principale rimanendo vicini
per consolarsi a vicenda.
*
Il
giovane tassista che gli aveva accordato un piccolo favore aveva proprio
ragione: stava andando tutto secondo i suoi piani.
Gli
mancava un tassello, uno soltanto, prima di completare il puzzle che l’avrebbe
elevato moralmente a zio dell’anno.
Dipendeva
tutto da lei, dalla sua graziosa assistente.
Tante
volte aveva immaginato Michele, ancora vivo ed emotivo come soltanto lui sapeva
essere, che lo rimproverava aspramente per i vizi e per gli eccessi che con la
scusa del lavoro si concedeva.
Per
il suo vivere alla giornata, Carpe
diem che l’aveva spinto lontano dalla famiglia, a viaggiare, scoprire,
esplorare il vasto mondo.
A
farsi affascinare dallo studio, dall’arte e dalla cultura di antiche civiltà e
nel contempo a ubriacarsi di vino e a intrattenere le donne, incapaci di
resistere a cotanto fascino.
E
Caroline Grimaldi, donnina elegante e affidabile, sembrava esserne
immune.
Se
ne stava comodamente seduta al tavolino del bar in cui si era cambiato per
ricoprire il secondo e ultimo ruolo della giornata, un abbigliamento
assolutamente antico e originale che avrebbe stupito i suoi adorati nipotini,
degnandolo di una rapida occhiata annoiata prima di tornare a concentrarsi sui
fogli sparpagliati sulla sua superficie.
Teneva
in una mano un bicchiere di granita alla menta semivuoto, mentre con il dito di
quella libera scorreva i suoi appunti.
“Caroline,
devo ancora aspettare molto per ottenere un parere positivo? Non sono forse
perfetto in queste vesti storiche?” domandò, pavoneggiandosi impaziente di
uscire e di recitare la sua parte.
“Lo
siete, signor Giulio”, commentò. “Non riesco a comprendere il senso di questa
frase. Potete avvicinarvi?” gli chiese cortesemente.
Nel
mentre, lei ne approfittò per lisciarsi la gonna del tailleur rosa e per
controllare che i suoi lunghi capelli biondo scuro intrecciati lateralmente
fossero in ordine, sorridendo lieve.
Dietro
le lenti trasparenti degli occhiali, un paio di occhi blu scrutavano con velata
curiosità le azioni dell’uomo.
“Questa?
De gustibus non est disputandum*?”
lesse il signor Vargas, perplesso. Non era una frase complicata, perciò
s’insospettì un po’.
“Ehm…”
si schiarì la voce, “Caroline, non intendi aggiungere altro,
vero?”.
“No.
Ero sicura che avreste capito”, apprezzò fintanto che rimetteva in ordine tutti
i fogli scritti in latino e li riponeva nella valigetta
dell’archeologo.
Il
signor Vargas rise tranquillo, segno che non se l’era presa e che potevano
andare.
Lasciò
i soldi della granita sul bancone, ringraziò per avergli permesso di usare la
stanza sul retro del locale e uscì dopo la sua assistente.
“Dobbiamo
separarci. Hai capito quello che devi fare?” le chiese, accarezzandosi la
barbetta ispida sul mento, prima di lasciarla da sola nel suo compito
giornaliero.
Caroline
sospirò e annuì. “Oui. Percorro
questa via finché non incontro il calesse che avete noleggiato per loro. Mi
faccio condurre fino al fiume Tevere e li attendo a Ponte Cavour. Ho dimenticato
qualcosa, signore?”.
“No.
Sei bravissima come al solito”, la lusingò fiero.
“Merci…” ringraziò in francese. “Oh, ma è
sicuro che li incontrerò proprio in quel luogo? Non potrebbero scegliere
un’altra strada per la loro ricerca?” dubitò.
“Come
è vero che il mio nome completo è Giulio Cesare Vargas. Quando ho visto mio
figlio, gli ho consigliato di farsi portare al fiume e sono certo che se ne
ricorderà. Era tutto pianificato, quindi rilassati e goditi il tragitto, mia
cara”, le consigliò facendo l’occhiolino.
Avrebbe
voluto domandare un’altra cosa, ma lui, che era chiaramente su di giri per
chissà quale motivazione nota esclusivamente alla sua persona, si era già
avviato nella direzione opposta, alzando la mano in segno di
saluto.
Caroline
non se ne stupì più di tanto, in fondo gli faceva da assistente da circa due
anni e aveva imparato a convivere con la sua vistosa
eccentricità.
Si
erano conosciuti al celebre Casinò di Montecarlo, nel Principato di Monaco, dove
lei era nata e cresciuta.
Glielo
aveva presentato sua madre, che era un’attrice di teatro e che spesso veniva
invitata in quegli ambienti lussuosi e bellissimi.
Caroline
stava puntando le sue fiches alla roulette quando l’aveva presa da parte e aveva
incontrato, con logico disappunto per essere stata allontanata dai giochi,
l’archeologo romano.
Un
incontro forzato in un primo momento, successivamente aveva scoperto che
entrambi avevano in comune la passione per il gioco
d’azzardo.
Così,
tra una partita e l’altra, le aveva proposto più volte di essere la sua
assistente fidata.
E
le tornò alla mente la frase che l’aveva infine convinta ad accettare il lavoro:
“non cerco qualcuna che cada ai miei
piedi, di quelle se ne trovano tantissime. A me serve una ragazza di sani
principi, educata e professionale”.
Ed erano in
sintonia proprio perché avevano messo in chiaro dall’inizio che non si sarebbero
mai messi insieme.
“Potrebbe essere
mio padre. C’è troppa differenza d’età”, aveva replicato
una volta in tutta onestà, di fronte alla domanda inopportuna e indiscreta della
proprietaria di un albergo durante un soggiorno in
Francia.
Caroline scosse
la testa alzando gli occhi al cielo, anche perché a ripensarci era una cosa
stupida. Prenotavano sempre camere separate e quella volta c’era un’altra donna
in compagnia del signor Vargas.
Camminò a passo
sostenuto senza farsi prendere da altri ricordi e con la speranza che filasse
realmente tutto liscio come prospettato.
*
Al
ristorante, i piatti usati erano appena stati portati via.
Flavia
si toccava lo stomaco da due minuti buoni, contentissima di aver mangiato la
pasta che aveva ordinato personalmente.
Anche
Diego aveva fatto il suo stesso ordine, perciò gli chiese se era stata di suo
gradimento.
“Oh,
sì. Un piatto di pesce davvero buono. Avrei preferito la pasta al pesto, lo sai,
ma anche questa mi ha saziato”, rispose con celerità, per poi accorgersi dello
sguardo dubbioso di Romano.
“Cosa
c’è, cugino? Non sei soddisfatto?” s’interessò.
“Come?
Non erano buone le penne all’arrabbiata?” intervenne la ragazza, pronta a
consolare il fratello.
“Non
è per ciò che ho mangiato. Non saltate subito a conclusioni affrettate, per
carità!” si giustificò lui. Guardò in basso, per assicurarsi di aver rimesso
bene il tovagliolo sopra le sue gambe, perché se il pantalone si macchiava
allora sì che si sarebbe arrabbiato, chiaro com’era quel
tessuto.
“Posso
farti una domanda?” si rivolse subito a Diego, mettendosi comodo sullo schienale
della sedia e incrociando le braccia al petto. Forse lui poteva togliergli un piccolo
dubbio…
Quando
annuì sereno, riprese: “Tu devi aver parlato con quel folle di tuo padre;
all’aeroporto ci hai detto che si era portato dietro anche la tua valigia e
che-”.
“Esatto,
è così”.
“Va bene, ma non
interrompermi, accidenti!” sbottò, perdendo quella parvenza di serietà e
concentrazione che aveva assunto, al posto del suo solito nervosismo.
“Dicevo…”.
“Con calma
fratellone”, lo incoraggiò Flavia, versandosi un bicchiere d’acqua naturale
contenuta nella brocca di vetro.
“Sì, Fla’,
dicevo… Si era portato dietro la tua valigia ed è arrivato a Roma prima di te.
Due giorni prima di te… Ma deve averti accennato qualcosa, no? Ripensaci perché
questo potrebbe aiutare molto!” gli consigliò serio, per poi rilassarsi mentre
aspettava una risposta, che poteva rivelarsi utile o meno a seconda di quello
che avrebbe ricordato il signorino.
Toccò a Diego
concentrarsi, spostando lo sguardo talvolta sulla cugina, intenta a bere
tranquillamente dal proprio bicchiere, talvolta su Romano che guardava sotto il
tavolo.
“Il fiume…”
mormorò pensoso, attirando di nuovo la loro attenzione su di sé. Sorrise. “Sì,
il fiume di Roma. Mi aveva consigliato di vederlo. Mi pare che abbia nominato
anche un ponte, ma il suo nome mi sfugge…”.
Era tutto ciò
che ricordava. “Pensate che sia sufficiente?” volle sapere, visto il loro
silenzio perplesso.
Finché Flavia
non saltò quasi dalla sedia per la gioia che provava.
“Scherzi? Non
potevi darci indizio migliore, sei stato bravo!” si complimentò lei, sporgendosi
per stringergli la mano con le proprie. Il suo sorriso radioso lo fece arrossire
leggermente.
“Fratellone, hai
capito anche tu, non è vero? Il ponte è-”.
“Smettila di
urlare così, sembri una bambina!” la rimproverò Romano bloccandola. “E comunque
sì, stiamo pensando alla stessa cosa. Consumate i vostri secondi, paghiamo e ce
ne andiamo…” disse, ansioso di scoprire se lo zio fosse davvero andato in quella
direzione precisa.
Continua…
***
*Sui gusti non si
discute
Note: Sorvoliamo sul
ritardo, please. Questo mese ho avuto così tanti pensieri che preferisco evitare
di parlarne ^^’
Il quinto
capitolo è finalmente online, e come avevo anticipato parla di un altro
personaggio principale.
È stato
veramente difficile scriverlo, soprattutto la prima parte nel passato, poiché
non mi piace trattare di morti e funerali, ma quella scena era necessaria per
capire come mai Giulio si sia mosso in quella precisa direzione senza voltarsi
indietro.
Le sue vere
intenzioni con i nipotini non sono ancora state chiarite, lo so, ma come ha
detto Assunta tiene a loro e non vorrà che si ripeti la stessa storia di lui e
di suo fratello… Dovete immaginare quest’uomo come il suo opposto, provvisto di
occhiali, ma del tipo incompatibile e non complementare, perciò sono finiti così
ç_ç eh, a volte succede, e questa storia è incentrata sui vari aspetti di una
famiglia, quindi penso che vada bene…
Non svelo altro,
per il momento.
Il
Cimitero
Monumentale del Verano esiste davvero, ho
letto che è il più antico cimitero di Roma e vi sono seppelliti persone famose e
una volta, prima del 1980, anche gente comune… se sbaglio correggetemi, non è
che sono esperta xD
Ah, è comparsa
Monaco. Non mi appartiene, lei è un personaggio minore (che non aveva nome,
perciò l’ho chiamata Caroline
Grimaldi) e penso che sia
perfetta in coppia con Seborga, infatti ho già abbozzato le scene successive e
potrebbe nascere qualcosa in futuro (della serie: se non può esserci una storia
con il padre, vada per il figlio xD).
Capirete che per
mantenermi sul rating verde non ho potuto esagerare, quindi spero che Antica
Roma non sia troppo OOC ^^’
Del ponte che ho
scelto parlerò la prossima volta. L’aggiornamento è diventato mensile, quindi
non aspettatelo tanto presto, vorrei scrivere gli ultimi capitoli con calma e
soprattutto per bene, che mi soddisfino =)
Ringrazio la
cara SunliteGirl, che aspettava con ansia, e quanti hanno letto fin qui
^^
A presto
spero!
Baci,
Rina