“Cade
la pioggia e
tutto tace
lo vedi sento anch’io la pace
Cade la pioggia e questa pace
è solo acqua sporca e brace
c’è aria fredda intorno a noi
abbracciami se vuoi
E dimmi che serve restare
lontano in silenzio a guardare
la nostra passione non muore
ma cambia colore
tu fammi sperare
La mia pelle
è carta
bianca per il tuo racconto
scrivi tu la fine
io sono pronto
non voglio stare sulla soglia della nostra vita
guardare che è finita
nuvole che passano e scaricano pioggia come sassi
e ad ogni passo noi dimentichiamo i nostri passi
la strada che noi abbiamo fatto insieme
gettando sulla pietra il nostro seme
a ucciderci a ogni notte dopo rabbia
gocce di pioggia calde sulla sabbia
amore, amore mio
questa passione passata come fame ad un leone
dopo che ha divorato la sua preda ha abbandonato le ossa agli avvoltoi
tu non ricordi ma eravamo noi
noi due abbracciati fermi nella pioggia
mentre tutti correvano al riparo
e il nostro amore è polvere da sparo
il tuono è solo un battito di cuore
e il lampo illumina senza rumore
e la mia pelle è carta bianca per il tuo racconto
ma scrivi tu la fine
io sono pronto”
Negramaro/Jovanotti, “Cade
la pioggia”
Rain
that doesn’t know the sky
Il giorno in cui piovve sul deserto, le risate risuonavano nel campo, e persino i feriti abbozzavano sorrisi tirati tra le bende e il torpore dei medicinali scadenti.
Il giorno in cui piovve sul deserto, vennero sparati in aria tutti i colpi rimasti, tutte le munizioni, ogni singolo proiettile, fino all’ultima granata.
Il giorno in cui piovve sul deserto la parola “fine” vagava ovunque, a fior di labbra, come una brezza nuova e fresca, intrecciandosi con “casa” e “ritorno” – dolci e tiepidi venti, carezze che sfioravano i visi, portate da luoghi lontani eppure finalmente così vicini, così raggiungibili.
Il giorno in cui piovve sul deserto, Maes abbassò il capo mentre puliva gli occhiali scheggiati. Glacier non si era ancora stancata di sorridere, materna, dalla foto che teneva in grembo.
Il giorno in cui piovve sul deserto Riza si rese conto di non aver mai visto così tanta acqua.
Ed era quasi bello esserne travolta, inondata così, mentre teneva stretto il suo capo contro il petto, le dita tra i suoi capelli neri, e ancora acqua nelle sue mani, acqua che inzuppava la sua divisa, acqua che scivolava sulla pelle lasciando tracce vive come crepe sulla polvere.
Il giorno in cui piovve sul deserto, ascoltò in silenzio ogni suo singhiozzo, lasciò che il sapore salato di quelle gocce le rimanesse sulle labbra ad ogni singolo bacio, si ripromise di non dimenticare la disperazione liberatoria con cui le braccia di lui la stringevano in quell’abbraccio, togliendole quasi il respiro.
Il giorno in cui piovve sul deserto, non c’era una nuvola nell’aria, e mentre guardava il sottile drappo di cielo ritagliato dai bordi sfilacciati della tenda sopra di loro, Riza scoprì di aver dimenticato l’esistenza di un azzurro così vivo, così vuoto, così assurdamente sereno.
Il giorno in cui piovve sul deserto nessuno se ne accorse. Tranne lei.
Altro
capitolo su cui
ho puntato molto.
Il titolo
l’ho preso
da un’altra raccolta Royai (che ovviamente non
ricordo… forse erano i 30
themes? Boh…), ma mi è piaciuto cos’
tanto che ho deciso di usarlo.
Testualmente, tradotto è “Pioggia che non conosce
il cielo”: come poteva essere
più adatto di così???
Mi sono
immaginata la
fine della guerra in tanti modi diversi, anche perché penso
proprio che ogni
soldato abbia vissuto questo momento diversamente. E così
anche i nostri tre.
Mi rendo
conto che
Riza sembra essere rimasta in secondo piano, ma avrà modo di
rifarsi (e
capirete più avanti il perché del
“purtroppo” che aggiungerei a questa frase).
La canzone
dei
Negramaro… vale lo stesso discorso del titolo: sembra sia
stata scritta apposta
per loro (e questo prescindere
del fatto
che adoro i Negramaro dal profondo dell’anima).
A domani
allora, un
bacione!