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Autore: ehinewyork    03/03/2014    1 recensioni
"Il mio piccolo mondo che avrei dovuto costruire, proprio come un grattacielo, pezzo dopo pezzo, e farlo restare in piedi. Ma la fiamma che era in me era ancora piccola, non era ancora abbastanza forte da poter bruciare e disintegrare tutto il male che c’era alle fondamenta della costruzione e che mirava al suo crollo. Dovevo ancora distruggerli quei demoni dagli occhi indifferenti e le mani afferranti; terribili demoni che mi annerivano l’anima."
Lei è Sophie e questa è la sua storia. Ha un sogno nel cassetto: la libertà. Rinchiusa in una gabbia cercherà la chiave per liberarsi. E' piccola, sola, ma forte, nulla potrà distruggerla, neanche il suo terribile passato che la perseguita. Cosa troverà a Londra, in quel piccolo spicchio di mondo al nord dell'Europa? Ripulirà ogni sua ferita, ogni suo livido. Ma non le basteranno soltanto due mani per curarsi.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Le prime volte sono sempre le più belle. Quando porti per la prima volta la bici senza l’aiuto di qualcuno, quando entri in un negozio e compri le tue prime caramelle gommose con i soldi che ti ha dato la mamma, quando cade il tuo primo dente da latte e lo poggi sotto il cuscino aspettando la fatina dei denti. Fare qualcosa per la prima volta è eccitante, fantastico, sbalorditivo, purché sia qualcosa di bello. Quando un pallone ti colpisce in pieno viso non è eccitante, perché il naso ti diventa rosso e ti fa male. Quando cadi a terra e ti sbucci il ginocchio non è bello, perché perdi sangue e devi pulire la ferita con quell’acqua ossigenata che brucia, e ti fa male.  Tutto per la prima volta può essere elettrizzante quanto doloroso.  La prima volta che mio padre mi aveva colpito era stato elettrizzante l’attimo precedente perché avevo risposto al suo rimprovero con una linguaccia, ma era stato doloroso quando mi aveva dato uno schiaffo in pieno viso. Perché, piccola com’ero,  quelle mani enormi avevano fatto diventare la mia pelle rossa e mi avevano fatto piangere. E scappando in camera ero inciampata in un peluche ed ero caduta con le ginocchia sul pavimento, ma mi avevano lasciata lì perché ero una bambina cattiva e poco rispettosa che non meritava di essere aiutata. La prima volta di quella sera londinese però, mi ripromisi di non provare nient’altro che divertimento: nessun dolore, di qualunque tipo esso fosse. Volevo liberarmi di tutto, godermi la mia prima vera festa. Una festa “da sballo”, come tutti i ragazzi usavano dire.

La musica nel Red Planet Pub era assordante più di quanto me l’aspettassi, tanto che si udiva dall’esterno. Eravamo all’entrata, dove giravano voci che quel locale era di un ragazzo della confraternita e lo avevano allestito come una vera discoteca. Avevo sentito dire da una ragazza che le feste come quella le facevano solo poche volte l’anno in quel pub, ma che erano pazzesche e ne valeva la pena aspettare quella fila  lunga chilometri. 
– Non puoi entrare senza biglietto, mocciosa. – 
Il buttafuori era un tipo grosso, indossava una maglia nera quasi trasparente e la sua pelle era scura, lo sguardo indifferente. Prese quella ragazza e la spostò di lato urlando: 
– Ora levati da qui – 
e dando poi spazio ad Ana che gli mostrò i biglietti. Sentii quella ragazza starnazzare mentre un altro di quegli uomini grossi le teneva le braccia 
– Mocciosa lo dirai a tua madre, stronzo! – 
e si era liberata da quella presa  spingendo via il buttafuori, si era guardata le unghie e si era aggiustata il top aderente, andando poi via. Mi augurai che lì dentro non ci fossero tutte ragazze come lei, stupide oche senza cervello con le tette in bella vista. Ma persi ogni speranza appena entrai: erano tutte così. Fu la prima cosa che vidi, un enorme spazio pieno di gente che ballava. Ce ne erano troppe di quelle oche, ne vidi tre avvinghiate ad un ragazzo, ballavano muovendo i fianchi a ritmo di musica e lo baciavano tutte in modo erotico; e il ragazzo aveva una faccia da orgasmo e le assecondava, ballando a sua volta. Pensai che era uno spettacolo davvero patetico. Non avrei mai fatto una cosa simile, neanche sotto tortura, sarebbe stato umiliante abbassarsi ai livelli di una puttana. Ci avviammo tutti e quattro ai divanetti in pelle nera che erano sulla destra della sala e sfogliammo il menù dei drink. 
– Ho voglia di ubriacarmi stasera, chi è con me? – 
Ana non ricevette nessuna risposta, così scrollò le spalle e torno a leggere sul menù. Io non avevo mai bevuto nulla di simile perché non ne avevo mai avuto l’occasione, ma  decisi di provare qualunque cosa, purché fosse forte e “da sballo”. 
– Cosa prendi tu? – 
urlai per sovrastare la musica. Ronnie staccò le labbra da quelle del suo ragazzo e mi guardò 
-  Non ne ho idea, penso prenderò un drink analcolico – 
sorrise e tornò da Leo. 
– Prendi un Red Bloom, Sophie! E’ forte soltanto dopo un bicchiere, il primo è leggero – 
rise Ana, chiamando il cameriere con l’indice alzato. In mezzo a quella calca di gente e musica mi chiesi come fosse possibile che un cameriere sentisse un cliente che lo stava chiamando, era assurdo. 
– Una Vodka Lime per me, doppia per favore – 
sorrise lei. Dopo che gli altri ebbero ordinato, il ragazzo fissò me. Aveva un vassoio vuoto sotto il braccio e portava un grembiule nero con lo stemma del Red Planet, il suo sorriso era affascinante e la sua fronte era sudata per il caldo che c’era lì dentro. Mi scrutò e si bagno le labbra 
– Tu cosa prendi dolcezza? – 
tossii imbarazzata e finsi di guardare il nome sul menù 
– Un Red Bloom, con tanto ghiaccio. Grazie! –
sorrisi cercando di sembrare disinvolta. Il ragazzo annuì strizzando l’occhio 
– Un attimo e sarò da voi! – 
e poi andò via. Era davvero carino, pensai. Ma poi scossi subito la testa e risi, quando vidi Ana salire sul tavolino e iniziare a scuotere il sedere 
– Stasera voglio che vi divertiate tutti, anche tu Sophie! –
urlò prendendomi la mano e invitandomi a salire. 
– No, te lo scordi! E poi scendi, ti stanno guardando tutti il culo come se volessero mangiartelo! –
risi e la tirai giù. 
– Avanti Sophie, non vorrai dirmi che te ne starai seduta per tutta le sera? – 
scosse la testa in forma di disapprovazione.
– Intanto beviamo i drink che sono appena arrivati! – 
cambiai subito discorso. Ana annuì ridendo. Se non avessi saputo che era parte di lei, avrei pensato che quella euforia era dovuta all’alcool. Mandò giù quel bicchiere di Vodka in pochi sorsi e urlò alzando il bicchiere al cielo. 
– Avanti su, bevi tutto d’un sorso! – mi incitò
– E’ la prima volta che bevi, vero? Ti brucerà un po’ la gola, ma passerà subito e ne vorrai un altro! – 
annuii e strinsi le mani intorno al vetro freddo di quel bicchiere. Chiusi gli occhi e lo avvicinai alle labbra, poi presi fiato e lo mandai giù tutto in una volta. Ana gioì rumorosamente e mi fece alzare 
– E’ stato forte vero? – 
mi guardò in attesa di una risposta. Restai un attimo in silenzio e poi 
– E’ stato fortissimo! – 
urlai ridendo. In quel momento sentii scoppiare in me una bomba di felicità, che inondò ogni cellula del mio corpo. Il calore che sentivo in gola era qualcosa di sopportabile, perché la voglia di correre, urlare e fare tutto ciò che volevo era maggiore di qualunque altro tipo di dolore. Per questo motivo seguii subito Ana e ci immergemmo in quella confusione fatta di gente, musica e puzza di alcool. Ci buttammo a capofitto senza pensarci due volte e iniziammo a muoverci, a scuotere i fianchi e a ballare senza dar conto a chi era intorno. Ridevamo e saltavamo, tendendo le mani al cielo urlando come due forsennate. Non pensai a nulla, mi muovevo a ritmo di musica, di quella musica altissima a cui ormai  eravamo abituate. Rimbombava nei timpani e faceva vibrare tutto il corpo, ti trasportava e ti faceva provare miliardi di emozioni. Con gli occhi chiusi, nascosta in mezzo a tante persone, potevo far uscire la ragazza che era nascosta in me, quella che era stata repressa per tanti anni e che ora poteva finalmente essere libera. Ballavo senza fregarmene di cosa potessero pensare le persone che mi circondavano. Ero lì, in uno dei più pub più belli di Londra con una mia nuova amica e non avrei permesso a nessuno di rovinarmi quel momento. La mano di Ana percorse il mio braccio fino a stringere le mie dita per tirarmi a se, avvicino le sue labbra al mio orecchio per dirmi qualcosa 
– Vado a prendere un altro drink, resti qui? – 
mi guardai intorno e poi posai lo sguardo su di lei scuotendo la testa
– Meglio di no, vengo con te, anche io ho voglia di un altro drink! –
ridemmo e ci facemmo largo per arrivare al bancone. Trovammo due sgabelli vuoti e li occupammo, in attesa di qualcuno che ci servisse. 
– Dici che rimorchiamo qualcuno stasera? – 
chiese lei con un sorrisetto sulle labbra. Io feci una smorfia 
– Rimorchiamo? Magari tu, io non ne sono neanche capace! – 
scoppiai a ridere. Quando ci portarono i drink che avevamo ordinato, li bevemmo tutti d’un sorso. Quella volta però strizzai gli occhi e emisi un grugnito, avevo preso un drink più alcolico. Mi trafisse la gola dividendomi a metà. Era Vodka, Vodka doppia. La stessa che aveva preso Ana, soltanto che io non ero abituata a questi drink così forti. 
– Feci così anche io la mia prima volta! – rise guardandomi 
– E come andò a finire? – tossii alzandomi dallo sgabello 
– Passai la notte in bagno – il suo sguardo si rabbuiò, ma non ne capii il motivo. 
Non mi andava di chiederglielo, volevo divertirmi ancora più di prima, così le trascinai con me in pista ancora una volta.
– Stasera voglio rimorchiare! – urlai e mi scatenai lì in mezzo. 


Non sapevo che effetto aveva l’alcool su di me, perché non lo avevo mai provato prima di allora. Ma, se con il primo drink la voglia di ballare era tanta, con la Vodka lo era ancora di più. La musica cambiò e quella che ci diede il ri-benvenuto in pista fu una delle mie canzoni preferite. Non ricordavo il nome, non ricordavo neanche perché fossi lì e cosa stessi facendo, ma sapevo che quella canzone mi faceva impazzire. Quando Ana si staccò da me e iniziò a ballare con un ragazzo, rimasi sola, un po’ disorientata. Ma non mi feci prendere dal panico, perché continuai a seguire la musica, ondeggiando. E probabilmente fu dovuto all’alcool, perché se fossi stata lucida me ne sarei andata all’istante. Sentii d’improvviso due mani calde poggiarsi sui miei fianchi, accarezzarli e delle labbra solleticami l’orecchio.

– Ti va di ballare, tesoro? Sei uno schianto! -

Una voce maschile, dura, eccitata. La voce di un uomo, un uomo che non conoscevo ma che voleva ballare con me. L’alcool che avevo in corpo mi era salito alla testa e non riuscivo a connettere i neuroni per ragionare: volevo soltanto ballare. E se quel uomo senza nome e senza volto voleva ballare con me, io non potevo far altro che accettare. 

– Non accetto un no come risposta – proseguì dopo alcuni secondi di pausa. 

Allora mi voltai e lo guardai, era più grande di me, probabilmente aveva trenta anni se non di più. Ma che importanza poteva avere? I fianchi iniziarono a muoversi in sincronia con i suoi, senza che io potessi comandarli. Seguimmo il ritmo della musica, sempre più veloci, sempre più vicini. Si appiccicò a me come una sanguisuga, iniziò a baciarmi la guancia e il collo, sempre più eccitato. Sentii un gonfiore aumentare nei suoi pantaloni. Disgustoso riuscii a pensare davvero disgustoso
-Non ho più voglia di ballare – gli dissi, cercando di staccarmelo di dosso. 
Ma gli angoli delle sue labbra si alzarono in un sorriso malizioso. Maledizione! Cosa avrà pensato? Imprecai in silenzio. Sospirai e scossi la testa voltandomi per andarmene. Quel po’ di lucidità che mi era rimasta, fortunatamente riusciva ancora a farsi sentire. Non era una buona idea restare ancora con quel tipo. Avevamo ballato, ma non doveva andare oltre. Però lui non fu d’accordo, perché mi prese un polso e mi attirò di nuovo a se.
– Allora andremo via da questa folla, tesoro! – ridacchiò divertito. 
Io rabbrividii, disgustata al solo pensiero. E volli andarmene in quel momento. Cercai di farlo, ma quel tipo era più forte di quanto mi aspettassi. Mi trascinò con se senza ascoltare le mie lamentele. 
– Ma cosa vuoi da me? Lasciami in pace! – urlavo colpendogli il braccio. 
Oltrepassò una scala e mi scaraventò contro un muro, guardandomi con malizia. 
– Mi piaci, sei davvero un bel bocconcino, ma non sembri di qui! Sei in vacanza vero? – 
rise mentre continuò a parlare – Beh, buon soggiorno! – mi incatenò lì vicino e sporse le sue labbra verso di me. Tentò di baciarmi più volte ma io mi dimenavo, giravo la testa da ogni lato per evitare qualunque contatto fisico con lui. Mi face ribrezzo, disgusto. Lo odiai. 
– Levami le tue sporche mani di dosso, stronzo! –  tentai con tutte le forze di togliermelo di dosso, ma lui portò le mani lungo i bottoni della mia camicetta cercando di aprirla. 
– Sei proprio bella, non posso lasciarti andare così in fretta! – rise ancora in modo raccapricciante.
Unì i miei polsi sulla mia testa con le sue mani forti e grandi. Li strinse così forti che io non riuscii a liberarmi. Gli urlai di lasciarmi stare, di non toccarmi e mi dimenai per sfuggire alle sue grinfie, ma quel bastardo non si decideva a lasciarmi andare. Nessuno riuscì a sentirmi perché la musica era troppo alta e le persone troppo occupate a ballare. Ma mi stava facendo male. Iniziarono a salirmi le lacrime agli occhi, perché quei maledetti polsi pieni di vecchi lividi e quelle braccia piene di vecchi graffi e segni non decidevano a muoversi, erano imprigionate. 
 
 - Sofia, vieni qui! –iniziò ad urlare.
Eravamo soli in casa. Mia madre e i miei fratelli erano dal dottore.
- Che c’è, papà?- risposi intimidita.
- Ho detto di venire qui, cazzo!-
La rabbia nella sua voce. Mi alzai e andai da lui. Era seduto sulla sua lurida poltrona, la cravatta e la camicia sul pavimento, solo una canottiera a coprirgli il petto, la bottiglia di vino tra le mani. Capii che aveva bevuto e mi pietrificai. Deglutii rumorosamente: mi spaventava ancora di più quando era ubriaco.
-  Portami un’altra bottiglia di vino. Subito! – indietreggiai correndo verso il frigo. Neanche l’ombra di una bottiglia di vino. Sospirai cercando di restare calma, mi abbassai per controllare meglio e trovai un bottiglia di birra. Mi calmai, la presi e sperai che gli andasse bene.
- C’era solo la birra, papà..- gliela porsi.
Il suo sguardo si gelò, serrò la mascella, i muscoli delle sue braccia nude si fecero più evidenti. Vidi il suo braccio sollevarsi e scaraventare a terra la bottiglia di vino vuota. Le schegge si sparsero in tutta la camera, il mio sguardo tornò su di lui. Si alzò e fu talmente ubriaco da non riuscire a reggersi in piedi. Cadde, io indietreggiai ma lui si risollevò. Afferrò la mia maglietta e mi buttò contro il muro.
- Ve lo siete scolato tutto voi il mio vino, figli di puttana! – la furia nei suoi occhi rossi e lucidi.
Rimasi immobile, impassibile. Avevo imparato a non reagire, per non peggiorare le situazioni.
- Mi sono stancato. Ma la cosa che mi ha stancato di più sei tu e tutte le cazzate che fai. Sei una figlia di merda, te l’ho mai detto?- rise come se ciò che avesse appena detto fosse la cosa più divertente che avesse mai detto.
- Però – prese una pausa –sei bella!- mi alzò il viso, poggiando una mano sotto il mio mento. –D’altronde, da un padre così bello come poteva nascere una figlia brutta?- rise ancora delle sue stesse parole. Poi d’un tratto tornò serio, mi incastrò nel muro e mi baciò una guancia. Fu un baciò freddo, viscido, ripugnante. Rimasi pietrificata e disgustata da quel gesto. Lui mi guardò negli occhi e posizionò le sue sporche mani sui miei fianchi, baciando l’incavo del mio collo. Ero inorridita, spaventata da lui. Volevo scappare, ma non avevo la più pallida idea di come fare. Non vedevo quel uomo di fronte a me come mio padre, ma come un mostro che voleva farmi soltanto del male.
- Brava, piccola, hai imparato a star ferma finalmente. –
Emisi un verso di disgusto che lui ignorò completamente. Tentò di scendere sul mio collo e continuare a baciarlo per soddisfare i suoi più orridi e oscuri desideri. Mise una mano sulla mia natica quando la porta di casa si aprì. Si spostò velocemente, strattonandomi.
Entrò mia madre nella camera, confusa dalla situazione in cui eravamo. Mio padre mi lanciò uno schiaffo in pieno viso.
- Pulisci questo disastro che hai combinato. Adesso! -
 
 - Cosa cazzo vuoi da me? Non toccarmi, lasciami! – urlai singhiozzando. I ricordi mi stavano offuscando la mente.
Non si decideva a lasciarmi andare, stava baciando il mio petto. La camicetta era sbottonata e le sue schifose labbra premevano sul mio reggiseno. Mi venne da urlare e da prenderlo a calci. Così con tutta la forza che avevo in me liberai un gamba per colpirlo nel basso ventre. Lo colpii due volte, con tutta la violenza che potevo.
<>–Mi fai schifo, vaffanculo stronzo! – urlai mentre le lacrime mi cadevano sul viso. Indietreggiai quando si alzò, tenendo la mano sul punto in cui lo avevo colpito.- Stronza! Vieni qui, devi essere mia! – urlò con furia.
A quel punto mi voltai ed iniziai a correre. Non riuscii ad intravedere nessuno che conoscevo. Ero in panico, non sapevo dove andare, perché l’uomo tentava di inseguirmi ancora, zoppicando e ancora nessuno sembrò vedere nulla. Corsi in quella folla di gente anche se mi scoppiava la testa e avevo il cuore in gola. E non appena mi voltai per vedere se l’uomo era ancora dietro di me, mi scontrai con qualcuno. Si sentì un rumore di bicchieri rotti. 
– Cazzo! Guarda dove vai! – urlò il tipo. 
– Scusa, i-io.. non volevo – balbettai ancora scossa da tremori. 
Scossi la testa e mi guardai dietro: non c’era più, se n’era andato.
-Tanto devo pulirlo io questo macello! – sbuffò chinandosi a terra. 
Tirai su col naso e asciugai gli occhi, sbavando tutto il trucco che avevo accuratamente messo.
– Mi dispiace, non stavo guardando.. - mi inginocchiai e cercai di aiutarlo.
Tutti i pezzi di vetro erano a terra e il loro contenuto si era versato sul pavimento. Proprio come quando mio padre aveva messo le sue sporche mani su di me. Mandai via quei ricordi e raccolsi qualche scheggia nella speranza di non tagliarmi. Ma non appena poggiai la mano sul pavimento, il ragazzo la poggiò sullo stesso punto, scontrandosi con la mia mano. Tossì, poi sospirò.
- Non preoccuparti faccio da sol.. –  alzò lo sguardo su di me - ..Tu? –
Era il barista. Lo stesso che ci aveva servito quei drink ad inizio serata.
Era sempre sudato sulla fronte, sempre con quel sorriso sulle labbra. Non riuscii a vedere bene i suoi occhi neanche quella volta e le luci della sala non erano molto di aiuto. Ma improvvisamente mi vergognai di avere il viso sporco di mascara, di avere gli occhi rossi e la camicia sbottonata, così la richiusi in fretta e mi coprii il viso. Lui si accorse dell’orribile aspetto che avevo, raccolse tutti i pezzi nel vassoio e si alzò. Mi tese la mano per aiutare ad alzarmi, ma io la rifiutai e mi alzai da sola, cercando di tenermi in piedi.
Mi squadrò dalla testa ai piedi.
- Sembra che tu abbia un brutto aspetto. Hai bisogno di un drink? -


 

 
SPAZIO AUTORE

Buona sera... o dovrei dire, buona notte!
Sono le 2:00 di notte e sono qui a pubblicare il capitolo, sono pazza!

Volevo presentarmi, dato che non l'ho ancora fatto. Mi chiamo Monica, ma chiamatemi tutti Moon. Pechè Moon vi starete chiedendo, beh innanzitutto è una sorta di abbrevizione: un "Mon" con la sola aggiunta di una o. Ma vi dirò di più. Amo la luna perchè cambia aspetto ogni volta ma resta sempre la stessa, non brilla di luce propria, ma viene illuminata dalla luce del sole e senza di esso sarebbe invisibile. Amo la luna perchè è rotta, piena di crateri, ma bella lo stesso. Spesso una parte di lei è nascosta e non riusciamo a vederla, ma basterebbe guardarla per capire che c'è un pezzo che manca, perchè la sua forma non è la stessa dell'ultima sera. Ebbene sì, amo la luna perchè mi ritrovo in lei.
Ma ora la smetto, lo giuro hahaah non mi odiate!

Ora che avete conosciuto una parte di me, torniamo al capitolo. Spero vi sia piaciuto, è più lungo rispetto agli altri ed è pieno di colpi di scena. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Quindi lasciate recensioni se vi va. P.S. Il titolo della storia, 'Fire Ice', lo cambierò in 'A piece of Ice'. Mi scuso per questo inconveniente.
Grazie mille, alla prossima.


Moon
  
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