Capitolo
Diciannove: Rancori
Passati
La
riunione fu veloce e concisa, una volta che Yao e Arthur ebbero
riassunto le loro scoperte all’equipaggio della Reina.
Il
popolo era convinto che il Figlio del Cielo fosse in
coma, le condizioni del Portavoce del Sole erano misteriose e il
Samurai
sembrava all’oscuro della catastrofe di cui era stato
artefice. Il non ti
scordar di me aveva indicato il Palazzo, per cui le istruzioni erano
semplici:
il giorno dopo si sarebbero introdotti nel castello, avrebbero trovato
il
Marauder e avrebbero combattuto contro il demone. Si sarebbero
intrufolati solo
Yao, che conosceva il posto, Arthur, che custodiva il fiore di
cristallo, e
Gilbert, l’unico in grado di fronteggiare degnamente i
demoni. Gli altri
avrebbero atteso in alcuni punti strategici per poi fare irruzione nel
Palazzo
al momento della battaglia.
Yao
aprì le mani a guisa di calice: sottili scie di luce
partirono dalle sue dita e si rincorsero nell’aria, creando
un modello
impalpabile del Palazzo Imperiale. Alcuni globi di fuoco si accesero
lungo il
perimetro, indicando le esatte posizioni in cui si sarebbero dovuti
trovare il
giorno dopo.
«Dobbiamo
agire il più velocemente possibile» concluse Yao,
dissolvendo la costruzione evanescente con un soffio gentile: le lingue
di luce
si dispersero in una polvere dorata che svanì prima di
toccare il suolo. «Il
demone non deve accorgersi di noi.»
Gilbert
fece trasalire tutti i presenti quando calò
bruscamente gli stivali sul tavolo. Si dondolò torvo sulla
pesante sedia di
legno, gli occhi rossi incupiti come se tutto il suo sangue si fosse
riversato
nelle sue iridi guerresche.
«“Un
demone” è una descrizione un po’
vaga» sbottò alla
fine, incrociando le caviglie. «Non sai quale sia il suo
elemento costitutivo?
Ti ha ridotto in fin di vita, da quel poco che ci hai detto. Non hai
notato
niente, mentre ti massacrava?»
Il
respiro si ritirò nei polmoni dei presenti; nessuno
osò
fiatare, nessuno osò battere le palpebre, nessuno
osò muoversi. Per un attimo,
Gilbert vide di nuovo l’immobilità gelida di Caina
in quelle facce pietrificate
dall’orrore.
Si
trattenne dallo sputare a terra solo perché quella era la
nave di Antonio. Il Figlio del Cielo non poteva continuare a
temporeggiare su
quella questione: avevano atteso anche troppo per sapere cosa fosse
realmente
successo la notte in cui era stato spodestato. Si rendeva conto che non
fosse
piacevole rivivere il ricordo di una sconfitta e di una perdita, ma non
gli
interessava: aveva il dovere di farli uscire sani e salvi dalle grinfie
del
demone, in quanto unico Hellsing presente, e, per farlo, aveva bisogno
di
conoscere il suo nemico.
Yao
lo fissò con i suoi occhi d’inchiostro,
batté un’unica
volta le palpebre e si sedette al tavolo in un frusciare di seta.
«Non
è un demone nato da un elemento» la voce regale
srotolò
quel racconto di sangue come se stesse svolgendo un velo di seta.
«È un demone
nato da un’emozione.»
Le
ciglia del Figlio del Cielo tremarono per un istante, ma
la sua voce rimase ferma.
«La
guerra sino-britannica. Quella che ci ha privato delle
stelle. Moltissimi uomini sono morti, da entrambe le parti. Moltissime
mogli,
figli, fratelli, amici li hanno pianti. Quel demone è nato
dalle loro lacrime e
dal loro sangue.»
«Non
è corretto» Gilbert irruppe di nuovo nella
conversazione con la brutalità di una frana. «Quei
demoni sono spiriti
inferiori, incapaci di ottenere un corpo materiale. Si cibano delle
emozioni
più forti e più basse delle persone per acquisire
potere. Certo, di solito
riescono solo a sbocconcellare qualche ventata d’odio
occasionale, ma in questo
caso…» l’Hellsing tolse i piedi dal
tavolo e vi abbatté sopra un pugno che fece
trasalire i presenti. «Un demone di questo tipo, che si
è nutrito degli ultimi
pensieri di migliaia di morti, e ha avuto centinaia di anni per
assimilarli, deve
avere raggiunto un potere non indifferente» una risata senza
gioia contorse le
labbra di Gilbert, e una nuova ondata di panico torse lo stomaco dei
presenti
alla sua successiva invettiva: «Questi demoni si cibano solo
delle emozioni
peggiori, Figlio del Cielo. Tutti quei soldati devono aver maledetto i
tuoi
predecessori, prima di morire.»
«È
probabile. Anzi, direi che è certo. In fondo, sono stati
loro a mandarli in guerra» confermò quieto Yao.
La reazione del
sovrano atterrì ulteriormente i presenti. La sua calma
imperitura assomigliava
troppo alla finta serenità che precedeva i più
turbolenti tifoni marini.
«Ma
questi demoni di solito non si impossessano delle
persone» obiettò Gilbert. «Di solito si
stabiliscono dentro oggetti inanimati.
Ma, per farlo, hanno bisogno di uccidere qualcuno, per sfruttare
l’energia
dell’anima che lascia il corpo e cingersi
all’oggetto scelto…»
«In
che modo uccidono?»
Una
vena di allarme palpitò nella voce armoniosa del
sovrano. Gilbert si strinse nelle spalle.
«Non
lasciano segni. Il soggetto è in piena salute e il
giorno dopo…» questa volta fu il palmo
dell’Hellsing a schiantarsi sul tavolo.
«Auf Wiedersehen.»
Yao
trasse un profondo respiro, come se improvvisamente i
suoi polmoni fossero diventati troppo stretti per raccogliere il fiato
necessario.
«Si
è verificato un episodio simile» le parole
uscirono a
tratti dalle sue labbra, quasi avessero paura di avventurarsi nel mondo
esterno. «Un amico di Kiku è morto senza alcuna
spiegazione apparente. Nessun
segno di lotta, o di malattia, o di avvelenamento. Semplicemente morto.
E Kiku,
da allora, non si è mai separato dalla katana
che Heracles aveva forgiato…»
«Quando
dici “da allora” quanto tempo intendi,
esattamente?»
«Degli
anni.»
Il
palmo si sollevò dal tavolo e si abbatté sulla
faccia di
Gilbert.
«Anni.
È un miracolo che il tuo pupillo sia rimasto in
sé
così a lungo» commentò caustico
l’Hellsing.
«Avevi
detto che questi demoni non possono impossessarsi…»
«Ma
possono controllare
un essere umano. Prendere possesso di un altro corpo
è un procedimento
complicato perché bisogna mettere a tacere per sempre
l’anima dell’ospitante. Ma
controllarlo dall’esterno, come una marionetta, è
molto più semplice: basta
zittire l’anima per qualche istante e poi ritirarsi, e il
controllato non avrà
alcuna memoria di quanto successo» Gilbert
incrociò le braccia, ringhiando
amaro: «I demoni sanno sempre qual è la via
più diretta per il successo.»
Il
viso del Figlio del Cielo si fece terreo, a dispetto
dell’espressione inalterata, come se quelle notizie gli
stessero assorbendo il
sangue una goccia dopo l’altra.
Gilbert
passò una mano nei capelli argentati, calcolando a
denti stretti: «Se è così, allora forse
abbiamo qualche speranza. Però, dopo
tutto questo tempo, probabilmente sarà già
riuscito a creare dei contatti, come
i fili della marionetta… questo complicherebbe le
cose.»
L’Hellsing
schioccò le dita, giungendo a una soluzione.
«È
possibile che il tuo figlioccio esca indenne da questa
situazione, ma le possibilità sono molto basse»
Yao apprezzò la schiettezza
cruda con cui Gilbert gli concesse una speranza spogliandola di ogni
illusione.
«Kiku è l’ancora che tiene questo demone
sul nostro piano di esistenza; se
uccidiamo il demone mentre è ancora legato a lui, moriranno
entrambi. Dobbiamo
riuscire a tagliare i fili che li legano, e poi potrò
ammazzare il demone.»
«E
chi meglio di un Marauder, per individuare dei fili
invisibili?»
Antonio spezzò l’attenzione con quella domanda che
aveva un retrogusto di
risata.
Arthur,
Gilbert e il capitano portarono in contemporanea gli
occhi sul non ti scordar di me. Già, chi meglio di Francis
poteva risolvere una
situazione impossibile?
Una
spolverata di riflessi ramati si spezzò sulla chioma
argentea dell’Hellsing, quando questo scosse il capo sotto il
lume della
lampada a olio.
«Ha
resistito così tanto tempo e continua a resistere senza
sapere nemmeno di avere un demone sulle spalle. Questo tuo figlioccio
deve
avere dei nervi d’acciaio.» Sebbene il tono fosse
aspro e la curva delle labbra
fosse più simile a un ghigno che a un sorriso, il Figlio del
Cielo accettò quel
commento come un complimento.
«Kiku
ha la forza del giunco. Riesce sempre a rialzarsi,
anche quando è abbattuto» scacciò la
malinconia con un battito di palpebre e
aggiunse: «C’è ancora una questione di
cui vorrei discutere con voi.»
Yao
attese un istante, per essere sicuro di aver ottenuto
l’attenzione di tutti i presenti, e annunciò:
«Sappiamo
tutti che, una volta sconfitto questo demone, la
meta successiva sarà il Vaticano. Voglio invitarvi a
riflettere su cosa avverrà
dopo.»
«In
che senso?» borbottò un marinaio.
Roderich,
che fino a quel momento era rimasto immobile e
impassibile sulla sua sedia, sistemò gli occhiali e la voce
prima di lanciare
l’annuncio che fece di nuovo calare un silenzio mortale.
«È
una notizia che il Vaticano tiene riservata. Al confine
della Confederazione sono ammassati mille demoni. Demoni che trovano
irresistibile la carne umana. Lo scopo dell’Asse non
è solo quello di
proteggere l’armonia delle Galassie; il suo compito
principale è quello di
mantenere intatto lo scudo che ci separa da loro.»
Tutti
si voltarono verso Lovino, che restituì lo sguardo
senza davvero vedere nessuno di loro. Non gli avevano mai accennato a
nulla del
genere, nelle Ville Vaticane. Mai.
Sentì
come lo schiocco di una frusta sul cuore, e il suo
mondo crollò in mille pezzi. Per anni non aveva fatto altro
che pensare a
portare via suo fratello dal Palazzo di Quarzo, e a trovare un pianeta
remoto
su cui vivere insieme. Se pensava al suo futuro, lo vedeva come una
strada con
una destinazione precisa, ma quella stessa via si stava ritorcendo su
se stessa
come un serpente, scaraventandolo in un precipizio buio.
Se
avesse strappato suo fratello al Palazzo, l’intera
Confederazione sarebbe stata devastata dai demoni. Sapeva che senza
l’Asse il
benessere della Galassie sarebbe stato fortemente colpito, ma uno
sterminio di
massa andava ben oltre quello che aveva previsto. E i demoni non
avrebbero
fatto distinzioni tra innocenti e colpevoli.
«C’è
un modo per risolvere tutto questo.»
L’affermazione
del Figlio del Cielo suonò ovattata ai suoi
sensi affogati in un oceano di pensieri. Gli occorse qualche istante
per scomporre
quelle parole, ricavarne il senso e accendere di nuovo il lume della
speranza.
«Il
Mago dell’Ovest proviene da un’altra dimensione.
È la
prova vivente che è possibile uscire indenni da un viaggio
oltre lo spazio e la
materia» proseguì sicuro Yao. Non diede tempo ai
marinai di sorprendersi o ad
Arthur di protestare per quella rivelazione indesiderata. «Se
l’Asse, Lovino,
il Mago dell’Ovest e io sincronizzassimo le nostre energie,
probabilmente
riusciremmo ad aprire più portali per permettere alle
persone di fuggire, prima
che lo spazio collassi.»
«Ciò
che state suggerendo è…»
«La
distruzione della Confederazione» Yao tagliò alla
radice
l’intrusione del marinaio. «E della sua ipocrisia.
Una volta per tutte.»
«Bisogna
fare molta attenzione con i viaggi dimensionali» li
ammonì severo Arthur. «Bisogna avere
un’idea abbastanza chiara del tipo di
luogo in cui si vuole approdare. Quando sono partito, ricordo che avevo
pensato
a un posto che avesse delle cose nuove da
insegnarmi…» il resto della frase si
spense. Morte, malattia e ipocrisia: in un certo senso, aveva imparato
cose che
a Faerie non avrebbe mai nemmeno immaginato. «Dobbiamo essere
molto attenti.»
«Un
nuovo inizio in una nuova dimensione» la risata grezza
di Gilbert raschiò l’aria. «Non sembra
male.»
«Ho
sempre pensato di distruggere il Vaticano»
dichiarò
Antonio, con una tranquillità agghiacciante. «Una
piccola deviazione non mi
disturba.»
«Dobbiamo
studiare con accortezza il piano!» ricordò brusco
Arthur. «Non si viaggia in un’altra dimensione
senza essere preparati!»
«Facciamoli
a pezzi.» Un ghigno intorbidò lo sguardo che
Lovino rivolse a Yao. Il Figlio del Cielo non rispose apertamente, ma
tutto il
suo corpo si trasformò in un sogghigno soddisfatto. Il loro
fuoco avrebbe
distrutto la Galassia, e una nuova era sarebbe sorta da quelle ceneri.
«Prima
la liberazione di Chugoku» decretò infine il
Figlio
del Cielo. «E poi quella della Confederazione.»
***
Gilbert
non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi: riconosceva
quel passo spavaldo.
«Sei
venuto a farmi la ramanzina, Antonio?» domandò,
laconico.
La
riunione era stata sciolta, e l’Hellsing si era diretto
al ponte di poppa, da cui era possibile vedere in lontananza un
minuscolo pianeta
con una casa vicino al lago e una tomba poco lontano.
«Non
sei un moccioso, non mi disturberò a farti la
predica»
Antonio si appoggiò alla balaustra, di fianco a lui. Lo
sguardo dell’Hellsing si
inabissò di nuovo tra le stelle, e il capitano non
cercò di dirottarlo su di
sé. «Volevo solo farti notare che sei stato molto
scortese con il Figlio del
Cielo.»
«Gli
ho detto la verità.»
«L’hai
detta in modo che gli facesse più male possibile.
Almeno all’inizio. Riconosco che dopo sei stato
più moderato» Antonio seguì la
traiettoria dello sguardo di Gilbert, e il petto gli si
ingorgò con un sospiro.
La
testa dell’Hellsing crollò con una risata
graffiante,
mentre l’uomo si scompigliava i capelli.
«Avevo
detto che me lo sarei lasciato alle spalle, Antonio,
ed è vero. Ho accettato la sua morte, ho accettato il fatto
che non c’è più» i
pugni si strinsero finché le nocche non assunsero quasi lo
stesso colore
opalescente della sua chioma. «Ma lui si è ucciso
perché pensava di essere
l’ultimo demone. Pensava di liberarmi dal mio ruolo maledetto
dal Vaticano. E
adesso… scopro che c’è un altro
bastardo senza guinzaglio. È come se la morte
di Matthew non fosse servita a niente.»
Gilbert
sollevò il suo sguardo sanguigno, fissando quel minuscolo
punto di luce. I lati del suo campo visivo diventarono scuri e
indistinti, man
mano che si focalizzava solo su quello spillo luminoso. Poi, dopo che
la nave
si fu allontanata ulteriormente, anche quella capocchia scintillante
sparì. Una
risata amara gli corrose il petto. Eccola lì,
l’allegoria della sua vita: un
buio infinito rischiarato da una singola particella di luce,
improvvisamente
inghiottita dalle ombre circostanti.
«Eri
davvero innamorato di questo ragazzo» il calore nella
voce di Antonio lenì per un attimo il freddo che aveva
attanagliato l’Hellsing.
«Così
è riduttivo» sbottò Gilbert. Il
capitano vide i
ricordi di una vita scorrere sotto le iridi amaranto
dell’amico. «Matthew era
qualcosa per cui valeva davvero la pena di respirare ancora. Ho perso
la
famiglia, ho perso la mia gente. Ho visto il mio nome preso e gettato
nel fango
dal Vaticano» le dita dell’uomo tambureggiarono sul
legno come per aiutare le
parole a uscire. «Poi guardavo Matthew e tutto quello che
avevo passato
acquistava senso, se era servito a portarmi fino a lui.»
Gilbert
si zittì, e Antonio non fece pressioni. Entrambi
avevano perso la casa, la famiglia, e tutti i loro conoscenti. Ma lui
era più
fortunato: lui aveva Lovino. L’Hellsing non aveva nessuno.
Gilbert
gli rivolse uno sguardo sornione, prima di piegare
le labbra in una frecciatina:
«E
il tuo vice, invece? Riesce a spazzare via tutte le
brutture, con il suo angelico sorriso?»
Antonio
trattenne a stento una risata. Il suo amico aveva
davvero uno spirito di ferro: perfino dopo essersi spezzato
l’anima nei ricordi
di Matthew riusciva a fare una battuta a tradimento. Sperava davvero
che
Gilbert non cambiasse mai.
«No,
non riesce a cancellare il mondo» lo smentì
Antonio.
«Ma riesce a diventare il
mondo. Non
dimentico il mio passato, e non dimentico la battaglia che ci
aspetta…» le dita
del capitano si strinsero impercettibilmente sulla balaustra.
«Ma Lovino è più
importante di tutti loro. Li annienta, in un certo senso.»
Gilbert
annuì: poteva quasi vedere il ragazzo che cacciava a
calci gli altri pensieri dal cervello di Antonio.
L’Hellsing
sgranchì le spalle e trasse un profondo respiro
prima di buttare fuori:
«Quando
troveremo Francis, gli chiederò dove si trova
Matthew.»
Antonio
lo fissò senza capire; una goccia di malinconia si
spanse nella voce rauca di Gilbert.
«Ho
promesso che andrò da lui, quando morirò. Ma
vorrei
almeno un indizio sul luogo preciso. Credo che
l’aldilà sia molto più vasto di
quanto immaginiamo.»
«Hai
intenzione di ucciderti in questa guerra?»
La
gomitata dell’Hellsing lo colpì dritto in mezzo
alle
costole, facendogli sputare l’aria.
«Non
fare il melodrammatico, Antonio! Non siamo in un’opera
lirica dove tutti si ammazzano per i motivi più
assurdi» lo sbeffeggiò Gilbert,
per poi tornare serio. «Ma siamo in guerra. È
possibile che succeda. Farò del
mio meglio per sopravvivere, ma se non dovessi riuscirci…
voglio sapere dove
devo andare, esattamente. Non voglio perdermi nel prossimo mondo e
farlo
aspettare ancora» di nuovo, la testa argentata
dell’Hellsing franò tra le sue
spalle.
Antonio
attese finché l’amico non sollevò di
nuovo gli
occhi, che vagarono alla ricerca del loro punto di luce svanito.
«Vai
da Lovino, Antonio. La notte prima della battaglia è
meglio passarla con le persone che amiamo» lo
consigliò Gilbert, l’eco di un
ghigno vetroso nelle sue parole.
«E
tu?»
«Io
farò lo stesso» l’Hellsing
scrollò le spalle,
sogghignando. La rabbia, l’amarezza, il rimpianto li aveva
già versati su
quella tomba ghiacciata, una lacrima dopo l’altra; rimanevano
solo il dolce
tormento della nostalgia e dell’amore perduto.
Le
nocche di Antonio lo colpirono sulle costole, e Gilbert
lo guardò confuso, una mano premuta sul busto.
«Per
il tuo pugno di prima» sentenziò il capitano,
prima di
dirigersi verso la sua cabina.
L’Hellsing
scrollò la testa, ridendo a denti stretti.
Sperava
davvero che Antonio non cambiasse mai.
***
Le
dita passarono tra i capelli mogano, pensierose.
Non
era riuscito a raccontare tutti gli avvenimenti di quella
sera. Erano troppo grandi, troppo
pregni di emozioni per passare attraverso il filtro delle parole: la
sua gola
sarebbe andata in pezzi, se ci avesse provato.
Tuttavia,
quelle immagini erano più vivide che mai dentro di
lui, come se si nutrissero di tutti i suoi discorsi inghiottiti. Gli
bastava
chiudere gli occhi, per rivivere quei momenti di panico.
Gli
ultimi vapori del bagno serale indugiarono sulla sua
pelle, accarezzandolo con un calore profumato. Le pagine del libro
frusciarono
delicate, mentre il sovrano le sfogliava. Il cielo di Chugoku era nero
come
sempre.
Niente,
in quella serata, avrebbe lasciato presagire gli
eventi che si sarebbero scatenati in seguito.
Yao
non aveva quasi mosso lo sguardo dal racconto, quando
Kiku era entrato nella stanza. Aveva semplicemente alzato la mano per
fargli
segno di venire più vicino, per accovacciarsi di fianco a
lui e leggere
insieme, come facevano sempre.
Fu
la memoria generazionale a salvarlo: il predecessore
responsabile della guerra sino-britannica gli aveva improvvisamente
urlato di
spostarsi. L’istinto di Yao aveva raccolto immediatamente il
suggerimento,
facendolo scartare di lato. La katana
gli graffiò la spalla anziché recidergli la gola,
e si infisse nell’imbottitura
della poltrona.
Kiku
inclinò appena la testa, le sopracciglia aggrottate in
un lieve disappunto. Le iridi del Samurai erano piatte e vuote come un
vetro
sporco di fuliggine, e Yao rabbrividì interiormente quando
quegli occhi
senz’anima lo squadrarono.
«Kiku?»
lo chiamò, sconcertato.
Il
giovane ritrasse lentamente la spada, senza dire una
parola. Nello stesso terrificante mutismo sferrò il secondo
attacco, e di nuovo
Yao lo schivò per un soffio: la stoffa si tinse di un
cremisi ancora più
intenso quando fu bagnata dal sangue del sovrano.
Le
dita del Figlio del Cielo guizzarono impazienti, e si
richiusero a pugno subito dopo. La magia delle fiamme bruciava nei suoi
palmi,
pronta a neutralizzare il nemico, ma Yao la ricondusse a forza nello
sterno di
fuoco. Non era un nemico, era Kiku, l’orfano che aveva
salvato da morte certa e
che si era votato al bene di Chugoku e del suo regnante. E non avrebbe
mai
potuto fare del male al suo figlioccio.
Un
ghigno terribile, fratello dell’inferno e figlio della
crudeltà, si dispiegò sulle labbra pallide del
Samurai.
«Si
dice che il potere del Figlio del Cielo possa ridurre in
cenere un intero pianeta. Per quale motivo non riesci a distruggere un
singolo
uomo?»
Yao
arretrò di un passo, assottigliando gli occhi. Non era
la voce di Kiku: poteva a malapena udire il familiare tono adamantino
come
tintinnio di sottofondo. Pareva che le labbra del giovane fossero
riempite
dall’ululato del vento in mezzo alle tombe.
Il
Samurai schioccò le labbra, nauseato.
«Questi
sono i “sentimenti”. Troppo dolci, troppo
nauseanti»
la katana cantò di
nuovo, aprendo uno
squarcio sottile sul busto del sovrano. Di nuovo, Yao
indietreggiò senza
reagire. Se avesse scatenato il suo potere, per Kiku non ci sarebbe
stato
scampo. Se il suo figlioccio lo avesse tradito, per quanto a
malincuore, lo
avrebbe giustiziato; ma quello non
era lui, era qualcosa di spaventoso vestito con la carne del suo
Samurai. E
doveva capire cosa fosse.
«Preferisco
il sapore della morte» il suono delle unghie su
una bara riempì l’aria: l’essere aveva
riso.
«Sei
uno shinigami?»
domandò Yao.
Di
nuovo, rumore di artigli sul legno di un catafalco.
«Oh,
no, gli shinigami
sono legati da mille regole… io sono uno spirito
libero» l’essere reclinò
la testa di lato, e i capelli corvini di Kiku sfiorarono la spalla.
«Anzi,
possiamo dire che io sono la personificazione del karma:
cattive azioni portano a cattive conseguenze.»
La
spada saettò una terza volta nella sua direzione, e un
terzo squarcio si aprì sulla sua tunica. Ma Yao non
reagì. Non poteva
costringersi a ferire Kiku. L’essere rimase fermo nella
posizione allungata
dell’affondo, e girò solo la testa,
meccanicamente, fino a puntare i suoi occhi
vetrosi su di lui. Il Figlio del Cielo sentì un brivido
scuotergli la spina
dorsale: in quella posa, con il collo che si muoveva a scatti, il
Samurai
assomigliava tremendamente a una marionetta.
«I
tuoi antenati hanno decretato la tua morte, Figlio del
Cielo» salmodiò con calma spietata
l’essere. «Tutta Chugoku era loro devota, e
loro non hanno avuto pietà di lei: hanno mandato a morire
tutti quei giovani
soldati, raccontando alle loro famiglie che erano morti da
eroi» Kiku si
raddrizzò partendo dalle spalle, come se lo stessero tirando
per un filo
collegato alle scapole. «Dimmi, Figlio del Cielo, credi che
una medaglia al
valore possa raccontare la favola della buonanotte ai suoi figli, o
abbracciare
la propria moglie? Perché, se non ricordo male, è
così che li avete ripagati: un
pezzo di ferro in cambio di un marito, di un padre o di un fratello.
Non mi
pare uno scambio equo…»
«Sei
venuto fin qui per vendicarli?» lo interruppe
bruscamente Yao. Un demone. Un demone nato da sentimenti negativi.
Aveva letto
qualcosa a riguardo, ma solo cronache molto vaghe: i veri esperti erano
gli
Hellsing, e l’ultimo di loro era stato imprigionato a Caina
anni prima. E lui
non sapeva come estirpare quello spirito senza danneggiare Kiku.
Lo
stupro di un sorriso aveva torto le labbra del Samurai.
«Vendetta?
Oh, no, io sono felice che voi li
abbiate spediti al massacro, altrimenti non sarei
mai riuscito a diventare così forte… forte come
nessun demone della mia razza è
mai stato!»
L’essere
alzò le braccia, e il mondo si capovolse. Yao
sentì
i piedi perdere aderenza con il terreno e il suo corpo fluttuare in un
turbine
violento. Fu come essere investito da una tempesta di sassi e da una
tormenta di
neve al contempo: un vento gelido lo tenne sollevato
nell’aria, mentre mille
mani invisibili lo colpivano su tutto il corpo.
Crollò
a terra quando quel vortice terminò, ed ebbe appena
tempo di tossire in cerca d’aria prima che un altro peso lo
inchiodasse al
suolo. Il Samurai lo fissò compiaciuto, a cavalcioni sul suo
addome, e
posizionò con estrema lentezza la lama sul collo niveo del
sovrano. Yao cercò
di respirare il più lentamente possibile: se avesse
deglutito, la sua gola si
sarebbe lacerata contro Heracles.
Le
iridi vuote avvamparono improvvisamente con una luce
cupa, e si appuntarono sul volto del sovrano come se volessero
carbonizzarlo
con la loro brama.
«Non
è per vendetta, Figlio del Cielo. È
perché posso farlo,
perché sono l’unico demone
della mia razza ad avere un potere abbastanza grande da sopraffare il
tuo!»
«Se
fosse così, non useresti il corpo di Kiku come
nascondiglio» la voce di Yao suonò forte e chiara
come quando teneva i discorsi
ai consiglieri, nonostante la lama premuta sulla sua carotide.
L’essere
si strinse nelle spalle, noncurante.
«Un
corpo vale l’altro. Ma ammetto che questo è
piuttosto
utile, visto che tu non vuoi scalfirlo» il suono delle unghie
sulla pietra
tombale gli si rovesciò sul viso, quando l’essere
rise di nuovo. «Il Figlio del
Cielo ucciso dal suo Samurai. Mi chiedo cosa diranno i tuoi
consiglieri…»
Il
mondo impazzì di nuovo: un secondo turbine si
agitò nella
stanza, ma questa volta colpì l’essere seduto su
di lui, scaraventandolo
all’altro lato della stanza. Heracles cadde con un gemito
metallico sul
pavimento.
Yao
si rialzò velocemente e vide Young Soo, le dita maledette
stese nella magia di vento, la fronte corrugata e imperlata di gocce di
sudore.
«Fratellone,
da questa parte!» le maniche turbinarono
intorno ai suoi polsi mentre manovrava il tornado in modo che tenesse
l’essere
il più lontano possibile.
Il
sovrano si affrettò a raggiungere il mago di corte, che
bisbigliò, furioso:
«Che
diavolo è successo a Kiku? Ho sentito una vibrazione
magica anomala e…»
«Quello
non è Kiku. Un demone si è impossessato di
lui.»
Un
silenzio di ghiaccio li avvolse, sovrastato selvaggiamente
dall’infuriare del vento.
«Non
so come si sconfigge un demone» ammise a denti stretti
Young Soo.
«Nemmeno
io» confessò il Figlio del Cielo.
«Ma
non possiamo uccidere Kiku…» il Portavoce del Sole
dovette interrompersi per concentrarsi sulla magia: l’essere
all’altro capo
della stanza era riuscito in qualche modo a guadagnare una posizione
stabile, e
stava contraccambiando l’attacco con un incanto di vento.
«Gli
Hellsing. Gli Hellsing sanno…»
«Vattene
fratellone! Scappa!» eruppe all’improvviso Young
Soo. Il Portavoce del Sole mantenne ferma la posa di battaglia, ma i
piedi
cominciarono a scivolare all’indietro come se un toro lo
stesse spingendo.
«Non
posso…» Yao cercò di adirarsi per
quella proposta, ma
Young Soo troncò ogni sua possibile protesta.
«È
forte, fratellone, molto forte. E non sappiamo come
combatterlo senza fare del male a Kiku» il Portavoce del Sole
digrignò di nuovo
i denti e caricò le braccia per poi lanciarle in avanti con
uno schiocco: una
folata improvvisa costrinse il demone a indietreggiare.
«Trova gli Hellsing!»
«Gli
Hellsing non esistono più, Youg Soo!»
«Sciogliere
un pezzo di ghiaccio non è un problema per te!»
il Portavoce del Sole si scorticò la gola per farsi udire
sopra l’ululato del
vento. «Non puoi stare qui, fratellone. Questo demone
è troppo forte per le
guardie, è troppo forte anche per me. Ti
ucciderà, fratellone. Scappa!»
La
spalla di Young Soo ruotò bruscamente
all’indietro, come
se un proiettile l’avesse colpita. Il Portavoce del Sole
azzannò un grido di
dolore, e mantenne vivo l’incantesimo puntando solo il
braccio illeso. Yao non
lo vide in faccia, ma il sorriso di Young Soo era visibile nelle sue
parole.
«So
che stai esitando per me, fratellone. E sono felice che
tu non voglia lasciarmi qui. Ma devi farlo fratellone. E poi devi
tornare. Io
ti aspetterò.»
Young
Soo voltò appena la testa. Il vento gonfiò gli
strati
vaporosi del suo vestito, e gli coprì il viso con i capelli
scompigliati, ma,
anche in mezzo a quella bufera, il sorriso e le lacrime del Portavoce
del Sole
scintillarono come le stelle che Chugoku aveva perduto.
«Ti
aspetterò sempre, fratellone.»
Young
Soo tese una mano verso di lui, come per chiedergli
conforto. Yao si avvicinò e il Portavoce del Sole ne
approfittò: aprì le dita,
poggiandole sul suo sterno, e mormorò velocemente un
incantesimo.
Il
Figlio del Cielo trovò improvvisamente trasportato fuori
dal Palazzo, fuori dall’atmosfera di Chugoku, e fece appena
in tempo a spiegare
le sue ali di fuoco prima di trovarsi nello spazio aperto.
Yao
non sapeva cosa fosse accaduto dopo, ma la stanza che ne
era stata testimone ricordava alla perfezione.
Se
solo avesse potuto parlare avrebbe raccontato con quanto
ardore il Portavoce del Sole avesse continuato a trattenere il demone,
impedendogli di inseguire il Figlio del Cielo. Avrebbe narrato con
quanta
violenza l’essere avesse disintegrato le difese di Young Soo,
scaraventandolo
contro il muro in un impeto di rabbia.
Il
Portavoce del Sole tossì per rinvigorire i polmoni, che
si erano accartocciati dentro le costole dopo quell’impatto
violento. La sua
schiena diventò un campo di dolore bruciante, e poteva
sentire delle crepe
aprirsi nelle ossa delle scapole. Ma non si preoccupò di
nessuna di quelle
cose: il demone gli si avventò contro, sibilando come un
nugolo di serpenti.
«L’hai
fatto scappare!» inveì, con la sua voce di vento e
morte.
Young
Soo sorrise contento, il sapore salato del sangue che
si spandeva sulle sue labbra.
«Sì.
Non potrai raggiungerlo. Lui tornerà e ti
distruggerà.
Perché nessuno, in questa Confederazione, è forte
quanto il fratellone!»
Il
demone lo sbatté di nuovo contro il muro, e Young Soo
sentì il cervello rimbalzare nella scatola cranica. Sperava
solo che
quell’essere lo uccidesse in fretta: era deciso a morire per
il fratellone, ma
non sopportava il dolore. Quando era stato un servo era abituato a
soffrire, ma
il fratellone lo aveva viziato troppo, in quegli anni. Era da tanto
tempo che
aveva disimparato il significato della sofferenza. Sorrise amaro, senza
lo
scudo della frangia, costantemente pettinata in modo da scoprirgli il
viso: l’affetto
del fratellone lo aveva reso un invertebrato.
Gli
occhi del demone si restrinsero in due fessure piene
d’odio.
«Tu
parlerai» la sua voce risuonò affilata e fredda
come lo
stridio di un coltello sul marmo.
Il
Portavoce del Sole sollevò il viso, trionfante. Forse
sarebbe morto, anzi, quasi sicuramente sarebbe morto, ma almeno avrebbe
trascinato
in disgrazia anche quell’essere disgustoso.
«Anche
se mi uccidessi, non risolveresti nulla. Non puoi
nascondere la scomparsa del fratellone, così come non
potresti nascondere la
mia. Sarai l’essere più ricercato di tutta
Chugoku, di tutto il Sistema Asean.
E prima o poi ti cattureranno.»
La
spavalderia di Young Soo si sgretolò con un brivido di
terrore. Il demone non pareva spaventato, anzi: un compiacimento
malevolo
distorse i lineamenti di Kiku, mentre si chinava con eleganza a
raccogliere
Heracles.
«Oh,
non pensavo di ucciderti. Creerebbe troppo scompiglio.
Tuttavia, non posso nemmeno permetterti di parlare.»
La
spada fu troppo veloce per essere vista: trapassò la
gamba del Portavoce del Sole con la facilità con cui avrebbe
lacerato un
fazzoletto di seta. Young Soo fissò la sua coscia con
un’espressione confusa,
incapace di realizzare cosa fosse successo. Solo quando la prima
scarica di
dolore gli perforò il cervello riuscì a urlare a
pieni polmoni. Ma sarebbe
stato più saggio non concentrarsi sulla lama conficcata nel
suo muscolo: se ne
rese conto solo quando gli artigli del demone gli avvilupparono la
testa. Le
sue parole untuose gli scivolarono nelle orecchie come veleno.
«Pensavo
a una paralisi totale. Il Portavoce del Sole non è
riuscito ad accettare il coma del sovrano, e ha deciso di seguirlo nel
suo
triste destino. Questa sarà la versione ufficiale. Divertiti
ad avvizzire come
un vecchio albero, Portavoce del Sole.»
Young
Soo non riuscì ad articolare il suo ultimo grido: una
rigidità cadaverica discese su di lui, viscida e
appiccicosa, solidificando i
suoi muscoli come se fossero stati immersi nella resina. Il Portavoce
del Sole
avvertì il suo corpo abbandonarlo un arto per volta: prima
la mascella si
contrasse, chiudendosi per sempre sulle sue ultime parole; poi si
immobilizzarono
le spalle, coagulando anche braccia e mani in un unico blocco
inamovibile. Il
torso diventò un pezzo di legno e, infine, non
riuscì più ad avvertire il
dolore alla coscia lesa.
Udì
il tonfo del suo stesso corpo mentre cadeva a terra,
incapace di chiudere le palpebre fossilizzate sui suoi occhi.
L’unica cosa
ancora in movimento nel suo corpo di pietra era la mente, e il demone
lo
osservò dall’alto con un ghigno satanico impresso
sul volto. Lo aveva
premeditato: lo aveva lasciato cosciente in modo che potesse assaporare
appieno
la disperazione di non poter in alcun modo fermare quella catena di
eventi.
Le
sue pupille fisse osservarono il demone che si rialzava,
che puliva Heracles. Videro il primo consigliere entrare nella stanza,
e furono
testimoni dell’incantesimo dell’essere infame:
manipolò i ricordi dell’ignaro
uomo in modo che credesse di essere entrato nelle stanze imperiali e di
aver
visto il sovrano giacere nel suo letto, vittima di un coma
apparentemente
irreversibile.
Vide
il consigliere uscire di corsa per dare l’allarme, e
vide il demone chinarsi su di lui, sogghignando diabolico.
«La
mente degli esseri umani, quando non sono guerrieri o
maghi, è così malleabile…»
flautò,
lezioso. Poggiò le dita sulle labbra e le impresse sulla
fronte fredda del
Portavoce del Sole, sghignazzando: «Sogni d’oro,
piccolo schiavo.»
Kiku
chiuse le palpebre, e gli occhi tremarono dietro di
esse. Quando si sollevarono, le iridi di carbone del Samurai saettarono
confuse
sulla stanza in disordine. Poi si appoggiarono su di lui, e Young Soo
scoprì
che anche il suo cuore era in grado di muoversi: sprofondò
in fondo ai piedi
quando le iridi di Kiku si spalancarono nel notare il suo corpo riverso
al
suolo.
Una
mano callosa e gentile gli sollevò la testa, mentre
l’altra gli circondava il busto.
«Young
Soo?» c’era un lieve allarme che guastava la
fermezza
della voce di Kiku. «Young Soo, che
cos’hai?»
La
sua bocca quasi esplose quando cercò di forzare le parole
fuori da essa. Voleva avvisare il Samurai, voleva dirgli che il
fratellone era
lontano e al sicuro, voleva…
«Il
cielo di Chugoku non ha ancora le stelle, Young Soo. Non
puoi abbandonarci ora…»
Il
cuore e l’anima si rattrappirono a quelle parole, si
accartocciarono e poi esplosero con un boato al centro del suo petto.
Sentì le
lacrime pizzicargli gli occhi di pietra, e bruciare come lava dietro di
essi. I
sassi non potevano piangere.
La
presa di Kiku si stinse gentilmente, premendolo contro di
lui. La sua coscienza guizzò dietro i muscoli irrigiditi,
cercando di uscire da
quelle membra di granito e gridare la verità a tutto il
Palazzo… Young Soo
rimase immobile come una bambola nell’abbraccio di Kiku.
«Abbiamo
bisogno di luce per il nostro cielo. Non puoi
spegnerti, Young Soo, non puoi…» il mormorio
accorato di Kiku crebbe
bruscamente in un ordine, gridato verso la porta aperta: «Il
Portavoce del Sole
sta male! Chiamate il medico di corte, presto!»
Altre
lacrime gli arroventarono gli occhi, e la sua anima
stridette di nuovo, prigioniera di un corpo di fango.
Quel
giorno Chugoku perse due delle sue stelle più luminose.
Yao
riaprì gli occhi, terminando il suo viaggio nel passato.
Durante
il suo esilio, aveva avuto modo di pensare con
freddezza agli avvenimenti di quella sera e si era convinto che fosse
giusto
uccidere Kiku, se non vi fossero state altre vie: Chugoku non poteva
cadere
nelle mani di un demone. L’Hellsing aveva portato una
scintilla di speranza, dicendo
che forse il suo pupillo si sarebbe salvato, ma era troppo flebile
perché il
Figlio del Cielo potesse davvero contare su di essa. Era stanco di
vedere i
propri legami fatti a pezzi: prima l’allontanamento della sua
famiglia
all’epoca della sua incoronazione, il tradimento di Kiku,
l’abbandono di Young
Soo….
La
porta della camera si aprì. Il cuore di Yao
singhiozzò in
uno spasmo quando Ivan entrò nella stanza.
Anche
quel legame sarebbe svanito presto, come un cristallo
di neve al disgelo.
«Non
hai detto una parola alla riunione» notò
l’orientale,
avvicinandosi al Custode.
Ivan
abbassò lentamente i suoi occhi violacei su di lui. Yao
era abituato alla lentezza con cui il gigante faceva le cose; non
doveva essere
facile muoversi con le articolazioni congelate dal Cuore
d’Inverno, e il Figlio
del Cielo aveva accettato quella particolarità di Ivan. Come
ne aveva accettate
mille altre: la sua possessività asfissiante, la sua
incapacità di comprendere
le emozioni altrui, la sua incuria per la vita umana.
All’inizio,
Yao aveva solo sfruttato Ivan: era finito nel
castello di quel gigante che, per qualche arcano motivo, nutriva un
interesse
particolare nei suoi confronti. Il Figlio del Cielo aveva tratto
vantaggio da
questa piccola debolezza per riuscire a viaggiare nella Galassia ed
entrare in
contatto con chi lo avrebbe portato dall’Hellsing e dal
Marauder. Il Custode
doveva essere semplicemente un mezzo per tornare a Chugoku.
Poi
una sera quell’uomo di ghiaccio si era accovacciato ai
suoi piedi, aveva cercato il suo calore e gli aveva confessato di aver
ucciso.
E, quella volta, Yao aveva visto l’immensa voragine in cui il
cuore dell’uomo
era sprofondato. Ivan non stava solo confessando il suo crimine: stava
cercando
qualcuno che potesse scuoterlo dalla sua apatia, che potesse spiegarli
perché
la sua memoria era improvvisamente diventata un sepolcro vuoto.
Qualcuno che
mettesse a tacere il gelido ululato dei fantasmi e parlasse con il
calore di un
essere umano.
In
quel momento, il Figlio del Cielo aveva capito che non
era nelle intenzioni del Custode essere crudele: Ivan semplicemente non
ricordava
cosa significasse essere umani. Il ragno sul suo petto aveva
risucchiato anche
quello.
Era
stato allora che Yao aveva cercato di consolarlo con un
bacio, e aveva provato tutto il gelo che quell’uomo era
costretto a sopportare
ogni giorno. Poi quel gigante privo di empatia lo aveva preso sulle
ginocchia,
e lo aveva avvolto con la sua sciarpa, l’unica cosa che
ritenesse davvero
preziosa. E gli aveva chiesto di baciarlo ancora.
Quella
sera tutto si era complicato.
Yao
aveva cominciato a interessarsi a Ivan nello stesso modo
in cui il gigante era affascinato da lui. Lo aveva studiato, nei mesi
successivi, fino a riuscire a capire le emozioni che passavano sotto le
lastre
di ametista che l’uomo aveva come occhi.
Ivan
non era un essere senza sentimenti: era un uomo che non
ricordava più come esprimere quello che sentiva. Desiderava
scoprirlo di nuovo
e, allo stesso tempo, temeva che il Cuore d’Inverno avrebbe
nuovamente inghiottito
le sue emozioni, lasciando solo una distesa arida dietro di
sé.
Yao
non era più riuscito a staccarsi da lui: desiderava
avvolgerlo con il suo calore, bandire l’inverno perenne in
cui l’uomo era
immerso e vedere il vero Ivan sbocciare di nuovo come gli anemoni in
primavera.
Il
Custode avvertiva un baratro dentro di sé, e non sapeva
nemmeno di che cosa fosse stato
svuotato perché il Cuore d’Inverno non gli
permetteva di ricordare il tepore di
una famiglia. Yao desiderava riempire quel vuoto fino a farlo debordare.
Un
amore così folle e disperato non si addiceva
all’eterea
figura del Figlio del Cielo. Un sovrano avrebbe dovuto mettere il bene
del
proprio popolo sopra ogni cosa; Yao avrebbe abbandonato Chugoku, se
solo Ivan
glielo avesse chiesto.
Il
Figlio del Cielo scosse il capo tra sé e sé. No,
non lo
avrebbe fatto: Young Soo e Kiku lo stavano aspettando. Ma sapeva che
loro
avrebbero accettato una sua eventuale partenza, anche se con il cuore
gonfio di
lacrime. Il suo trono, invece, non lo avrebbe fatto: lo avrebbe tenuto
avvinto
a sé con le catene che si nascondevano dietro gli abiti
imperiali.
Non
aveva mai pensato prima alle sue responsabilità come a
un fardello, e non avrebbe mai immaginato di desiderare di lasciare il
suo
paese natale per un singolo uomo. Ivan aveva cancellato ogni cosa, come
la neve
che fagocitava il mondo durante gli inverni più implacabili.
Yao
reclinò appena il capo, e i capelli ricaddero voluttuosi
sul petto. Il Custode adorava la sua chioma sciolta, e anche quella
sera sollevò
la mano guantata per accarezzarla. Le dita si fermarono a
mezz’aria, rigide, e
si richiusero a pugno senza nemmeno sfiorarlo.
Ivan
sollevò la sciarpa sul volto e gli voltò le
spalle,
raggiungendo a larghe falcate la rastrelliera.
«Ivan»
lo chiamò pacato Yao, mentre l’altro appoggiava la
mazza ferrata all’apposito sostegno. «È
così penoso toccarmi?»
Il
Custode si erse in tutta la sua statura, ma non si voltò.
Il Figlio del Cielo ebbe l’impressione che fosse una montagna
a rimbombare:
«Domani
tornerai a Chugoku. Non sarai più Yao Wang. Sarai di
nuovo il Figlio del Cielo.»
L’Asean
raccolse quella provocazione e ribatté:
«Credevo
che la nostra promessa avesse valore finché questo
incidente non si fosse risolto.»
Il
Custode rimase immobile. Yao si avvicinò di un passo.
«Hai
intenzione di evitare di guardarmi fino a domani
mattina?»
Ivan
sollevò ulteriormente la sciarpa e si voltò verso
di
lui. Gli occhi ametista erano duri come sempre, ma Yao aveva imparato a
distinguere le varie sfumature. Quella era la tonalità del
dubbio. Ivan si
stava chiedendo quanto sarebbe occorso al Cuore d’Inverno per
divorare i
ricordi del loro tempo insieme. Prima si sarebbe scordato il suo nome,
poi il
suo viso, il suo corpo, la sua voce, il suo calore… gli
sarebbe rimasta solo la
vaga impressione di un’ombra nella sua vita gelida.
Quegli
interrogativi si infissero negli occhi di Yao e
risuonarono nelle sue ossa. Anche lui sarebbe diventato un fantasma di
quella
Fortezza, come Ivan sarebbe diventato un cimelio da passare ai suoi
successori?
La
mano di Yao corse ad afferrare quella di Ivan. Passò i
polpastrelli sulla pelle lucida del guanto, prima di pizzicare il medio
sulla
punta. Tirò con delicatezza, denudando pian piano la mano
del Custode. Sentì un
fremito scorrere nelle vene di Ivan quando si sporse per baciargli le
nocche, e
i suoi capelli ricaddero come una carezza setosa sul polso
dell’uomo. Con
delicata lentezza, Yao poggiò quella mano grande e fredda
sul suo sterno, sotto
la camicia, dove riposava la memoria dei suoi antenati.
«All’inizio
pensavo che fossimo opposti» mormorò, vellutato.
Quella sera era il suo turno per confessarsi. «Poi ho capito
che siamo più
simili di quanto non possa sembrare. Tu non hai ricordi, Ivan, mentre
io ho una
miriade di memorie che non mi appartengono. Sai a volte… non
si riesce più a
distinguere tra la propria vita e quelle degli altri.»
Yao
chiuse gli occhi, mentre il segreto che aveva chiuso
dentro di sé tanti anni prima affiorava. Il Figlio del
Cielo, a volte, non
riusciva a distinguere quale vita avesse vissuto davvero.
Gli
occhi di Ivan si assottigliarono, cercando di
comprendere cosa si provasse in una situazione simile. Yao sorrise
dolcemente:
anche quei tentativi rudi erano una prova dell’affetto
sincero del Custode.
Quell’uomo dimostrava un amore sconfinato, se solo si
sapevano cogliere i
segnali.
«So
che la mia vita è quella in cui posso sentire la risata
di mio fratello, in cui posso vedere il mio figlioccio
allenarsi» Yao sollevò
gentilmente la mano di Ivan al livello del suo viso e vi
appoggiò la guancia.
Il pollice dell’uomo si mosse quasi istantaneamente per
accarezzare la sua
pelle liscia. «So che ci sei tu, Ivan» il giovane
orientale sfiorò con le dita
le nocche dure del compagno. Il Figlio del Cielo era legato da troppe
responsabilità e impegni per lasciarsi andare ai sentimenti,
ma Yao Wang era
libero di immergersi nell’intricato amore di Ivan fino ad
affogare. «Non so
cosa ci aspetta domani, se dovrò tornare sul trono o se
cadrò combattendo. Ma
stasera sono qui, Ivan. Con te.»
Il
Custode gli fece sollevare il viso e lo trafisse con i
suoi occhi violacei. Il suo volto, anche se nascosto dalla sciarpa,
palesava un
unico interrogativo: per quanto ancora le memorie di Yao sarebbero
rimaste
vivide nella sua memoria carnivora?
La
mano di Ivan scivolò tra i suoi capelli, stringendosi a
pugno sulla sua nuca e attirandolo bruscamente a sé.
«Tu
sei mio» dichiarò, incatenandolo con il suo
sguardo
ghiacciato.
Era
la massima confessione d’amore che quell’assurdo
uomo
potesse fare. Yao si allungò per srotolare la sciarpa e
liberare il suo viso.
«Allora
dimostralo» lo incoraggiò, lanciandogli uno
sguardo obliquo
da sotto le ciglia nere. Anche quello era un comportamento che non
sarebbe
stato accettato dal trono reale, ma lì era solo un giovane
orientale innamorato
del più incomprensibile uomo che fosse mai esistito
all’interno della
Confederazione.
Ivan
si inginocchiò lentamente, e le sue grandi mani
salirono a slacciare i bottoni della camicia che Yao indossava per la
notte. Il
sole al centro dello sterno venne messo a nudo e l’Asean
immaginò che l’uomo vi
avrebbe premuto contro il viso come faceva sempre. Invece le labbra del
compagno gli sfiorarono la clavicola e risalirono sul collo, le mani
ancora
impegnate a spogliarlo. L’orientale rabbrividì
quando la camicia raggiunse i suoi
gomiti e le labbra di Ivan il suo orecchio.
«Yao.»
Il
mondo affondò per un attimo su quell’unica parola.
Ivan
non lo aveva mai chiamato per nome nell’intimità.
Forse temeva che il Cuore d’Inverno
avrebbe sbriciolato quelle tre lettere se le avesse pronunciate
apertamente. O
forse mai come in quel momento, a un passo dalla loro separazione, Ivan
aveva
paura di dimenticarlo se lo avesse lasciato andare anche un solo
istante.
Ripeté
il suo nome mentre appoggiava le mani sui suoi
fianchi, e lo fece scivolare lungo il suo busto mentre si inginocchiava
davanti
a lui.
Il
desiderio di Ivan gli marchiò il petto a ogni bacio
affamato che l’uomo vi depositò sopra. I baci di
Ivan erano fratelli dei morsi,
e lasciarono una pioggia di segni rossi sul loro passaggio.
Le
mani di Yao circondarono quei lineamenti duri, e i suoi
capelli scesero a creare un sipario setoso tra loro e il resto della
Fortezza.
Il tempo perse di senso, lo spazio di consistenza, e il mondo si
restrinse ai
loro occhi legati tra di loro.
Passò
un istante e una vita prima che Yao conducesse Ivan
sul letto alle loro spalle.
Curiosità
e perplessità scivolarono nel viola immobile delle
iridi del Custode mentre l’Asean lo faceva sedere e si issava
ad arcioni su di
lui. Il Figlio del Cielo abbassò lo sguardo sul suo cappotto
per dissimulare un
sorriso: Ivan aveva sempre un pizzico di meraviglia e confusione negli
occhi,
come un bambino che scopre il mondo e non sa bene come rapportarsi con
esso.
Anche dopo tutte le notti in cui avevano giaciuto insieme, il Custode
non aveva
perso quella sua espressione speculativa, quasi non avesse ancora
capito cosa
aspettarsi da Yao. Il Figlio del Cielo non poteva biasimarlo: nemmeno
lui
sapeva cosa aspettarsi da se stesso, quando era insieme a
quell’uomo glaciale.
L’orientale
si dilungò nello spogliare il suo amante: prima
il guanto rimasto, poi il pesante cappotto, quindi la camicia, un
bottone per
volta. Il brivido ormai familiare si scaricò alla base della
nuca per poi
percorrergli tutta la spina dorsale; mettere a nudo il suo compagno un
passo
alla volta, lentamente, era il rituale preferito di Yao. Gli piaceva
sentire il
desiderio lievitare pian piano in quel punto poco sotto lo sterno, e
trovava
gradevole l’aspettativa palpitante che si spandeva nel suo
corpo come un
monsone. Ma più di tutto adorava osservare Ivan, il gigante
di ghiaccio, ribollire
nell’impazienza mentre le sue mani scendevano verso il basso
per slacciargli la
cintura.
Le
dita artiche del Custode gli artigliarono i fianchi,
spingendolo di colpo contro di sé. Le labbra di Yao si
tinsero di un sorriso
severo, rimproverandolo silenziosamente per quella brutalità
indesiderata.
Il
Cuore d’Inverno baciò lo sterno del Figlio del
Cielo
mentre i loro petti e i loro bacini nudi premevano gli uni contro gli
altri.
Le
dita di Yao si insinuarono nei capelli dell’uomo,
iridescenti come la brina di dicembre, e le sue labbra sfiorarono
quella fronte
spianata da una totale assenza di emozioni.
Per
la prima volta, sentì la pelle dell’uomo
riscaldarsi
alle sue sole parole, le più ardenti che l’Asean
avesse mai pronunciato in
tutta la sua vita.
«Avrei
voluto essere abbastanza forte da spezzare il
sortilegio del Cuore d’Inverno.»
Ivan
lo stritolò quasi nel suo abbraccio di ferro, e
tuffò
il viso nel suo collo, coprendolo con i suoi baci violenti.
«Yao»
lo chiamò di nuovo, stringendo la presa sui suoi
fianchi fino a fare male. Dopo tutto quel tempo, Ivan ancora non aveva
capito
quale fosse il confine da non superare. «Il mio
Yao.»
L’Asean
sfiorò le labbra dell’uomo con le proprie, e la
mano
del Custode premette istantaneamente sulla sua nuca per spingerlo in un
bacio
più profondo. Yao si scostò bruscamene per
liberare un gemito quando l’amante
lo spinse su di sé senza alcun preavviso. Ivan non aveva
ancora imparato cosa
fosse la delicatezza, per sua sfortuna. Il respiro inciampò
in ansiti spezzati
attraverso le sue membra tremanti, e si aggrappò
all’amante per recuperare il
controllo. Respirò il suo odore freddo e pungente,
immobilizzò la bocca contro
quella pelle ghiacciata e affondò le dita nei capelli di
brina del compagno.
I
palmi di Ivan gli coprirono la schiena, stringendolo con
più delicatezza. In qualche modo, aveva capito di avergli
fatto male.
Yao
riaprì gli occhi lucidi, e li appuntò sul viso
del suo amante.
Non
voleva che quei ricordi passassero nella memoria
generazionale, dove un suo anonimo successore avrebbe potuto vederli.
Chiunque
fosse venuto dopo di lui non avrebbe mai provato sulla sua pelle
l’ineffabile
dolore di essere innamorato di un uomo senza memoria. Non avrebbe mai
capito
cosa lo avesse spinto a legarsi a un essere così privo di
tenerezza. Non
avrebbe mai compreso la bellezza nostalgica di una sciarpa, non avrebbe
mai
contato le sfumature delle iridi ametista, non avrebbe mai tratto gioia
dalla
primitiva gentilezza del Custode. Non avrebbe mai amato Ivan come lo
amava lui.
E quelle memorie non avevano senso, senza la sciarada di emozioni
incontrollabili in sottofondo. Senza di esse, sarebbe rimasta solo
l’immagine
che tutta la Confederazione aveva del Custode: un gigante figlio
dell’inverno,
privo di emozioni e di pietà.
Non
voleva passare quei ricordi così preziosi a chi non li
avrebbe apprezzati. Il Figlio del Cielo desiderò potersi
strappare quelle
memorie dal petto, e metterle sottochiave dove solo lui avrebbe potuto
consultarle.
Un
bacio ruvido si impresse sulla sua tempia, per poi
scivolare sulle sue labbra.
Si
chiedeva se anche Ivan provasse lo stesso desiderio di
poter salvare quei ricordi dalla sete del Cuore d’Inverno, e
conservarli in una
stanza di quella Fortezza desolata.
Le
dita dell’uomo scorsero tra i suoi capelli, lo
spogliarono dell’inutile camicia, lo afferrarono di nuovo per
i fianchi e lo
spinsero ancora verso il basso. Un’onda di calore sorse tra
le sue cosce e salì
violenta a inondargli il petto mentre si muoveva insieme
all’amante. Quella cascata
bollente trasmigrò su Ivan: la pelle dell’uomo
diventò gradualmente più calda,
incontrandosi ripetutamente con la sua.
«Non
sei più freddo» notò Yao sulle sue
labbra.
Ivan
lo cinse in uno dei suoi abbracci opprimenti, e spinse
più forte dentro di lui.
«Fa
ancora freddo» protestò, arrampicandosi con la
bocca
sulla sua mascella.
Era
il suo modo per chiedergli di restare con lui, di non
abbandonarlo al gelo e alla solitudine di quel posto. Di essere il suo
sole
ancora per un po’.
Un
roveto di spine gli frantumò il cuore, lasciandolo senza
fiato.
Mosse
le dita istintivamente sul petto sussultante, come
Young Soo faceva ogni volta che lo vedeva angustiato.
Non
fa male, non
fa male… non fa più male!
Sarebbe
bastata quella formula infantile per scacciare il
dolore?
Fissò
gli occhi di Ivan, la sua fronte sudata e le sue
labbra dischiuse nell’affanno. Sfregò la bocca
ansante su quella dell’uomo,
come se quel bacio, quell’unione potesse dilatare il tempo e
far durare quella
notte per sempre.
No,
quell’incanto puerile non sarebbe stato sufficiente per
lasciare andare Ivan. Una vita intera non sarebbe bastata per liberarsi
di quei
ricordi dolcemente velenosi.
Erano
il prezzo da pagare per il regnante che aveva deciso
di innamorarsi dimenticandosi delle regole auree del Palazzo.
Lo
avrebbe pagato ogni volta che avesse indugiato nel
ricordo di due occhi violacei e freddi, di mani prive di dolcezza e di
un’anima
congelata. Lo avrebbe pagato, ma non lo avrebbe mai rimpianto; quelle
memorie
sarebbero diventate delle spine e poi delle spade infisse nel suo
cuore, e Yao
le avrebbe benedette. Perché, col dolore, sarebbero arrivati
i ricordi di Ivan,
e quelle immagini erano sufficienti per accettare qualunque supplizio.
L’Asean
si inarcò su di lui, le mani nei suoi capelli e la
bocca sulla sua. Le mani del Custode percorsero la sua schiena
fremente, e
scivolarono lungo la sua chioma scura, strattonandola appena con le
loro
carezze rudi.
Yao
cercò di memorizzare e cancellare al contempo le
sensazioni, il calore e i colori di quella notte insieme. Avrebbe
voluto farne
tesoro, ma non voleva incamerarli nel suo sterno di fiamme, che un
giorno
sarebbe passato a qualcuno che avrebbe guastato quei ricordi con il suo
disgusto.
Se
solo potessi
essere davvero tuo, Ivan…
Buonasera
a
tutti<3
Dichiaro
conclusa la parte introduttiva della saga orientale: nel prossimo
capitolo si
entra nel Palazzo<3 E si scoprirà che fine ha fatto
il Marauder<3
A
parte questo,
nulla da dichiarare<3
Spero
che vi sia
piaciuta la parte RoChu (amo questa coppia, la amo da morire<3)
e che
abbiate patpattato il povero Gilbert, che meriterebbe tutto
l’amore e la
tenerezza che quella sadica dell’autrice gli ha brutalmente
strappato.
Ci
vediamo tra
due settimane<3
Red
P.S.
Casomani
qualcuno di voi se lo stesse chiedendo, visto che un questo capitolo
è
rispuntato Roderich… sì, più avanti
nei capitoli ci sarà un pezzo di “riunione
familiare” tra lui e Gilbert, e anche tra lui e
Mathias<3
P.P.S.
Rinnovo
l’annuncio di due settimane fa: se vi viene in mente qualcosa
che volete vedere
negli spin-off, chiedete pure<3