Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: HamletRedDiablo    03/03/2014    6 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo Diciannove: Rancori Passati

 

La riunione fu veloce e concisa, una volta che Yao e Arthur ebbero riassunto le loro scoperte all’equipaggio della Reina.

Il popolo era convinto che il Figlio del Cielo fosse in coma, le condizioni del Portavoce del Sole erano misteriose e il Samurai sembrava all’oscuro della catastrofe di cui era stato artefice. Il non ti scordar di me aveva indicato il Palazzo, per cui le istruzioni erano semplici: il giorno dopo si sarebbero introdotti nel castello, avrebbero trovato il Marauder e avrebbero combattuto contro il demone. Si sarebbero intrufolati solo Yao, che conosceva il posto, Arthur, che custodiva il fiore di cristallo, e Gilbert, l’unico in grado di fronteggiare degnamente i demoni. Gli altri avrebbero atteso in alcuni punti strategici per poi fare irruzione nel Palazzo al momento della battaglia.

Yao aprì le mani a guisa di calice: sottili scie di luce partirono dalle sue dita e si rincorsero nell’aria, creando un modello impalpabile del Palazzo Imperiale. Alcuni globi di fuoco si accesero lungo il perimetro, indicando le esatte posizioni in cui si sarebbero dovuti trovare il giorno dopo.

«Dobbiamo agire il più velocemente possibile» concluse Yao, dissolvendo la costruzione evanescente con un soffio gentile: le lingue di luce si dispersero in una polvere dorata che svanì prima di toccare il suolo. «Il demone non deve accorgersi di noi.»

Gilbert fece trasalire tutti i presenti quando calò bruscamente gli stivali sul tavolo. Si dondolò torvo sulla pesante sedia di legno, gli occhi rossi incupiti come se tutto il suo sangue si fosse riversato nelle sue iridi guerresche.

«“Un demone” è una descrizione un po’ vaga» sbottò alla fine, incrociando le caviglie. «Non sai quale sia il suo elemento costitutivo? Ti ha ridotto in fin di vita, da quel poco che ci hai detto. Non hai notato niente, mentre ti massacrava?»

Il respiro si ritirò nei polmoni dei presenti; nessuno osò fiatare, nessuno osò battere le palpebre, nessuno osò muoversi. Per un attimo, Gilbert vide di nuovo l’immobilità gelida di Caina in quelle facce pietrificate dall’orrore.

Si trattenne dallo sputare a terra solo perché quella era la nave di Antonio. Il Figlio del Cielo non poteva continuare a temporeggiare su quella questione: avevano atteso anche troppo per sapere cosa fosse realmente successo la notte in cui era stato spodestato. Si rendeva conto che non fosse piacevole rivivere il ricordo di una sconfitta e di una perdita, ma non gli interessava: aveva il dovere di farli uscire sani e salvi dalle grinfie del demone, in quanto unico Hellsing presente, e, per farlo, aveva bisogno di conoscere il suo nemico.

Yao lo fissò con i suoi occhi d’inchiostro, batté un’unica volta le palpebre e si sedette al tavolo in un frusciare di seta.

«Non è un demone nato da un elemento» la voce regale srotolò quel racconto di sangue come se stesse svolgendo un velo di seta. «È un demone nato da un’emozione.»

Le ciglia del Figlio del Cielo tremarono per un istante, ma la sua voce rimase ferma.

«La guerra sino-britannica. Quella che ci ha privato delle stelle. Moltissimi uomini sono morti, da entrambe le parti. Moltissime mogli, figli, fratelli, amici li hanno pianti. Quel demone è nato dalle loro lacrime e dal loro sangue.»

«Non è corretto» Gilbert irruppe di nuovo nella conversazione con la brutalità di una frana. «Quei demoni sono spiriti inferiori, incapaci di ottenere un corpo materiale. Si cibano delle emozioni più forti e più basse delle persone per acquisire potere. Certo, di solito riescono solo a sbocconcellare qualche ventata d’odio occasionale, ma in questo caso…» l’Hellsing tolse i piedi dal tavolo e vi abbatté sopra un pugno che fece trasalire i presenti. «Un demone di questo tipo, che si è nutrito degli ultimi pensieri di migliaia di morti, e ha avuto centinaia di anni per assimilarli, deve avere raggiunto un potere non indifferente» una risata senza gioia contorse le labbra di Gilbert, e una nuova ondata di panico torse lo stomaco dei presenti alla sua successiva invettiva: «Questi demoni si cibano solo delle emozioni peggiori, Figlio del Cielo. Tutti quei soldati devono aver maledetto i tuoi predecessori, prima di morire.»

«È probabile. Anzi, direi che è certo. In fondo, sono stati loro a mandarli in guerra» confermò quieto Yao.

 La reazione del sovrano atterrì ulteriormente i presenti. La sua calma imperitura assomigliava troppo alla finta serenità che precedeva i più turbolenti tifoni marini.

«Ma questi demoni di solito non si impossessano delle persone» obiettò Gilbert. «Di solito si stabiliscono dentro oggetti inanimati. Ma, per farlo, hanno bisogno di uccidere qualcuno, per sfruttare l’energia dell’anima che lascia il corpo e cingersi all’oggetto scelto…»

«In che modo uccidono?»

Una vena di allarme palpitò nella voce armoniosa del sovrano. Gilbert si strinse nelle spalle.

«Non lasciano segni. Il soggetto è in piena salute e il giorno dopo…» questa volta fu il palmo dell’Hellsing a schiantarsi sul tavolo. «Auf Wiedersehen

Yao trasse un profondo respiro, come se improvvisamente i suoi polmoni fossero diventati troppo stretti per raccogliere il fiato necessario.

«Si è verificato un episodio simile» le parole uscirono a tratti dalle sue labbra, quasi avessero paura di avventurarsi nel mondo esterno. «Un amico di Kiku è morto senza alcuna spiegazione apparente. Nessun segno di lotta, o di malattia, o di avvelenamento. Semplicemente morto. E Kiku, da allora, non si è mai separato dalla katana che Heracles aveva forgiato…»

«Quando dici “da allora” quanto tempo intendi, esattamente?»

«Degli anni.»

Il palmo si sollevò dal tavolo e si abbatté sulla faccia di Gilbert.

«Anni. È un miracolo che il tuo pupillo sia rimasto in sé così a lungo» commentò caustico l’Hellsing.

«Avevi detto che questi demoni non possono impossessarsi…»

«Ma possono controllare un essere umano. Prendere possesso di un altro corpo è un procedimento complicato perché bisogna mettere a tacere per sempre l’anima dell’ospitante. Ma controllarlo dall’esterno, come una marionetta, è molto più semplice: basta zittire l’anima per qualche istante e poi ritirarsi, e il controllato non avrà alcuna memoria di quanto successo» Gilbert incrociò le braccia, ringhiando amaro: «I demoni sanno sempre qual è la via più diretta per il successo.»

Il viso del Figlio del Cielo si fece terreo, a dispetto dell’espressione inalterata, come se quelle notizie gli stessero assorbendo il sangue una goccia dopo l’altra.

Gilbert passò una mano nei capelli argentati, calcolando a denti stretti: «Se è così, allora forse abbiamo qualche speranza. Però, dopo tutto questo tempo, probabilmente sarà già riuscito a creare dei contatti, come i fili della marionetta… questo complicherebbe le cose.»

L’Hellsing schioccò le dita, giungendo a una soluzione.

«È possibile che il tuo figlioccio esca indenne da questa situazione, ma le possibilità sono molto basse» Yao apprezzò la schiettezza cruda con cui Gilbert gli concesse una speranza spogliandola di ogni illusione. «Kiku è l’ancora che tiene questo demone sul nostro piano di esistenza; se uccidiamo il demone mentre è ancora legato a lui, moriranno entrambi. Dobbiamo riuscire a tagliare i fili che li legano, e poi potrò ammazzare il demone.»

«E chi meglio di un Marauder, per individuare dei fili invisibili?» Antonio spezzò l’attenzione con quella domanda che aveva un retrogusto di risata.

Arthur, Gilbert e il capitano portarono in contemporanea gli occhi sul non ti scordar di me. Già, chi meglio di Francis poteva risolvere una situazione impossibile?

Una spolverata di riflessi ramati si spezzò sulla chioma argentea dell’Hellsing, quando questo scosse il capo sotto il lume della lampada a olio.

«Ha resistito così tanto tempo e continua a resistere senza sapere nemmeno di avere un demone sulle spalle. Questo tuo figlioccio deve avere dei nervi d’acciaio.» Sebbene il tono fosse aspro e la curva delle labbra fosse più simile a un ghigno che a un sorriso, il Figlio del Cielo accettò quel commento come un complimento.

«Kiku ha la forza del giunco. Riesce sempre a rialzarsi, anche quando è abbattuto» scacciò la malinconia con un battito di palpebre e aggiunse: «C’è ancora una questione di cui vorrei discutere con voi.»

Yao attese un istante, per essere sicuro di aver ottenuto l’attenzione di tutti i presenti, e annunciò:

«Sappiamo tutti che, una volta sconfitto questo demone, la meta successiva sarà il Vaticano. Voglio invitarvi a riflettere su cosa avverrà dopo.»

«In che senso?» borbottò un marinaio.

Roderich, che fino a quel momento era rimasto immobile e impassibile sulla sua sedia, sistemò gli occhiali e la voce prima di lanciare l’annuncio che fece di nuovo calare un silenzio mortale.

«È una notizia che il Vaticano tiene riservata. Al confine della Confederazione sono ammassati mille demoni. Demoni che trovano irresistibile la carne umana. Lo scopo dell’Asse non è solo quello di proteggere l’armonia delle Galassie; il suo compito principale è quello di mantenere intatto lo scudo che ci separa da loro.»

Tutti si voltarono verso Lovino, che restituì lo sguardo senza davvero vedere nessuno di loro. Non gli avevano mai accennato a nulla del genere, nelle Ville Vaticane. Mai.

Sentì come lo schiocco di una frusta sul cuore, e il suo mondo crollò in mille pezzi. Per anni non aveva fatto altro che pensare a portare via suo fratello dal Palazzo di Quarzo, e a trovare un pianeta remoto su cui vivere insieme. Se pensava al suo futuro, lo vedeva come una strada con una destinazione precisa, ma quella stessa via si stava ritorcendo su se stessa come un serpente, scaraventandolo in un precipizio buio.

Se avesse strappato suo fratello al Palazzo, l’intera Confederazione sarebbe stata devastata dai demoni. Sapeva che senza l’Asse il benessere della Galassie sarebbe stato fortemente colpito, ma uno sterminio di massa andava ben oltre quello che aveva previsto. E i demoni non avrebbero fatto distinzioni tra innocenti e colpevoli.

«C’è un modo per risolvere tutto questo.»

L’affermazione del Figlio del Cielo suonò ovattata ai suoi sensi affogati in un oceano di pensieri. Gli occorse qualche istante per scomporre quelle parole, ricavarne il senso e accendere di nuovo il lume della speranza.

«Il Mago dell’Ovest proviene da un’altra dimensione. È la prova vivente che è possibile uscire indenni da un viaggio oltre lo spazio e la materia» proseguì sicuro Yao. Non diede tempo ai marinai di sorprendersi o ad Arthur di protestare per quella rivelazione indesiderata. «Se l’Asse, Lovino, il Mago dell’Ovest e io sincronizzassimo le nostre energie, probabilmente riusciremmo ad aprire più portali per permettere alle persone di fuggire, prima che lo spazio collassi.»

«Ciò che state suggerendo è…»

«La distruzione della Confederazione» Yao tagliò alla radice l’intrusione del marinaio. «E della sua ipocrisia. Una volta per tutte.»

«Bisogna fare molta attenzione con i viaggi dimensionali» li ammonì severo Arthur. «Bisogna avere un’idea abbastanza chiara del tipo di luogo in cui si vuole approdare. Quando sono partito, ricordo che avevo pensato a un posto che avesse delle cose nuove da insegnarmi…» il resto della frase si spense. Morte, malattia e ipocrisia: in un certo senso, aveva imparato cose che a Faerie non avrebbe mai nemmeno immaginato. «Dobbiamo essere molto attenti.»

«Un nuovo inizio in una nuova dimensione» la risata grezza di Gilbert raschiò l’aria. «Non sembra male.»

«Ho sempre pensato di distruggere il Vaticano» dichiarò Antonio, con una tranquillità agghiacciante. «Una piccola deviazione non mi disturba.»

«Dobbiamo studiare con accortezza il piano!» ricordò brusco Arthur. «Non si viaggia in un’altra dimensione senza essere preparati!»

«Facciamoli a pezzi.» Un ghigno intorbidò lo sguardo che Lovino rivolse a Yao. Il Figlio del Cielo non rispose apertamente, ma tutto il suo corpo si trasformò in un sogghigno soddisfatto. Il loro fuoco avrebbe distrutto la Galassia, e una nuova era sarebbe sorta da quelle ceneri.

«Prima la liberazione di Chugoku» decretò infine il Figlio del Cielo. «E poi quella della Confederazione.»

 

***

 

Gilbert non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi: riconosceva quel passo spavaldo.

«Sei venuto a farmi la ramanzina, Antonio?» domandò, laconico.

La riunione era stata sciolta, e l’Hellsing si era diretto al ponte di poppa, da cui era possibile vedere in lontananza un minuscolo pianeta con una casa vicino al lago e una tomba poco lontano.

«Non sei un moccioso, non mi disturberò a farti la predica» Antonio si appoggiò alla balaustra, di fianco a lui. Lo sguardo dell’Hellsing si inabissò di nuovo tra le stelle, e il capitano non cercò di dirottarlo su di sé. «Volevo solo farti notare che sei stato molto scortese con il Figlio del Cielo.»

«Gli ho detto la verità.»

«L’hai detta in modo che gli facesse più male possibile. Almeno all’inizio. Riconosco che dopo sei stato più moderato» Antonio seguì la traiettoria dello sguardo di Gilbert, e il petto gli si ingorgò con un sospiro.

La testa dell’Hellsing crollò con una risata graffiante, mentre l’uomo si scompigliava i capelli.

«Avevo detto che me lo sarei lasciato alle spalle, Antonio, ed è vero. Ho accettato la sua morte, ho accettato il fatto che non c’è più» i pugni si strinsero finché le nocche non assunsero quasi lo stesso colore opalescente della sua chioma. «Ma lui si è ucciso perché pensava di essere l’ultimo demone. Pensava di liberarmi dal mio ruolo maledetto dal Vaticano. E adesso… scopro che c’è un altro bastardo senza guinzaglio. È come se la morte di Matthew non fosse servita a niente.»

Gilbert sollevò il suo sguardo sanguigno, fissando quel minuscolo punto di luce. I lati del suo campo visivo diventarono scuri e indistinti, man mano che si focalizzava solo su quello spillo luminoso. Poi, dopo che la nave si fu allontanata ulteriormente, anche quella capocchia scintillante sparì. Una risata amara gli corrose il petto. Eccola lì, l’allegoria della sua vita: un buio infinito rischiarato da una singola particella di luce, improvvisamente inghiottita dalle ombre circostanti.

«Eri davvero innamorato di questo ragazzo» il calore nella voce di Antonio lenì per un attimo il freddo che aveva attanagliato l’Hellsing.

«Così è riduttivo» sbottò Gilbert. Il capitano vide i ricordi di una vita scorrere sotto le iridi amaranto dell’amico. «Matthew era qualcosa per cui valeva davvero la pena di respirare ancora. Ho perso la famiglia, ho perso la mia gente. Ho visto il mio nome preso e gettato nel fango dal Vaticano» le dita dell’uomo tambureggiarono sul legno come per aiutare le parole a uscire. «Poi guardavo Matthew e tutto quello che avevo passato acquistava senso, se era servito a portarmi fino a lui.»

Gilbert si zittì, e Antonio non fece pressioni. Entrambi avevano perso la casa, la famiglia, e tutti i loro conoscenti. Ma lui era più fortunato: lui aveva Lovino. L’Hellsing non aveva nessuno.

Gilbert gli rivolse uno sguardo sornione, prima di piegare le labbra in una frecciatina:

«E il tuo vice, invece? Riesce a spazzare via tutte le brutture, con il suo angelico sorriso

Antonio trattenne a stento una risata. Il suo amico aveva davvero uno spirito di ferro: perfino dopo essersi spezzato l’anima nei ricordi di Matthew riusciva a fare una battuta a tradimento. Sperava davvero che Gilbert non cambiasse mai.

«No, non riesce a cancellare il mondo» lo smentì Antonio. «Ma riesce a diventare il mondo. Non dimentico il mio passato, e non dimentico la battaglia che ci aspetta…» le dita del capitano si strinsero impercettibilmente sulla balaustra. «Ma Lovino è più importante di tutti loro. Li annienta, in un certo senso.»

Gilbert annuì: poteva quasi vedere il ragazzo che cacciava a calci gli altri pensieri dal cervello di Antonio.

L’Hellsing sgranchì le spalle e trasse un profondo respiro prima di buttare fuori:

«Quando troveremo Francis, gli chiederò dove si trova Matthew.»

Antonio lo fissò senza capire; una goccia di malinconia si spanse nella voce rauca di Gilbert.

«Ho promesso che andrò da lui, quando morirò. Ma vorrei almeno un indizio sul luogo preciso. Credo che l’aldilà sia molto più vasto di quanto immaginiamo.»

«Hai intenzione di ucciderti in questa guerra?»

La gomitata dell’Hellsing lo colpì dritto in mezzo alle costole, facendogli sputare l’aria.

«Non fare il melodrammatico, Antonio! Non siamo in un’opera lirica dove tutti si ammazzano per i motivi più assurdi» lo sbeffeggiò Gilbert, per poi tornare serio. «Ma siamo in guerra. È possibile che succeda. Farò del mio meglio per sopravvivere, ma se non dovessi riuscirci… voglio sapere dove devo andare, esattamente. Non voglio perdermi nel prossimo mondo e farlo aspettare ancora» di nuovo, la testa argentata dell’Hellsing franò tra le sue spalle.

Antonio attese finché l’amico non sollevò di nuovo gli occhi, che vagarono alla ricerca del loro punto di luce svanito.

«Vai da Lovino, Antonio. La notte prima della battaglia è meglio passarla con le persone che amiamo» lo consigliò Gilbert, l’eco di un ghigno vetroso nelle sue parole.

«E tu?»

«Io farò lo stesso» l’Hellsing scrollò le spalle, sogghignando. La rabbia, l’amarezza, il rimpianto li aveva già versati su quella tomba ghiacciata, una lacrima dopo l’altra; rimanevano solo il dolce tormento della nostalgia e dell’amore perduto.

Le nocche di Antonio lo colpirono sulle costole, e Gilbert lo guardò confuso, una mano premuta sul busto.

«Per il tuo pugno di prima» sentenziò il capitano, prima di dirigersi verso la sua cabina.

L’Hellsing scrollò la testa, ridendo a denti stretti.

Sperava davvero che Antonio non cambiasse mai.

 

***

 

Le dita passarono tra i capelli mogano, pensierose.

Non era riuscito a raccontare tutti gli avvenimenti di quella sera. Erano troppo grandi, troppo pregni di emozioni per passare attraverso il filtro delle parole: la sua gola sarebbe andata in pezzi, se ci avesse provato.

Tuttavia, quelle immagini erano più vivide che mai dentro di lui, come se si nutrissero di tutti i suoi discorsi inghiottiti. Gli bastava chiudere gli occhi, per rivivere quei momenti di panico.

 

Gli ultimi vapori del bagno serale indugiarono sulla sua pelle, accarezzandolo con un calore profumato. Le pagine del libro frusciarono delicate, mentre il sovrano le sfogliava. Il cielo di Chugoku era nero come sempre.

Niente, in quella serata, avrebbe lasciato presagire gli eventi che si sarebbero scatenati in seguito.

Yao non aveva quasi mosso lo sguardo dal racconto, quando Kiku era entrato nella stanza. Aveva semplicemente alzato la mano per fargli segno di venire più vicino, per accovacciarsi di fianco a lui e leggere insieme, come facevano sempre.

Fu la memoria generazionale a salvarlo: il predecessore responsabile della guerra sino-britannica gli aveva improvvisamente urlato di spostarsi. L’istinto di Yao aveva raccolto immediatamente il suggerimento, facendolo scartare di lato. La katana gli graffiò la spalla anziché recidergli la gola, e si infisse nell’imbottitura della poltrona.

Kiku inclinò appena la testa, le sopracciglia aggrottate in un lieve disappunto. Le iridi del Samurai erano piatte e vuote come un vetro sporco di fuliggine, e Yao rabbrividì interiormente quando quegli occhi senz’anima lo squadrarono.

«Kiku?» lo chiamò, sconcertato.

Il giovane ritrasse lentamente la spada, senza dire una parola. Nello stesso terrificante mutismo sferrò il secondo attacco, e di nuovo Yao lo schivò per un soffio: la stoffa si tinse di un cremisi ancora più intenso quando fu bagnata dal sangue del sovrano.

Le dita del Figlio del Cielo guizzarono impazienti, e si richiusero a pugno subito dopo. La magia delle fiamme bruciava nei suoi palmi, pronta a neutralizzare il nemico, ma Yao la ricondusse a forza nello sterno di fuoco. Non era un nemico, era Kiku, l’orfano che aveva salvato da morte certa e che si era votato al bene di Chugoku e del suo regnante. E non avrebbe mai potuto fare del male al suo figlioccio.

Un ghigno terribile, fratello dell’inferno e figlio della crudeltà, si dispiegò sulle labbra pallide del Samurai.

«Si dice che il potere del Figlio del Cielo possa ridurre in cenere un intero pianeta. Per quale motivo non riesci a distruggere un singolo uomo?»

Yao arretrò di un passo, assottigliando gli occhi. Non era la voce di Kiku: poteva a malapena udire il familiare tono adamantino come tintinnio di sottofondo. Pareva che le labbra del giovane fossero riempite dall’ululato del vento in mezzo alle tombe.

Il Samurai schioccò le labbra, nauseato.

«Questi sono i “sentimenti”. Troppo dolci, troppo nauseanti» la katana cantò di nuovo, aprendo uno squarcio sottile sul busto del sovrano. Di nuovo, Yao indietreggiò senza reagire. Se avesse scatenato il suo potere, per Kiku non ci sarebbe stato scampo. Se il suo figlioccio lo avesse tradito, per quanto a malincuore, lo avrebbe giustiziato; ma quello non era lui, era qualcosa di spaventoso vestito con la carne del suo Samurai. E doveva capire cosa fosse.

«Preferisco il sapore della morte» il suono delle unghie su una bara riempì l’aria: l’essere aveva riso.

«Sei uno shinigami?» domandò Yao.

Di nuovo, rumore di artigli sul legno di un catafalco.

«Oh, no, gli shinigami sono legati da mille regole… io sono uno spirito libero» l’essere reclinò la testa di lato, e i capelli corvini di Kiku sfiorarono la spalla. «Anzi, possiamo dire che io sono la personificazione del karma: cattive azioni portano a cattive conseguenze.»

La spada saettò una terza volta nella sua direzione, e un terzo squarcio si aprì sulla sua tunica. Ma Yao non reagì. Non poteva costringersi a ferire Kiku. L’essere rimase fermo nella posizione allungata dell’affondo, e girò solo la testa, meccanicamente, fino a puntare i suoi occhi vetrosi su di lui. Il Figlio del Cielo sentì un brivido scuotergli la spina dorsale: in quella posa, con il collo che si muoveva a scatti, il Samurai assomigliava tremendamente a una marionetta.

«I tuoi antenati hanno decretato la tua morte, Figlio del Cielo» salmodiò con calma spietata l’essere. «Tutta Chugoku era loro devota, e loro non hanno avuto pietà di lei: hanno mandato a morire tutti quei giovani soldati, raccontando alle loro famiglie che erano morti da eroi» Kiku si raddrizzò partendo dalle spalle, come se lo stessero tirando per un filo collegato alle scapole. «Dimmi, Figlio del Cielo, credi che una medaglia al valore possa raccontare la favola della buonanotte ai suoi figli, o abbracciare la propria moglie? Perché, se non ricordo male, è così che li avete ripagati: un pezzo di ferro in cambio di un marito, di un padre o di un fratello. Non mi pare uno scambio equo…»

«Sei venuto fin qui per vendicarli?» lo interruppe bruscamente Yao. Un demone. Un demone nato da sentimenti negativi. Aveva letto qualcosa a riguardo, ma solo cronache molto vaghe: i veri esperti erano gli Hellsing, e l’ultimo di loro era stato imprigionato a Caina anni prima. E lui non sapeva come estirpare quello spirito senza danneggiare Kiku.

Lo stupro di un sorriso aveva torto le labbra del Samurai.

«Vendetta? Oh, no, io sono felice che voi li abbiate spediti al massacro, altrimenti non sarei mai riuscito a diventare così forte… forte come nessun demone della mia razza è mai stato!»

L’essere alzò le braccia, e il mondo si capovolse. Yao sentì i piedi perdere aderenza con il terreno e il suo corpo fluttuare in un turbine violento. Fu come essere investito da una tempesta di sassi e da una tormenta di neve al contempo: un vento gelido lo tenne sollevato nell’aria, mentre mille mani invisibili lo colpivano su tutto il corpo.

Crollò a terra quando quel vortice terminò, ed ebbe appena tempo di tossire in cerca d’aria prima che un altro peso lo inchiodasse al suolo. Il Samurai lo fissò compiaciuto, a cavalcioni sul suo addome, e posizionò con estrema lentezza la lama sul collo niveo del sovrano. Yao cercò di respirare il più lentamente possibile: se avesse deglutito, la sua gola si sarebbe lacerata contro Heracles.

Le iridi vuote avvamparono improvvisamente con una luce cupa, e si appuntarono sul volto del sovrano come se volessero carbonizzarlo con la loro brama.

«Non è per vendetta, Figlio del Cielo. È perché posso farlo, perché sono l’unico demone della mia razza ad avere un potere abbastanza grande da sopraffare il tuo!»

«Se fosse così, non useresti il corpo di Kiku come nascondiglio» la voce di Yao suonò forte e chiara come quando teneva i discorsi ai consiglieri, nonostante la lama premuta sulla sua carotide.

L’essere si strinse nelle spalle, noncurante.

«Un corpo vale l’altro. Ma ammetto che questo è piuttosto utile, visto che tu non vuoi scalfirlo» il suono delle unghie sulla pietra tombale gli si rovesciò sul viso, quando l’essere rise di nuovo. «Il Figlio del Cielo ucciso dal suo Samurai. Mi chiedo cosa diranno i tuoi consiglieri…»

Il mondo impazzì di nuovo: un secondo turbine si agitò nella stanza, ma questa volta colpì l’essere seduto su di lui, scaraventandolo all’altro lato della stanza. Heracles cadde con un gemito metallico sul pavimento.

Yao si rialzò velocemente e vide Young Soo, le dita maledette stese nella magia di vento, la fronte corrugata e imperlata di gocce di sudore.

«Fratellone, da questa parte!» le maniche turbinarono intorno ai suoi polsi mentre manovrava il tornado in modo che tenesse l’essere il più lontano possibile.

Il sovrano si affrettò a raggiungere il mago di corte, che bisbigliò, furioso:

«Che diavolo è successo a Kiku? Ho sentito una vibrazione magica anomala e…»

«Quello non è Kiku. Un demone si è impossessato di lui.»

Un silenzio di ghiaccio li avvolse, sovrastato selvaggiamente dall’infuriare del vento.

«Non so come si sconfigge un demone» ammise a denti stretti Young Soo.

«Nemmeno io» confessò il Figlio del Cielo.

«Ma non possiamo uccidere Kiku…» il Portavoce del Sole dovette interrompersi per concentrarsi sulla magia: l’essere all’altro capo della stanza era riuscito in qualche modo a guadagnare una posizione stabile, e stava contraccambiando l’attacco con un incanto di vento.

«Gli Hellsing. Gli Hellsing sanno…»

«Vattene fratellone! Scappa!» eruppe all’improvviso Young Soo. Il Portavoce del Sole mantenne ferma la posa di battaglia, ma i piedi cominciarono a scivolare all’indietro come se un toro lo stesse spingendo.

«Non posso…» Yao cercò di adirarsi per quella proposta, ma Young Soo troncò ogni sua possibile protesta.

«È forte, fratellone, molto forte. E non sappiamo come combatterlo senza fare del male a Kiku» il Portavoce del Sole digrignò di nuovo i denti e caricò le braccia per poi lanciarle in avanti con uno schiocco: una folata improvvisa costrinse il demone a indietreggiare. «Trova gli Hellsing!»

«Gli Hellsing non esistono più, Youg Soo!»

«Sciogliere un pezzo di ghiaccio non è un problema per te!» il Portavoce del Sole si scorticò la gola per farsi udire sopra l’ululato del vento. «Non puoi stare qui, fratellone. Questo demone è troppo forte per le guardie, è troppo forte anche per me. Ti ucciderà, fratellone. Scappa!»

La spalla di Young Soo ruotò bruscamente all’indietro, come se un proiettile l’avesse colpita. Il Portavoce del Sole azzannò un grido di dolore, e mantenne vivo l’incantesimo puntando solo il braccio illeso. Yao non lo vide in faccia, ma il sorriso di Young Soo era visibile nelle sue parole.

«So che stai esitando per me, fratellone. E sono felice che tu non voglia lasciarmi qui. Ma devi farlo fratellone. E poi devi tornare. Io ti aspetterò.»

Young Soo voltò appena la testa. Il vento gonfiò gli strati vaporosi del suo vestito, e gli coprì il viso con i capelli scompigliati, ma, anche in mezzo a quella bufera, il sorriso e le lacrime del Portavoce del Sole scintillarono come le stelle che Chugoku aveva perduto.

«Ti aspetterò sempre, fratellone.»

Young Soo tese una mano verso di lui, come per chiedergli conforto. Yao si avvicinò e il Portavoce del Sole ne approfittò: aprì le dita, poggiandole sul suo sterno, e mormorò velocemente un incantesimo.

Il Figlio del Cielo trovò improvvisamente trasportato fuori dal Palazzo, fuori dall’atmosfera di Chugoku, e fece appena in tempo a spiegare le sue ali di fuoco prima di trovarsi nello spazio aperto.

Yao non sapeva cosa fosse accaduto dopo, ma la stanza che ne era stata testimone ricordava alla perfezione.

Se solo avesse potuto parlare avrebbe raccontato con quanto ardore il Portavoce del Sole avesse continuato a trattenere il demone, impedendogli di inseguire il Figlio del Cielo. Avrebbe narrato con quanta violenza l’essere avesse disintegrato le difese di Young Soo, scaraventandolo contro il muro in un impeto di rabbia.

Il Portavoce del Sole tossì per rinvigorire i polmoni, che si erano accartocciati dentro le costole dopo quell’impatto violento. La sua schiena diventò un campo di dolore bruciante, e poteva sentire delle crepe aprirsi nelle ossa delle scapole. Ma non si preoccupò di nessuna di quelle cose: il demone gli si avventò contro, sibilando come un nugolo di serpenti.

«L’hai fatto scappare!» inveì, con la sua voce di vento e morte.

Young Soo sorrise contento, il sapore salato del sangue che si spandeva sulle sue labbra.

«Sì. Non potrai raggiungerlo. Lui tornerà e ti distruggerà. Perché nessuno, in questa Confederazione, è forte quanto il fratellone!»

Il demone lo sbatté di nuovo contro il muro, e Young Soo sentì il cervello rimbalzare nella scatola cranica. Sperava solo che quell’essere lo uccidesse in fretta: era deciso a morire per il fratellone, ma non sopportava il dolore. Quando era stato un servo era abituato a soffrire, ma il fratellone lo aveva viziato troppo, in quegli anni. Era da tanto tempo che aveva disimparato il significato della sofferenza. Sorrise amaro, senza lo scudo della frangia, costantemente pettinata in modo da scoprirgli il viso: l’affetto del fratellone lo aveva reso un invertebrato.

Gli occhi del demone si restrinsero in due fessure piene d’odio.

«Tu parlerai» la sua voce risuonò affilata e fredda come lo stridio di un coltello sul marmo.

Il Portavoce del Sole sollevò il viso, trionfante. Forse sarebbe morto, anzi, quasi sicuramente sarebbe morto, ma almeno avrebbe trascinato in disgrazia anche quell’essere disgustoso.

«Anche se mi uccidessi, non risolveresti nulla. Non puoi nascondere la scomparsa del fratellone, così come non potresti nascondere la mia. Sarai l’essere più ricercato di tutta Chugoku, di tutto il Sistema Asean. E prima o poi ti cattureranno.»

La spavalderia di Young Soo si sgretolò con un brivido di terrore. Il demone non pareva spaventato, anzi: un compiacimento malevolo distorse i lineamenti di Kiku, mentre si chinava con eleganza a raccogliere Heracles.

«Oh, non pensavo di ucciderti. Creerebbe troppo scompiglio. Tuttavia, non posso nemmeno permetterti di parlare.»

La spada fu troppo veloce per essere vista: trapassò la gamba del Portavoce del Sole con la facilità con cui avrebbe lacerato un fazzoletto di seta. Young Soo fissò la sua coscia con un’espressione confusa, incapace di realizzare cosa fosse successo. Solo quando la prima scarica di dolore gli perforò il cervello riuscì a urlare a pieni polmoni. Ma sarebbe stato più saggio non concentrarsi sulla lama conficcata nel suo muscolo: se ne rese conto solo quando gli artigli del demone gli avvilupparono la testa. Le sue parole untuose gli scivolarono nelle orecchie come veleno.

«Pensavo a una paralisi totale. Il Portavoce del Sole non è riuscito ad accettare il coma del sovrano, e ha deciso di seguirlo nel suo triste destino. Questa sarà la versione ufficiale. Divertiti ad avvizzire come un vecchio albero, Portavoce del Sole.»

Young Soo non riuscì ad articolare il suo ultimo grido: una rigidità cadaverica discese su di lui, viscida e appiccicosa, solidificando i suoi muscoli come se fossero stati immersi nella resina. Il Portavoce del Sole avvertì il suo corpo abbandonarlo un arto per volta: prima la mascella si contrasse, chiudendosi per sempre sulle sue ultime parole; poi si immobilizzarono le spalle, coagulando anche braccia e mani in un unico blocco inamovibile. Il torso diventò un pezzo di legno e, infine, non riuscì più ad avvertire il dolore alla coscia lesa.

Udì il tonfo del suo stesso corpo mentre cadeva a terra, incapace di chiudere le palpebre fossilizzate sui suoi occhi. L’unica cosa ancora in movimento nel suo corpo di pietra era la mente, e il demone lo osservò dall’alto con un ghigno satanico impresso sul volto. Lo aveva premeditato: lo aveva lasciato cosciente in modo che potesse assaporare appieno la disperazione di non poter in alcun modo fermare quella catena di eventi.

Le sue pupille fisse osservarono il demone che si rialzava, che puliva Heracles. Videro il primo consigliere entrare nella stanza, e furono testimoni dell’incantesimo dell’essere infame: manipolò i ricordi dell’ignaro uomo in modo che credesse di essere entrato nelle stanze imperiali e di aver visto il sovrano giacere nel suo letto, vittima di un coma apparentemente irreversibile.

Vide il consigliere uscire di corsa per dare l’allarme, e vide il demone chinarsi su di lui, sogghignando diabolico.

«La mente degli esseri umani, quando non sono guerrieri o maghi, è così malleabile…» flautò, lezioso. Poggiò le dita sulle labbra e le impresse sulla fronte fredda del Portavoce del Sole, sghignazzando: «Sogni d’oro, piccolo schiavo.»

Kiku chiuse le palpebre, e gli occhi tremarono dietro di esse. Quando si sollevarono, le iridi di carbone del Samurai saettarono confuse sulla stanza in disordine. Poi si appoggiarono su di lui, e Young Soo scoprì che anche il suo cuore era in grado di muoversi: sprofondò in fondo ai piedi quando le iridi di Kiku si spalancarono nel notare il suo corpo riverso al suolo.

Una mano callosa e gentile gli sollevò la testa, mentre l’altra gli circondava il busto.

«Young Soo?» c’era un lieve allarme che guastava la fermezza della voce di Kiku. «Young Soo, che cos’hai?»

La sua bocca quasi esplose quando cercò di forzare le parole fuori da essa. Voleva avvisare il Samurai, voleva dirgli che il fratellone era lontano e al sicuro, voleva…

«Il cielo di Chugoku non ha ancora le stelle, Young Soo. Non puoi abbandonarci ora…»

Il cuore e l’anima si rattrappirono a quelle parole, si accartocciarono e poi esplosero con un boato al centro del suo petto. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi di pietra, e bruciare come lava dietro di essi. I sassi non potevano piangere.

La presa di Kiku si stinse gentilmente, premendolo contro di lui. La sua coscienza guizzò dietro i muscoli irrigiditi, cercando di uscire da quelle membra di granito e gridare la verità a tutto il Palazzo… Young Soo rimase immobile come una bambola nell’abbraccio di Kiku.

«Abbiamo bisogno di luce per il nostro cielo. Non puoi spegnerti, Young Soo, non puoi…» il mormorio accorato di Kiku crebbe bruscamente in un ordine, gridato verso la porta aperta: «Il Portavoce del Sole sta male! Chiamate il medico di corte, presto!»

Altre lacrime gli arroventarono gli occhi, e la sua anima stridette di nuovo, prigioniera di un corpo di fango.

Quel giorno Chugoku perse due delle sue stelle più luminose.

 

Yao riaprì gli occhi, terminando il suo viaggio nel passato.

Durante il suo esilio, aveva avuto modo di pensare con freddezza agli avvenimenti di quella sera e si era convinto che fosse giusto uccidere Kiku, se non vi fossero state altre vie: Chugoku non poteva cadere nelle mani di un demone. L’Hellsing aveva portato una scintilla di speranza, dicendo che forse il suo pupillo si sarebbe salvato, ma era troppo flebile perché il Figlio del Cielo potesse davvero contare su di essa. Era stanco di vedere i propri legami fatti a pezzi: prima l’allontanamento della sua famiglia all’epoca della sua incoronazione, il tradimento di Kiku, l’abbandono di Young Soo….

La porta della camera si aprì. Il cuore di Yao singhiozzò in uno spasmo quando Ivan entrò nella stanza.

Anche quel legame sarebbe svanito presto, come un cristallo di neve al disgelo.

«Non hai detto una parola alla riunione» notò l’orientale, avvicinandosi al Custode.

Ivan abbassò lentamente i suoi occhi violacei su di lui. Yao era abituato alla lentezza con cui il gigante faceva le cose; non doveva essere facile muoversi con le articolazioni congelate dal Cuore d’Inverno, e il Figlio del Cielo aveva accettato quella particolarità di Ivan. Come ne aveva accettate mille altre: la sua possessività asfissiante, la sua incapacità di comprendere le emozioni altrui, la sua incuria per la vita umana.

All’inizio, Yao aveva solo sfruttato Ivan: era finito nel castello di quel gigante che, per qualche arcano motivo, nutriva un interesse particolare nei suoi confronti. Il Figlio del Cielo aveva tratto vantaggio da questa piccola debolezza per riuscire a viaggiare nella Galassia ed entrare in contatto con chi lo avrebbe portato dall’Hellsing e dal Marauder. Il Custode doveva essere semplicemente un mezzo per tornare a Chugoku.

Poi una sera quell’uomo di ghiaccio si era accovacciato ai suoi piedi, aveva cercato il suo calore e gli aveva confessato di aver ucciso. E, quella volta, Yao aveva visto l’immensa voragine in cui il cuore dell’uomo era sprofondato. Ivan non stava solo confessando il suo crimine: stava cercando qualcuno che potesse scuoterlo dalla sua apatia, che potesse spiegarli perché la sua memoria era improvvisamente diventata un sepolcro vuoto. Qualcuno che mettesse a tacere il gelido ululato dei fantasmi e parlasse con il calore di un essere umano.

In quel momento, il Figlio del Cielo aveva capito che non era nelle intenzioni del Custode essere crudele: Ivan semplicemente non ricordava cosa significasse essere umani. Il ragno sul suo petto aveva risucchiato anche quello.

Era stato allora che Yao aveva cercato di consolarlo con un bacio, e aveva provato tutto il gelo che quell’uomo era costretto a sopportare ogni giorno. Poi quel gigante privo di empatia lo aveva preso sulle ginocchia, e lo aveva avvolto con la sua sciarpa, l’unica cosa che ritenesse davvero preziosa. E gli aveva chiesto di baciarlo ancora.

Quella sera tutto si era complicato.

Yao aveva cominciato a interessarsi a Ivan nello stesso modo in cui il gigante era affascinato da lui. Lo aveva studiato, nei mesi successivi, fino a riuscire a capire le emozioni che passavano sotto le lastre di ametista che l’uomo aveva come occhi.

Ivan non era un essere senza sentimenti: era un uomo che non ricordava più come esprimere quello che sentiva. Desiderava scoprirlo di nuovo e, allo stesso tempo, temeva che il Cuore d’Inverno avrebbe nuovamente inghiottito le sue emozioni, lasciando solo una distesa arida dietro di sé.

Yao non era più riuscito a staccarsi da lui: desiderava avvolgerlo con il suo calore, bandire l’inverno perenne in cui l’uomo era immerso e vedere il vero Ivan sbocciare di nuovo come gli anemoni in primavera.

Il Custode avvertiva un baratro dentro di sé, e non sapeva nemmeno di che cosa fosse stato svuotato perché il Cuore d’Inverno non gli permetteva di ricordare il tepore di una famiglia. Yao desiderava riempire quel vuoto fino a farlo debordare.

Un amore così folle e disperato non si addiceva all’eterea figura del Figlio del Cielo. Un sovrano avrebbe dovuto mettere il bene del proprio popolo sopra ogni cosa; Yao avrebbe abbandonato Chugoku, se solo Ivan glielo avesse chiesto.

Il Figlio del Cielo scosse il capo tra sé e sé. No, non lo avrebbe fatto: Young Soo e Kiku lo stavano aspettando. Ma sapeva che loro avrebbero accettato una sua eventuale partenza, anche se con il cuore gonfio di lacrime. Il suo trono, invece, non lo avrebbe fatto: lo avrebbe tenuto avvinto a sé con le catene che si nascondevano dietro gli abiti imperiali.

Non aveva mai pensato prima alle sue responsabilità come a un fardello, e non avrebbe mai immaginato di desiderare di lasciare il suo paese natale per un singolo uomo. Ivan aveva cancellato ogni cosa, come la neve che fagocitava il mondo durante gli inverni più implacabili.

Yao reclinò appena il capo, e i capelli ricaddero voluttuosi sul petto. Il Custode adorava la sua chioma sciolta, e anche quella sera sollevò la mano guantata per accarezzarla. Le dita si fermarono a mezz’aria, rigide, e si richiusero a pugno senza nemmeno sfiorarlo.

Ivan sollevò la sciarpa sul volto e gli voltò le spalle, raggiungendo a larghe falcate la rastrelliera.

«Ivan» lo chiamò pacato Yao, mentre l’altro appoggiava la mazza ferrata all’apposito sostegno. «È così penoso toccarmi?»

Il Custode si erse in tutta la sua statura, ma non si voltò. Il Figlio del Cielo ebbe l’impressione che fosse una montagna a rimbombare:

«Domani tornerai a Chugoku. Non sarai più Yao Wang. Sarai di nuovo il Figlio del Cielo.»

L’Asean raccolse quella provocazione e ribatté:

«Credevo che la nostra promessa avesse valore finché questo incidente non si fosse risolto.»

Il Custode rimase immobile. Yao si avvicinò di un passo.

«Hai intenzione di evitare di guardarmi fino a domani mattina?»

Ivan sollevò ulteriormente la sciarpa e si voltò verso di lui. Gli occhi ametista erano duri come sempre, ma Yao aveva imparato a distinguere le varie sfumature. Quella era la tonalità del dubbio. Ivan si stava chiedendo quanto sarebbe occorso al Cuore d’Inverno per divorare i ricordi del loro tempo insieme. Prima si sarebbe scordato il suo nome, poi il suo viso, il suo corpo, la sua voce, il suo calore… gli sarebbe rimasta solo la vaga impressione di un’ombra nella sua vita gelida.

Quegli interrogativi si infissero negli occhi di Yao e risuonarono nelle sue ossa. Anche lui sarebbe diventato un fantasma di quella Fortezza, come Ivan sarebbe diventato un cimelio da passare ai suoi successori?

La mano di Yao corse ad afferrare quella di Ivan. Passò i polpastrelli sulla pelle lucida del guanto, prima di pizzicare il medio sulla punta. Tirò con delicatezza, denudando pian piano la mano del Custode. Sentì un fremito scorrere nelle vene di Ivan quando si sporse per baciargli le nocche, e i suoi capelli ricaddero come una carezza setosa sul polso dell’uomo. Con delicata lentezza, Yao poggiò quella mano grande e fredda sul suo sterno, sotto la camicia, dove riposava la memoria dei suoi antenati.

«All’inizio pensavo che fossimo opposti» mormorò, vellutato. Quella sera era il suo turno per confessarsi. «Poi ho capito che siamo più simili di quanto non possa sembrare. Tu non hai ricordi, Ivan, mentre io ho una miriade di memorie che non mi appartengono. Sai a volte… non si riesce più a distinguere tra la propria vita e quelle degli altri.»

Yao chiuse gli occhi, mentre il segreto che aveva chiuso dentro di sé tanti anni prima affiorava. Il Figlio del Cielo, a volte, non riusciva a distinguere quale vita avesse vissuto davvero.

Gli occhi di Ivan si assottigliarono, cercando di comprendere cosa si provasse in una situazione simile. Yao sorrise dolcemente: anche quei tentativi rudi erano una prova dell’affetto sincero del Custode. Quell’uomo dimostrava un amore sconfinato, se solo si sapevano cogliere i segnali.

«So che la mia vita è quella in cui posso sentire la risata di mio fratello, in cui posso vedere il mio figlioccio allenarsi» Yao sollevò gentilmente la mano di Ivan al livello del suo viso e vi appoggiò la guancia. Il pollice dell’uomo si mosse quasi istantaneamente per accarezzare la sua pelle liscia. «So che ci sei tu, Ivan» il giovane orientale sfiorò con le dita le nocche dure del compagno. Il Figlio del Cielo era legato da troppe responsabilità e impegni per lasciarsi andare ai sentimenti, ma Yao Wang era libero di immergersi nell’intricato amore di Ivan fino ad affogare. «Non so cosa ci aspetta domani, se dovrò tornare sul trono o se cadrò combattendo. Ma stasera sono qui, Ivan. Con te.»

Il Custode gli fece sollevare il viso e lo trafisse con i suoi occhi violacei. Il suo volto, anche se nascosto dalla sciarpa, palesava un unico interrogativo: per quanto ancora le memorie di Yao sarebbero rimaste vivide nella sua memoria carnivora?

La mano di Ivan scivolò tra i suoi capelli, stringendosi a pugno sulla sua nuca e attirandolo bruscamente a sé.

«Tu sei mio» dichiarò, incatenandolo con il suo sguardo ghiacciato.

Era la massima confessione d’amore che quell’assurdo uomo potesse fare. Yao si allungò per srotolare la sciarpa e liberare il suo viso.

«Allora dimostralo» lo incoraggiò, lanciandogli uno sguardo obliquo da sotto le ciglia nere. Anche quello era un comportamento che non sarebbe stato accettato dal trono reale, ma lì era solo un giovane orientale innamorato del più incomprensibile uomo che fosse mai esistito all’interno della Confederazione.

Ivan si inginocchiò lentamente, e le sue grandi mani salirono a slacciare i bottoni della camicia che Yao indossava per la notte. Il sole al centro dello sterno venne messo a nudo e l’Asean immaginò che l’uomo vi avrebbe premuto contro il viso come faceva sempre. Invece le labbra del compagno gli sfiorarono la clavicola e risalirono sul collo, le mani ancora impegnate a spogliarlo. L’orientale rabbrividì quando la camicia raggiunse i suoi gomiti e le labbra di Ivan il suo orecchio.

«Yao.»

Il mondo affondò per un attimo su quell’unica parola. Ivan non lo aveva mai chiamato per nome nell’intimità. Forse temeva che il Cuore d’Inverno avrebbe sbriciolato quelle tre lettere se le avesse pronunciate apertamente. O forse mai come in quel momento, a un passo dalla loro separazione, Ivan aveva paura di dimenticarlo se lo avesse lasciato andare anche un solo istante.

Ripeté il suo nome mentre appoggiava le mani sui suoi fianchi, e lo fece scivolare lungo il suo busto mentre si inginocchiava davanti a lui.

Il desiderio di Ivan gli marchiò il petto a ogni bacio affamato che l’uomo vi depositò sopra. I baci di Ivan erano fratelli dei morsi, e lasciarono una pioggia di segni rossi sul loro passaggio.

Le mani di Yao circondarono quei lineamenti duri, e i suoi capelli scesero a creare un sipario setoso tra loro e il resto della Fortezza. Il tempo perse di senso, lo spazio di consistenza, e il mondo si restrinse ai loro occhi legati tra di loro.

Passò un istante e una vita prima che Yao conducesse Ivan sul letto alle loro spalle.

Curiosità e perplessità scivolarono nel viola immobile delle iridi del Custode mentre l’Asean lo faceva sedere e si issava ad arcioni su di lui. Il Figlio del Cielo abbassò lo sguardo sul suo cappotto per dissimulare un sorriso: Ivan aveva sempre un pizzico di meraviglia e confusione negli occhi, come un bambino che scopre il mondo e non sa bene come rapportarsi con esso. Anche dopo tutte le notti in cui avevano giaciuto insieme, il Custode non aveva perso quella sua espressione speculativa, quasi non avesse ancora capito cosa aspettarsi da Yao. Il Figlio del Cielo non poteva biasimarlo: nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi da se stesso, quando era insieme a quell’uomo glaciale.

L’orientale si dilungò nello spogliare il suo amante: prima il guanto rimasto, poi il pesante cappotto, quindi la camicia, un bottone per volta. Il brivido ormai familiare si scaricò alla base della nuca per poi percorrergli tutta la spina dorsale; mettere a nudo il suo compagno un passo alla volta, lentamente, era il rituale preferito di Yao. Gli piaceva sentire il desiderio lievitare pian piano in quel punto poco sotto lo sterno, e trovava gradevole l’aspettativa palpitante che si spandeva nel suo corpo come un monsone. Ma più di tutto adorava osservare Ivan, il gigante di ghiaccio, ribollire nell’impazienza mentre le sue mani scendevano verso il basso per slacciargli la cintura.

Le dita artiche del Custode gli artigliarono i fianchi, spingendolo di colpo contro di sé. Le labbra di Yao si tinsero di un sorriso severo, rimproverandolo silenziosamente per quella brutalità indesiderata.

Il Cuore d’Inverno baciò lo sterno del Figlio del Cielo mentre i loro petti e i loro bacini nudi premevano gli uni contro gli altri.

Le dita di Yao si insinuarono nei capelli dell’uomo, iridescenti come la brina di dicembre, e le sue labbra sfiorarono quella fronte spianata da una totale assenza di emozioni.

Per la prima volta, sentì la pelle dell’uomo riscaldarsi alle sue sole parole, le più ardenti che l’Asean avesse mai pronunciato in tutta la sua vita.

«Avrei voluto essere abbastanza forte da spezzare il sortilegio del Cuore d’Inverno.»

Ivan lo stritolò quasi nel suo abbraccio di ferro, e tuffò il viso nel suo collo, coprendolo con i suoi baci violenti.

«Yao» lo chiamò di nuovo, stringendo la presa sui suoi fianchi fino a fare male. Dopo tutto quel tempo, Ivan ancora non aveva capito quale fosse il confine da non superare. «Il mio Yao.»

L’Asean sfiorò le labbra dell’uomo con le proprie, e la mano del Custode premette istantaneamente sulla sua nuca per spingerlo in un bacio più profondo. Yao si scostò bruscamene per liberare un gemito quando l’amante lo spinse su di sé senza alcun preavviso. Ivan non aveva ancora imparato cosa fosse la delicatezza, per sua sfortuna. Il respiro inciampò in ansiti spezzati attraverso le sue membra tremanti, e si aggrappò all’amante per recuperare il controllo. Respirò il suo odore freddo e pungente, immobilizzò la bocca contro quella pelle ghiacciata e affondò le dita nei capelli di brina del compagno.

I palmi di Ivan gli coprirono la schiena, stringendolo con più delicatezza. In qualche modo, aveva capito di avergli fatto male.

Yao riaprì gli occhi lucidi, e li appuntò sul viso del suo amante.

Non voleva che quei ricordi passassero nella memoria generazionale, dove un suo anonimo successore avrebbe potuto vederli. Chiunque fosse venuto dopo di lui non avrebbe mai provato sulla sua pelle l’ineffabile dolore di essere innamorato di un uomo senza memoria. Non avrebbe mai capito cosa lo avesse spinto a legarsi a un essere così privo di tenerezza. Non avrebbe mai compreso la bellezza nostalgica di una sciarpa, non avrebbe mai contato le sfumature delle iridi ametista, non avrebbe mai tratto gioia dalla primitiva gentilezza del Custode. Non avrebbe mai amato Ivan come lo amava lui. E quelle memorie non avevano senso, senza la sciarada di emozioni incontrollabili in sottofondo. Senza di esse, sarebbe rimasta solo l’immagine che tutta la Confederazione aveva del Custode: un gigante figlio dell’inverno, privo di emozioni e di pietà.

Non voleva passare quei ricordi così preziosi a chi non li avrebbe apprezzati. Il Figlio del Cielo desiderò potersi strappare quelle memorie dal petto, e metterle sottochiave dove solo lui avrebbe potuto consultarle.

Un bacio ruvido si impresse sulla sua tempia, per poi scivolare sulle sue labbra.

Si chiedeva se anche Ivan provasse lo stesso desiderio di poter salvare quei ricordi dalla sete del Cuore d’Inverno, e conservarli in una stanza di quella Fortezza desolata.

Le dita dell’uomo scorsero tra i suoi capelli, lo spogliarono dell’inutile camicia, lo afferrarono di nuovo per i fianchi e lo spinsero ancora verso il basso. Un’onda di calore sorse tra le sue cosce e salì violenta a inondargli il petto mentre si muoveva insieme all’amante. Quella cascata bollente trasmigrò su Ivan: la pelle dell’uomo diventò gradualmente più calda, incontrandosi ripetutamente con la sua.

«Non sei più freddo» notò Yao sulle sue labbra.

Ivan lo cinse in uno dei suoi abbracci opprimenti, e spinse più forte dentro di lui.

«Fa ancora freddo» protestò, arrampicandosi con la bocca sulla sua mascella.

Era il suo modo per chiedergli di restare con lui, di non abbandonarlo al gelo e alla solitudine di quel posto. Di essere il suo sole ancora per un po’.

Un roveto di spine gli frantumò il cuore, lasciandolo senza fiato.

Mosse le dita istintivamente sul petto sussultante, come Young Soo faceva ogni volta che lo vedeva angustiato.

Non fa male, non fa male… non fa più male!

Sarebbe bastata quella formula infantile per scacciare il dolore?

Fissò gli occhi di Ivan, la sua fronte sudata e le sue labbra dischiuse nell’affanno. Sfregò la bocca ansante su quella dell’uomo, come se quel bacio, quell’unione potesse dilatare il tempo e far durare quella notte per sempre.

No, quell’incanto puerile non sarebbe stato sufficiente per lasciare andare Ivan. Una vita intera non sarebbe bastata per liberarsi di quei ricordi dolcemente velenosi.

Erano il prezzo da pagare per il regnante che aveva deciso di innamorarsi dimenticandosi delle regole auree del Palazzo.

Lo avrebbe pagato ogni volta che avesse indugiato nel ricordo di due occhi violacei e freddi, di mani prive di dolcezza e di un’anima congelata. Lo avrebbe pagato, ma non lo avrebbe mai rimpianto; quelle memorie sarebbero diventate delle spine e poi delle spade infisse nel suo cuore, e Yao le avrebbe benedette. Perché, col dolore, sarebbero arrivati i ricordi di Ivan, e quelle immagini erano sufficienti per accettare qualunque supplizio.

L’Asean si inarcò su di lui, le mani nei suoi capelli e la bocca sulla sua. Le mani del Custode percorsero la sua schiena fremente, e scivolarono lungo la sua chioma scura, strattonandola appena con le loro carezze rudi.

Yao cercò di memorizzare e cancellare al contempo le sensazioni, il calore e i colori di quella notte insieme. Avrebbe voluto farne tesoro, ma non voleva incamerarli nel suo sterno di fiamme, che un giorno sarebbe passato a qualcuno che avrebbe guastato quei ricordi con il suo disgusto.

Se solo potessi essere davvero tuo, Ivan…

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti<3

Dichiaro conclusa la parte introduttiva della saga orientale: nel prossimo capitolo si entra nel Palazzo<3 E si scoprirà che fine ha fatto il Marauder<3

A parte questo, nulla da dichiarare<3

Spero che vi sia piaciuta la parte RoChu (amo questa coppia, la amo da morire<3) e che abbiate patpattato il povero Gilbert, che meriterebbe tutto l’amore e la tenerezza che quella sadica dell’autrice gli ha brutalmente strappato.

Ci vediamo tra due settimane<3

Red

P.S. Casomani qualcuno di voi se lo stesse chiedendo, visto che un questo capitolo è rispuntato Roderich… sì, più avanti nei capitoli ci sarà un pezzo di “riunione familiare” tra lui e Gilbert, e anche tra lui e Mathias<3

P.P.S. Rinnovo l’annuncio di due settimane fa: se vi viene in mente qualcosa che volete vedere negli spin-off, chiedete pure<3

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: HamletRedDiablo