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Autore: kid_napped    04/03/2014    2 recensioni
Qualche sera dopo, Alex rimase in spiaggia più a lungo del solito: spirava una brezza leggera e si prospettava un tramonto rosso sangue che lo faceva sentire ispirato. Aveva da poco scoperto, infatti, il piacere della scrittura, che coltivava segretamente e senza un reale scopo.Tirò fuori il bloc-notes, e, picchiettandosi il labbro inferiore con la matita, si mise a vagare con lo sguardo, in cerca di qualcosa di cui scrivere. Quasi senza pensarci, si girò verso il punto della spiaggia dove lei si metteva di solito e la vide, stesa su un fianco, che leggeva un libro. Aveva addosso il solito costume e una maglietta, che i capelli ancora bagnati sparsi sulla schiena macchiavano di scuro. Non seppe quanto rimase a guardarla mentre voltava delicatamente le pagine di quel libro, ma il sole calò del tutto e non una stella si azzardò ad accendersi nel celeste terso del cielo. Alex si stropicciò gli occhi e provò a comporre una frase nel buio crescente: “I looked up into the dark half of the blue, and the stars weren't there.”
La cancellò in preda al nervosismo. “Non ha alcun senso” disse ad alta voce.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quell'estate - l'estate dei suoi quindici anni - i suoi avevano deciso di andare in vacanza al mare a Swansea, in Galles. Alex si era mostrato abbastanza infastidito al pensiero di lasciare Sheffield anche solo per due settimane, ma sua madre aveva tanto insistito e suo padre tanto minacciato, che alla fine aveva acconsentito a partire, riempiendo valigia e zaino di libri e cd per scacciare la noia di una vacanza solitaria.

Swansea Beach non era una spiaggia molto frequentata e quando Alex vi mise piede per la prima volta, si trattenne a stento dal fare una scenata ai suoi, che l'avevano trascinato il quel posto dimenticato da Dio, dove le fredde onde dell'oceano lambivano una baia punteggiata solo da qualche raro ombrellone. Ma si trattenne, pensando che, dopo tutto, si trattava solo di due settimane e, da buon capricorno previdente, si era ampiamente fornito di metodi per estraniarsi da quei due personaggi stravaganti che erano i suoi, intenti a discutere ad alta voce su quale compositore tedesco fosse il migliore in assoluto.

La prima settimana la passò in compagnia di Keats e Clarke: aveva provato a fare il bagno, ma il cielo era rimasto coperto e aveva desistito non appena l'acqua gelida gli aveva sfiorato le caviglie ossute. Sua madre aveva provato ad insistere perché facesse almeno una passeggiata, ma Alex l'aveva fulminata con uno sguardo truce ed era poi tornato a leggere.

Il settimo giorno, però, gli capitò una cosa che non aveva preventivato: finì il libro che stava leggendo all'ora di pranzo. Nonostante avesse centellinato la lettura, parola per parola, aveva visto le pagine dimezzarsi fino a scomparire, impotente. Chiuse il volume, rassegnato, e rimase a fissare il vuoto e le onde, senza nulla da fare. Dopo un po', preso dal nervosismo, si alzò dall'asciugamano, dirigendosi verso le onde spumose, con la schiena trafitta dagli sguardi di approvazione dei suoi. Arrivò sul bagnasciuga e scrutò il mare agitato; fu in quel momento che la vide, lottare strillando di gioia tra i cavalloni che si erano alzati col al vento nel pomeriggio, insieme ad almeno una decina di ragazzi e ragazze, che sembravano tutti divertirsi un mondo. Non si era mai accorto che la spiaggia fosse così popolata e provò una gran vergogna ad entrare in acqua vicino a quelli, tanto che tornò sotto l'ombrellone, borbottando un secco e scontroso “L'acqua è gelida” all'indirizzo dei suoi genitori.

Promise a se stesso di capire da dove sbucassero tutti quei suoi coetanei che non aveva mai notato; così, il giorno dopo, spiando da sopra le pagine della nuova lettura, scoprì che da ogni ombrellone veniva almeno un componente del gruppo che aveva visto giocare tra le onde e che tutti facevano capo ad una ragazza. Lei.

Stava accampata quasi alla fine della spiaggia, ma non appena si alzava dall'asciugamano steso sulla sabbia, tutti le sciamavano intorno, pronti a seguire le sue direttive. Sembrava più grande di lui – stimò che potesse avere tra i sedici e i diciassette anni - ma a volte la vedeva comportarsi come se fosse ancora una bambina. Alex la osservava di nascosto, schermato dai vecchi occhiali da sole di suo padre, riunire il gruppo e partire alla volta delle onde impetuose, dove non faticò mai a riconoscerla, per il colore dorato della sua pelle.

Qualche sera dopo, Alex rimase in spiaggia più a lungo del solito: spirava una brezza leggera e si prospettava un tramonto rosso sangue che lo faceva sentire ispirato. Aveva da poco scoperto, infatti, il piacere della scrittura, che coltivava segretamente e senza un reale scopo.Tirò fuori il bloc-notes, e, picchiettandosi il labbro inferiore con la matita, si mise a vagare con lo sguardo, in cerca di qualcosa di cui scrivere. Quasi senza pensarci, si girò verso il punto della spiaggia dove lei si metteva di solito e la vide, stesa su un fianco, che leggeva un libro. Aveva addosso il solito costume e una maglietta, che i capelli ancora bagnati sparsi sulla schiena macchiavano di scuro. Non seppe quanto rimase a guardarla mentre voltava delicatamente le pagine di quel libro, ma il sole calò del tutto e non una stella si azzardò ad accendersi nel celeste terso del cielo. Alex si stropicciò gli occhi e provò a comporre una frase nel buio crescente: “I looked up into the dark half of the blue, and the stars weren't there”. La cancellò in preda al nervosismo. “Non ha alcun senso” disse ad alta voce.
“Che cosa non ha alcun senso?” chiese una voce.
Alex alzò gli occhi di scatto e la vide, in piedi accanto a lui, con il libro ancora tra le mani, che lo guardava incuriosita.
“Oh, niente...” rispose, evasivo. La guardò ancora, in realtà per la prima volta, perché non aveva mai distinto la sua fisionomia, quando la osservava da lontano. Aveva il viso piccolo, a forma di cuore ed il naso all'insù coperto di efelidi.
“Cosa scrivi?”
“Nulla... Tu cosa leggi?” chiese di rimando, accennando al libro che lei teneva in mano.
Lei gli mostrò la copertina, Persuasione. “L'ho studiato a scuola quest'anno.” spiegò. Alex annuì, confuso.
"Come ti chiami?"
“Alex” deglutì lui.
“Solo Alex o Alexander?”
Che razza di domanda era?
“Alexander”
“È un bel nome” sorrise.
“E tu, come ti chiami?"
“Jordana.”
“Anche il tuo è un bel nome.” disse lui, educatamente. Lei gli fece la linguaccia e si voltò a guardare il mare. “Ti andrebbe di fare un bagno, Alexander?”
“A quest'ora?”
“Sì” rispose lei, con semplicità. Alex stava per rifiutare quando lei sbottò: “Andiamo, non hai fatto nemmeno un bagno e sei qui da almeno dieci giorni!”
“Come..?”
“Lo so e basta” disse risoluta. “Cosa credi, che stiamo tutti a muffire col naso nei libri? Avanti!”
Buttò per terra il suo libro e lo afferrò per i polsi, tirandolo in piedi. Era alta più o meno quanto lui. Poi si tolse la maglietta e, visto che lui continuava a guardarla interdetto, cominciò a trascinarlo per un braccio verso la riva. Il contatto con le onde fece rabbrividire Alex dalla testa ai piedi e lei rise della sua pelle d'oca, mentre, con l'acqua alla vita, si tuffava per bagnare la testa. Riemerse qualche metro più in la e, visto che il ragazzo non si era ancora mosso, scosso da brividi violenti, gli urlò “Se ti muovi ti riscaldi! Dai!”
Alex prese coraggio e si tuffò anche lui, avvertendo l'aria che si gelava nei polmoni e rimpiangendo di non aver opposto più ferma resistenza. Jordana nuotò verso di lui. “Meglio?” chiese. “Più o meno...” articolò a fatica Alex tra il battito dei denti. “Sei una donnicciola, Alexander!” lo prese in giro lei. “Andiamo...” Lo prese per mano e nuotò piano verso la riva. Poi fece una corsa e andò a prendere l'asciugamano di Alex, il quale giaceva più o meno assiderato sul bagnasciuga. Lo avvolse nel telo e frizionò con forza, mentre le labbra di lui riprendevano una sfumatura di colore normale, dopo il lilla di cui si erano tinte per il freddo. Poi, sorridendo, si drappeggiò addosso l'asciugamano giù umido e gli domandò: “Allora, non è magnifico?”
Alex la guardò allucinato e Jordana scoppiò a ridere. “Magari è meglio se il prossimo lo facciamo di giorno, che dici?”
“Io lì dentro non ci torno nemmeno morto!” esalò Alex, ancora shockato.
Jordana si piegò in due dalle risate. “Farai meglio a tornare a casa e farti una bella doccia calda, Alexander. Io ti saluto, devo scappare!”
E corse via.

Alex tornò alla casa che avevano affittato con lo charme di uno zombie. Sua madre era in preda ad una crisi isterica, ma si calmò non appena le disse che aveva fatto amicizia con una ragazza: assiderato sì, ma almeno in compagnia. Alex la lasciò alle sue elucubrazioni per dedicarsi alle proprie, che si manifestarono non appena il getto caldo della doccia gli colpì le spalle, sciogliendogli i muscoli. Si lasciò invadere dal ricordo di quel momento assolutamente singolare che l'aveva scosso molto più dell'acqua gelida dell'oceano. Jordana era... Decisamente non riusciva ad inquadrarla. Aveva un comportamento bizzarro, mutevole, cambiava atteggiamento da un momento all'altro. Come quando gli aveva chiesto se volesse fare il bagno: la voce le si era fatta all'improvviso dura, ma poi aveva sorriso, come una bambina esaltata. Era la ragazza più strana con la quale avesse mai avuto a che fare e la cosa lo incuriosiva e lo atterriva al tempo stesso, rendendogli impossibile seguire un'unica linea di comportamento con lei. Ma, forse, ne valeva la pena e poi gli piaceva che lei lo chiamasse col suo nome completo, perché il suo tono di voce adulto e profondo gli conferiva un non so che di solenne e speciale. 
Cadde addormentato poco dopo essere uscito dalla doccia e, quella notte, la sognò.

La mattina dopo si svegliò all'alba, mezzo intontito e dolorante, quasi certo di essersi preso un raffreddore. Maledisse mentalmente Jordana e si preparò a scendere in spiaggia con l'Amleto, sperando che il proverbiale mattone l'avrebbe tratto in salvo da altre incursioni da parte di quella dannata ragazza. Non la vide per la prima metà della mattinata, anche e soprattutto perché non alzò un istante gli occhi dalle pagine, per evitare di incontrare il suo sguardo. Ma, ad un certo punto, annoiato e anche un po' curioso, cedette e, rotolandosi sulla schiena, staccò lo sguardo dalle pagine poco prima del celebre monologo.

La trovò al solito posto, mentre giocava a carte con i suoi amici. Aveva un'espressione concentrata che le arricciava il viso in una smorfia buffa e adorabile. Alex si mise ad osservala con il mento appoggiato una mano; chissà se anche lei aveva ripensato a quello che era successo la sera prima. Come in risposta ad un segnale misterioso, Jordana alzò gli occhi e, schermando con le dita la luce del sole che le colpiva il volto, incontrò quelli di Alex. Un sorriso dolce le si dipinse sul volto e lui le sorrise di rimando, sentendosi un perfetto idiota. Jordana gli fece segno di avvicinarsi, ma lui fece una smorfia e alzò il libro per giustificarsi. Lei sbuffò, posò le carte e si alzò, camminando spedita verso di lui. Alex ringraziò il cielo di aver deciso di sistemarsi lontano dai suoi, per evitare battutacce.
“Cosa, stavolta, è più importante di socializzare?” chiese, ironica, non appena fu abbastanza vicina perché lui potesse sentirla.
"Amleto” rispose, tornando a fissare le pagine per non doverla guardare.
“Essere o non essere...” scimmiottò lei. “Sei una vera palla” sbottò, lasciandosi cadere seduta accanto a lui. Alex non rispose. Jordana si sporse per leggere, sfiorando con i capelli biondi la fronte di lui, ripetendo a bassa voce le parole lacerate dello straziante dubbio di Amleto.
“Quando l'ho studiato non mi è piaciuto un granché” disse, arrivata in fondo alla battuta. Era di nuovo improvvisamente seria. “Probabilmente perché non lo capivo. Il dilemma dei timidi...”
E ancora sorrideva, passando da un tono all'altro con incredibili velocità e naturalezza.
“Direi più degli indecisi cronici” ribatté Alex, faticando a starle dietro.
“E invece no, dei timidi! Non è propria dei timidi questa indecisione che li fa rimanere fermi e immobili a consumarsi nella loro solitudine?” fece Jordana, in tono melodrammatico. Poi gli strizzò l'occhio, si alzò e corse di nuovo dai suoi amici, lasciandolo solo a pensare.

Alex non la vide più per almeno due giorni. O meglio, fece di tutto per non incrociare il suo sguardo, seppellendosi letteralmente nel resto dei libri che si era portato dietro, ma senza riuscire a prestarvi reale attenzione. La sua mente era occupata a rimuginare su quello che gli aveva detto Jordana con quel tono serio e adulto che lo faceva sentire insignificante e minuscolo. Le era bastato così poco per dare una diagnosi esatta della sua persona che quasi si spaventò... Ma come poteva un sorriso così incantevole nascondere qualcosa che non fosse ugualmente meraviglioso?
Sentì la necessità impellente di scrivere e, in quei giorni passati ad evitarla, scrisse: di lei, della sua voce profonda, del modo in cui gli aveva sorriso, qualche giorno prima, riparandosi dal sole per guardarlo meglio, di come i suoi occhi scintillassero, come quelli di una bambina felice.


Ebbe il coraggio di andare da lei solo il giorno prima di partire, quando al tramonto la spiaggia si fu svuotata e rimasero di nuovo soli, come la prima volta che lei gli aveva parlato. Il disco rosso del sole indugiava sull'acqua del mare, calmo e splendente di un indaco cupo. Jordana, seduta a gambe incrociate sull'asciugamano, leggeva ancora Persuasione mordicchiandosi le unghie, e non dava segno di aver percepito che lui fosse lì, vicino a lei. Alex si sedette al suo fianco, in silenzio, lasciandosi sfiorare dalla sua presenza. Jordana voltò leggermente la testa e lo trafisse con il suo sguardo di innocente consapevolezza.
“Ciao”
“Hey...”
Lei continuò a fissarlo, ma Alex non resse più il suo sguardo e si girò di scatto a guardare il mare.
“Volevo chiederti scusa per l'altro giorno, Alexander” esordì lei, inaspettatamente. “Non avevo nessun motivo di dirti quel che ho detto. Sono stata invadente... e troppo timida per venire a scusarmi prima.”
“No. Non sentirti in colpa: hai ragione. Non sono proprio quel genere di pazzo che verrebbe qui a parlarti delle stelle” sorrise debolmente. “Anche perché né l'altro giorno né oggi ne ho vista una. Evidentemente hanno avvertito la competizione scorretta che gli fanno i tuoi occhi.”
“Non dire stupidaggini, ti prego. Non parleresti così se mi conoscessi davvero” sbottò Jordana. Chiuse il libro con uno schiocco secco. Si girò dall'altra parte. Poi di nuovo verso Alex, sputando quasi le parole. “Io sono un disastro, Alexander. Sparo sentenze sulla vita degli altri perché sono incapace di far andare come voglio la mia.”
Alex non era decisamente preparato ad una cosa del genere. Lentamente racchiuse una delle guance di lei nella sua mano, in un'ipotesi di carezza; il vento scompigliò i loro capelli. Le si riaccese un barlume di sorriso.
“Hai mai pensato di scrivere? Prima hai cacciato due o tre stronzate niente male...” cercò di sdrammatizzare.
“In realtà... ho già scritto qualcosa.” sospirò, pronto. “Parla di te.”
Jordana lo guardò esterrefatta. “Domani parto e... volevo che ti rimanesse qualcosa che ti facesse ricordare di me. Potrai crederla una pretesa assurda ed egoista, ma c'è qualcosa in te che... non lo so. Cioè, sì, lo so. L'ho scritto. Insomma...”
Jordana, impaziente, gli strappò di mano il fogliettino ripiegato con cura che lui le porgeva, lo dispiegò e lesse da cima a fondo le parole impresse nella carta con la grafia rotonda, quasi femminile di Alex, scandendole come se dovesse mandarle a memoria.
Poi guardò Alex.
“L'hai scritta proprio tu?” fece lei, incredula. Lui fece segno di sì con la testa. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare: vide gli occhi di Jordana che si avvicinavano, sempre di più, sempre più grandi, fino a quando, battendo le ciglia, lei gli fece il solletico. Alex la guardava, paralizzato dalla paura, paura mista ad una melassa collosa che gli riempiva il petto e gocciolava lentamente nello stomaco, mentre le labbra di Jordana sfioravano gentilmente le sue, prima di aderirvi con decisione che lo sbilanciò e lo sorprese.
Le sue labbra erano di miele, calde e dolci, franavano contro le sue e si ricomponevano in una morbida curva che sembrava cercare la sua essenza più intima. Le mani di Jordana erano corse al suo viso, in due carezze mute e lo tenevano inchiodato al suo posto, come se avesse paura di vederlo scappare da un momento all'altro.

Stettero così, baciandosi, fin quando il sole non calò completamente. Poi Jordana sì allontanò, gli occhi che le brillavano alla luce residua dell'astro morente, mordendosi le labbra gonfie e rosse per i troppi baci.
“Non si è mai vista una storia più breve, Alexander. Abbiamo battuto ogni record!” voleva suonare ironica. Ma ad Alex non sfuggì la lacrima silenziosa che le solcò la guancia non appena ebbe pronunciato quella frase. La raccolse con la punta del dito e se la portò alle labbra, assaporando un altro lato di lei, salato e triste. “Non piangere...” farfugliò. “L'ho scritta per farti sorridere!”
Jordana gli indirizzò uno sguardo furioso. “Non è per quello che hai scritto, è per te, pezzo di idiota!” scosse la testa, risoluta, come a voler scacciare un brutto pensiero. “È cattiva educazione arrivare a sconvolgere l'ordinaria vita di un'adolescente in due giorni, Alexander. E lo è ancora di più andarsene subito dopo.”
“Non posso farci nulla... Per questo ti scritto quella cosa. Perché... non fosse stato tutto invano.” sorrise debolmente.
Jordana lo guardò e ad Alex quello sguardo si piantò nel cervello, come se lei l'avesse scoccato con arco e frecce dentro i suoi occhi.
“Credo che saresti l'unica persona a cui permetterei di essere rimpicciolita e di navigare nel mio corpo dentro un piccolo sommergibile. Addio, Alexander.”
Raccolse in fretta le sue cose e si allontanò, portandosi ogni tanto il dorso delle mani agli occhi, per asciugare le lacrime. Alex sospirò pesantemente, guardando il mare.
Non l'avrebbe mai più vista.

  
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