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Autore: monalisasmile    04/03/2014    1 recensioni
Questa storia vuole raccontare un’altra versione delle vicende di Glee. Una versione nella quale i personaggi non cominciano a interagire tra loro per via del coro, bensì tra i banchi di scuola, percorrendo i corridoi, studiando in biblioteca, giocando in palestra o partecipando a nuovi corsi. Gli eventi seguiranno più o meno il corso del telefilm. Più o meno…
Ognuno di loro, arrivato all'ultimo anno di liceo, dovrà scegliere che strada percorrere. Per farlo dovranno accantonare pregiudizi e porsi al di sopra dell'opinione comune, scoprendo se stessi: sbagliando, gioendo, piangendo, litigando e stringendo nuovi rapporti. Insomma, crescendo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Finn Hudson, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Rachel Berry, Un po' tutti | Coppie: Finn/Quinn, Finn/Rachel, Puck/Quinn, Puck/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

Un ragazzo percorreva i corridoi del liceo Mckinley con l’andatura spavalda e il sorriso sicuro di chi sa di non avere ostacoli sul suo percorso.

Finn Hudson svettava tra la folla di adolescenti grazie all’altezza di 1 metro e 90. Aveva spalle larghe, capelli scuri e il sorriso sghembo più dolce del Mckinley. Era il quarterback della squadra di football ed era fidanzato con la ragazza più bella della scuola, nonché capitano delle cheerleader, Quinn Fabray. Lei era alta, bionda, con due occhi come zaffiri incastonati in un volto di porcellana. Era perfetta. E insieme erano una coppia perfetta.

Certo, quell’anno avrebbe dovuto applicarsi maggiormente nel football per far vincere alla sua squadra il Campionato, ma era di natura ottimista e aveva buoni presentimenti su quell’anno accademico.

Fu dunque con quella fiducia che entrò nell’aula di Arte.

 

Prendendo posto in ultima fila maledisse il suo amico Puck, l’unico motivo per cui ora si trovava lì.

Il suo migliore amico e compagno di squadra Noah Puckerman qualche giorno prima si era recato a scuola con una busta d’erba nello zaino, prontamente scoperta e finita nell’ufficio del preside Figgins, seguita a ruota dal ragazzo.

Puck era l’esatto opposto di Finn: cresta da moicano, espressione da duro, atteggiamento ribelle e tono sfrontato, aveva l’innata capacità di cacciarsi sempre nei guai. Sapeva essere terribilmente prepotente con gli studenti che prendeva di mira, insensibile nei confronti delle ragazze e irrispettoso in presenza degli adulti. Eppure era il suo migliore amico e Finn non aveva esitato ad addossarsi la colpa anche di quell’ultima bravata.

Gli insegnanti erano stati scettici di fronte alla confessione di quel bravo ragazzo, ma costretti a punirlo gli avevano proposto di seguire un corso supplementare per guadagnare qualche “credito extra” e dimostrare di prendere seriamente l’istituzione scolastica.

Finn sbuffò. Dovendo scegliere tra un corso di Matematica Avanzata, uno di Chimica e uno di Informatica aveva optato per quello di tipo umanistico, sperando di cavarsela con poco. Finn Hudson era il tipico giocatore di football: bravo nello sport, decisamente meno negli studi.

“Cosa non si fa per gli amici!” pensò tra sé, guardando annoiato i compagni di classe.

L’unico ragazzo che individuò era un tipo effeminato che Puck e il resto della squadra di football buttavano ogni mattina in un bidone dell’immondizia.

Le altre quattro studentesse presenti in aula non credeva di averle mai viste prima, sebbene le occhiate che loro gli lanciavano lasciavano intendere che loro invece sapevano benissimo chi fosse. Erano evidentemente tanto emozionate quanto sorprese di vedere il ragazzo più apprezzato nel liceo seduto in quei banchi. Probabilmente si sarebbero a lungo arrovellate sul perché di quell’apparizione. Come del resto stava facendo lui stesso, sconfortato.

Quello doveva essere il corso meno popolare e frequentato della scuola.

“Sicuramente il meno virile!”

Stava per considerare l’idea di chiedere al preside Figgins di spostarlo nel corso di Informatica prima che lo costringessero a decorare tazzine, quando dalla porta entrò il professore.

 

-          Buongiorno a tutti, ragazzi – esordì l’uomo – Mi chiamo Will Schuester e sono il nuovo professore di questo corso d’Arte. O per meglio dire, di arti. E qui vi pongo la prima domanda del corso. –

Si appoggiò alla cattedra, scrutando gli studenti.

-          Perché secondo voi parlo di arti, al plurale? –

Una manina scattò verso l’alto in prima fila e il professore le dette la parola con un cenno del capo.

-          Perché le arti visuali tradizionalmente sono sette – rispose una voce sicura – pittura, scultura e architettura, musica, poesia, danza e teatro. –

-          Molto bene, signorina… -

-          Rachel Berry – cinguettò la stessa persona.

-          Come ha detto Rachel le arti intese nel loro senso più ampio e completo sono sette. Tuttavia lo scopo principale di questo corso è istruirvi su quelle visive, cioè… -

Di nuovo quella manina saettò verso l’alto, bloccando sul nascere le parole del professore.

-          Sì, Rachel –

-          Le arti visive comprendono pittura, fotografia, disegno, incisione, grafica a computer, arte tessile e videoarte. –

-          Esatto. –

Finn non riusciva a scorgere il viso della petulante che evidentemente sarebbe stata la secchiona del corso per tutta la sua durata, ma poteva scommettere che in quel momento stava sorridendo trionfante.

-          Un’opera d’arte è un qualsiasi prodotto nato dalla creatività dell’artista, in grado di trasmettere emozioni e di esprimere il suo pensiero. Tuttavia ogni artista è unico, perciò il suo modo di esprimersi sarà diverso da quello di chiunque altro. Così come le persone che vedranno la sua opera saranno molto diverse tra di loro e daranno interpretazioni differenti. –

Sorrise agli studenti.

-          Voi siete diversi gli uni dagli altri, ognuno di voi è unico e avrà un determinato modo di esprimersi. Questo corso ha lo scopo di farvi scoprire il vostro linguaggio creativo e di aiutarvi ad utilizzarlo per produrre qualcosa di speciale, che vi rappresenti. Faremo emergere l’artista che è in ognuno di voi. E per farlo esploreremo tutte le arti visive. Insieme. –

Finn avvertì un brivido d’inquietudine lungo la schiena.

 

Quando la campanella decretò la fine di quella prima lezione Finn Hudson non ne poteva più né di arte né di Rachel Berry. Soprattutto di Rachel Berry.

Sebbene avesse tentato in tutti i modi di distrarsi giocando con il cellulare e chattando con gli amici, non era riuscito ad ignorare l’insopportabile tono saccente di quella ragazza. Il professor Schuester non sembrava poi tanto male e sembrava riuscire a tenere vivo l’interesse dei suoi pochi studenti, se non altro di quelli interessati alla lezione. Ma lei era più fastidiosa di una zanzara.

-          Finn Hudson! –

“Appunto” pensò spazientito riconoscendo la voce cinguettante e fermandosi sulla soglia.

La ragazza che si trovò di fronte per un attimo lo lasciò perplesso: si aspettava di trovarsi faccia a faccia con un viso insipido, un paio di occhiali dalle lenti spesse un dito e un maglione della nonna.

“In effetti al maglione della nonna ci si avvicina” pensò ghignando tra sé.

Per il resto la fanciulla che aveva di fronte non aveva nulla a che fare con l’immagine che si era fatto di lei durante quella lezione. Certo non era bella quanto Quinn e il suo naso era piuttosto importante, ma aveva dei meravigliosi capelli scuri e lucenti e appena ombreggiati dalla frangia spiccavano due intensi occhi color cioccolato. Era minuta ma proporzionata, la schiena dritta di chi è fiero di sé, la carnagione leggermente ambrata e la bocca carnosa. Probabilmente se fosse stata piegata in un sorriso sarebbe anche stata apprezzabile.

-          Sono Rachel Berry e vorrei sapere che intenzioni hai. –

Il nome di quello scricciolo non era un mistero per lui. Cosa passasse sotto a quei capelli invece sì.

“Probabilmente aria.”

-          Non capisco a cosa ti riferisci. –

-          Suvvia, Hudson, sono carina ma non per questo scema. –

“Questa poi!” pensò il ragazzo accigliato “Oltre a esser petulante è pure egocentrica.”

-          Mi spiego – proseguì lei avvicinandosi a lui e facendolo retrocedere sulla difensiva – Tu non sei esattamente il tipico “artista” – fece il gesto delle virgolette con le dita – Probabilmente non hai nemmeno idea di cosa sia la Gioconda. E non credo t’interessi. Perciò vorrei sapere come mai sei qua. –

Touché.

-          Non sono affari tuoi – rispose brevemente lui, messo alle strette.

-          Oh sì invece. – gli sorrise lei in tono di scherno – Io studio le arti da quando sono piccola e in futuro diventerò una vera artista. Ma per farlo ho bisogno che sul mio curriculum scolastico compaia la frequentazione a pieni voti di questo corso. Ovviamente non ho bisogno delle lezioni del professor Schuester, sono stata seguita dai migliori insegnanti privati, ma vedere che un’artista come me ha mostrato la propria creatività e il proprio talento a studenti meno fortunati cosicché possano prendermi a esempio sicuramente impressionerà le giurie. Quindi – si avvicinò ulteriormente al ragazzo ormai spalle al muro, i grandi occhi cioccolato ridotti a due fessure – sei pregato di non mettermi il bastone tra le ruote o sarà peggio per te. –

Fece un passo indietro, sorridendo come se niente fosse.

-          È stato un piacere parlare con te. Arrivederci Finn Hudson. –

E girò i tacchi, uscendo con la testa alta e i libri stretti al petto.

Finn era ancora fermo contro il muro, il volto accigliato e un solo pensiero in mente: Rachel Berry era senza dubbio la persona più insopportabile che avesse mai conosciuto.

 

Rachel Berry aveva sempre saputo che sarebbe diventata un’artista.

Data in adozione in tenera età a una coppia gay, era stata cresciuta da due papà singolari e amorevoli che l’avevano spronata fin da piccola a realizzare quel sogno. Entrambi appassionati di tutto ciò che era considerato arte avevano deciso di darle una preparazione a tutto tondo attraverso lezioni private con i migliori insegnanti degli Stati Uniti orientali, allo scopo di formarla non solo professionalmente ma anche culturalmente.

All’età di 17 anni Rachel conosceva le maggiori opere d’arte americane ed europee, aveva preso lezioni di disegno, di pittura e di scultura.

Finito il liceo si sarebbe trasferita a New York per frequentare l’Accademia d’Arte, dove avrebbe completato la sua formazione artistica per poi esporre le sue opere nelle più grandi città del mondo: New York, Shanghai, Buenos Aires, Londra, Berlino, Madrid, Praga, Firenze e Parigi… Ovviamente si sarebbe trasferita in Europa, sebbene fosse ancora indecisa se in Francia o in Italia.

-          Ehi, artista! –

Una granita le schiaffeggiò il volto.

“Un giorno faranno la fila per vedere una mia opera!”

Se lo ripeteva ogni volta che era vittima delle prepotenze degli altri studenti. Quindi piuttosto spesso.

 

Una cheerleader piegò la bella bocca rosea in una smorfia di disgusto, per poi superare la brunetta che era appena stata centrata dalla granita.

“Chissà quanto le ci vorrà per lavare quel ridicolo maglioncino giallo.”

Certo non era un problema che Quinn Fabray avrebbe mai dovuto affrontare. Bellissima, sofisticata, popolare, bionda e con un fisico perfetto, non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di come togliere la gelida e appiccicosa granita dalla sua divisa delle Cheerios. Quello era un problema che riguardava gli studenti sfigati, non la reginetta della scuola, capitano delle cheerleader e presidentessa del club della castità. Anzi.

Per un attimo la sua bocca si piegò in un ghigno sadico, ripensando alle ragazze che lei stessa aveva inondato di granita. Non che Quinn Fabray si abbassasse a fare del bullismo nella sua scuola. Ma come ogni regnante aveva il dovere di mettere in riga chi cercava di pestarle i piedi.

Era stato il caso di una ragazza che l’anno prima aveva cercato di mettersi troppo in buona luce agli occhi della coach Sue Sylvester, forse illudendosi di poterle strappare il ruolo di capitano delle cheerleader. O di un’altra che a San Valentino aveva scritto una commovente dichiarazione d’amore al suo ragazzo.

“Povera sfigatella.”

In effetti ci era andata giù pesante con quella ragazzina, considerato che la poesia faceva parte di un compito assegnato dall’insegnante d’inglese e che probabilmente il suo amore nei confronti di Finn era quello platonico di una fan. Lui stesso l’aveva rimproverata, definendo la sua reazione esagerata.

Sollevò le spalle.

“Beh, è stata una punizione esemplare.”

Svoltò l’angolo, con il solito sorriso gradevole sul volto delizioso. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno al liceo Mckinley e sicuramente anche il migliore. Finn e lei sarebbero stati nuovamente incoronati re e reginetta al ballo di fine anno e si sarebbero diplomati insieme. Lei avrebbe fatto domanda per entrare in un prestigioso college, magari Yale, come suo padre e sua sorella. Finn ovviamente si sarebbe trasferito in Connecticut con lei e avrebbe cominciato a lavorare in una delle filiali dell’azienda di suo padre. Lei si sarebbe laureata e lui avrebbe ottenuto una posizione dirigenziale, si sarebbero sposati e probabilmente lei non avrebbe proseguito gli studi specialistici per dedicarsi alla famiglia, come aveva fatto sua madre.

Aprì la porta della mensa, entrando a testa alta, conscia degli sguardi ammirati e invidiosi di tutti. Lei era perfetta, la sua vita era perfetta. Il suo futuro non poteva che esserlo.

 

-          Ehi –

-          Ehi –

Puck si sedette accanto a Finn a mensa.

-          Sei già diventato un pittore? – ghignò il ragazzo con la cresta.

-          Non sai che tortura è quel corso. –

-          Immagino. Volevo dirti che l’ho apprezzato molto. – gli batté una pacca sulla spalla.

-          È a questo che servono gli amici, no? – gli sorrise lui, ricambiando il gesto.

Una cheerleader bionda si sedette accanto al quarterback.

-          Mi auguro che questa pagliacciata finisca presto, amore. –

Quinn era senza dubbio nata con lo scettro del potere stretto in mano. Bella e aggraziata, riusciva ad articolare frasi pungenti in tono affabile.

-          Non ho avuto scelta, tesoro, lo sai… - si strinse nelle spalle Finn.

-          Oh sì, invece, una scelta ce l’avevi – disse lanciando un sorriso acre all’indirizzo di Puck.

-          Ne abbiamo già parlato. Ho fatto per Puck quello che avrei fatto per qualunque persona importante per me che si trovasse nei guai. Se dovesse un giorno servire a te, Quinn, io sarei… -

-          Finn – lo interruppe lei con un gesto della mano – Io non mi troverò mai in situazioni tanto sconvenienti. –

Detto ciò la ragazza si alzò, raggiungendo il resto delle cheerleader a un altro tavolo.

Finn lasciò andare il respiro.

Discutere con Quinn era inutile, aveva la meglio lei. Sempre.

 

-          E così tu sei una che non si caccia mai in situazioni sconvenienti, eh, Fabray. –

Il capitano delle cheerleader incrociò lo sguardo del ragazzo attraverso lo specchio.

-          Questo è il bagno delle donne, Puckerman. Credevo che almeno le figure sui cartelli riuscissi a interpretarle. –

Puck ghignò, incrociando al petto le braccia muscolose.

-          E ora cos’hai da sghignazzare? – fece la bionda in tono di sufficienza, mettendosi il rossetto perlato di fronte allo specchio.

-          Nulla – disse lui, avvicinandosi alla ragazza di spalle – Pensavo a quel detto famoso – accostò le labbra al suo orecchio – Non sputare nel piatto in cui hai mangiato, reginetta della castità. –

 

Finn Hudson avrebbe preferito fare 1000 piegamenti piuttosto che seguire quel maledetto corso di Arte ogni giovedì. Era un mese ormai che il professor Schuester teneva lezioni di storia dell’arte, proiettando diapositive dei più grandi capolavori del mondo, tentando di risvegliare l’interesse degli studenti. L’unica sempre attenta era Rachel Berry, la cui mano alzata e voce petulante si era ormai insinuata nei suoi incubi peggiori. Il resto della classe era evidentemente distratto da occupazioni migliori, nel suo caso il cellulare, oppure dal quarterback in ultima fila. Le ragazze del corso continuavano a lanciargli occhiate di soppiatto e sghignazzare tra loro; era convinto di aver colto sguardi languidi persino dal ragazzo effeminato.

“Se non altro è il corso impegna così poco che il coach non ha avuto da ridire.”

Era un grigio mercoledì pomeriggio di ottobre.

Finn stava percorrendo i corridoi immersi nella penombra diretto al campo di football. Tutti gli studenti erano tornati a casa o erano impegnati nei loro club. Il suono delle voci dietro le porte chiuse delle aule era ovattato e l’unico suono distinto era il suono dei suoi passi sul pavimento. E una musica leggera.

Incuriosito, voltò il capo nella direzione di quel suono e scoprì una luce filtrare attraverso il vetro della porta dell’aula d’Arte.

“Ma la lezione è domani.”

Si avvicinò perplesso: che il professor Schuester avesse deciso di anticipare la lezione? Ovviamente il suo allenamento aveva la precedenza indiscussa, ma in tal caso si sarebbe quanto meno giustificato con l’insegnante, così che magari avrebbe chiuso un occhio sulla sua assenza. Il preside Figgins era infatti stato chiaro a tal proposito: seguire quel corso avrebbe comportato la sua presenza al 75% delle lezioni, altrimenti sarebbe scattata la sospensione.

La porta era socchiusa e Finn l’aprì piano, sbirciando all’interno.

Rachel Berry era seduta su uno sgabello, di fronte a un treppiede che sosteneva una tela immacolata. Uno stereo spandeva nell’aula le note soavi che avevano attirato la sua attenzione. Nessun altro.

“Scampato pericolo.”

Stava per uscire dall’aula quando Rachel alzò un braccio e cominciò a tratteggiare delle figure sulla tela. Finn non s’era accorto che la ragazza teneva un carboncino in mano e si fermò ad osservarla incuriosito. L’attenzione della fanciulla pareva catalizzata da un cesto di frutta e non s’accorse della sua presenza.

Quella stessa mano che scattava verso il soffitto bruscamente per richiedere la parola ora si muoveva con grazia sulla superficie bianca, lasciando un tratto nero deciso o appena accennato. La sua espressione era seria ma serena, le sue labbra si piegavano in un sorriso o socchiudevano appena, mentre le dita si macchiavano di antracite nello sfumare i segni sulla tela.

Finn fece scorrere lo sguardo sulla sua figura, come se la vedesse per la prima volta. Rachel non indossava uno dei suoi tremendi golf con qualche animale ricamato sopra, bensì una camicia turchese con le maniche risvoltate. Le gambe erano fasciate da un semplice jeans scuro: una era puntellata sulle gambe dello sgabello, l’altra distesa in una posizione di abbandono. La schiena sempre dritta era leggermente piegata verso il treppiede. Con un gesto disinvolto scostò una ciocca di capelli con il dorso della mano, rivelando il collo sottile. S’accigliò, guardando meditabonda il suo disegno. Poi il cesto di frutta, poi di nuovo il disegno. Indietreggiò un po’ con la schiena, grattandosi una guancia, troppo concentrata per ricordarsi dell’indice sporco di carbone. Inclinò il capo e la sua bocca si piegò in un sorriso soddisfatto, per poi riprendere a tratteggiare il soggetto sulla tela.

Finn uscì dal Mckinley, sorridendo tra sé e sé. Il cielo plumbeo d’ottobre gli parve meno grigio di prima, forse perché aveva appena visto qualcosa di veramente bello.

 

Anche il professor Schuester sorrise, allontanandosi dall’aula d’Arte.

 

Continua…

  
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