Capitolo
1
Un ragazzo percorreva i corridoi
del
liceo Mckinley con l’andatura spavalda e il sorriso sicuro di
chi sa di non
avere ostacoli sul suo percorso.
Finn Hudson svettava tra la folla
di
adolescenti grazie all’altezza di 1 metro e 90. Aveva spalle
larghe, capelli
scuri e il sorriso sghembo più dolce del Mckinley. Era il
quarterback della
squadra di football ed era fidanzato con la ragazza più
bella della scuola,
nonché capitano delle cheerleader, Quinn Fabray. Lei era
alta, bionda, con due
occhi come zaffiri incastonati in un volto di porcellana. Era perfetta.
E
insieme erano una coppia perfetta.
Certo, quell’anno avrebbe
dovuto
applicarsi maggiormente nel football per far vincere alla sua squadra
il
Campionato, ma era di natura ottimista e aveva buoni presentimenti su
quell’anno accademico.
Fu dunque con quella fiducia che
entrò
nell’aula di Arte.
Prendendo posto in ultima fila
maledisse
il suo amico Puck, l’unico motivo per cui ora si trovava
lì.
Il suo migliore amico e compagno di
squadra Noah Puckerman qualche giorno prima si era recato a scuola con
una
busta d’erba nello zaino, prontamente scoperta e finita
nell’ufficio del
preside Figgins, seguita a ruota dal ragazzo.
Puck era l’esatto opposto
di Finn:
cresta da moicano, espressione da duro, atteggiamento ribelle e tono
sfrontato,
aveva l’innata capacità di cacciarsi sempre nei
guai. Sapeva essere
terribilmente prepotente con gli studenti che prendeva di mira,
insensibile nei
confronti delle ragazze e irrispettoso in presenza degli adulti. Eppure
era il
suo migliore amico e Finn non aveva esitato ad addossarsi la colpa
anche di
quell’ultima bravata.
Gli insegnanti erano stati scettici
di
fronte alla confessione di quel bravo ragazzo, ma costretti a punirlo
gli
avevano proposto di seguire un corso supplementare per guadagnare
qualche
“credito extra” e dimostrare di prendere seriamente
l’istituzione scolastica.
Finn sbuffò. Dovendo
scegliere tra un corso
di Matematica Avanzata, uno di Chimica e uno di Informatica aveva
optato per
quello di tipo umanistico, sperando di cavarsela con poco. Finn Hudson
era il
tipico giocatore di football: bravo nello sport, decisamente meno negli
studi.
“Cosa non si fa per gli
amici!” pensò
tra sé, guardando annoiato i compagni di classe.
L’unico ragazzo che
individuò era un
tipo effeminato che Puck e il resto della squadra di football buttavano
ogni
mattina in un bidone dell’immondizia.
Le altre quattro studentesse
presenti in
aula non credeva di averle mai viste prima, sebbene le occhiate che
loro gli
lanciavano lasciavano intendere che loro invece sapevano benissimo chi
fosse.
Erano evidentemente tanto emozionate quanto sorprese di vedere il
ragazzo più
apprezzato nel liceo seduto in quei banchi. Probabilmente si sarebbero
a lungo
arrovellate sul perché di quell’apparizione. Come
del resto stava facendo lui
stesso, sconfortato.
Quello doveva essere il corso meno
popolare e frequentato della scuola.
“Sicuramente il meno
virile!”
Stava per considerare
l’idea di chiedere
al preside Figgins di spostarlo nel corso di Informatica prima che lo
costringessero a decorare tazzine, quando dalla porta entrò
il professore.
-
Buongiorno a
tutti, ragazzi – esordì l’uomo
– Mi chiamo Will Schuester e sono il nuovo
professore di questo corso d’Arte. O per meglio dire, di arti. E qui vi pongo la prima domanda del
corso. –
Si appoggiò alla
cattedra, scrutando gli
studenti.
-
Perché secondo
voi parlo di arti, al plurale?
–
Una manina scattò verso
l’alto in prima
fila e il professore le dette la parola con un cenno del capo.
-
Perché le arti
visuali tradizionalmente sono sette – rispose una voce sicura
– pittura,
scultura e architettura, musica, poesia, danza e teatro. –
-
Molto bene,
signorina… -
-
Rachel Berry –
cinguettò
la stessa persona.
-
Come ha detto
Rachel le arti intese nel loro
senso
più ampio e completo sono sette. Tuttavia lo scopo
principale di questo corso è
istruirvi su quelle visive, cioè… -
Di nuovo quella manina
saettò verso
l’alto, bloccando sul nascere le parole del professore.
-
Sì, Rachel –
-
Le arti visive
comprendono pittura, fotografia, disegno, incisione, grafica a
computer, arte
tessile e videoarte. –
-
Esatto. –
Finn non riusciva a scorgere il
viso
della petulante che evidentemente sarebbe stata la secchiona del corso
per
tutta la sua durata, ma poteva scommettere che in quel momento stava
sorridendo
trionfante.
-
Un’opera d’arte
è
un qualsiasi prodotto nato dalla creatività
dell’artista, in grado di
trasmettere emozioni e di esprimere il suo pensiero. Tuttavia ogni
artista è
unico, perciò il suo modo di esprimersi sarà
diverso da quello di chiunque
altro. Così come le persone che vedranno la sua opera
saranno molto diverse tra
di loro e daranno interpretazioni differenti. –
Sorrise agli studenti.
-
Voi siete
diversi gli uni dagli altri, ognuno di voi è unico e
avrà un determinato modo
di esprimersi. Questo corso ha lo scopo di farvi scoprire il vostro
linguaggio
creativo e di aiutarvi ad utilizzarlo per produrre qualcosa di
speciale, che vi
rappresenti. Faremo emergere l’artista che è in
ognuno di voi. E per farlo
esploreremo tutte le arti visive. Insieme. –
Finn avvertì un brivido
d’inquietudine
lungo la schiena.
Quando la campanella
decretò la fine di
quella prima lezione Finn Hudson non ne poteva più
né di arte né di Rachel
Berry. Soprattutto di Rachel Berry.
Sebbene avesse tentato in tutti i
modi
di distrarsi giocando con il cellulare e chattando con gli amici, non
era
riuscito ad ignorare l’insopportabile tono saccente di quella
ragazza. Il
professor Schuester non sembrava poi tanto male e sembrava riuscire a
tenere
vivo l’interesse dei suoi pochi studenti, se non altro di
quelli interessati
alla lezione. Ma lei era
più
fastidiosa di una zanzara.
-
Finn Hudson! –
“Appunto”
pensò spazientito riconoscendo
la voce cinguettante e fermandosi sulla soglia.
La ragazza che si trovò
di fronte per un
attimo lo lasciò perplesso: si aspettava di trovarsi faccia
a faccia con un
viso insipido, un paio di occhiali dalle lenti spesse un dito e un
maglione
della nonna.
“In effetti al maglione
della nonna ci
si avvicina” pensò ghignando tra sé.
Per il resto la fanciulla che aveva
di
fronte non aveva nulla a che fare con l’immagine che si era
fatto di lei
durante quella lezione. Certo non era bella quanto Quinn e il suo naso
era
piuttosto importante, ma aveva dei meravigliosi capelli scuri e lucenti
e
appena ombreggiati dalla frangia spiccavano due intensi occhi color
cioccolato.
Era minuta ma proporzionata, la schiena dritta di chi è
fiero di sé, la carnagione
leggermente ambrata e la bocca carnosa. Probabilmente se fosse stata
piegata in
un sorriso sarebbe anche stata apprezzabile.
-
Sono Rachel Berry
e vorrei sapere che intenzioni hai. –
Il nome di quello scricciolo non
era un
mistero per lui. Cosa passasse sotto a quei capelli invece
sì.
“Probabilmente
aria.”
-
Non capisco a
cosa ti riferisci. –
-
Suvvia, Hudson,
sono carina ma non per questo scema. –
“Questa poi!”
pensò il ragazzo
accigliato “Oltre a esser petulante è pure
egocentrica.”
-
Mi spiego –
proseguì lei avvicinandosi a lui e facendolo retrocedere
sulla difensiva – Tu
non sei esattamente il tipico “artista” –
fece il gesto delle virgolette con le
dita – Probabilmente non hai nemmeno idea di cosa sia la
Gioconda. E non credo
t’interessi. Perciò vorrei sapere come mai sei
qua. –
Touché.
-
Non sono affari
tuoi – rispose brevemente lui, messo alle strette.
-
Oh sì invece.
–
gli sorrise lei in tono di scherno – Io
studio
le arti da quando sono piccola e in futuro diventerò una vera artista. Ma per farlo ho bisogno che
sul mio curriculum
scolastico compaia la frequentazione a pieni voti di questo corso.
Ovviamente
non ho bisogno delle lezioni del professor Schuester, sono stata
seguita dai
migliori insegnanti privati, ma vedere che un’artista come me
ha mostrato la
propria creatività e il proprio talento a studenti meno
fortunati cosicché
possano prendermi a esempio sicuramente impressionerà le
giurie. Quindi – si
avvicinò ulteriormente al ragazzo ormai spalle al muro, i
grandi occhi
cioccolato ridotti a due fessure – sei pregato di non
mettermi il bastone tra
le ruote o sarà peggio per te. –
Fece un passo indietro, sorridendo
come
se niente fosse.
-
È stato un
piacere parlare con te. Arrivederci Finn Hudson. –
E girò i tacchi, uscendo
con la testa
alta e i libri stretti al petto.
Finn era ancora fermo contro il
muro, il
volto accigliato e un solo pensiero in mente: Rachel Berry era senza
dubbio la
persona più insopportabile che avesse mai conosciuto.
Rachel Berry aveva sempre saputo
che
sarebbe diventata un’artista.
Data in adozione in tenera
età a una
coppia gay, era stata cresciuta da due papà singolari e
amorevoli che l’avevano
spronata fin da piccola a realizzare quel sogno. Entrambi appassionati
di tutto
ciò che era considerato arte avevano deciso di darle una
preparazione a tutto
tondo attraverso lezioni private con i migliori insegnanti degli Stati
Uniti
orientali, allo scopo di formarla non solo professionalmente ma anche
culturalmente.
All’età di 17
anni Rachel conosceva le
maggiori opere d’arte americane ed europee, aveva preso
lezioni di disegno, di
pittura e di scultura.
Finito il liceo si sarebbe
trasferita a
New York per frequentare l’Accademia d’Arte, dove
avrebbe completato la sua
formazione artistica per poi esporre le sue opere nelle più
grandi città del
mondo: New York, Shanghai, Buenos Aires, Londra, Berlino, Madrid,
Praga,
Firenze e Parigi… Ovviamente si sarebbe trasferita in
Europa, sebbene fosse
ancora indecisa se in Francia o in Italia.
-
Ehi, artista!
–
Una granita le
schiaffeggiò il volto.
“Un giorno faranno la
fila per vedere
una mia opera!”
Se lo ripeteva ogni volta che era
vittima delle prepotenze degli altri studenti. Quindi piuttosto spesso.
Una cheerleader piegò la
bella bocca
rosea in una smorfia di disgusto, per poi superare la brunetta che era
appena
stata centrata dalla granita.
“Chissà quanto
le ci vorrà per lavare
quel ridicolo maglioncino giallo.”
Certo non era un problema che Quinn
Fabray avrebbe mai dovuto affrontare. Bellissima, sofisticata,
popolare, bionda
e con un fisico perfetto, non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di come
togliere
la gelida e appiccicosa granita dalla sua divisa delle Cheerios. Quello
era un
problema che riguardava gli studenti sfigati, non la reginetta della
scuola,
capitano delle cheerleader e presidentessa del club della
castità. Anzi.
Per un attimo la sua bocca si
piegò in
un ghigno sadico, ripensando alle ragazze che lei stessa aveva inondato
di
granita. Non che Quinn Fabray si abbassasse a fare del bullismo nella sua scuola. Ma come ogni regnante aveva
il dovere di mettere in riga chi cercava di pestarle i piedi.
Era stato il caso di una ragazza
che
l’anno prima aveva cercato di mettersi troppo in buona luce
agli occhi della
coach Sue Sylvester, forse illudendosi di poterle strappare il ruolo di
capitano
delle cheerleader. O di un’altra che a San Valentino aveva
scritto una
commovente dichiarazione d’amore al suo ragazzo.
“Povera
sfigatella.”
In effetti ci era andata
giù pesante con
quella ragazzina, considerato che la poesia faceva parte di un compito
assegnato
dall’insegnante d’inglese e che probabilmente il
suo amore nei confronti di
Finn era quello platonico di una fan. Lui stesso l’aveva
rimproverata,
definendo la sua reazione esagerata.
Sollevò le spalle.
“Beh, è stata
una punizione esemplare.”
Svoltò
l’angolo, con il solito sorriso
gradevole sul volto delizioso. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno
al liceo
Mckinley e sicuramente anche il migliore. Finn e lei sarebbero stati
nuovamente
incoronati re e reginetta al ballo di fine anno e si sarebbero
diplomati
insieme. Lei avrebbe fatto domanda per entrare in un prestigioso
college,
magari Yale, come suo padre e sua sorella. Finn ovviamente si sarebbe
trasferito in Connecticut con lei e avrebbe cominciato a lavorare in
una delle
filiali dell’azienda di suo padre. Lei si sarebbe laureata e
lui avrebbe
ottenuto una posizione dirigenziale, si sarebbero sposati e
probabilmente lei
non avrebbe proseguito gli studi specialistici per dedicarsi alla
famiglia,
come aveva fatto sua madre.
Aprì la porta della
mensa, entrando a
testa alta, conscia degli sguardi ammirati e invidiosi di tutti. Lei
era
perfetta, la sua vita era perfetta. Il suo futuro non poteva che
esserlo.
-
Ehi –
-
Ehi –
Puck si sedette accanto a Finn a
mensa.
-
Sei già diventato
un pittore? – ghignò il ragazzo con la cresta.
-
Non sai che
tortura è quel corso. –
-
Immagino. Volevo
dirti che l’ho apprezzato molto. – gli
batté una pacca sulla spalla.
-
È a questo che
servono gli amici, no? – gli sorrise lui, ricambiando il
gesto.
Una cheerleader bionda si sedette
accanto al quarterback.
-
Mi auguro che
questa pagliacciata finisca presto, amore. –
Quinn era senza dubbio nata con lo
scettro del potere stretto in mano. Bella e aggraziata, riusciva ad
articolare
frasi pungenti in tono affabile.
-
Non ho avuto
scelta, tesoro, lo sai… - si strinse nelle spalle Finn.
-
Oh sì, invece,
una scelta ce l’avevi – disse lanciando un sorriso
acre all’indirizzo di Puck.
-
Ne abbiamo già
parlato. Ho fatto per Puck quello che avrei fatto per qualunque persona
importante per me che si trovasse nei guai. Se dovesse un giorno
servire a te,
Quinn, io sarei… -
-
Finn – lo
interruppe lei con un gesto della mano – Io
non mi troverò mai in
situazioni
tanto sconvenienti. –
Detto ciò la ragazza si
alzò,
raggiungendo il resto delle cheerleader a un altro tavolo.
Finn lasciò andare il
respiro.
Discutere con Quinn era inutile,
aveva
la meglio lei. Sempre.
-
E così tu sei una
che non si caccia mai in situazioni sconvenienti, eh, Fabray.
–
Il capitano delle cheerleader
incrociò
lo sguardo del ragazzo attraverso lo specchio.
-
Questo è il bagno
delle donne, Puckerman. Credevo che almeno le figure sui cartelli
riuscissi a
interpretarle. –
Puck ghignò, incrociando
al petto le
braccia muscolose.
-
E ora cos’hai da
sghignazzare? – fece la bionda in tono di sufficienza,
mettendosi il rossetto
perlato di fronte allo specchio.
-
Nulla – disse
lui, avvicinandosi alla ragazza di spalle – Pensavo a quel
detto famoso –
accostò le labbra al suo orecchio – Non sputare
nel piatto in cui hai mangiato,
reginetta della castità.
–
Finn Hudson avrebbe preferito fare
1000
piegamenti piuttosto che seguire quel maledetto corso di Arte ogni
giovedì. Era
un mese ormai che il professor Schuester teneva lezioni di storia
dell’arte,
proiettando diapositive dei più grandi capolavori del mondo,
tentando di
risvegliare l’interesse degli studenti. L’unica
sempre attenta era Rachel
Berry, la cui mano alzata e voce petulante si era ormai insinuata nei
suoi
incubi peggiori. Il resto della classe era evidentemente distratto da
occupazioni
migliori, nel suo caso il cellulare, oppure dal quarterback in ultima
fila. Le
ragazze del corso continuavano a lanciargli occhiate di soppiatto e
sghignazzare tra loro; era convinto di aver colto sguardi languidi
persino dal
ragazzo effeminato.
“Se non altro
è il corso impegna così
poco che il coach non ha avuto da ridire.”
Era un grigio mercoledì
pomeriggio di
ottobre.
Finn stava percorrendo i corridoi
immersi nella penombra diretto al campo di football. Tutti gli studenti
erano
tornati a casa o erano impegnati nei loro club. Il suono delle voci
dietro le
porte chiuse delle aule era ovattato e l’unico suono distinto
era il suono dei
suoi passi sul pavimento. E una musica leggera.
Incuriosito, voltò il
capo nella
direzione di quel suono e scoprì una luce filtrare
attraverso il vetro della
porta dell’aula d’Arte.
“Ma la lezione
è domani.”
Si avvicinò perplesso:
che il professor
Schuester avesse deciso di anticipare la lezione? Ovviamente il suo
allenamento
aveva la precedenza indiscussa, ma in tal caso si sarebbe quanto meno
giustificato con l’insegnante, così che magari
avrebbe chiuso un occhio sulla
sua assenza. Il preside Figgins era infatti stato chiaro a tal
proposito: seguire quel corso
avrebbe comportato la
sua presenza al 75% delle lezioni, altrimenti sarebbe scattata la
sospensione.
La porta era socchiusa e Finn
l’aprì
piano, sbirciando all’interno.
Rachel Berry era seduta su uno
sgabello,
di fronte a un treppiede che sosteneva una tela immacolata. Uno stereo
spandeva
nell’aula le note soavi che avevano attirato la sua
attenzione. Nessun altro.
“Scampato
pericolo.”
Stava per uscire
dall’aula quando Rachel
alzò un braccio e cominciò a tratteggiare delle
figure sulla tela. Finn non
s’era accorto che la ragazza teneva un carboncino in mano e
si fermò ad
osservarla incuriosito. L’attenzione della fanciulla pareva
catalizzata da un
cesto di frutta e non s’accorse della sua presenza.
Quella stessa mano che scattava
verso il
soffitto bruscamente per richiedere la parola ora si muoveva con grazia
sulla
superficie bianca, lasciando un tratto nero deciso o appena accennato.
La sua
espressione era seria ma serena, le sue labbra si piegavano in un
sorriso o
socchiudevano appena, mentre le dita si macchiavano di antracite nello
sfumare
i segni sulla tela.
Finn fece scorrere lo sguardo sulla
sua
figura, come se la vedesse per la prima volta. Rachel non indossava uno
dei
suoi tremendi golf con qualche animale ricamato sopra, bensì
una camicia
turchese con le maniche risvoltate. Le gambe erano fasciate da un
semplice
jeans scuro: una era puntellata sulle gambe dello sgabello,
l’altra distesa in
una posizione di abbandono. La schiena sempre dritta era leggermente
piegata
verso il treppiede. Con un gesto disinvolto scostò una
ciocca di capelli con il
dorso della mano, rivelando il collo sottile.
S’accigliò, guardando meditabonda
il suo disegno. Poi il cesto di frutta, poi di nuovo il disegno.
Indietreggiò un
po’ con la schiena, grattandosi una guancia, troppo
concentrata per ricordarsi
dell’indice sporco di carbone. Inclinò il capo e
la sua bocca si piegò in un
sorriso soddisfatto, per poi riprendere a tratteggiare il soggetto
sulla tela.
Finn uscì dal Mckinley,
sorridendo tra sé
e sé. Il cielo plumbeo d’ottobre gli parve meno
grigio di prima, forse perché aveva
appena visto qualcosa di veramente bello.
Anche il professor Schuester
sorrise,
allontanandosi dall’aula d’Arte.
Continua…