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Autore: ehinewyork    05/03/2014    1 recensioni
"Il mio piccolo mondo che avrei dovuto costruire, proprio come un grattacielo, pezzo dopo pezzo, e farlo restare in piedi. Ma la fiamma che era in me era ancora piccola, non era ancora abbastanza forte da poter bruciare e disintegrare tutto il male che c’era alle fondamenta della costruzione e che mirava al suo crollo. Dovevo ancora distruggerli quei demoni dagli occhi indifferenti e le mani afferranti; terribili demoni che mi annerivano l’anima."
Lei è Sophie e questa è la sua storia. Ha un sogno nel cassetto: la libertà. Rinchiusa in una gabbia cercherà la chiave per liberarsi. E' piccola, sola, ma forte, nulla potrà distruggerla, neanche il suo terribile passato che la perseguita. Cosa troverà a Londra, in quel piccolo spicchio di mondo al nord dell'Europa? Ripulirà ogni sua ferita, ogni suo livido. Ma non le basteranno soltanto due mani per curarsi.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Era di fronte a me, il ragazzo. Aspettava che gli dessi una risposta.
-Un drink? Che schifo! – esclamai disgustata. Non volevo più vederne di drink.

Urlavano tutti in quella sala, urla stridule provenienti da bocche sudice. Corpi sudati, persone eccitate, bicchieri di drink sparsi ovunque, tavolini sporchi, bagni occupati a far tutto tranne quello per cui erano stati creati. C’era anche della droga da qualche parte, avevo addirittura visto qualche busta di preservativo svuotato del proprio contenuto. Ma quelle urla di persone felici o soltanto ubriache e quella musica altissima, penetrante, mi stavano martellando i timpani fino ad arrivare al cervello. Sembrava che qualcuno mi stesse prendendo a pugni sulla testa, senza un attimo di tregua. Girava tutto, come su una di quelle giostre che amano i bambini: salti su e inizi a girare, resti fermo al tuo posto ma ciò che ti circonda ruota sempre più velocemente. Ti senti stordito, vorresti fermarti e scendere, sperare che tutto si fermi. Quella su cui ero io, però, non era una giostra, ma un pavimento. E i pavimenti non si possono fermare, tu da lì non puoi scendere, devi per forza restarci. Mi tenevo in piedi, ma barcollavo, afferrando qualunque oggetto solido per mantenermi in equilibrio. Quelle luci mi facevano girare ancora di più la testa, mi confondevano. Vedevo solo delle immagini in movimento: ora illuminate, ora non più. I rumori li sentivo più forti, erano perforanti, quasi come un vecchio carillon che emette un suono stridulo e fastidioso. E la cosa a cui mi stavo tenendo per non cadere era un braccio.
-Hey! Hai bisogno di una mano? –
aveva insistito il barista, portando una mano sulla mia spalla. Gli occhi iniziarono a bruciarmi e le labbra erano salate, per le lacrime che l’avevano bagnata. La sua voce sembrava voler scomparire, la sentivo sempre più lontana.
–Stai bene? Posso chiamarti qualcuno? – continuava a ripetermi.
Avevo riso. Senza motivo ero scoppiata in una sonora risata e la sua faccia aveva cambiato subito espressione. Non era più preoccupato, bensì accigliato.
-Ti sembra che io stia bene? – ridevo ancora, sarcasticamente – Però tu non sei Ana, vero? E neanche Ronnie. Lasciami in pace, mi servono loro – e mi ero voltata, infastidita.
- Aspet... -

L’alcool era tornato ad avere il sopravvento su di me e la testa girava ancora, ma almeno sapevo chi dovevo cercare. Il problema era trovarle, in quella calca di gente. Feci dunque qualche passo avanti (oppure a destra, non riuscii a capirlo) nel tentativo di uscire da lì e raggiungere i divanetti neri dove supposi che le altre mi stessero aspettando. Qualcuno mi pestò un piede, altri mi cozzarono con la spalla. C’era chi si buttò addosso a me, ballando, muovendo i fianchi. Io li allontanai e cercai una via di fuga. Sembrava un labirinto senza una fine. Probabilmente stavo girando in tondo, sempre nello stesso punto, senza rendermene conto. Ed era frustrante non riuscire a liberarmi. Iniziava a mancarmi l’aria, non sapevo dove andare. Mi sentivo abbandonata, persa, sola in mezzo a tante persone. Presi la testa tra le mani e urlai “Basta! “. Poi sentii una mano afferrarmi il braccio. Mi irrigidii. Era una mano grande, calda. E se è di nuovo lui? Supposi. La mia testa iniziò a pulsare ancora più forte. Mi chiesi cosa voleva quell’uomo da me, perché non si decideva a lasciarmi in pace.
La mano mi tirò, piano, e mi lasciò il braccio, ricoprendomi poi la spalla.

-Se cerchi la tua amica, l’ho vista al bancone- disse la voce.
Era calma e dolce. Le sue labbra avevano sfiorato il lobo del mio orecchio e i miei capelli e poi erano tornate al loro posto, di fronte alle mie. Allo stesso modo in cui gli occhi erano di fronte ai miei. I suoi, profondi occhi di un colore ancora ignoto, ma belli. Io però non avevo risposto a quelle parole, lo avevo guardato senza parlare. Mi aveva affascinato, aveva un bel viso, dei lineamenti quasi perfetti, i capelli sollevati dal gel a mostrare la fronte lucida e le labbra sottili, incurvate ora in un sorriso e ora in una smorfia.

– Eccola lì – disse e alzò l’indice indicandomi il bancone del bar.
Vidi Ana seduta su uno sgabello, parlava con un ragazzo che era accanto a lei. Sorrisi. Feci un sospiro di sollievo, mi rilassai e poi – Grazie – replicai piano.
Mi staccai da lui e, a malincuore, tolsi lo sguardo dal suo viso. Mi incamminai verso quel punto, scostando alcune persone per farmi spazio. Ero quasi arrivata ma stavo traballando, il pavimento si muoveva sotto di me, o forse ero io a muovermi troppo. Le gambe non si decidevano a star dritte e quei tacchi altissimi avevano reso le cose ancora più difficili. Una delle due caviglie cedette, si spiegò e prese una storta. Faceva un male cane. Strizzai gli occhi e caddi sul pavimento umido della sala. Mi rialzai facilmente però, perché ad aiutarmi ci fu di nuovo quella mano calda ed accogliente.

-Ti aiuto io- disse. Mi sollevò e mi guardò – Tutto bene? – mi chiese.
Quando annuii piano, iniziò a camminare. Mi trascino con sè, anche se zoppicavo un po’. Mi strinse il polso. Era dolce la sua presa, ma aveva tastato un punto delicato, rosso e pieno di lividi.

-Lasciami il polso!- tirai il braccio e massaggiai il punto. – Mi fa male – continuai.

Si fermò a quel punto: eravamo arrivati al bancone. Abbassò lo sguardo e lo posò sulle braccia. Si morse il labbro in un’espressione strana. Era nauseato per l’orrendo stato in cui ero conciata, graffi e cicatrici, macchie scure e gonfiori. Era tutto ancora evidente. Però allo stesso tempo era dispiaciuto, le sue labbra erano piegate verso destra, sembrava triste. Per tutto il tempo in cui lui mi osservò io rimasi immobile, pietrificata. Quando poi distolse lo sguardo da quel punto, mi ammorbidii e coprii le braccia imbarazzata.
Tossì. -Dovresti metterci un po’ di ghiaccio lì sopra. Vado a prenderlo. – e poi sparì.

Tirai un sospiro di sollievo, libera da qualunque occhio indagatore. Ma quando poggiai i gomiti sul legno freddo del bancone, sentii una voce stridula e familiare urlare il mio nome.
- Sophie, eccoti finalmente! – mi abbracciò dandomi un bacio sulla guancia.
Tutto ciò che riuscii a fare fu sorridere e abbracciarla a mia volta. Ero stanca e volevo soltanto sedermi.
-Dove sei stata? Ti ho cercata ovunque!- esclamò - Ronnie e Leo sono tornati ai dormitori, dovremmo rientrare anche noi.-
Trovai il primo sgabello vuoto e mi ci fiondai sopra, per poi guardarla.
– Se loro se ne sono andati, noi come torniamo?- chiesi, massaggiandomi le tempie.
-A piedi, proprio come siamo venuti-
rispose sedendosi accanto a me e lasciando da solo il ragazzo con cui aveva parlato fino a pochi secondi prima. Mi scrutò con lo sguardo, finché notò gli occhi rossi e il mascara sbavato.
–Cosa ti è successo, Soph? – la sua voce si caricò di preoccupazione, mi prese la mano per accarezzarla.
-Oh, niente- mentii –Mi sono lavata la faccia e mi si è sbavato tutto- tossii agitata –E poi l’alcool rende gli occhi lucidi, no? -

Non volevo farle sapere di quello che era successo, perché avrebbe fatto domande, mi avrebbe chiesto il perché di tutti quei lividi, mi avrebbe chiesto ogni minimo particolare. Si sarebbe sentita in colpa per avermi lasciata da sola in mezzo a così tante persone, tra alcolizzati e maniaci sessuali. E non mi andava che si sentisse così, non volevo spaventarla con tutto il terrore che avevo provato e che provavo ancora. Allora nascosi le braccia dietro il bancone e mentii, allargai le labbra in un finto sorriso e mi augurai che se la desse a bere. E così fu.
-Si, menomale! Pensavo ti avessero fatto qualcosa. Sai quante persone violente ci trovi lì in mezzo?- rise appena, scuotendo la testa. Bevve l’ultimo sorso del suo drink ghiacciato e si alzò.

Io sorrisi e continuai a massaggiarmi i polsi, cercando di alleviare il dolore. Mi ricordai del ghiaccio e del ragazzo che era andato a prenderlo. Mi ricordai dell’aiuto che mi aveva dato per alzarmi dopo la storta che avevo preso e il dolore alla caviglia tornò a farsi sentire. Mi ricordai, poi, che lui aveva visto i miei lividi, li aveva visti bene. Ma non volevo che qualcuno si preoccupasse di quelle cose, specialmente qualcuno che non conoscevo. Erano problemi miei, mie cicatrici e nessun altro doveva sporcarsi le mani. Soltanto io dovevo, perché era stata colpa mia se me li avevano causati. Permettere a qualcuno di immischiarsi nei miei problemi avrebbe portato ad annerire anche l’anima di quel qualcuno. E non doveva accadere.
Dunque scossi la testa e mi alzai a mia volta. – Andiamo – dissi. Ana annuì e salutò il ragazzo moro.

 

Mentre ci allontanavamo, vidi dall’altra parte del bancone, infondo alla fila di bicchieri e bottiglie, quello splendido viso corrucciato. Lo vidi mentre, asciugandosi la fronte sudata, prese del ghiaccio e lo mise su un pezzo di stoffa. Lo chiuse con cura e lo adagiò tra le proprie mani, dirigendosi verso i nostri sgabelli vuoti. Scomparimmo in mezzo alla folla, dirigendoci verso l’uscita. Ma io lo stavo ancora fissando. Aveva poggiato quel pezzo di stoffa sul bancone e si stava guardando intorno. Forse mi sta cercando pensai. E magari era così. Pensai che era davvero un ragazzo carino, perchè voleva aiutarmi.. ed io ero scappata, che mossa stupida da parte mia. Ma lo avevo fatto per lui. Meglio per te se non mi rivedrai più, non avrai nessun peso da sopportare gli dissi in silenzio, nella mia testa. Ed era proprio così: meglio per lui. Meglio per chiunque altro.

Quel pensiero fisso che, però, tartassò la mia mente durante tutto il tragitto verso il mio nuovo rifugio mi fece riflettere parecchio. Pensai a quell’uomo, a ciò che mi aveva fatto e ritornò nella mia mente mio padre e tutta la sua brutalità. Proprio come se tutto il dolore che avevo già subito non fosse bastato, ora anche il ricordo doveva tornare a farmi male. Fu doloroso soltanto ripensarci, a quelle mani su di me; mani forti, potenti, inumane. Un piccolo spiraglio di luce si fece spazio tra quei pensieri bui: quel ragazzo. La mia mente non smetteva di lavorare e cominciò a chiedersi perché lo aveva fatto, perché aveva deciso di aiutare una stupida ragazza indifesa come me. Forse era proprio quello il motivo, perché ero debole, incapace di curarmi le ferite da sola; o almeno lo sembravo. Quindi, pensai, era solo compassione quella, solo pietà. Credevo che era questo l’effetto che facevo alla gente: "Oh, guarda! Una ragazzina imbranata che cade a terra e che piange”. Ma infondo, cosa c’era da aspettarsi? Non avevo neanche diciotto anni e mi comportavo come una donna vissuta, che sapeva tutto del mondo e che aveva subìto tutte le più orrende angherie.

Ma non ero questo, io lo sapevo. Ero soltanto una giovane ragazza, con una famiglia che di famiglia aveva solo il nome e con un padre che non aveva neanche le sembianze di una figura paterna. Una ragazza con un passato buio e freddo, privo di amore. Quell’amore che non aveva mai ricevuto e che non era neanche più capace di dare. Una ragazza con il cuore arido: se l’erano rubato tutto loro il mio amore, senza lasciarne neanche un goccio. Gli abbracci erano l'unico spiraglio di amore in me. Avevo abbracciato qualche volta Ronnie e, quella sera, anche Ana. Ma in nessun’altra occasione. Con Ronnie avevo discusso molte volte per questo motivo, perché lei diceva che non sapevo dimostrarle il mio bene. E io mi scusavo e, ancora, l’abbracciavo. Le dicevo che ce l'avrei messa tutta, ma che non sarebbe stato facile per me.

Fu una notte come tante altre, con l'unica differenza che ora ero tra nuove e fredde coperte, che furono l'unica cosa capace di riscaldarmi. Mi rannicchiai tra di esse e, pensando, iniziai ad essere consapevole del fatto che dopo tanti anni in quelle condizioni - sola, abbandonata, maltrattata - non soltanto non sapevo amare, ma, ancor peggio, non sapevo neanche cosa significasse essere amati. Non riuscivo neanche ad immaginare cosa si provasse o cosa significasse e fu per questo motivo che le lacrime mi scoppiarono sul viso, in una notte che diverso non aveva nulla, se non qualcosa: la prospettiva del cielo non era più la stessa. E ne fui grata.



Spazio autore

Questa volta non ho pubblicato alle 2:00, bensì all'1:00. Faccio progressi!
Duuunque buonasera a tutti e grazie per essere qui. Ho molta voglia di scrivere in questi giorni e ne sto approfittando per le "vacanze" di carnevale.

Sta emergendo sempre di più questo personaggio, vero? In ogni capitolo scoprirete cose nuove di Sophie, ricordi che non ha ancora descritto. Per quanto riguarda gli altri personaggi invece, per questi capitoli Ronnie è messa in ombra, ma si rifera negli altri. Quando ad Ana, lei può sembrare stupida ma lei ha un modo particolare di tenerci alle persone, lo capirete. E il famoso barista? Che ragazzo strano..

Beh, cosa avete da dire voi a riguardo? Sarei felice di sapere il vostro parere, quindi non abbiate paura nel recensire, non potrebbe farmi che piacere. Siete tutti fantastici, grazie!

P.s. Per chi vuole il mio twitter, eccovi il mio nick: @impercettibili

Moon

  
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