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Autore: a_marya    07/03/2014    1 recensioni
Alexis ha una missione da compiere, affidatagli dal padre naturale: recuperare i capitoli di una storia scritta dallo stesso, prima che fosse assassinato. Quella storia, infatti, contiene informazioni preziose che qualcun altro, da qualche parte nel mondo, intende usare per smascherare l'Organizzazione, un gruppo di fanatici responsabili di molti omicidi, tra cui quello del padre di Alexis. Ma recuperare quelle pagine è tutt'altro che semplice: con l'Organizzazione sulle sue tracce, Alexis deve fare di tutto per restare nell'ombra, se vuole proteggere se stessa e coloro che le vogliono bene. Ma restare nell'ombra non sarà più possibile, quando l'enigmatico Alex e il brillante Giulio entreranno a far parte della sua vita e allora non le resterà che lottare per difendere se stessa e la memoria dei suoi genitori naturali...
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Lascio la penna sul tavolo per strofinarmi gli occhi.
La luce della vecchia lampada è troppo fioca e devo continuamente aguzzare la vista per vedere quello che ho scritto ma non oso accenderne una più forte per paura di svegliarlo, così continuo a strabuzzare gli occhi per distinguere le righe sul foglio.
Con gli occhi chiusi, sorrido pensando all’espressione del suo viso quando leggerà queste pagine. Già lo vedo storcere la bocca nella sua smorfia abituale mentre nasconde gli occhi neri che ridono, seduto, o meglio sepolto, in quella vecchia poltrona vicino al fuoco, troppo vicino per me, lanciando occhiatacce al mio ritratto sopra il televisore!
Senza smettere di sorridere, apro gli occhi e riprendo la penna, rivivendo con la mente gli eventi che ci hanno portato in questa vecchia casa sulla scogliera dove il mare borbotta di continuo e all’improvviso sento un brivido sfiorarmi la pelle delle braccia e della schiena mentre ricordo quel viso che affiorava a tratti tra le onde, urlando antiche maledizioni cariche di rabbia e terrore…
Scuoto la testa con la fronte corrugata, decisa a scacciare quei pensieri e ricomincio a scrivere.
So che se voglio raccontare tutta la storia non potrò fare a meno di scrivere anche delle cose brutte ma ho deciso che non permetterò a quei fantasmi di torturarmi ancora, ci penserò solo quando dovrò raccontarli e poi li bandirò per sempre. Questo diario non è solo un regalo ma anche il mio modo per esorcizzare per sempre il passato. E poi manca ancora tanto prima che il mio racconto arrivi all’incontro con il Cardinale, non sono che all’inizio della mia piccola opera…
Guardo l’orologio e ricordo che ho poco tempo per questa notte. Cerco perciò di riportare alla mente il ricordo del momento che sto descrivendo ora, una sera di un gelido ottobre e non posso trattenermi dal sorridere di nuovo…

 
28 OTTOBRE 1996
La serata è gelida. Non ricordo che abbia mai fatto così freddo in questo periodo dell’anno; molti pensano addirittura che ci sarà neve in questi giorni. Spero di no. Mi piace la neve, la sua carezza fredda, ma rende difficile correre e cambiarsi in fretta e io ho estremamente bisogno di poter fare entrambe le cose.
Mi stringo ancora di più le braccia sul petto e alzo il passo verso la luce calda che illumina le finestre poco più avanti. Non vedo l’ora di piazzarmi vicino alla stufa con un bicchiere di buon vino rosso in mano e mia zia possiede entrambe le cose.
Quando finalmente raggiungo la casa ho le mani e la faccia insensibili e a stento riesco a suonare il campanello. Quando il vecchio Bill mi apre la porta sono talmente intirizzita che non riesco propriamente a sorridere, ma faccio un tentativo e corro verso il salotto, per salutare zia Ade. In realtà si chiama Adelaide e non è mia zia, ma sono tanti anni che la chiamo così e a lei fa piacere. Le do un bacio gelido sulla guancia velata di rughe sottili che nessuno avrebbe il coraggio di farle notare e saluto rapidamente gli altri presenti, stranamente numerosi.
- Dove sono mamma e papà? – chiedo mentre mi tolgo il cappotto e il sangue riprende a circolare nella mia faccia con un piacevole formicolio.
- Arriveranno a momenti cara, sai com’è tuo padre – mi risponde quasi urlando. Zia Ade è quasi completamente sorda e crede che anche il resto dell’umanità, per solidarietà, abbia deciso di cavarsi i timpani. Ma anche questo è un aspetto di zia Ade che nessuno sottolineerebbe mai davanti a lei.
- Perché non vai a prendere un bicchiere di vino dalla cucina e ti riscaldi accanto alla stufa, cara? Sembri un ghiacciolo! - mi suggerisce sempre a voce troppo alta e io sorrido, quindi mi faccio largo tra la folla per raggiungere l’accogliente cucina.
Mentre esamino con lo sguardo le numerose bottiglie esposte sulla parete per cercare il mio preferito, sento il campanello e subito dopo la voce di mia madre che saluta tutti allegramente e mi affretto a riempire uno dei bicchieri puliti ordinati sulla mensola e a tornare nell’altra stanza. Come tutti, anch’io sono curiosa di conoscere il resoconto della serata.
I miei, infatti, sono appena tornati dall’ospedale, dove Caterina ha appena partorito i suoi tre gemelli e ora la stanza è un continuo rilancio di domande. In breve mia madre (con l’aria soddisfatta di essere lei a riferire il tutto) ci informa che il parto è stato difficile ma ben riuscito, che i gemelli sono sani, robusti, in carne come i genitori e che una di loro e femmina mentre gli altri due sono maschi. E così sono svanite tutte le ipotesi e le relative scommesse sul sesso dei gemelli, penso con un sorriso.
Quando hanno finito i dettagli, mi avvicino per salutarli e finalmente riesco a dirigermi verso la stufa nell’altro salotto, quello grande, ma mi blocco a pochi passi dalla meta.
Al mio posto abituale, davanti alla stufa, leggermente a destra per appoggiarsi al basso mobile di mogano c’è un ragazzo, uno sconosciuto tra l’altro.
Lo guardo accigliata, con la voglia di spintonarlo e riprendermi il posto che è mio per diritto da quando ho messo piede per la prima volta in quella casa ma mi accorgo che non sarebbe molto maturo da parte mia e sbuffo. Si è anche messo nella mia stessa posa!
Lo squadro meglio senza preoccuparmi di nasconderlo, chiedendomi chi sia. Di certo qualcuno di importante, ricco sfondato, a giudicare dagli abiti firmati ed eleganti.
In quel momento lo sconosciuto ride, una risata sommessa ma vibrante, perfetta sul suo viso raffinato e io resto lì a fissarlo sfacciatamente, dimentica di tutti gli altri presenti che mi passano accanto.
È alto, molto più di me, e magro, ma non eccessivamente, con la carnagione scura e i capelli neri, perfettamente lisci, pettinati all’indietro con quantità industriali di gelatina, in modo da lasciare libera la fronte alta e spaziosa. Il volto ha i lineamenti delicati e il naso aquilino sembra mettere in risalto la bocca sottile ma decisa, sensuale.
Indossa un cardigan nero, il cui collo alto gli sfiora a tratti il mento non perfettamente rasato, e un paio di pantaloni beige firmati, dalla linea semplice ma elegante e anche le scarpe sono firmate, nere. Nell’insieme sembra sofisticatamente semplice ed emana un fascino non indifferente.
- Se non chiudi la bocca, sbaverai sul tappeto – mi avverte Linda comparendomi accanto con un bicchiere di vino in mano a sua volta. Anche lo sconosciuto ne ha uno e mi chiedo quale abbia scelto fra la collezione di zia Ade.
Io apro la bocca e la richiudo di scatto, fingendo di asciugarmi un filo di bava dall’angolo della bocca con il dorso della mano e Linda ride, poi mi saluta con un bacio sulla guancia.
- Sapevo che avresti approvato. Ma ti avverto, devi pagare il biglietto e rispettare la fila – continua con aria divertita e questa volta sono io che rido. Quando farò la fila per un uomo, i miei capelli saranno tutti bianchi, non avrò un solo dente in bocca e camminerò col bastone.
Però non posso negare che chiunque sia il ladro di stufe, è decisamente bello. Quasi perfetto se non fosse che è un uomo e che mia ha rubato la stufa.
Faccio segno a Linda di seguirmi e mi siedo sul divano sull’altro lato dalla stanza, da dove posso continuare a osservare l’affascinante sconosciuto, che intanto si è girato per parlare con una anziana amica di mia zia.
Sono contenta che sia girato almeno in parte, così posso guardarlo senza che se ne accorga. Il suo profilo deve essere semplicemente magnifico. Lo osservo mentre guarda la sua interlocutrice con sguardo interessato, ascoltando il monologo con un sorriso gentile.
Mi chiedo quale sia il suo nome e come si trovi in casa di zia Ade. Forse è un nipote di qualche ospite… Probabile, ma non l’ho mai visto ai frequenti raduni di mia zia.
- Oltre a conoscere il numero delle sue pretendenti, sai anche il suo nome? – domando a Linda, interrompendo il suo sproloquio sul suo ultimo acquisto nella nostra boutique preferita. Lei mi guarda perplessa e io indico con lo sguardo verso la stufa e lei sorride.
- Si chiama Alex, non so il cognome, ed è il figlioccio di quella signora vicino alla credenza, quella con la gonna a fiori.
Io mi volto fingendo di aggiustare la gonna per non dare nell’occhio. La conosco. Zia Ade l’ha conosciuta qualche settimana fa nella pasticceria di mia madre e ha subito insistito per presentarmela. Ha conoscenze influenti all’università dove studio. Come se mi potrebbero essere utili, poi.
- Pare che abbia vissuto con il padre in America diversi anni e ora è tornato per stare con la madre. Lavora con la legge, o medicina, o qualcosa del genere. Roba da secchioni insomma – continua intanto Linda imperterrita. Mi chiedo dove abbia scoperto tutte queste cose. Certo non da lui in persona, quindi non so se credere a tutto.
- Ha già fatto strage in paese anche se è qui da meno di una settimana – aggiunge poi la mia amica con uno sguardo malizioso che io fingo di non notare. Sorseggio un altro po’ il mio vino e spio Alex da sopra il bordo del bicchiere. Mi chiedo se sia una coincidenza che si chiami proprio Alex.
Comunque, ha già perso parte del suo fascino. Non mi sono mai piaciuti i figli di papà e lui è certamente uno di loro. Uno tutto vestiti firmati e voti eccellenti agli esami dell’università, voto a cui hanno contribuito non poco i soldi di paparino, in aggiunta alle tasse ordinarie. Qualcuno di altezzoso e pieno di sé, in cerca solo di attenzioni. Lo dimostra la cura con cui si è vestito per venire ad una partita a carte fra vecchi, come se si aspettasse di incontrare qualche divo di Hollywood.
Visto che Linda continua a fissarmi con aria sorniona, decido di cambiare discorso e le chiedo del suo ultimo fidanzato. Funziona alla grande e Linda attacca a descrivere dettagliatamente ogni messaggio che si sono scambiati nell’ultima settimana, resoconto che io tra l’altro ascolto solo in parte, visto che lo conosco già.
Come mi aspettavo, è assolutamente identico a quello che riguardava il precedente. Mi chiedo se non l’abbia imparato a memoria, come una poesia per bambini. Probabilmente, la colpa è del fatto che i ragazzi di Linda hanno una sola cosa in comune fra loro: il quoziente intellettivo pari a zero virgola svariati zero uno.
Mi chiedo di nuovo come fa Linda a sopportarli: lei ha intelligenza da vendere, è un fenomeno. A sua detta, anzi, è per quello che li sceglie stupidi. A letto non serve il cervello e fuori lei pensa per entrambi. Secondo me il discorso è assurdo ma a lei va bene così e io non mi intrometto. Però continua a sembrarmi una cosa squallida. Non che sia una fan dell’amore vero, ci credo più o meno quanto credo a Babbo Natale, ma credo che i rapporti dovrebbero basarsi su qualcosa di più solido dell’intesa sessuale, come il rispetto, la fiducia, il sentirsi a proprio agio.
Continuando a sorseggiare il vino, mi chiedo come mi presenterò alla reception dell’hotel l’indomani. Quasi tutti i documenti che ho li ho già usati e non ho il tempo di farne di nuovi. Dovrà bastare una nuova pettinatura e un accento diverso. Straniero magari. Tipo scozzese o roba del genere. Più ci penso, più mi sembra una buona idea. Posso fingere di aver lasciato i documenti in valigia, che purtroppo non mi è ancora stata consegnata. Può funzionare, specialmente se l’addetto è un novellino.
Linda ha finito di parlare del suo nuovo ragazzo e mi chiede dell’università, così le racconto le ultime novità e chiacchieriamo del più e del meno per un altro po’, poi mi accorgo che il mio vino è finito, così le dico di aspettarmi e torno in cucina per riempirlo ancora. L’adunata di là sembra dover durare ancora parecchio.
Arrivata sulla porta della cucina esito leggermente sulla soglia, poi entro a testa alta, l’aria indifferente. Accanto al tavolo, intento a stappare una bottiglia di vino pregiato, c’è Alex-lo-sconosciuto che alza la testa sentendomi arrivare.
- Queste bottiglie sono splendide. È un peccato doverle aprire, non trovi? – mi chiede con un sorriso. Io annuisco sorridendo ma senza entusiasmo. Vado alla parete da esposizione e scelgo una bottiglia già aperta, quindi torno al tavolo e la appoggiò sul legno scuro, stappandola. Non so perché ma mi sento nervosa vicino a lui, quindi faccio tutto di fretta, così posso correre di nuovo da Linda.
- Conosce l’ospite di casa? – mi domanda con una altro sorriso. Ma non smette mai di sorridere? Che c’è di divertente nel chiedermi se conosco l’ospite? Mah… e poi chi è che va alle feste di anziane che non conosce?
- Sì, abbastanza bene – mi fermo e lo guardo, rispondendo al sorriso – E’ mia zia.
Quasi non scoppio a ridere quando vedo la sua faccia sorpresa. Non te l’aspettavi eh? Chissà perché mi viene spontaneo mettermi sulla difensiva vicino a mister bei vestiti…
- Non l’avrei mai detto. Siete così diverse… - mi fa lui, sempre col sorriso stampato in faccia. Mi viene voglia di tirarglielo via a schiaffi.
Anche perché, se si fosse prima disturbato a chiedermi chi fossi, ora saprebbe il perché non ci somigliamo. Però mi sembra strano che qualcuno nell’emisfero non sappia la mia storia. A momenti la pubblicavano anche sul giornale nazionale grazie a mia madre… poi mi ricordo: Linda ha detto che è vissuto in America tanti anni. Forse è per quello che non conosce la storia della povera orfanella smarrita.
Senza salutarlo esco dalla cucina con il bicchiere pieno, troppo pieno. Non appena mi giro verso Linda un vecchietto mi viene addosso e io gli rovescio mezzo bicchiere di vino sulla camicia.
-Oh, mio Dio, mi dispiace, davvero, mi dispiace tanto… - mormoro imbarazzata e mi giro per vedere se c’è qualche straccio pulito intorno. Qualcuno me lo porge e io lo afferro e comincio a pulire la camicia dello sconosciuto anziano, che sembra non aver nemmeno capito cosa sta succedendo.
Il danno è abbastanza grave, ma il vecchietto non sembra preoccupato e dopo qualche tentativo rinuncio anch’io. Tanto non è che avrebbe fatto conquiste con quella camicia.
Mi giro, dispiaciuta per quel casino, e vedo mister bei vestiti che mi guarda con la faccia di chi non riesce più a trattenere una risata. Ma tu guarda! Come si permette? Se non fosse stato per lui nemmeno avrei combinato quel disastro. Maleducato impertinente!
- Non è che ti serve aiuto? Non vorrei che uccidessi qualcuno alla prossima distrazione. Sai com’è, non sono più giovanotti qui… - mi canzona lui.
Ora gli tiro sul serio uno schiaffo e poi vediamo chi dei due ha bisogno di aiuto!
- Visto che… - comincio ma poi mi interrompo.
Cosa dovrei dirgli, che è stata l’emozione di aver parlato con lui che mi ha scombussolata?! Ma per piacere! È già abbastanza egocentrico di suo, senza che gli racconti fesserie.
- No grazie. Il bicchiere ora è più vuoto.
Faccio per camminare, ci ripenso e mi volto verso di lui.
- Ma se per caso vuoi portarmi il bicchiere, non dico no – gli faccio con un sorrisetto e lui fa una faccia da “Touchè”. Rido e torno da Linda che mi guarda con tanto d’occhi.
- Ora è il tuo turno di chiudere la bocca – le faccio con un sorriso e mi siedo sul divano accanto a lei.
- Sei qui da meno di un’ora e già sei riuscita a parlargli. Ti avevo detto di rispettare la fila- aggiunge con espressione di rimprovero e ridiamo insieme.
- Si vede che salta subito al dessert – faccio io, con finta modestia. Ma preferirei cambiare discorso, così le chiedo del week-end.
- Forse vado al mare con Robert.
- Al mare? Ma sei impazzita? È ottobre, se non l’hai notato e sta per nevicare – le faccio notare io. Chissà perché sospetto che l’idea sia dell’energumeno che si ostina a chiamare Robert.
- L’ha proposto Robert. Non so perché ma forse vuole chiedermi qualcosa di importante… - mi risponde lei con aria sognante.
- Si certo. Al massimo ti chiederà se vuoi fare un bagno in acqua così ti fa vedere come luccicano i suoi muscoli quando sono bagnati. – la disilludo io. È proprio ingenua certe volte.
- Io non rifiuterei… - risponde lei con aria ammiccante e io faccio finta di soffocare un conato. È matta, ormai è ufficiale. La prima cosa che faccio quando torno a casa è chiamare uno psichiatra.
Il discorso cambia ancora argomento e prosegue tranquillo fino a quando non succede l’orrore: prima a basso volume, poi sempre più alto, si diffondono le note di un lento.
No, non può succedere. Se mia madre comincia, non la ferma più nessuno. E mi costringerà a ballare con qualche vecchietto. Mai. Mai e poi mai.
- Alexis tesoro… - mi chiama infatti in quel momento dall’altra stanza. Lo sapevo. E se fingessi una polmonite lancinante? O è meglio fingere che mi ha chiamato Richard Gere? Linda ride di gusto e io mi alzo lentamente.
- Tesoro, cos’è quella faccia da funerale? – domanda mia madre, raggiungendomi.
- Faccio le prove per quando mi sarò vendicata – le sussurro in un orecchio e lei mi guarda con l’aria innocente.
- E perché pensi che c’entri io? Ti assicuro che ti sbagli. Ma visto che ce n’è l’occasione perché non concedi un ballo a questo simpatico ragazzo? È il figlioccio di Paola, quella signora che… - dice lei con un sorriso e io mi sento raggelare. Pregando di sbagliarmi, mi chiedo quanti ragazzi ci siano alla festa…
- Non sono sicuro. La mia camicia è nuova e visto cosa succede col vino… - mi prende in giro lui. Tutti ridono e io decido che è l’ultima battuta che fa in vita sua. Forse il linciaggio potrebbe andare…
- La tua camicia starà benissimo. Però io stipulerei una polizza assicurativa – risponde mio padre intanto. Lo fulmino con lo sguardo. Questa sera sarà una strage. Un’ecatombe di vendetta.
Mi sento arrossire e maledico di nuovo quell’arrogante. Se fosse un gentile bravo ragazzo, ora dovrebbe intuire che non ne ho nessuna voglia  e declinare l’invito…
- Con molto piacere – dice lui e mi porge il braccio. Figuriamoci.
Immagino mentre rifiuto e lascio la casa con fare sprezzante… e con un’orribile figura da codarda. Come tornerei ai prossimi raduni?
- Se è un piacere per te… - rispondo alla fine, lasciando capire che non vale lo stesso per me. Sarei proprio falsa se glielo facessi credere.
- Alla prossima canzone, allora, milady – risponde con un sorriso galante e gli occhi di mia madre assumono lentamente la forma di un cuore. L’ha conquistata. Ora forse si sposano e mi lasceranno in pace. Mi spiace solo per papà.
Io gli faccio un sorrisetto e torno di corsa da Linda.
- Allora?
- Mi ha chiesto di ballare – rispondo tetra. Io odio ballare. E odio lui. E odio il doppio ballare con lui.
- Davvero? – Linda sembra al settimo cielo.
- Balleremo, non organizziamo il matrimonio Linda. E poi, tecnicamente, mia madre ha proposto di ballare e lui ha accettato.
- Ma è magnifico.
- No, è solo educato. Orrendamente educato.
- Sei certa che vuoi ballare con lui? – mi chiede poi preoccupata.
- No che non voglio. Ma perché ti preoccupi?
Linda sembra esitare, poi prende coraggio.
- Visto che lui è così gentile e che il tuo modo di ballare è un po’… come dire… doloroso in certi casi…
Ok, ora sono furiosa. Come sarebbe a dire doloroso? Va bene, non sono proprio una ballerina nata, però non sono poi un disastro… non sempre almeno. Non se mi impegno.
Con orrore sento che la musica è finita. Mi nascondo con la speranza che lui non mi veda e rinunci ma subito sento Linda esclamare:  - Siamo qui. Alexis è qui!
Ecco un’altra vittima della mia vendetta questa sera. Ma Bei Vestiti è davanti a me e non posso fuggire come se fosse un lupo, quindi sorrido e mi dirigo con lui verso il salotto, liberato apposta per far spazio alle coppie.
- Spero che non ti abbiano costretto… - comincia lui. Ma non sembra poi così preoccupato anche se l’avessero fatto.
- Ma come, non vedi la mia felicità sprizzare? – replico sarcastica.
Accidenti, non avrei dovuto. Ora penserà che mi intimorisce.
- Scusami, non è per te. È che odio ballare e odio mia madre quando mi costringe – cerco di spiegare.
- Non preoccuparti. Vedrai che ti verrà la voglia di ballare sempre con me, dopo questo ballo – mi risponde.
Perché mi sono giustificata? È più stupido di quanto avessi immaginato. Se le merita le mie frecciatine. Ma più in fondo mia madre mi guarda con aria spaventata e decido che posso comportarmi bene per un minuto o due. Forse. Se lui tiene la bocca chiusa.
- Non sembri loquace.
“Perspicace!” penso, ma non rispondo.
- Non parli mai?
- Devo concentrarmi sui passi – rispondo brusca. Non mi piace la sensazione della sua mano sulla mia schiena. E anche il suo profumo è troppo… inebriante per i miei gusti. E non permetterò alle sue chiacchiere di farmi deconcentrare dai miei piedi, non posso dare ragione a tutti questi estimatori delle mie capacità di danzatrice.
- Scusa la franchezza, ma devi essere davvero poco abituata al ballo se devi concentrarti per dondolare – mi fa notare.
Gli rivolgo un’occhiata tipo lanciafiamme e lui scoppia a ridere. Ora è ufficiale, lo odio.
- Si chiama battuta di spirito, sarcasmo, non so come preferisci… - continua lui.
No, il linciaggio non è abbastanza, ci vuole qualcosa di più drastico. Nessuno ride di me. Nessuno mi prende in giro. Quella è una mia prerogativa esclusiva.
- O forse l’ho detto per non farti capire che non mi stai simpatico. Si chiama educazione, buon gusto, non so come preferisci… - rispondo io con un sorrisetto ironico e lui sorride di più. Ma l’avrà capito che lo sto insultando? Forse non si è ancora abituato alla lingua locale…
- Non so perché ma mi sembra che abbiamo cominciato col piede sbagliato.
- Ehi, ma te l’hanno mai detto che potresti fare concorrenza a Sherlock Holmes?
La sua mano sulla mia schiena è bollente e il profumo mi da alla testa.
- Grazie. Comunque, perché non ricominciamo? Non so nemmeno il tuo nome…
- E tu balli spesso con le sconosciute?
- No, non sempre. Solo quando sono così simpatiche. Mi fanno sentire il benvenuto – risponde e ride. Però devo ammettere che ha davvero una bella risata. Arrossisco. Perché poi arrossisco? Non ce n’è motivo, non arrossisco mai io…
- Comunque, anche tu non conosci il mio nome – mi fa notare lui.
- Ti sbagli. So che ti chiami Alex, che sei vissuto in America con tuo padre e che lavori con la legge o medicina o roba del genere, che sei abbastanza ricco da vestire firmato e ti piace La Coste. So che ti sei arruffianato mia madre con questo ballo e che ora vivi qui con tua madre…
- Ok, ho capito, brava. Hai fatto i compiti a casa vedo. Però non devi odiarmi poi così tanto se ti interessa sapere la mia storia.
Lo sguardo da pesce lesso che accompagna queste parole mi fa arrossire di nuovo. In effetti, avrei anche potuto fare a meno di quello sfoggio. Ma è stato lui a provocarmi.
- Io comunque sono Alexis – gli dico, tanto per cambiare discorso.
Lui mi guarda con una faccia strana, come se stesse cercando di capire se parlo sul serio.
- Be? Che c’è? Mai sentito un nome del genere? – gli domando.
- No. Però devi ammettere che è una strana coincidenza. Io Alex e tu…
- Perché sarebbe strana? Ci sono milioni di persone con questi nomi.
- Sì ma non tutte ballano insieme anche se si odiano – replica lui, serio per una volta. La volta sbagliata per altro, perché quello che sta dicendo è così assurdo che sono io questa volta a sorridere ma non dico nulla, decidendo che è inutile discutere con lui.
- Non ho mai detto di odiarti – rispondo alla fine, più per educazione che altro.
- Davvero? Chissà perché ero convinto del contrario – replica lui ironico e io gli lancio un’occhiataccia, ma scuoto la testa e non rispondo.
- Visto che sai così tante cose su di me, che ne dici di pareggiare i conti? Cosa fai nella vita? Vivi in città?
- Sono al quarto anno di università e vivo in città, sì – rispondo in tono casuale.
Immagino però la faccia che farebbe se aggiungessi che compro quadri di valore sotto falso nome, scrivo libri sotto falso nome e continuo la vita di una donna morta cinque anni fa. Il tutto per svelare una specie di mistero cosmico. Per poco non scoppio a ridere da sola.
- Cosa fai nel tempo libero? – insiste lui. Ora ha abbandonato quell’aria di sufficienza e sembra più serio, quasi interessato. E poi non sorride più come un ebete, grazie al cielo.
Esito un po’, poi rispondo mantenendomi sul vago: leggo, ascolto musica, faccio un po’ di sport… solite frasi fatte, di cui l’unica cosa vera è lo sport. E non per passare il tempo ma per necessità. Per lavoro se vogliamo.
Lui annuisce e continua a farmi domande in generale sulla mia vita. Io rispondo automaticamente, quasi senza pensare, sforzandomi di non pensare alla sua mano sulla schiena, alla piacevole sensazione del suo ventre piatto contro il mio, del suo alito fresco ma un po’ dolce… Possibile  che questo ballo non finisca mai?
Quel pensiero mi fa venire un terribile sospetto. Senza smettere di ballare, con la fronte corrugata, mi sforzo di sentire le note della canzone sotto il chiacchiericcio. È ancora lenta, morbida e avvolgente, ma è diversa da quella che stavo ballando. Come pensavo.
- Per quanto abbiamo ballato? – gli chiedo brusca, interrompendolo mentre diceva qualcosa.
Lui mi guarda confuso, come se non capisse e finge un’aria innocente. Io lo guardo furiosa e lui sorride.
- Quattro canzoni, la seconda piuttosto lunga a mio parere, ma piacevole – mi risponde in tono conciliante. Lo trafiggo con lo sguardo, sperando che mi nascano i superpoteri per poterlo incenerire all’istante. Non succede, ovviamente, ma lui smette di sorridere, forse ha capito che non mi sto divertendo affatto.
- Ballavamo così bene e non stavamo nemmeno litigando… - dice lui, a mo’ di scusa ,ma allenta la presa sulla schiena, comprendendo che non me ne importa un accidente.
Senza rispondere, non voglio che capisca quanto mi ha infastidita, mi stacco e mi dirigo a passo svelto verso l’ingresso senza degnarlo di un altro sguardo. Prendo il cappotto e mentre lo infilo vado a cercare zia Ade per salutarla, poi saluto i miei genitori e Linda, che finalmente sta parlando con una donna. Lei mi chiede come mai vado via così presto ma io le prometto che le spiegherò per telefono. Lei intanto annuisce e sorride, come se avesse intuito chissà quale grande verità ma io cerco di ignorarla. Devo andarmene da lì e alla svelta.
Corro alla macchina, rabbrividendo sotto il freddo intenso, più pungente dopo il calore della casa. Andare al mare, che razza di idea. Solo a uno come Robert poteva venire in mente con questo freddo. Mi chiedo perché la natura sia stata così crudele con quell’uomo.
Mentre il motore si riscalda, chiudo gli occhi e respiro a fondo, sentendo che il solito mal di testa comincia a strisciare lungo le mie tempie e faccio una smorfia. Cerco di non pensare all’interrogatorio di mia madre domattina. Di certo vorrà sapere come mai ho ballato così tanto tempo e con la stessa persona per giunta. Cosa risponderò, che il suo profumo era così buono che non sentivo nemmeno la musica?
Accidenti a lui. Accidenti, accidenti e ancora accidenti. Ci mancava solo questa.
La macchina parte e per un po’ mi concentro sulla guida. Salgo velocemente in casa, mi assicuro di chiudere tutte le serrature e inserisco il ferretto, lascio chiavi e cappotto sul divanetto all’entrata e mi dirigo verso il salotto, assaporando il tepore di casa mia. Che benedizione il riscaldamento centrale!
Vado dritta allo stereo, scelgo il cd e lo inserisco, alzo il volume e vado in cucina. Mentre le rilassanti note di Enya si diffondono lentamente per la casa, mi preparo un bicchiere di tisana alle rose. Dicono che dovrebbe aiutare a dormire. Non è vero, non per me almeno, ma hanno un buon sapore e un ottimo profumo. Con la tazza bollente tra le mani torno in salotto e sprofondo nella poltrona con gli occhi chiusi, lasciando che la musica agisca sui miei nervi.
Ripenso all’intera giornata, in particolare la sera, e cerco come ogni giorno di fare un elenco delle cose positive e negative. Tra quelle positive c’è che sono riuscita ad ottenere un appuntamento con il rivenditore e forse tra qualche giorno avrò l’ennesimo quadro. Quelle negative sono Alex Bei Vestiti, Alex Bei Vestiti e Alex Bei Vestiti. La musica sprigiona una serie incredibilmente rapida di note al pianoforte e io immagino di eseguire quegli accordi. In realtà non riuscirei mai a suonare quella musica, non sono molto brava ancora, ma il piano mi piace, è rilassante e spero di trovare tempo per imparare a suonarlo bene.
Ripenso a ciò che ci siamo detti con Alex Bei Vestiti, a come l’ho visto quando sono entrata, con il sorriso gentile e il viso arrossato dal calore della stufa, a come era piacevole la sensazione della sua mano sulla schiena… scuoto la testa. Basta. Il tempo di Alex Bei Vestiti è scaduto, da un pezzo. Ho cose più importanti a cui pensare.
Eppure continuo a sentire il suo profumo, è come se i miei vestiti si fossero impregnati di quell’odore fresco, mascolino. Chiudo gli occhi più forte e bevo l’ultimo sorso di tisana. Basta con il rampollo. Fine della questione.
Mi alzo e metto la tazza nel lavandino, quindi vado in camera da letto. Mi svesto lentamente, Enya continua a suonare uno strumento a fiato che non riesco a riconoscere, di là, e io mi concentro su quel suono, per capire di che strumento si tratta.
Infilo canticchiando a bassa voce la camicia da notte e mi infilo velocemente sotto le coperte, con un brivido. Mi accoccolo nella mia posizione preferita sotto il voluminoso piumone arancione e rimango a sentire le note. La musica è finita e ne comincia un’altra, una delle mie preferite, quella che mi fa sempre pensare ad una radura in mezzo ad una foresta sotto la pioggia, quella fresca, estiva cascata d’acqua…
Senza accorgermene scivolo lentamente nel sonno. Penso che dovrei spegnere lo stereo ma non ho voglia di alzarmi. Tanto prima o poi si spegne da solo. Molto meglio starsene qui al calduccio a pensare a come sarebbe bello essere in quella foresta della canzone, sotto la pioggia fresca, mentre ballo un lento con Alex…
 
  
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