Passate le vacanze, le lezioni ricominciarono senza attesa, pochi giorni dopo il capodanno, in un Gennaio freddo e grigio.
Durante
la prima lezione Raphael si ritrovò nel villino, da solo per
la
prima volta. Aveva annunciato la sua presenza all'ingresso, ma non
ricevendo risposta era entrato dentro, osservandosi guardingo
attorno. Sguainò i Sai, certo che ci fosse qualcosa che non
andava.
C'era un po' troppo silenzio.
“Isabel?”
chiamò circospetto, passando di stanza in stanza.
Salì al piano
superiore, lentamente, continuando ad invocare il suo nome, sempre
più preoccupato. Nessuna replica, la sua voce
riecheggiò nella casa
vuota, con una eco allarmante.
Un
rumore attutito, dal piano di sotto, lo allertò.
Scivolò
silenziosamente, pronto a sferrare il suo attacco contro chiunque,
quando Isabel apparve trafelata in salotto, correndogli incontro.
“Ho
immaginato fossi già arrivato, scusa!” disse,
sciogliendo la
sciarpa dal collo e gettandola in fretta sul divano. Sembrava a
disagio e c'era qualcosa che non andava in lei.
“Che
cosa...”
“Guarda!”
annunciò lei trionfante, trafficando con i bottoni del
cappotto,
aprendolo infine sul petto.
“Ehy,
ti avverto, la devi smettere di...”
La testa di un piccolo
gattino nero spuntò dai lembi, guardandosi attorno con
curiosità;
miagolò piano nella sua direzione, poi si
riaccoccolò sul seno di
Isabel, con un ronzio soddisfatto.
Ecco cosa non andava: il suo
seno. Era sempre prosperoso, ma non in maniera esagerata come in quel
momento. Non aveva appena pensato al suo seno, ripetendo nella mente
la parola seno, per almeno tre volte. Seno. Quattro, dannazione.
“Sono
uscita per fare una passeggiata e l'ho trovato tutto solo,
abbandonato in una scatola di cartone: mi ha seguito, anche se era
sfinito, infreddolito e affamato. Non potevo lasciarlo lì
fuori,
tutto solo” raccontò lei, sfilando il cappotto e
adagiando il
gattino sul tavolo. Quello miagolò infastidito e la
seguì
barcollante, protestando la sua indignazione, con versetti
strazianti. Isabel gli sorrise dolcemente, prendendolo in
braccio.
“Dovresti
essere meno pretenzioso, sai?” gli sussurrò,
grattandogli le
orecchie. Sembrava davvero felice al sentire le fusa del micio, tutte
per lei.
“Non
so se
sia lecito per me, ma vorrei tenerlo” continuò,
guardandolo infine
negli occhi. E lui non poté fare a meno di notare che
scintillavano.
Voleva davvero tenere quell'esserino, qualcuno che dipendesse da lei,
qualcuno che potesse amare senza paura.
Poteva
permetterglielo?
“Gli
metterò un collare magico per permettergli di entrare e
uscire come
vuole. Lo chiamerò Shadow. Guarda com'è nero! Non
sono sicura se
sia il suo colore o se sia solo sporco” chiosò
contenta, correndo
a lavarlo nonostante le proteste feline.
Isabel
stava cambiando. Mesi prima avrebbe affidato il gattino a qualche
centro, conscia di non potersi affezionare; in quel momento, l'idea
di avere un essere che dipendeva da lei non sembrava terrorizzarla
più tanto. Forse, se avesse giocato bene le sue carte,
sarebbe
riuscito a convincerla a rimanere con loro, a farsi
aiutare.
“Raffaello!
Vieni a darmi una mano!” lo chiamò la ragazza,
prima di ridere e
sgridare il gatto, con un tono non troppo serio. La scoprì
ricoperta
di schiuma da testa a piedi, mentre il felino le passava le zampette
in faccia, scoppiando le bolle di sapone. Gli sorrise colpevole,
quando lo notò, facendogli un gradevole effetto.
Voleva davvero
che Isabel restasse. Stare con lei lo faceva sentire rilassato. Stare
con lei lo faceva sentire bene.
Quel piccolo gattino era davvero il segno di un cambiamento positivo in Isabel, anche se lei non se n'era accorta. Non era solo più rilassata, ma anche più espansiva: usciva dal villino praticamente ogni mattina, faceva una passeggiata per i quartieri limitrofi, andava dal panettiere all'angolo per comprare pane fresco, salutava con un cenno cortese il libraio dal quale comprava di tanto in tanto un nuovo tomo, sorrideva imbarazzata al ragazzo del bar che le offriva una brioche assieme al cappuccino. Tutto col piccolo Shadow alle calcagna o sottobraccio, dato che il felino non voleva mai staccarsi da lei.
Raph
poteva solo osservare quei cambiamenti da lontano, com'era giusto:
era un mutante, non poteva uscire alla luce del sole, di prima
mattina, solo per poter fare due passi con lei o fare colazione al
bar. Però... però lo desiderava. Desiderava poter
uscire con lei
tranquillamente, poter guardare quell'aria rilassata da vicino,
legittimamente, e non come uno spione, nascosto tra i gargoyle di un
palazzo.
Perché era tutto così complicato?
A
pomeriggio inoltrato si presentò a casa di Isabel, vestito
con una
tenuta in pelle nera: neri i pantaloni, neri gli stivali, nerissima
la giacca; perfino i guanti erano in pelle, lucidi e serici.
“Oh,
mi chiedevo che fine avessi fat... e a cosa dobbiamo il completo da
Terminator?” domandò sorpresa la ragazza quando lo
raggiunse
nell'ingresso e notò l'abbigliamento inusuale. Non era di
molto
diverso dalla tuta che indossava solitamente, l'aderenza era uguale,
il colore anche, ma il taglio e le varie borchie lo rendevano
più
aggressivo... e attraente. Aveva appena pensato che Raphael fosse
attraente?
“Vieni
con me.”
Fu
l'unica risposta che ricevette, prima di venire afferrata per un
polso e trascinata letteralmente fuori dalla propria casa.
“Aspetta!
Le scarpe!”
Riuscì ad infilarle in fretta e furia, ma se fosse
stato per lui probabilmente sarebbe potuta uscire anche scalza.
Sembrava smaniare dall'urgenza di mostrarle qualcosa.
“Mi
vuoi spiegare cosa... oh.”
Rimase
ad osservare spaesata la grossa moto parcheggiata all'entrata del
giardino, come se fosse un leone feroce pronto ad
azzannarla.
“Andiamo
a fare un giro” disse semplicemente lui, porgendole un casco.
Isabel non lo prese, lo guardò come se fosse la testa di un
animale
morto, con disgusto e paura.
“Oh,
no! Sono talmente scioccata dalla proposta, che non mi viene nemmeno
in mente di chiederti come tu abbia una moto!”
“Aspetta,
hai paura di salirci sopra?”
“Paura...
non lo so. Non sono mai andata in moto prima, ma così a
prima
vista... non mi dà sicurezza. Cadrei e mi spezzerei l'osso
del
collo.”
“Credi
che
ti farei mai cadere?”
Lei
arrossì, colpita dalla domanda, dal sapore troppo romantico
per loro
due, quasi alla “ti fidi di me?” di Jack e Rose di
Titanic.
“Mmm,
penso che potresti se pensassi che possa essere divertente”
sibilò
sarcastica, per scacciare quell'imbarazzo che sentiva.
Raph alzò
gli occhi al cielo, chiedendo pazienza a qualche misteriosa
entità
sovrannaturale.
“Ti
devo portare in un posto. Andiamo, fidati.”
“E
non possiamo andare a piedi?”
“No,
è lontano. Ma è ora che tu esca da questo
quartiere, non credi?”
Isabel
si mordicchiò il labbro, pensierosa. La moto le faceva
paura, alta
ed elaborata, con tutte quelle parti lucenti che spuntavano da ogni
parte, ma si fidava di Raph e voleva davvero vedere dove lui
intendesse portarla.
“Va
bene, aspettami” concesse alla fine, vinta dalla
curiosità.
Ritornò
dentro casa per qualche secondo poi uscì con addosso un
grosso e
pesante giubbotto in pelle, probabilmente recuperato da qualche
armadio di suo padre.
Raph le calcò il casco in testa, -che non
fece altro che contribuire a renderla buffa,- poi salì sulla
moto.
Isabel rimase lì impalata a guardarlo, con le mani che
spuntavano a
malapena dalle maniche del giubbotto.
“Non
so come salire” confessò a malincuore, grata che
il casco
nascondesse il suo imbarazzo. Raph voleva schiaffarsi una mano in
faccia, ma anche nel suo caso il casco fu provvidenziale. Scese dalla
moto, afferrò la ragazza per la vita e la adagiò
sul sellino di
dietro con un solo gesto: Isabel rimase poggiata tesa e rigida, come
se fosse a cavalcioni di un drago e non di un normale veicolo.
Poi
sentirono un miagolio infastidito. Shadow si stava strusciando contro
le ruote, manifestando palesemente la sua intenzione a salire. Raph
lo afferrò per la collottola, portandolo ad altezza del suo
viso e
sollevò la visiera.
“Non
so chi sia peggio tra voi due: la padrona fifona o il gatto
ficcanaso.”
Aprì la zip del giubbotto, e ci nascose il felino
dentro, che miagolò soddisfatto in risposta.
Risalì in moto e girò
la chiave: il motore rombò come un tuono e Isabel
strillò,
sorpresa.
“Ti
consiglio di tenerti forte!”
Partì
a razzo, quasi nello stesso istante in cui lei allungò le
mani per
potersi tenere contro le sue spalle, urlando come una matta. La moto
sfilò velocemente tra macchine e camion, percorrendo le vie
della
città come una sfocata macchia nera; Raph rideva e Isabel
strillava,
artigliandogli le spalle per la paura.
Forse non le piaceva
davvero andare in moto.
Si allontanarono da New York e dalla
posizione del sole Isabel riuscì a intuire che si dirigevano
verso
sud: a poco a poco l'agitazione scemò, insieme alla paura,
soprattutto quando si accorse della bravura di Raph nel guidare la
moto. Si rilassò, allentando la presa, lasciandosi
semplicemente
andare contro la sua schiena.
Quando
arrivarono a destinazione il sole stava tramontando, rendendo il
cielo rosso e screziato, sfumato nell'arancio. Raph fermò la
moto. E
lei la vide: l'enorme distesa d'acqua, immensa, impetuosa, blu,
solcata da cavalloni enormi.
Scese dalla moto con passi malfermi,
emozionata, e si sfilò il casco per poterla guardare meglio:
l'aria
fredda contro la pelle del viso frizzava, rendendo quel momento
ancora più vero e perfetto. Corse verso la spiaggia, come
una
bambina alla sua prima gita al mare, lasciandosi poi cadere sulla
sabbia: sfilò i guanti e ne prese manciate, facendola cadere
in
mucchi, divertita.
“Questo
è tuo” la riscosse Raph, passandole un miagolante
Shadow, che
ondeggiava la codina pigramente, in attesa. Si pulì le mani
contro
il pantalone e afferrò il micio, stringendoselo contro. Raph
si
sedette al suo fianco, lo sguardo sulle onde alte e fredde e lei si
voltò a osservarlo.
“Mi
hai portato al mare! Non riesco a crederci! Come ti è venuto
in
mente?”
“Oceano,
non mare.”
Già,
come gli era venuto in mente? Poteva rispondere sinceramente e dirle
che era l'unico posto in cui potevano stare insieme alla luce del
sole, senza nessuno attorno? Che era stato tutto un piano per poter
passare del tempo assieme che non fosse al villino nascosto da tutto
e tutti? Che desiderava solo stare anche pochi minuti con lei,
all'aperto, come due persone normali?
No, non avrebbe potuto.
Continuò a guardare di fronte a sé, ascoltando il
rumore delle onde
infrangersi sul bagnasciuga, giocando distrattamente con la sabbia.
Poi
sentì uno strattone e per qualche secondo la sua vista
sfocò,
ritornando subito normale: Isabel gli aveva sfilato via la maschera e
la faceva girare attorno al dito, con un ghigno soddisfatto.
“Ok,
prima di arrabbiarmi ti do la possibilità di spiegarmi
perché lo
hai fatto. Poi mi arrabbierò comunque, sappilo.”
Lei, invece di
dargli una buona e soddisfacente spiegazione, si alzò e gli
si
piazzò di fronte, fissandolo intensamente, sempre
più vicina.
“C'è
una cosa che devo capire. Sta fermo.”
Gli
occhi di Isabel lo scrutarono, profondamente, e si sentì di
colpo
imbarazzato, scoperto, nudo, come se lei stesse leggendo nella sua
anima. Chiuse i suoi, per riflesso, con un violento batticuore
sottopelle.
“No!
Riaprili” strillò arrabbiata Isabel.
“No.
Non mi piace che mi si fissi. Mi dà fastidio. E perdo la
pazienza
facilmente.”
“Ma
voglio capire di che colore sono. È
da natale che me lo chiedo. Per favore” bisbigliò
implorante, come
se fosse una cosa di estrema e vitale importanza.
Il
tono supplichevole funzionò a meraviglia e Raph
aprì gli occhi,
seppure titubante; rincontrò quelli di lei, che lo
guardarono con
una luce contenta e insieme curiosa.
“Castani.
Sono castani” rispose, lasciandosi esaminare, col magone. Lei
avvicinò ancora di più il viso, affilando lo
sguardo a causa del
sole in faccia. Era premuta contro le sue gambe, con le mani sulle
sue ginocchia, assorta. Il vento le arrivava dalle spalle,
scompigliandole i capelli, che finivano irrimediabilmente sul viso;
più di una volta lei cercò di riportarli al loro
posto, anche se
combatteva chiaramente una battaglia persa.
“No,
sono verde scuro. Color bottiglia” lo contradisse, sicura.
I
suoi occhi erano di un caldo color castagna alla luce del sole, come
se avessero rubato il colore del tramonto; non se n'era mai accorto
prima, ma erano davvero belli, difficili da evitare di guardare. E
dato che era sottoposto all'esame, perché non avrebbe dovuto
ricambiare il favore? Anche se stare lì con gli sguardi
incollati
era davvero troppo pericoloso.
“Sono
castani.”
“Verde
scuro.”
“Castani”
ripeté, esasperato. Voleva davvero pretendere di sapere
meglio di
lui il colore dei suoi occhi?
Allungò una mano, inconsciamente, e
riportò una ciocca fluttuante dietro il suo orecchio,
indugiando
solo per un secondo col tocco, sorpreso della morbidezza dei suoi
capelli e della sua pelle dietro l'orecchio, che sembrava quasi di
seta. Isabel spalancò gli occhi, stupita, ma non si
scostò. Sorrise
imbarazzata, invece.
“Mmm...
diciamo che sembrano castani al chiuso e verde scuro alla luce del
sole?” disse poco dopo, insistendo sulle sue
argomentazioni.
“D'accordo.
Sei soddisfatta ora? La mia maschera, grazie.”
Isabel
si scostò e si sedette di nuovo al suo fianco, poggiando
Shadow
sulle gambe.
“No.
Non voglio ridartela. Voglio poterti guardare negli occhi quando ti
parlo: la maschera li nasconde e non mi piace. Rimarrai
senza”
decretò, seria, giocando col micio per non doverlo guardare
in viso
e tradire i suoi pensieri.
“Con
questa scusa me ne hai già rubata una a natale” la
sgridò lui,
molto poco convincente. Le parole di Isabel gli avevano fatto
più
piacere di quanto avrebbe dovuto provare senza sentirsi in colpa.
Come se lei accettasse sempre di più ciò che era
davvero, senza
paura.
“Non
te l'ho
rubata! Solo che l'ho tenuta per tutto il tempo... devo lavarla prima
di ridartela. E questa la riavrai una volta a casa, se mi prometti
che non indosserai mai più una maschera quando sei con
me.”
Aveva
gridato un po', per sovrastare il rumore della risacca e del vento,
più accorata di quanto volesse suonare.
“Questo
è un ricatto. E chi ti dice che io non abbia un armadio
pieno di
bandane rosse per sostituire quella?”
Raph aveva già deciso che
avrebbe acconsentito alla sua richiesta, se la cosa era così
importante e le faceva piacere, ma non rinunciò comunque a
darle un
po' di fastidio. Ma poi, perché la faccenda era
così importante per
lei?
“Già,
conoscendoti è plausibile. Che poi, devi proprio dirmelo:
perché
porti una maschera? Quale identità segreta devi
nascondere?”
Rise
della sua domanda, senza averlo preventivato; la faccia seriamente
comica con cui lei l'aveva posta era stata davvero il massimo.
“Oh,
sai, senza maschera sono molto più cattivo... è
come un sigillo: se
non la porto per più di mezz'ora viene fuori la mia vera
natura
malvagia! E tu sai che sta per scadere il tempo?”
Isabel
gli fece una linguaccia, poco convinta, sventolando la bandana di qua
e di là. Shadow miagolò, seguendo il moto
ondulatorio con
attenzione, con la coda che si fletteva in attesa: saltò
agilmente,
la morse e la strattonò dalla sua mano, correndo via sulla
sabbia.
“Perché
persino il tuo gatto è strano?” le chiese
meravigliato, con un
sorriso incredulo. Ma Isabel non lo stava ascoltando: era corsa
dietro al micio, che correva ovunque facendola disperare, con la sua
bandana al vento.
Rise e rise, davanti ai suoi goffi tentativi di catturare lo scattante felino e quelli per farsi aiutare da lui, per un tempo interminabile: la spiaggia era piena del suo suono delle sue risate e degli strilli a tratti divertiti, a tratti esasperati di Isabel, che si mescolavano al fragore delle onde e al sibilo del vento, mentre il sole diventava uno spicchio sempre più sottile, cedendo alla notte.
Isabel
alla fine si lasciò andare sulla sabbia, esausta,
riprendendo fiato.
Shadow le salì sulla pancia e lasciò cadere la
maschera sul suo
seno, acciambellandosi, facendo poi le fusa.
“Tutto
qui? Bastava che mi sdraiassi? Sei fregato miciomiao, sei proprio nei
guai!”
Gli grattò le orecchie con forza, beccandosi un soffio
indignato, seguito da fusa ronzanti.
Raph
apparì nel suo campo visivo, ridendosela della grossa.
“Ora
che hai preso la piccola pantera è proprio ora di tornare a
casa.”
Porse la mano per aiutarla ad alzarsi, mentre con l'altra
prelevava un indignato Shadow dalla sua pancia. Isabel la
afferrò,
fermamente, e si tirò su, poi si scosse via la sabbia di
dosso, con
vigore.
“Grazie
mille per il tuo aiuto!”
“Non
ti serviva! Te la sei cavata benissimo! Il tuo placcaggio è
stato
spettacolare! Ma darei una controllata al micio, è di sicuro
un po'
matto.”
“Deve
essere la tua vicinanza!”
Ripercorsero
la strada fino alla moto, ormai attorniati dall'oscurità.
Entrambi
si diedero un'occhiata attorno, poi sollevarono lo sguardo, sulle
stelle pulsanti, che si riflettevano sullo specchio d'acqua
sottostante, in silenzio. Godettero della visione per qualche
istante, senza voglia di interrompere quel momento con parole vane,
appagati solo della reciproca vicinanza e della
particolarità di
quel fuggevole istante.
Rimontarono in sella e partirono, senza
però sottofondo di urla. Isabel si stava decisamente
abituando al
rombo della moto e al modo in cui scivolava quasi senza
gravità
sull'asfalto, seguendo ogni minima indicazione data dal corpo di
Raph.
Lei non doveva far altro che tenersi e godersi il viaggio. Si lasciò andare di nuovo contro la sua schiena e chiuse gli occhi, prestando attenzione al minimo cambiamento nell'andamento con il suo solo corpo: a volte Raph si inclinava sul manubrio, trascinandola con sé, e allora andavano più veloci, tanto che riusciva a sentire il vento premere contro la visiera e i loro corpi, con forza, cercando di contrastare la loro fame di velocità. Lei continuò a rendersi senza peso né volontà, come se fosse un'appendice di Raph, in sincrono perfetto coi suoi movimenti; si lasciò semplicemente cullare, dal rombo e dal moto ondulatorio mentre scivolavano tra il traffico.
Quando
arrivarono al villino era notte fonda e forse aveva persino dormito,
tanto le era sembrato corto il ritorno. Scese con molta più
sicurezza, percependo comunque con gratitudine il familiare tocco del
terreno sotto i piedi. Sì, la moto non era così
malvagia, ma niente
era meglio dello stare fermamente ancorata al suolo.
“Questo
è sempre tuo” le disse Raph dopo che lei ebbe
sfilato il casco,
mentre cercava inutilmente di rimettere a posto i capelli sparati in
ogni direzione. Shadow miagolò dal giubbotto, nella sua
direzione,
aspettando di essere preso.
“E
questa è tua” rispose lei, porgendogli la bandana,
che aveva
tenuto legata al collo per non perderla. Lui le passò il
micio, ma
non prese la maschera dalle sue mani.
“Puoi
tenerla.”
“Ne
hai
davvero un armadio pieno?” rise Isabel, capendo benissimo che
lui
accettava la sua richiesta di non portare più la maschera
quando
stavano assieme.
“Un
cassetto. Pienissimo.”
Fece
per partire, ma Isabel poggiò una mano sul suo braccio,
bloccandolo.
“Grazie
per la giornata. Mi sono divertita molto. E' stata... strana, ma
decisamente bella.”
Lui rispose con un'alzata di spalle,
nascondendo l'imbarazzo. Poi partì sgommando, risucchiato
nella
notte in pochi istanti.
Isabel
guardò Shadow, poi gli poggiò la maschera sul
musetto, facendolo
diventare un gatto ninja.
“Che
ne dici, miciomiao? Non è la persona più strana
che tu abbia mai
conosciuto?”
Il gatto fece un buffo verso in risposta, poi cercò
di allungare una zampina per togliersi la bandana da sopra il
muso.
“Hai
ragione,
è anche la più straordinaria che io abbia mai
incontrato. Ma che
rimanga un segreto tra di noi, gattaccio.”
Lo grattò dietro le
orecchie e lo riportò a casa, con un sorriso felice sul
volto.
L'ultima cosa che Raph aveva visto prima di sparire oltre alla barriera era stata Isabel, nello specchietto della moto, che lo guardava andare via, ritta e sorridente sotto il portico del villino, con Shadow in braccio e la sua maschera stretta in una mano.
Svoltò
a destra e si immise nella strada principale, scartando un paio di
macchine; girò la manopola dell'acceleratore a fondo e si
inclinò
il più possibile in avanti, fondendosi col vento: era ormai
solo una
macchia oscura e informe agli occhi dei Newyorkesi, un'ombra
sfuggente nella notte.
Assaporò fino all'ultima goccia la
inebriante sensazione di adrenalina che gli scorreva nelle vene,
mentre divorava l'asfalto, sparendo dalla città in pochi
istanti. Il
rombo del motore lo accompagnò per tutto il tempo, impedendo
ai suoi
pensieri di manifestarsi, di prendere possesso della sua mente.
Si
fermò su quella stessa spiaggia dalla quale se n'era andato
poco
prima. Scese con un gesto fluido e sfilò il casco; si
ricordò di
non avere la maschera e per qualche ragione, rise della cosa.
Si
incamminò verso la spiaggia, buia e solitaria, silenziosa:
nel
chiarore delle stelle e uno spicchio di luna, perfino il suono delle
onde risultava ovattato, niente più di un sottofondo per i
suoi
pensieri. Si sedette sulla sabbia, esattamente nello stesso punto in
cui si erano seduti prima: il ricordo di quella serata gli
attraversò
la mente e sorrise, senza volerlo. Si lasciò cadere
all'indietro e
rimase sdraiato a guardare il cielo, trapunto di stelle, ignorando il
battito furioso del suo cuore. Ma quello continuò a battere
contro
le sue costole, senza tregua, ad ogni frammento di quella giornata
che gli passava davanti agli occhi.
Rise ancora, al ricordo della fuga di Shadow e dell'inseguimento di Isabel, seria e mezzo esasperata, con quel sorriso che le sfuggiva ogni tanto, quando non poteva nascondere il fatto che si stava divertendo. Poi si era voltata verso di lui, per chiedere il suo aiuto e controllare che non l'avesse vista sorridere, con gli occhi che scintillavano di divertimento.
Per
un istante, piccolo e insignificante, Raph aveva desiderato che il
tempo si fermasse: aveva davvero desiderato stare su quella spiaggia
per sempre, congelati in quell'attimo perfetto con Isabel, e il suo
cuore aveva gioito di quel desiderio. Anche se sapeva che era
sbagliato.
Ma come poteva, qualcosa che lo rendeva così felice,
essere sbagliata?
Note:
Ciao, carissime! Sprizzo amore e felicità da ogni più piccolissimo poro! Perché? Quattro, dico quattro recensioni all'ultimo capitolo e nuove persone che hanno messo la storia tra i preferiti. Sono quasi caduta dalla sedia quando le ho lette e me ne vado in giro con un sorrisone da ebete!
Grazie! Sono così felice che la storia stia piacendo! *_____________* Grazie, grazie grazie, grazie! A MC1119, Malanova, LisaBelle_96 e CatWarrior.
Il
tira e molla tra Raph e Isabel continua, anche se entrambi sanno che
è sbagliato. Come finirà?
Il flash back finirà tra tre capitoli
e poi si entra nella storia.
Ah! La moto di Raph è più simile a quella di quando era Nightwatcher, nera ed elaborata, che a quella della serie 2003, rossa e da corsa.
A presto!
Spargo affetto e abbracci per tutti!