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Autore: Water_wolf    07/03/2014    11 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Un voletto verso la morte
♦Astrid♦

Scendemmo per il passaggio aperto dalla musica di Grover, addentrandoci negli Inferi greci, camminando in una galleria buia che puzzava di zolfo. La Signora O’Leary aveva faticato ad entrarci, ma ora era in testa a battere la strada. Alex e Percy avevano tirato fuori le spade, che gettavano lievi bagliori sul pavimento e sul muro. Nico era l’ultimo della fila, non troppo entusiasta di guidare il gruppo, eppure ci stava dietro. Aveva proposto lui il bagno nello Stige, si stava forse tirando indietro?
Poi, pensai a come si dovesse sentire. Aveva convinto Percy, uno dei suoi migliori amici, a immergersi nelle acque di un fiume che avrebbe potuto ucciderlo, nel peggiore dei casi. Probabilmente, si doveva sentire un po’ colpevole. Perdonai subito i suoi dubbi; li avrei avuti anch’io, al suo posto.
La Signora O’Leary abbaiò forte, scodinzolò e fece un balzo, rivelandoci finalmente il regno di Ade. A destra, lo Stige attraversava la pianura con i suoi flutti tumultuosi; a sinistra, invece, era possibile vedere un’imponente porta nera – l’Erebo, illustrò Percy – che conduceva al Palazzo del dio della morte.
«Passiamo da là» propose Nico, indicando il luogo presidiato da Cerbero.
Era una specie di Gramr greco, solo molto più grande, con tre teste da rottweiler, che ora stava annusando il sedere della Signora O’Leary. Percy fece una faccia schifata, che non potei non condividere. Mi piacevano i cani, solo potevano evitare di, be’, avere certi comportamenti.
Seguii il figlio di Ade, passando accanto a un numero improponibile di anime in coda. La scritta “corsia veloce”, che contrassegnava una determinata via, era intasata. Quel giorno nel pompe funebri dovevano aver lavorato parecchio.
Ciò che mi colpì, subito dopo, fu la distinzione tra Campi della Pena o Asfodeli e gli Elisi. Percy e Annabeth mi avevano già spiegato che cosa corrispondeva a Valhalla e altri dettagli, ma non immaginavo di trovarli nello stesso luogo. Se eri nell’Hellheim, era già bollato come criminale incallito, assassino, stupratore, psicopatico, non c’era una corsia che recitava “ehi, se non sei così male, ecco la via per il paradiso, tesoro”. No, quando entravi nel regno di mia madre, eri già spacciato.
I greci avevano scelta, a differenza dei norreni. Potevi ancora vedere la luce. Quella sottospecie di chek-in era il momento durante il quale coloro che avevano compiuto cattive azioni riuscivano a incontrare i più buoni, potevano ancora pensare di salvarsi. Nell’Hellheim, era tutto diverso, era morta persino la speranza.
Oltrepassammo l’Erebo, entrammo negli Asfodeli, dove alberi neri che sembravano avere l’artrite punteggiavano la landa. Percy era nervoso, scoccava a Nico occhiate che volevano dire “perché non ci siamo già fermati prima? Perché continuiamo ad andare avanti?”
La Signora O’Leary era l’unica che appariva tranquilla e spensierata, andava matta per gli Inferi. Gettai un’occhiata ad Alex, che capì al volo. Lasciò andare avanti Nico e Percy, così noi rimanemmo indietro, in modo da poter discutere tranquillamente.
Era da quella mattina che cercava di dirmi qualcosa, ma ogni volta veniva interrotto. E io volevo sapere cosa doveva confessarmi. Speravo con tutta me stessa che si trattasse di una cosa in particolare.
«Allora» iniziò, umettandosi le labbra. «Volevo dirti che…»
Un grido stridulo sovrastò la sua voce. Tre figure scesero in volo verso di noi, lanciando altre urla spacca-timpani. Erano delle donne, ma avevano ali da pipistrello e arti deformati. Una di loro teneva in una mano una borsetta e nell’altra una frusta infuocata, una delle più strambe combinazioni che avessi mai visto. Percy la fissò dritto negli occhi, guardandola con astio.
«Jackson» salutò.
«Percy» si intromise Alex. «Chi è quella?» domandò, perplesso.
Il figlio di Poseidone fece una smorfia. «La mia prof di matematica» spiegò.
«Aspetta…La tua prof era già morta quando insegnava?» chiesi io, non capendo il collegamento.
Come poteva quella cosa insegnare in una scuola?
«No» intervenne Nico. «È una delle tre Furie, sono tutte sorelle. Lei è Alecto.»
«Oh» esclamai. «Ora capisco.» Mi sentii una stupida, perciò arrossii lievemente e nascosi il rossore lasciando ricadere sul davanti i capelli.
«Io non capisco perché sono qui, invece» riprese Percy.
Alecto rise. «Oh, caro, è chiaro: il tuo amico figlio di Ade ti ha tradito.»
Tre paia di occhi si puntarono su Nico, che fece un passo indietro e mormorò: «Mi dispiace, ma…»
«Ti dispiace?» gridò Percy, sguainando Vortice. «Tu… tu mi hai ingannato! Nico, mi fidavo di te e tu mi hai pugnalato alle spalle!»
«Perché l’hai fatto?» si intromise Alex, burbero.
«Mio padre aveva promesso… mia madre… io» farfugliò, sempre più in difficoltà. Guardò le Furie, che sibilarono e risero.
«Li prendiamo, Nico?» chiese conferma Alecto.
«Non fate loro del male» si raccomandò. «Mi dispiace» aggiunse, chinando il capo.
La Furia-insegnante di matematica disarmò Percy, poi lo afferrò per le spalle e si alzò in volo. Altre due vecchiette si avvicinarono a noi, squadrandoci come se fossimo un piatto prelibato.
«Non opponete resistenza, cari» disse una. «Se vi avessi voluto morti, vi avremmo già ucciso. Poi, i nostri ordini sono altri.»
Abbandonai la mia idea di resistere. Nico ci aveva tradito, era vero, ma non credevo volesse farci del male. Non capivo perché l’avesse fatto, ma noi dovevamo essere una sorta di ostaggi. Alex puntò Excalibur contro la Furia che aveva parlato, però, quando vide che mi stavo consegnando loro volontariamente, abbassò la spada.
I suoi artigli si agganciarono alla mia maglietta, pungendomi la pelle. Ero troppo presa dal formulare ipotesi sul perché Nico avesse architettato tutta quella storia, per rendermi conto che la Furia mi avrebbe trasportato in volo. Vidi il suolo allontanarsi dai miei piedi e lo stomaco si attorcigliò. Mi agitai sotto la presa ferrea degli artigli, ottenendo solo di graffiarmi.
«Cazzo, cazzo, cazzo» mormoravo come una litania, cercando di ricacciare indietro il senso di nausea.
La Furia rise di me, emettendo poi uno strano verso stridulo che non compresi.
«La piccina ha paura di volare» ridacchiò, come se fosse una battuta molto divertente.
Storsi la bocca a quell’appellativo. «La piccina ti spaccherà il muso, quando la rimetterai a terra» minacciai, ma non risultavo molto convincente in quelle circostanze.
Cercai lo sguardo di Alex, trasportato dall’altra Furia, ma lui fissava un punto davanti a sé. Mi morsi il labbro.
«Oh, la piccina vuole andare dal suo amichetto?» intuì la Furia, continuando a usare quell’odioso nomignolo.
Non ebbi tempo di ribattere, perché lei fece una brusca virata con le sue ali di pipistrello, compì una mezza piroetta e raggiunse la sua compagna. Mi portai una mano alla bocca, sforzandomi di ricacciare indietro la bile che mi bruciava la gola. L’unica nota positiva era che mi trovavo più vicino ad Alex, quella negativa era che, probabilmente, gli avrei vomitato in faccia.
«Non è divertente» ringhiò il ragazzo all’indirizzo delle due Furie che, invece, scoppiarono a ridere.
Lanciai una ventina di maledizione contro di loro, quando, finalmente, ci depositarono a terra. Percy era già arrivato e osservava il giardino in cui ci trovavamo, dove strane piante mai viste crescevano rigogliose. Con i piedi al suolo, il mio stomaco si distese, ma ero ancora piuttosto scombussolata.
«Tutto ok?» mi chiese Alex, avvicinandosi.
Annuii, senza troppa convinzione. Il figlio di Odino mi cinse la vita con un braccio, un normale gesto da amici che si aiutano l’un l’altra, se non fossimo invischiati una situazione diversa. Lo scostai con delicatezza, mettendomi alla giusta distanza. Stava cercando di riportare il nostro rapporto a com’era prima? Dubitavo ci sarebbe riuscito.
Alcuni scheletri ci condussero all’interno del palazzo, portandoci alla sala del trono, dove Nico osservava due troni. Uno era d’argento, l’altro d’avorio, ma erano entrambi di magnifica fattura. Quel luogo emanava un forte potere che, se fossimo stati nell’Hellheim, avrei potuto sfruttare a mio piacimento per fare praticamente qualunque cosa.
Dal nulla apparvero tre figure: un uomo e due donne. Le ultime due avevano entrambe capelli scuri e occhi castani, ma la prima era più giovane e dall’aspetto più gentile, l’altra più severo. L’uomo, invece, era palesemente Ade: portava una veste dove volti di anime gemevano e si contorcevano in modi orribili. Sospettavo sarebbe piaciuta un sacco a mia madre. Nico si inginocchiò e noi lo imitammo.
«Padre, ti ho portato Percy Jackson come volevi» esordì Nico. «Ora voglio le informazioni su mia madre.»
Ade fece una smorfia. «Tua madre era una splendida donna…» Si interruppe, perché la giovane ragazza – Persefone, intuii – lo guardò male. Il dio deglutì. «Splendida per essere una mortale» specificò.
Nico alzò un sopracciglio. «E…?» lo invitò a continuare.
«E basta.»
«Padre, avevi promesso» gli ricordò.
Persefone intervenne nella discussione. «Forza, caro, digli quello che vuole. È meglio se finisce in fretta l’argomento che riguarda i figli che hai avuto da una tua amante e non da me
Ade sembrò impallidire ancora di più, fatto un po’ impossibile, visto che aveva già un colorito cadaverico.
«Va bene» sospirò. «Maria» – Persefone fece un gesto stizzito quando sentì pronunciare il nome, come se stesse pensando perché suo marito se lo ricordava ancora – «era italiana, di Venezia, ma suo padre lavorava a Washington. La incontrai lì. Fu una storia intensa, finché Zeus non la uccise.» Al pronunciare quella frase, strinse le mani in pugni. «Così, decisi di mettervi al sicuro nel Casinò Lotus, era uno dei pochi posti sicuri.»
«Perché avevi infranto il patto» disse Nico.
«Esattamente» confermò Ade. «Non era un bel periodo per i figli di Ade. Dovevate uscire da lì al momento opportuno.»
«E l’avvocato che ci ha fatto uscire dal Casinò? Chi era?» chiese Nico.
Alecto, che assisteva a quel dialogo, ripiegò le ali da pipistrello sulla schiena e si contorse, finché non assunse le sembianze di un uomo con valigia ventiquattrore. Ci sorrise.
«Mi vengono particolarmente bene insegnanti e avvocati» commentò, compiaciuta.
«Al momento opportuno?» domandò Percy. «E quale sarebbe il momento opportuno
«Questo, ovviamente» replicò Ade, non molto contento che il figlio di Poseidone lo avesse interrotto.
Mi chiesi i due si fossero già incontrati in passato. Ciò che era evidente, era che tra i due non scorreva buon sangue.
«È impossibile che tu sia il semidio della Grande Profezia. Nico è quello giusto, anche se adesso non sembra. Tra quattro anni, però, sarà all’altezza del compito che gli spetta. Se sua sorella Bianca fosse ancora in vita sarebbe tutto diverso… ma, sfortunatamente, non è così.»
«Qualche anno?» ripeté Percy. «La guerra contro Crono è adesso! Marcerà contro di te e ti sconfiggerà, non c’è tempo!»
«Tsk.» Ade lo liquidò con un gesto della mano. «Crono non ce la farà mai, io sono diverso dagli altri dèi, sono più forte e ho schiere di anime al mio servizio.»
«Non credo» replicò Percy, aspro. «Di sicuro non con l’aiuto di Loki.»
Al pronunciare di quel nome, il dio si fece attento e scuro in volto. Si avvicinò a noi, ignorando i due greci.
«Ora che mi hai ricordato di quella noia di Dèi Norreni» cambiò discorso, «non posso fare a meno di notare la compagnia che ti porti dietro.»
Soppesò Alex con un’occhiata, poi passò ad analizzare me. Mi si pose davanti, scrutandomi con odio. Non indietreggiai, forse per volontà, forse per la paura che mi paralizzava le gambe. Che voleva da me? Potevo sentire il suo potere alimentare tutti gli Inferi, non dubitavo che mi avrebbe potuto togliere di mezzo muovendo solo un dito.
Assottigliai lo sguardo: forse stava valutando la figlia della sua controparte nordica, magari voleva vedere di che stoffa ero fatta. Be’, gli avrei dimostrato che non era così facile intimorirmi. Mi rivolse un sorriso sghembo. Poi, mi afferrò il mento e strinse, chiudendo le sue dita lunghe e affusolate come una morsa.
«Mi ricordo di tua madre, sai?» sibilò. «Dovrei dire che è stato un piacere incontrarla, ma non è andata così.»
«Io non sono lei» scandii con fatica.
«Persefone, cara» si rivolse a sua moglie, senza lasciarmi. «È meglio se mi aspetti in giardino con Demetra.»
Persefone provò a protestare, ma la madre la prese a braccetto e insieme scomparvero in una nuvola di cereali.
«Bene» disse, puntando i suoi occhi su di me. Brillavano come fiamme, un fuoco che mi avrebbe potuto disintegrare da un secondo all’altro. «Ora posso occuparmi di te con tranquillità.»
Non mi piacque per niente come pronunciò quella frase. Mollò la presa, destabilizzandomi tanto da farmi cadere a terra. Mi rialzai su un gomito, fissando il dio con astio.
«Non sono Hell» ripetei, dura.
«No, hai ragione» confermò Ade. «Sei molto meglio. Sei sua figlia, che non è immortale.»
«Prova ad ucciderla e io…» minacciò Alex, stagliandosi innanzi al dio con aria minacciosa.
«Tu cosa farai?» lo prese in giro. «Non puoi niente, semidio. Sei debole
Alex divenne rosso per la rabbia, ma Ade si era già girato verso Percy, che fissava la scena col fiato sospeso.
«Portalo alle prigioni» ordinò alla Furia. «Se tutto andrà bene, uscirà tra cinquantina o sessantina d’anni.»
Percy si frugò in tasca, ma Vortice non era ancora ricomparsa. Scoccò un’occhiata di fuoco a Nico, che si fece piccolo piccolo.
«Non…» iniziò, ma Alecto lo artigliò per le spalle e lo trascinò via contro il suo volere.
«Nico» chiamò il figlio, che quasi sobbalzò. «Nella tua camera.»
«Ma…»
«In camera tua» intimò Ade, facendolo scomparire con un gesto fluido del polso.
Ci rivolse un sorriso sghembo, che voleva dire “chi dei due si offre volontario per volatilizzarsi per primo?”. Avrei tanto voluto sputargli in faccia o strappargli la veste con le unghie. Indicò me, poi Alex, e contò a mezza voce “ambarabà ciccì coccò”. Alla fine, il suo dito si posò su di me.
«Addio» salutò.
Dal suo palmo, scaturì una fiammata. Avvertii il suo calore sulla pelle, così rovente da bruciarmi. Chiusi gli occhi, stringendo le palpebre. Non riuscivo a credere che stavo morendo. Ironico: la figlia della dea norrena della morte che viene uccisa dal dio greco della morte direttamente negli Inferi.
Un grido – mio? – e il calore si allontanò da me. Riaprii gli occhi, ancora accecata. Davanti a me, la lama di Excalibur brillava fulgida e fumava, l’acciaio che sibilava. Mi guardai le mani, le braccia, le gambe; controllai di avere tutte le parti del corpo attaccate. Ero ancora viva. Viva. Ed Alex mi aveva salvato, reagendo prontamente.
Strisciai all’indietro, mi rimisi in piedi e rivolsi un sorrisetto antipatico ad Ade, che era livido di rabbia. Con uno schiocco di dita, un plotone di scheletri in divisa militare desertica si fece avanti.
«Potete non morire oggi, ma lo farete sicuramente domani» disse, prima di scomparire.
Gli scheletri avanzarono verso di noi, al primo plotone se ne aggiunsero altri, e si chiusero su di noi.
 

Sbattei la spalla contro il muro. Sentii il dolore irradiarsi dal punto colpito e ripercuotersi per tutto il corpo. Mi lasciai cadere a terra, dalle labbra mi sfuggì un gemito.
Se c’è una cosa che odio, sono le prigioni: piccole, claustrofobiche, un luogo dove si può solo morire. Io avevo bisogno di spazio, di essere libera o, almeno, avere la sensazione di esserlo. Quella in cui mi aveva rinchiuso Ade era minuscola, l’aria sarebbe bastata per un’ora, ma non di più.
Mi chiesi come stesse Percy. Doveva sentire il tradimento di Nico molto più di noi, probabilmente si sentiva responsabile per essere finito in questa situazione e aver trascinato anche noi. Mi alzai, presi un respiro e mi schiantai di nuovo contro la parete.
Il dolore sembrò annientarmi per un attimo, poi riuscii ad avere di nuovo il controllo del mio corpo. Era inutile che continuassi così, ma cosa potevo fare? Non c’erano vie di fuga. Mi strinsi la spalla, percorrendo avanti indietro quella prigione.
Mi sembrò di udire un tic ritmico. Mi fermai e tesi l’orecchio.
Tic, tic, tic.
Cercai di capire da dove proveniva, ma non ce ne fu bisogno. Un piccolo rettangolo di muro si separò dalla parete e ricadde a terra con un tonfo. Mi avvicinai al buco, scrutai l’altra stanza.
«Astrid?»
La voce di Alex era appena un sussurro. Pochi istanti dopo, il suo occhio grigio guardò oltre il varco.
«Oh mine guder!*» esclamai.
Sentii lacrime di sollievo pungere dietro gli occhi, ma le ricacciai indietro. Trovavo immensamente stupido piangere quando succedeva qualcosa di bello.
«Astrid» mormorò Alex, sollevato.
«Alex» sussurrai il suo nome, sorridendo nell’ombra.
Cercai di infilare la mano nel rettangolo che il figlio di Odino aveva ricavato, ma ci entravano solo due dita. Lui, comunque, me le strinse. Parte dell’angoscia che avevo provato fino a questo momento scomparve.
«Come hai fatto?» domandai, alludendo al buco.
«Un po’ di magia runica e l’aiuto di Excalibur» spiegò. «Non ero sicuro funzionasse, non volevo rischiare di sprecare troppa energia se l’incantesimo non avesse funzionato. Ade è stato stupido a lasciarmi armato.»
«Credeva che non saremmo mai riusciti ad uscire da qui» osservai. «Lo credevo anch’io.»
«Come?» fece Alex, sorpreso. «Non hai pensato ad andartene con un viaggio d’ombra?»
«Guarda che…» replicai, ma mi bloccai. In effetti, l’unico motivo per cui non ci avevo riflettuto era che avevo già escluso che i miei poteri funzionassero nel regno di un altro dio dei morti. «Non credo sia sicuro» riassunsi.
«Puoi provarci» ribatté Alex.
«Se sbaglio, potremmo finire in Cina» gli feci notare, piccata.
«Be’, almeno ci finiremmo in due» replicò. «Saremmo insieme» aggiunse, sottovoce.
Feci finta di non sentirlo. «Stringi forte la mia mano» raccomandai.
Chiusi gli occhi e mi concentrai solo sull’oscurità. Quando mi sentii pronta, tenni stretto Alex e compii quel salto nelle tenebre. Li riaprii subito, per capire dove diavolo eravamo andati a finire. Con mio enorme stupore, riconobbi le celle dove ci avevano trascinato e rinchiuso gli scheletri comandati da Ade.
Sentii una scossa percorrermi la mano e, quando la guardai per capirne il motivo, vidi che era intrecciata a quella di Alex. Il figlio di Odino mi sorrise, assumendo quell’aria da “lo sapevo che potevi farcela, sei forte”.
«Cavolo» commentai, sentendomi la bocca secca.
«È tutto quello che riesci a dire? Sei stata fantastica» replicò Alex, entusiasta.
Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai stretta nel suo abbraccio. Ripensai a ciò che mi aveva detto Annabeth: “se Alex non ti dirà che è innamorato di te, vorrà dire che ha deciso di saltare i preliminari e passare direttamente allo stadio successivo”. Era davvero così? Aveva ragione la figlia di Atena?
Non ebbi il tempo di scoprirlo, perché qualcuno tossicchiò alle mie spalle. Mi staccai immediatamente da Alex, pronta all’attacco. Con stupore, notai che si trattava di Percy e Nico.
«Usciamo da qui» disse il più grande, e noi non esitammo a seguirlo.
 

Poco dopo, stavamo correndo per gli Asfodeli. Percy si trascinava dietro Nico, semi cosciente. Per uscire dalle prigioni, aveva usato i suoi poteri per addormentare le guardie-scheletro, ma lo sforzo l’aveva reso esausto. La Signora O’Leary ci raggiunse non appena ci vide, abbaiando e scodinzolammo felici.
Non appena lo Stige si rese visibile, mi sentii sollevare da un enorme peso. Ade si sarebbe accorto presto della nostra fuga e sarebbe venuto a riprenderci, non avevamo molto tempo. Percy fece stendere Nico sulla spiaggia di sabbia lavica, si ficcò una mano in tasca e tirò fuori dell’ambrosia un po’ sbriciolata. La porse al figlio di Ade, gli diede un paio di schiaffi e questo sembrò riprendersi.
«Dimmi cosa devo fare, in fretta» disse, sbrigativo.
«Non farlo.»
Mi girai di scatto, cercando subito le mezzelune per fronteggiare il portatore della voce. Con mi stupore, mi trovai davanti un uomo giovane e allenato, i capelli rasati corti e una freccia che gli spuntava dal tallone. La sua immagine tremolava un po’ e la sua aura emanava chiaramente morte. Anche se non faceva parte della mia mitologia, sarebbe stato impossibile non riconoscere Achille.
«Non farlo» ripeté. «Ho avvisato l’altro di non farlo, ora avviserò te.»
«Cosa? Luke è stato qui?» domandò Percy.
Achille annuì.
«Probabilmente era l’unico modo per non morire, accogliendo Crono nel suo corpo» intuì Alex.
«Non è un buon motivo per fare un bagno nello Stige. Ti renderà potente, ma allo stesso tempo anche debole. Sarai il più audace in battaglia, ma le tue debolezze andranno di pari passo» continuò Achille, severo.
«Intende che… ehm… anch’io avrò un tallone d’Achille?» chiese il figlio di Poseidone.
Il fantasma si guardò il piede da cui spuntava la freccia.
«Il tallone è solo la mia debolezza fisica, semidio. Ciò che veramente ucciso è stata la mia arroganza. Ripensaci!» lo mise in guardia.
Percy abbassò gli occhi, riflettendo. Non era una cosa da niente mettere in pratica quello che lui aveva intenzione di fare, ma era anche un suo dovere, se voleva salvare il Campo Mezzosangue.
«Devo farlo» replicò Percy. «Altrimenti, non avrò nessuna possibilità.»
Achille chinò il capo.
«Io ti ho avvertito, eroe, che voi altri mi siate testimoni. Se devi farlo, concentrati sul tuo punto mortale, su una parte del tuo corpo che diventerà il tuo tallone d’Achille. Ma attento a non sottovalutare la tua parte spirituale» lo istruì.
«Sarebbe comodo se ci dicesse il punto mortale di Crono» provò Alex, ma Achille gli scoccò un’occhiataccia e scomparve.
«Percy» lo chiamò Nico. «Se non te la senti…»
«Ti ricordo che l’idea è stata tua» gli fece presente Percy, piccato.
«Lo so, ma ora che stai per farlo…» si difese il figlio di Ade, debolmente.
Percy sbuffò, gli diede le spalle e fronteggiò lo Stige. Ci camminò dentro, un primo passo, seguito da un secondo, e poi cadde di faccia. Mi sfuggì un gridolino di spavento. Non avevo idea se fosse doloroso, ma dava l’impressione di esserlo davvero molto.
Avvertii la testa farsi più pesante e venni colta da un capogiro. Sentivo l’aura vitale di Percy affievolirsi, perdere d’intensità. Cercai di trattenerla, ma era come afferrare un filo invisibile.
«Cosa sta succedendo?» domandò Alex, allarmato.
«Percy» farfugliai, concentrandomi per non perdere il contatto che avevo stabilito con la sua anima. «Sta morendo.»
«Cosa!?»
Alex mi afferrò per le spalle e mi scosse, tentando di cavarmi qualche informazione in più. Poi, all’improvviso, avvertii l’aura di Percy rinvigorirsi. In quel momento, il figlio di Poseidone si trascinò fuori dallo Stige, subito aiutato da Alex.
«Stai bene?» domandò il figlio di Ade, trafelato.
Le braccia di Percy fumavano.
«Credo di sì» rispose l’altro, mettendosi seduto.
«E ti senti, come dire, più forte?» chiese.
Percy sembrò voler dire qualcosa, ma la Signora O’Leary abbaiò e lui gridò: «Laggiù!»
Guardai dove indicava, dove Ade capeggiava un esercito di fantasmi da una biga e si dirigeva a tutta velocità contro di noi. Trasformai immediatamente i miei orecchini in mezzelune, Alex sguainò Excalibur. Percy chiuse gli occhi un secondo, poi le acque dello Stige esplosero e travolsero la prima fila di soldati.
Senza neanche una pausa, ci lanciammo all’attacco. Mi sembrò di rivivere ciò che era accaduto nell’Hellheim, tutti quegli scheletri, il martello di Thor, l’ansia di non riuscire ad uscire… Deglutii, combattendo con l’ansia che mi mordeva le viscere.
Decapitai un soldato francese, compii una mezza piroetta su me stessa e mi voltai, già pronta a trafiggere il prossimo nemico. Ma non c’era nessuno. In quel brevissimo lasso di tempo, Percy aveva sbaragliato più della metà di quell’enorme esercito e ora stava bloccando con un ginocchio a terra Ade.
Sgranai gli occhi. Percy aveva atterrato un dio? Ero incredula.
Lo sentii ringhiare, minaccioso: «Potrei farti molto male, adesso, ma sono una brava persona.»
Gli occhi di Ade fiammeggiarono, dopodiché lui scomparve. Il figlio di Poseidone aveva la maglietta arancione stracciata, bucata da colpi di moschetto e fendenti di spade, ma lui era indenne.
«Dobbiamo andarcene» disse; sia io che Alex annuimmo. «La battaglia contro Crono è imminente e noi dobbiamo aiutare gli altri. Alex, Astrid, andiamo.»
«E io?» fece Nico, un’espressione delusa sul volto.
«Sei più utile se rimani qui» rispose Percy, poi addolcì il tono. «Puoi convincere tuo padre a fornirci dell’aiuto, se l’unico su cui possiamo contare per questo compito.»
«Ma…» protestò Nico.
«Ci parlo io» intervenni, mettendogli una mano sulla spalla e allontanandomi di un po’ dagli altri.
«Lasciami» ringhiò il figlio di Ade, scostando malamente il mio braccio da sé. «Non sei mia sorella.»
«E menomale perché, da quello che ho capito, lei è morta. Io ci tengo alla mia vita» replicai.
«Va’ al Tartaro» imprecò.
«Senti, non sono qui per farti da mammina premurosa, non sarò delicata.»
«Allora non m’interessa» replicò, dandomi le spalle.
«Posso aiutarti» cercai di suonare persuasiva, ma i miei rapporti umani lasciavano decisamente a desiderare. «E ti posso assicurare che non hai deluso Percy.»
L’ultima frase catturò la sua attenzione. Si sedette su un masso e si prese la testa tra le mani.
«Come puoi dirlo?» sussurrò. «Lui è Percy Jackson, il più grande semidio di questo secolo e mio amico. E io l’ho tradito.»
«Tutti commettiamo degli sbagli» gli feci notare.
«Menti» mi accusò, lanciandomi un’occhiata. «Sai perfettamente che non è così, che ci sono persone che sbagliano sempre. Tu sei una di loro.»
Mi sentii punta intimamente e, per un momento, mi venne voglia di tirargli un pugno e urlargli di starsene zitto. Ma ciò che aveva detto era vero, non potevo negarlo. In silenzio, mi complimentai con il suo spirito d’osservazione.
«Mettiamola così, allora» ripresi. «Io, che sono una persona che sbaglia sempre, mi sono mai arresa? Mi hai mai visto lamentarmi a terra, senza fare nulla per rialzarmi?»
Nico si morse l’interno della guancia. «No» rispose, titubante.
«No, esatto» confermai. «Anche tu devi farlo, sono sicura che sei abbastanza forte per farcela. Sei il figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, dopotutto, no?»
Nico annuì. Gli misi una mano sulla spalla.
«Il regno che comanda tuo padre non è tutto nero, tu non sei completamente nero. C’è ancora speranza, qui. Non sprecarla. Non abbatterti, se pensi di aver deluso il mitico Percy Jackson. Anzi, convinci tuo padre ad unirsi agli altri dèi e dimostragli che puoi rimediare ai tuoi errori.»
Nico alzò gli occhi su di me, e io cercai di infondergli quanto più coraggio e stabilità possibile.
«Va bene» accettò infine.
Gli sorrisi prima di allontanarmi. Dopo qualche passo, lo sentii chiamarmi per nome. Mi voltai.
«Grazie» disse semplicemente.
«Di niente» replicai.
Poi, gli diedi le spalle e raggiunsi di corsa Alex e Percy. Avevamo ancora molto da fare.

*oh mine guder! = oh miei dei!
koala's corner.
Anche se con un giorno di ritardo, ecco qui il capitolo! Passiamo subito allo sclero di questi due ^^"
*si inginocchia* Ok, ok, in teoria è solo un ritardo. In teoria. In pratica, voi stavate aspettando questo angolino con le fruste spianate per condurmi da Ade. Quindi, chiedo umilmente perdono.
A me non importa una ciofeca se wolfie ha ritardato, perché lei è sempre nel mio cuore :P
Per questo hai il cancro xD Anyway, vi è preso un colpo quando Ade ha tentanto di uccidere Astrid?
Per fortuna, non è ancora arrivato il momento killer, ma non dovrete aspettare molto.
Come avevamo già annunciato in precedenza, "Venti del Nord" ripercorre le vicende de "Lo Scontro Finale", quindi molti dialoghi sono presi pari dal libro, così come le situazioni che ri-narriamo.
Ovviamente, condendo il tutto con tanto sugo Alrid *-* Spero che la scena della prigione vi abbia fatto fangirlare a dovere. Alcuni avevano chiesto un confronto Astrid/Nico/Hellheim/Tartaro e alla fine di questo capitolo ci stava bene, quindi... Ho anche mostrato un mio headcanon, ovvero che prima della ormai famosa frase "I had a crush on you", Nico abbia ammirato Percy perché lui è l'eroe con la E maiuscola.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, rimediamo presto a rispondere alle meravigliose recensioni che ci lasciate ogni volta! :3

Soon on Venti del Nord: POV Alex, preparativi per la battaglia di Manhattan!
 
  
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