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Autore: SusanTheGentle    08/03/2014    10 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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13. La partenza e il salvataggio

 
Queste ferite sembrano non guarire
Questo dolore è troppo reale
C'è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare

 

 
Rimasero qualche minuto fermi ad ascoltare la campanella che annunciava la fine delle lezioni, le grida degli studenti dello Sperimentale che iniziavano a lasciare l’edificio.
“Dobbiamo muoverci” disse Edmund. “Potremo uscire mischiandoci facilmente alla calca”
Non avevano pensato all’uscire, ma solo all’entrare, sapendo che – come aveva detto Aslan – non appena avessero incontrato Eustace e Jill, il portale per Narnia si sarebbe aperto.
Così era stato, peccato solo che loro tre si trovavano ancora sulla Terra.
Che cosa era successo? Che qualcuno volesse impedire loro di raggiungere Narnia?
“Dannazione!” imprecò Edmund, trattenendosi dall’usare espressioni più colorite, poiché sapeva che a Lucy non piaceva quando i suoi fratelli dicevano le parolacce. Lei non ne diceva mai.
“Adesso come facciamo?” chiese proprio lei, mentre uscivano dal cancello principale.
Gli altri studenti li guardavano con curiosità: si notava che non erano allievi dello Sperimentale, soprattutto la ragazza, che indossava la divisa di una scuola privata.
I tre Pevensie camminarono per un po’ per le strade di Cambridge, fianco a fianco, in silenzio.
“Peter?” fece d’un tratto Edmund.
Il fratello non rispose.
Il Re Supremo fissava l’asfalto, senza guardare dove andava, il viso contratto in un’intensa espressione di concentrazione.
“Peter?”
“Sto pesando, Ed”
Edmund tacque, scambiandosi sguardi preoccupati con Lucy.
“Oh cielo!” esclamò dopo un po’ la Valorosa, “Presto, nascondetevi!”
Afferrò i ragazzi per le maniche dei cappotti, trascinandoli dietro un vicoletto.
“Che succede?” chiese Peter.
“Zia Alberta” disse semplicemente Lucy.
Tutti e tre sbirciarono nella strada affollata, e la ragazza indicò agli altri due un negozio, davanti al quale loro zia discorreva a più non posso con due anziane signore.
“Che succederà, secondo voi” cominciò Edmund, “se Eustace entro breve non torna a casa? Ormai è ora. Insomma, noi siamo qui e lui no, e il tempo…”
“Ho capito cosa vuoi dire” disse Lucy. “Penso che zio Harold e zia Alberta non se ne accorgeranno, dopotutto”
“Che vuoi dire?” chiese Peter, mentre si ritiravano di nuovo al riparo del vicolo
“Vediamo se riesco a spiegarvelo” disse la ragazza. “Vedete, tutte le volte che siamo stati a Narnia e poi tornati, a noi pareva non fosse passato nemmeno un minuto, ma di fatto, il tempo quaggiù continuava a scorrere. Io credo che chi come zia Alberta sia coinvolta in qualche modo nelle faccende di Narnia, pur non sapendolo, venga influenzato dalla magia. Di conseguenza, anche se andassimo da lei a chiederle perché Eustace non è tornato a casa, penso che ci direbbe ce non sa di cosa stiamo parando”
“Vuoi dire” fece Edmund, “che non si sta rendendo conto di quel che le succede intorno? Che non si ricorderebbe di Eustace?”
“No” Lucy scosse il capo, “sto dicendo che, molto probabilmente, per lei il tempo è come se non scorresse. E quando Eustace tornerà, anche se qui saranno passati mesi, per lei è come se fosse passato un secondo. Lo so, è strano, ma meglio di così non so spiegarvelo”
“Più o meno ho capito” fece Edmund, aggrottando la fronte.
“Anch’io” disse Peter, “E quindi, Lu, pensi che anche mamma e papà non si accorgeranno che siamo spariti?”
“Non lo so…” balbettò la Valorosa. “Forse…forse quando anche noi saremo a Narnia…ma per ora…Peter, non sarebbe il caso di telefonargli?”
I tre fratelli si guardarono un momento, Peter ancora riflettendo sul da farsi.
Non potevano tornare a Finchley: Aslan aveva detto loro di recarsi a Narnia e loro dovevano riuscire ad arrivarci, raggiungere Eustace e Jill.
Il Re Supremo si affacciò di nuovo sulla strada: zia Alberta se n’era andata.
“Via libera”
“Ehm…sentite” fece Edmund, le mani sullo stomaco, “lo so che siamo di fretta, ma io ho fame”
“Anch’io” ammise Lucy.
“Io pure” rincarò Peter.
Erano le tre del pomeriggio e avevano saltato il pranzo.
“D’accordo, troviamo una tavola calda” propose Peter.
 “Aslan sarà comprensivo con noi anche se rimanderemo ancora la partenza” disse il Giusto. “Penso che vorrebbe fossimo in piena forma quando dovremo combattere, e al momento io mi sento un tantino deboluccio…”
Il suo stomaco gorgogliò e Lucy rise .
Trovarono un locale abbastanza in fretta, vi entrarono e trovarono un tavolo. Si sedettero togliendosi cappotti e sciarpe, godendosi il calduccio dopo il freddo pungente di gennaio.
Ordinarono da mangiare e, mentre aspettavano, Edmund e Lucy ripresero a parlare tra loro a mezza voce.
Peter tamburellava con le dita sulle superficie del tavolo, lo sguardo che vagava senza meta per tutto il locale, osservando le persone chiacchierare e mangiare allegramente. I suoi occhi si incrociarono un paio di volte con quelli di un uomo.
Normalmente, il ragazzo ci avrebbe messo meno di un secondo per riconoscerlo, ma con la testa piena di pensieri, ce ne volle qualcuno in più.
“Per la criniera di Aslan!” sbottò poi, saltando su dalla sedia e facendo trasalire gli altri due.
“Che c’è? Che ti prende’” chiese Edmund in fretta.
“Giratevi”
Il Giusto e la Valorosa lo fecero, ed entrambi rimasero a bocca aperta nel vedere un signore e una signora sorridere loro e salutarli con la mano dal fondo del locale.
L’uomo aveva una gran massa di capelli bianchi e una corta ma folta barba dello stesso colore, due occhialetti sul naso e gli occhi blu brillanti com’erano stati quand’era giovane.
La donna era aveva i capelli ancora più bianchi, elegantemente intrecciati un una crocchia sotto il cappellino rosa ornato di fiori finti.
“Digory? Zia Polly?” fece Lucy sbalordita, sfoderando un gran sorriso.
Erano proprio loro: il professor Digory Kirke, il proprietario della grande casa di campagna nella quale i Pevensie avevano passato l’estate del 1942, e nella quale avevano trovato l’armadio magico che li aveva condotti a Narnia per la prima volta. E accanto a lui, Polly Plummer, la migliore amica di Digory, che i ragazzi chiamavano affettuosamente zia, ma che in realtà non aveva nessun legame di sangue con nessuno di loro.
A Narnia erano conosciuti come Lord Digory e Lady Polly, primi visitatori umani della terra di Narnia. Per errore, quand'erano bambini, avevano liberato la Strega Bianca dal lungo sonno in cui giaceva. Erano stati i primi eroi di Narnia, della quale avevano visto la nascita insieme alla suddetta Strega, al vecchio zio Andrew Ketterly, al cavallo Fragolino e al cocchiere Frank. Quest’ultimo era divenuto il primo Re di Narnia assieme alla moglie Helen, la prima Regina.
Ma questa è un’altra storia…
Digory fece segno ai ragazzi di avvicinarsi.
Peter, Edmund e Lucy si alzarono dal loro tavolo e li raggiunsero.
“Che cosa ci fate qui?” chiesero i tre Pevensie in coro.
“Potremmo farvi la stessa domanda” dissero all’unisono gli altri.
“Dovreste essere a Narnia a quest’ora!” disse Digory, in un tono quasi di rimprovero.
“Veramente…”
“Ma che ci fate Cambridge?” insisté Edmund.
“Sedetevi” disse Polly. “Abbiamo alcune cose da dirvi”.
Arrivò il pranzo e i cinque amici mangiarono tutti insieme.
“Ci manda Aslan” spiegò Digory. “Ero nel mio studio, quando alle dodici in punto è suonato il pendolo e io mi sono alzato dalla scrivania per scendere in sala da pranzo…e l’ho visto: riflesso nello specchio! Per tutti i leoni, da quanto non vedevo Aslan di persona! Non è cambiato, vero?”
“In realtà, anche noi non lo vediamo da un bel po’ ” ammise Lucy con malinconia.
“Ma se l’abbiamo visto proprio stamani!” ribatté Edmund.
“Sì, ma intendevo che, di persona, anche per noi è passato molto tempo”
“Va bene, va bene, asciamo perdere queste sottigliezze” fece Peter, ponendo fine alla piccola discussione. “Digory, Polly: Aslan vi ha mandato qui per aiutarci, vero?”
I due anziani si scambiarono un’occhiata d’intesa.
“Esatto, caro Peter” disse lei. “Avanti, Digory, daglieli. E’ inutile aspettare”
Lui sbuffò tra i baffi bianchi. “In realtà avrei voluto farlo in un luogo più tranquillo. Sono oggetti pericolosi, Polly, e non vorrei accadesse qualche guaio”
Lei sorrise. “Oh, cosa vuoi che succeda? Che tutto il locale venga trasportato a Narnia?”
“Ah bè, non si sa mai!”
“Di cosa state parlando?” chiese Edmund.
“Io penso di aver capito” fece Peter.
“Su, non teneteci sulle spine” rincarò Lucy.
Allora, il professor Kirke infilò una mano nella tasca della giacca e ne estrasse una scatoletta nera dai bordi ricamati d’argento. Non appena la posò sul tavolo, gli sguardi dei tre ragazzi Pevensie si inchiodarono ad essa, come fossero un pezzo di ferro con una calamita.
C’era uno strano ronzio nell’aria e proveniva dalla scatola.
“E’ quello che penso, vero?”
“Sì, Peter” rispose Polly.
Un attimo dopo, Digory allungò la mano verso il coperchio della scatoletta e lo sollevò. Dentro, adagiati su un fazzolettino bianco, c’erano due coppie di anelli gialli e verdi.
I Pevensie non li avevano mai visti dal vivo, ma sapevano che cos’erano: la prima copia di quegli anelli era stata creata dallo zio di Digory tramite lunghe ricerche ed esperimenti magici, ed era sato grazie a quegli oggetti all’ apparenza innoqui che Digory e Polly avevano raggiunto Narnia per la prima volta.
Lucy, affascinata dallo scintillio delle verette, allungò le dita per toccarle.
“No, mia cara, no” l’ammonì il professore, richiudendo la scatola. “Non a mani nude Lucy, o finirai con lo sparire davanti ai nostri occhi”
“Oh, giusto. Me n’ero dimenticata”
Digory alzò un dito. “Cautela, ragazzi”
Peter, Edmund, Lucy e Polly, lo osservarono mentre tirava fuori i guanti e se li infilava, riapriva il coperchio e prendeva un anello giallo e uno verde.
“Metti i guanti, Peter”
Il ragazzo eseguì e poi, Digory lasciò scivolare gli anelli nella sua mano coperta.
“La magia di questi anelli si sprigiona a contatto con la pelle. Ricordate: mai, mai maneggiarli senza una qualche protezione”
“Come in un esperimento di chimica” fece Lucy.
“Più o meno”
Peter si rigirò gli anelli tra le dita. “Sono il nostro unico passaporto per Narnia, dico bene?”
“Esatto” rispose Polly. “Aslan ha chiamato me e Digory per congegnarveli, così che possiate raggiungere vostro cugino e l’altra ragazza. Aslan ha detto che Susan e suo marito sono in grave pericolo”
“Purtroppo sì” rispose il Re Supremo, stringendo gli anelli nel pungo.
“Come si usano?” chiese Edmund, osservando la scatola con un vago cipiglio.
Magia! Ne era impregnata, come gli anelli, e non gli piaceva.
“Bisogna indossarli per attivarli” riprese a spiegare Digory. “Quello giallo vi trasporterà nella Foresta di Mezzo e da lì a Narnia, quello verde vi farà tornare qui nel nostro mondo. Ora: qui abbiamo solo due coppie, ma non c’è problema: chi di voi deciderà di non indossarli, se resterà sempre vicino agli altri due, non rischierà di essere lasciato indietro. Hanno una magia tattile, per cui, basterà che vi teniate per mano”.
Edmund chiese: “Quando saremo nella Foresta di Mezzo, come faremo a sapere qual è la strada giusta da percorrere?”
“Sorgono decine di piccoli laghetti nella in quella Foresta” gli rispose Polly. “Sono il passaggio per molteplici mondi, ma voi saprete senza dubbio riconoscere quale sarà quello che vi porterà a Narnia. Ci penserà Aslan a guidarvi, abbiate fede”
Edmund annuì.
“Allora, chi usa l’altra coppia?” chiese poi il professor Kirke, posando lo sguardo su ciascuno dei Pevensie.
Lucy si morse il labbro, nervosa. Non voleva che gli altri la considerassero una codarda, ma non se la sentiva di farsi avanti.
“Li prendo io” disse Edmund, infilandosi i guanti.
“Va bene” disse allora Digory, richiudendo la scatoletta vuota e sospingendola verso Lucy. “Tu prendi questa. Puoi toccarla senza guanti ora che non contiene più gli anelli. Quando sarete a Narnia, dovranno stare al sicuro qui dentro”
La Valorosa annuì. “Ci penso io”
Ci fu un attimo di teso silenzio. Tutti osservavano il riverbero delle lampade del locale contro gli oggetti magici, e ancora una volta ne furono come ipnotizzati.
“Non abbiamo tempo da perdere” disse infine Peter, alzandosi per primo e infilandosi gli anelli nella tasca del cappotto.
Polly scattò in piedi e abbracciò forte Lucy, mentre Digory stringeva la mano ai due giovani.
“Vorrei poter venire con voi” confessò, gli occhi blu risplendenti dell’intenso ed evidente desidero di rivedere Narnia. “Portate i miei saluti a vostra sorella. Mi piacerebbe davvero scoprire com’è cambiata la piccola Susy. E che tipo è l’uomo che l’ha sposato”
“E’ un grande amico” disse Peter, pensando a cosa avrebbero trovato effettivamente quando fossero tronati laggiù, a dov’erano Susan e Caspian, e tutti gli altri.
La sua Miriel…i bambini…Emeth, Shanna…
“Buon fortuna” disse Polly, baciandoli tutti sulle guance. “Che Aslan vi benedica e vi guidi sempre”
“Grazie di tutto” disse Lucy, abbracciando ancora sia lei che il professor Kirke.
Poi, i tre fratelli lasciarono di corsa il locale, uscendo in strada e sparendo presto alla vista.
“Accidenti!” esclamò Digory. “Mi hanno asciato da pagare anche il loro conto!”
Polly rise e si risedette al suo posto, mente l’amico si lamentava.
“Li rivedremo?” chiese poi, esitante, una stretta di malinconia al cuore.
“Intendi ora o tra qualche anno? Perché lo sai che un giorno ci rivedremo tutti”
“Sì, lo so” disse Polly, “Intendevo quando questa avventura sarà finita. Torneranno?”
Il professore fece un sospiro. “Non lo so. E’ tempo che anche Peter, Edmund e Lucy, come Susan, decidano il loro futuro e scoprano cosa Narnia significa davvero per loro”.
“Io e te non abbiamo avuto questa fortuna” disse la donna con una nota di malinconia.
Digory le sorrise. “Forse no: forse non abbiamo potuto restare a Narnia, ma noi due abbiamo avuto la fortuna di trovare la persona per noi più importante qui, sulla Terra. E ti giuro, mia cara, che non vorrei essere da nessun altra parte, ora”
“Nemmeno io”
Digory posò una mano su quella di Polly, e lei la strinse nelle sue.
 
 
 
~·~



Nei due giorni successivi, i temporali estivi cessarono e la calura della piena estate si fece sentire.
Caspian sperava in un nuovo acquazzone: con la pioggia, le sentinelle sui bastioni di Cair Paravel avrebbero avuto una visibilità ridotta rispetto al normale; anche il fragore dei tuoni avrebbe aiutato a camuffare altri possibili rumori che avrebbero insospettito le guardie, quando gli intrusi fossero penetrati nel palazzo.
Ma quando avrebbe fatto comodo, la pioggia proprio non ne voleva sapere di cadere.
Inoltre, a Caspian sarebbe piaciuto aspettare la notte per agire: buio e tempeste erano sempre state un ottima combinazione secondo lui. Ma nemmeno questa volta poteva sperare nell’appoggio della natura: di notte, lui era un lupo, e non poteva entrare nel castello con quelle sembianze.
Figurarsi: appena Rabadash l’avesse visto, avrebbe subito capito che non si trattava di un lupo qualunque.
Di quelle ore in cui non era umano, il Liberatore ricordava poco e niente. Il mattino quando tornava uomo, ripensava a quel che poteva essere accaduto, ma non lo rammentava. Era come una sorta di sogno sbiadito, intenso eppure già svanito con le prime luci dell’alba.
L’unica cosa positiva era che, man mano che passava il tempo, il dolore al petto che precedeva la trasformazione si attenuava sempre di più, anche se la maledizione lo lasciava ancora parecchio spossato. Ci sarebbe voluto ancora qualche tempo prima che il suo fisico si abituasse a quella doppia esistenza.
La strada che segnava la rotta della sua vita portava ormai in una sola direzione. Adesso, restava da scoprire soltanto quanto fosse destinata a durare e quanti altri tracolli avrebbe avuto.
Di rialzarsi, per il momento, non se ne parlava.
Aveva deciso che, per adesso, l’unico sguardo al futuro che poteva concedersi era quello comprendente il salvataggio di Susan. Per il resto, nulla.
Ora come ora, non aveva ne la voglia ne la forza di pensare ad una soluzione. Solo quando avrebbe riavuto sua moglie al suo fianco, forse, avrebbe iniziato a vedere le cose sotto una prospettiva un po’ più ottimistica.
Alla fine del primo giorno, Selva e i suoi figli tornarono con Briscola, Miriel, Lord Rhoop, Pennalucida e i suoi amici gufi. Questi ultimi, stavano di nuovo radunando un gran assortimento di creature e animali per aiutare il Re e il suo gruppo. Il cervo e Tartufello erano invece andati direttamente alla casa del tasso, per preparala all’arrivo dei tanti ospiti che si apprestavano ad occuparla.
Quando furono tutti insieme, si fece il piano vero e proprio.
Ancora una volta, Caspian tracciò sul terreno una piantina del castello, segnando la posizione che ognuno di loro avrebbe preso, spiegando come si sarebbero mossi e illustrando a tutti il proprio compito.
“Entreremo come stabilito dal passaggio che va dalla spiaggia fino alle stanze di Lucy. Passa sotto il mare per un un chilometro circa, dopodiché risale fino al terzo piano in un gioco di scale a chiocciola, alcune pericolanti, per cui dovremo fare molta attenzione. A occhio e croce, ci vorranno una ventina di minuti per attraversarlo tutto”
“Ce la faranno gli animali più grossi a passare?” chiese Miriel, inginocchiata terra come gli altri, tutti attorno al Re.
“Dovrebbero” rispose Caspian, riflettendo per un attimo. “Ad ogni modo, una volta dentro, dovranno creare più confusione possibile. Più ce ne sarà, più sarà facile per noi agire indisturbati. Una volta nel castello, ci divideremo: Lord Rhoop, voi resterete a guardia della camera di Lucy insieme alle creature più grandi. Ricordate che è l’unica entrata e l’unica via d’uscita che abbiamo. Cair Paravel è enorme, ma è un’isola: è un vicolo cieco senza quel passaggio segreto”
“Contate su di me, Maestà” assicurò Rhoop con fervore.
“Drinian” proseguì il Liberatore, “Voi scenderete nelle segrete e cercherete vostra moglie”
“Potrei avvalermi di cervi e tori? Per lacerare le sbarre delle celle, serviranno corna e zoccoli”
“Sì, ottima idea. Anche Tempestoso e i suoi figli verranno con te”
“Caspian…” fece Miriel, “Tara e Clipse…”
Il Re la guardò negli occhi solo per un attimo. “Faremo il possibile, Miriel, ma non potremo salvare tutti”
La Driade abbassò la testa, un peso sul cuore. “Sì, lo so”
“Anche il più giovane dei miei ragazzi è stato imprigionato” intervenne severo Tempestoso. “Ma non dimentichiamo che la nostra priorità è la Regina Susan. Non possiamo subito pretendere di riprenderci il castello, né di riuscire a liberare i prigionieri”
“Le cercherò comunque” assicurò Drinian, “Tara, Clipse, e chiunque altro mi sarà possibile. Li farò uscire da quelle prigioni”
Miriel rialzò il capo e rivolse al capitano uno sguardo colmo di gratitudine.
“Va bene” fece Caspian, puntando la lama del pugnale di suo padre sul disegno della Grande Torre. “Shira, avrò bisogno di te quando arriveremo quassù, dato che Susan sarà…un…”
“Un falco” concluse Shira senza scomporsi.
“Sì” Caspian deglutì impercettibilmente. “La condurrai tu in salvo, d’accordo?”
“Certamente!”
Gli costava ancora ammetterlo, ma sapeva che non avrebbe rivisto il suo pesciolino, non con le sue reali sembianze.
Non importava, purché fossero di nuovo insieme.
“Avrete bisogno di aiuto, Maestà” disse poi Briscola. “Servirà qualcuno che vi copra le spalle”.
Era la prima volta, da che si erano ricongiunti, che si rivolgeva al Re.
Il nano provava un certo imbarazzo verso il Sovrano, certo che quest’ultimo non lo avesse perdonato per avergli tenuta nascosta la verità sul suo conto e su quello della Regina. Lui sapeva tutto eppure aveva taciuto.
Gli occhi grigi di Briscola incontrarono quelli neri di Caspian: non c’era rancore nello sguardo del giovane, che d’un tratto gli sorrise.
“Ovviamente, C.P.A, tu e Miriel verrete con me”
Il nano parve soddisfatto e anch’egli accennò un sorriso, borbottando un: “Volevo ben dire”
“Pennalucida” disse infine il Re, “tu controllerai la situazione dall’alto, e se qualcosa dovesse andare storto, avvertirai Selva. Voi due rimarrete a guidare la retroguardia, ovvero le driadi e gli amadriadi. Siete d’accordo?”
La moglie di Tempestoso annuì scalpitando.
“Uh-uh! Ottimo, ottimo!” fece Pennalucida emozionato, facendo frullare le ali. Per lui tutto quel movimento era inusuale: la vita a Bosco Gufo era sempre stata molto tranquilla.
“Questo è il piano. E’ tutto chiaro?”
Un attimo di silenzio in cui tutti annuirono. Nessuno ebbe nulla da ridire…tutti tranne il dottor Cornelius.
“Perdonatemi, Maestà: quale sarà il mio compito?”
Caspian aprì e chiuse la bocca senza trovare qualcosa da dire.
“Dottore, voi resterete qui” disse poi con calma. “Briscola vi lascerà il cordiale della Regina Lucy e lo terrete pronto in caso di bisogno, per quando torneremo”
“No, Sire, io voglio fare qualcosa di concreto. Il cordiale servirà a voi: se la Regina dovesse essere ferita…”
Caspian strinse i pugni a quelle parole. Non voleva pensarci.
“Potrei mettere a vostra disposizione qualcuna delle mie piccole magie”
“Dottore, voi siete…”
“Vecchio, lo so, ma sono ancora utile”
“Non volevo dire questo” disse in fretta il Liberatore, un poco imbarazzato.
“Allora dimostratemi che non lo pensate e fatemi venire”
Il Re non era per nulla convinto che fosse una buona idea far partecipare anche il professore a quell’impresa, ma l’ometto pareva non voler desistere.
“Andrete con Drinian, se tanto insistete. Anche se non sono per nulla d’accordo con la vostra decisione”
Cornelius sorrise, e i suoi occhi si accesero di determinazione.
“Ci ritroveremo qui all’accampamento” concluse Caspian alzandosi in piedi e guardandoli ancora uno per uno. “Buona fortuna a tutti”
 
  Purtroppo, il primo tentativo di entrare a Cair Paravel fu un insuccesso.
Come se sapessero quel che stavano per fare, i soldati di Calormen sembrarono aumentare di numero. Caspian e i suoi li incontravano sempre più spesso per la foresta, tanto che furono costretti a tornare all’accampamento e rimanere laggiù con le mani in mano.
Fu impossibile anche solo avvicinarsi alla spiaggia, tantomeno al passaggio segreto.
Attesero tutto il giorno, ma solo al tramonto i soldati si ritirarono, e durante le ore della notte non se ne vide nessuno. Questo perché – Caspian ne era certo – Rabadash sapeva benissimo che con il buio non ci sarebbe stato alcun tipo di tentativo da parte dei narniani di entrare nel castello e liberare Susan, perché quando era trasformato in un lupo, Caspian era totalmente inutile.
Ed era esattamente così che il Re si sentiva.
Il giorno seguente – il quarto dopo l’assedio a Cair Paravel – fecero un altro tentativo, il cui risultato fu identico al primo.
“Io credo, Sire” intervenne pacatamente Tempestoso, “che avremo molte più probabilità se ci muovessimo di notte, quando tutto è tranquillo”
Pennalucida parve deluso. “Ma come? Uh-uh! E tutta la baraonda che pensavamo di scatenare?”
“Avrai la tua baraonda, non ti preoccupare” lo rassicurò Shira.
“Stiamo perdendo troppo tempo!” esplose Caspian, colpendo con un pugno rabbioso il tronco di un albero.
Il panico lo stava travolgendo e la stanchezza accumulata stava permettendo alle sue emozioni di avere di nuovo la meglio. Mangiava poco e dormiva male. Non era abituato a farlo durante il giorno. E tali mancanza di cibo e di sonno lo rendevano quanto mai nervoso.
“Va bene, andrete stanotte. Senza di me” decise infine, serrando i pugni tanto da farsi male.
“No, Maestà, anche voi verrete” disse Briscola, ricambiando lo sguardo perplesso del Liberatore.
“Ma io non sono cosciente quando…sono un lupo”
Per Caspian, dire quelle parole ad alta voce, rese più concreta che mai la sua situazione.
“Ti guideremo noi” insisté Miriel. “Saremo io e C.P.A ad accompagnarti fino a Susan, come stabilito. Il piano non cambierà di una virgola, sta tranquillo”
“Inoltre, se dovrete combattere contro Rabadash sarete più veloce e più agile di lui” rincarò Briscola con fervore. “Sì, egli avrà la sua spada, ma voi potrete contare su artigli e denti. Avrete gambe più svelte di quelle di un uomo, un fiuto, un udito e un olfatto che vi permetteranno di scorgere i nemici con più facilità del normale”
Passò qualche minuto mentre Caspian rifletteva sul consiglio degli amici.
La soluzione era dunque entrare in Cair Paravel con le sue sembianze di lupo? Ma avrebbe dovuto attendere di nuovo la notte, e la cosa non lo allettava granché: sarebbero dovute trascorrere ancora delle ore.
Le lancette del tempo si avvicinavano inesorabili a far scoccare il tramonto del quarto giorno. Tra poco si sarebbe trasformato di nuovo, non c’era tempo per riflessioni troppo lunghe.
Ricordò improvvisamene un’espressione tipica del mondo terrestre, che aveva sentito spesso usare da Edmund: o la va o la spacca.

Quella notte, la pioggia tornò a cadere su Narnia in grosse e fitte gocce. I tuoni sembravano voler spaccare il cielo.
Il lupo scrollò il pelo bagnato, cercando di rilevare i consueti odori della foresta, dei quali la tempesta cancellava le tracce. Si muoveva con passi decisi, eleganti, attutiti dalla folta erba sulla quale camminava. Fiutava le tracce di un profumo famigliare, fresco, rassicurante, pungente e dolce al tempo stesso. Arrivò in una radura, dove lo aspettava un assortito gruppo di creature: erano numerose, ma non abbastanza da far fronte a un esercito.
C’erano molti animali delle più svariate razze, ma diversi da lui: essi parlavano, proprio come facevano l’ometto basso con la barba rossa, quello con la barba bianca, la ragazza dai capelli rossi (non era umana anche se lo sembrava, non aveva lo stesso odore degli altri), l’uomo dalla pelle abbronzata e quello con i capelli lunghi.
Il lupo si fermò un momento a guardarli: poteva fidarsi di loro, e loro si fidavano di lui.
“Andiamo” disse un cavallo (no, era un Centauro), aprendo la strada al gruppo.
Camminarono a passo sostenuto verso est fino a che arrivarono alla spiagga. Era da là che proveniva quell’odore famigliare, l’unico che la pioggia non riusciva a cancellare: era il mare.
Il lupo fu il primo a mettere le zampe sulla sabbia, lasciandosi alle spalle una scia di orme.
“Per tutti gli stivali! Lasceremo un mucchio di impronte!” udì borbottare l’ometto con la barba rossa.
“Pensa a tenere bassa la voce piuttosto!” sussurrò l’uomo dalla pelle abbronzata. “Ci penserà la pioggia a cancellarle”
“Siamo quasi arrivati” disse l’uomo coi capelli lunghi.
Si fermarono al limitare della boscaglia, dove il Centauro femmina, i suoi figli, una coppia di lepri e un corvo, avrebbero atteso il segnale del gufo.
L’ometto con la barba rossa avanzò verso un gruppetto di scogli alti più o meno quanto lui. I massi formavano un semi cerchio dentro il quale, ben celato sotto la sabbia, vi era una vecchia botola. Aiutato dall’uomo con la pelle abbronzata, l’ometto dovette scavare un poco per scoprirla.
“Attenti ora” disse ancora l’uomo coi capelli lunghi “Prima gli animali, poi Miriel e Shira, poi noi uomini. Passate piano, uno alla volta, e fate meno rumore possibile”.
Quando tutti furono dentro il passaggio segreto, la botola si richiuse e il gruppò iniziò ad avanzare nella lunga galleria sotterranea. Il lupo s’incamminò a fianco alla ragazza dai capelli rossi e all’uomo con la barba bianca.
Il passaggio procedeva in linea retta per alcuni metri, poi prese a salire e curvare.
Il lupo avrebbe voluto mettersi a correre, fare più in fretta.
Alla fine del percorso trovarono una parete nuda, apparentemente un vicolo cieco. Ma alzando gli occhi verso l’alto videro che sul soffitto vi era un’altra botola. L’uomo con la pelle abbronzata l’aprì e, dopo essersi assicurato che non ci fossero pericoli, si arrampicò e fece cenno agli altri di seguirlo.
Entrarono in un nuovo passaggio, fatto di scale di legno che salivano a spirale verso l’alto. Si arrampicarono fino all’ultma rampa e poi si fermarono di nuovo.
“La quarta pietra contando dal basso, partendo da quella alla destra di quella con la scheggiatura trasversale” sussurrò la ragazza coi capelli rossi all’uomo con la pelle abbronzata.
Quest’ultimo aggrottò la fronte e la guardò. “Un po’ più facile no, vero Miriel?”
“Non l’ho costruito io il castello, Drinian”
L’uomo fece pressione sulla pietra indicata e ci fu il rumore come di un meccanismo che scattava. La parete di roccia si aprì e il gruppo entrò in una stanza buia.
Il passaggio si celava dietro un lungo specchio appeso alla parete, il quale, non appena l’ultimo scoiattolo fu passato, venne nuovamente fatto girare su se stesso.
Si mossero verso la porta, forzarono la serratura chiusa a chiave grazie all’aiuto delle unghie di una pantera, e si ritrovarono in un lungo corridoio anch’esso immerso nell’oscurità.
“Da qui ci dividiamo, come dal piano” disse l’uomo coi capelli lunghi.
Tutti annuirono.
L’uomo con la barba bianca rivolse al lupo un’occhiata preoccupata, poi seguì di sotto il Centauro e l’uomo con la pelle abbronzata. Con loro, andarono tori, cervi e daini.
L’uomo coi capelli lunghi rimase a guardia della stanza insieme ad un paio di orsi bruni, due tigri e una pantera, ordinando a tutte le altre creature di sparpagliarsi per il castello.
“Coraggio, noi alla Torre!” esclamò l’ometto con la barba rossa, precedendo il falchetto e la ragazza lungo un altro corridoio. Il lupo li seguì.
Man mano che salivano sempre più in alto, l’odore della pioggia e della pietra antica del castello venne sostituito da un nuovo profumo. Era dolce, simile a quello delle rose.
Quel profumo fece affiorare nella mente del lupo immagini di una vita passata, di una vita che non era sciuro gli appartenesse. Suoni lontani di risate, di parole, un nome che non riusciva bene a ricordare – forse il suo o quello di qualcun altro. Una visione scolorita di un sorriso luminoso come la stessa luce del giorno, quella luce della quale splendeva un cielo -che forse non era un vero cielo- limpido e azzurro, nel quale poteva scorgere il proprio riflesso...
A chi appartenevano quelle memorie? A chi apparteneva quel profumo che sapeva di malinconia?
Il lupo doveva scoprirlo. Seppe che era lì per questo.
“Eccoli, sono loro!” gridò d’un tratto una voce.
L’ometto con la barba rossa imprecò. “Dannazione, ci hanno già trovati!”
Il lupo ringhiò quando vide spuntare dalla curva del corridoio alcuni uomini dalla pelle ambrata, con spade ricurve alla mano e bizzarri turbanti avvolti attorno al capo.
La Driade, il Nano, e il lupo si gettarono all’attacco.
“Shira, tu e il Re andate avanti!” esclamò Miriel, iniziando a scatenare il suo potere.
“Caspian!” chiamò Shira.
Il lupo si volse.
Caspian…sì, era quello il suo nome. Lo ricordava pronunciato da una voce gentile e tranquilla, una voce che amava…
 
 

Susan viveva durante la notte e moriva durante il giorno, ad ogni sorgere e tramontare di sole e luna.
O forse no.
Forse si risvegliava alla vita quand’era un falco, e cadeva nell’oblio della morte quando tornava sé stessa.
Segregata in quella gabbia in cima a una torre troppo alta perché potesse chiamare aiuto, anche mettendosi a gridare con tutte le sue forze fino a perdere la voce, nessuno l’avrebbe sentita. Attorno a lei, solo il soffiare del vento e i richiami degli uccelli.
Passava le sue giornate a fissare il paesaggio: le belle valli di Narnia, i boschi, il Grande Fiume e tutti i suoi affluenti, i Monti d’Occidente. Li poteva guardare ma non poteva toccarli, né raggiungerli. Quei luoghi che le erano parsi incommensurabilmente lontani  quando era sulla Terra, adesso le sembravano ancor più distanti.
Lassù, era sola.
Rabadash aveva fatto chiudere ogni passaggio alla Torre, rendendola inaccessibile, inarrivabile. Susan si ritrovò nascosta alla vista, celata al resto del mondo, alla salvezza. L’avrebbe tenuta in quella gabbia finché non si fosse decisa ad arrendersi a lui, ma lei non lo avrebbe mai fatto. Non avrebbe mai ceduto al principe del sud.
In quella lotta interiore e fisica, comunque, non era sola.
Anche se ogni notte Rabadash tentava di giacere con lei, non ci riusciva. Il suo corpo non reagiva alla smania che aveva di lei. C’era davvero qualcosa, anzi qualcuno, che glielo impediva.
Anche Susan ne era consapevole, e se la prima notte aveva gridato di orrore e vergogna, nelle successive aveva serrato gli occhi e sopportato. Era questione di pochi minuti, nei quali Rabadash le si avventava contro; ma ecco che non appena tentava di spingersi oltre le prime impudiche carezze, subito si sentiva male e doveva lasciarla andare.
Nel concreto non accadeva nulla, ma lei si sentiva sporca.
L’aveva violata nell’animo.
In quei momenti avrebbe desiderato morire.
Non avrebbe mai più avuto la forza di guardare Caspian negli occhi; allo stesso tempo avrebbe voluto essere tra le sue braccia, unica cura possibile per riuscire a dimenticare quel che aveva rischiato di subire.
Pensava sempre a Caspian, l’immagine di lui non l’abbandonava mai, e pensarlo le provocava una sofferenza tanto intensa che la lasciava svuotata.
Sentiva che se non avesse pianto sarebbe impazzita. Il problema era che non ci riusciva. Il dolore era così grande che non poteva nemmeno essere espresso con le lacrime. Non aveva più lacrime. Non aveva più emozioni.
Quel che la preoccupava di più era che Rabadash, nonostante fosse conscio di non poterla toccare, continuasse quel rituale per tutte le notti. Finché fosse rimasta lassù, tutto questo non avrebbe mai avuto fine. Susan sperava che si stancasse presto di lei, che la rinchiudesse in una cella nei sotterranei del castello dimenticandosi della sua esistenza, oppure che l’avesse lasciata lì a morire.
Shira non era più tornata da lei e la Regina non sapeva più cosa pensare. Forse era stata scoperta a fare il doppio gioco e ora Tisroc la teneva rinchiusa, proprio come Rabadash aveva fatto con lei. O forse, aveva trovato Caspian e gli aveva consegnato il fiore blu e il fiocco di Myra.
Susan aveva promesso a suo marito di non lasciarsi andare, ed era decisa a mantenere quella promessa. Non l’avrebbe deluso.
E così aveva continuato a pregare incessantemente, a volte per quasi tutto il giorno, altre fino ad addormentarsi, esausta.
Voleva credere, voleva farlo con tutte le sue forze.
Chiedi e ti sarà dato, diceva Aslan.
Ma Susan non aveva chiesto aiuto, non aveva chiesto più forza. Non voleva nulla per sé stessa, perché non meritava niente. Invece, inginocchiata davanti al cielo fino a farsi venire i crampi alle gambe, fino a che le ginocchia le dolevano terribilmente, aveva implorato e supplicato in tutti i modi e con tutte le parole possibili che almeno Caspian potesse essere ancora vivo.
Almeno lui.
Aveva anche gridato contro quel cielo, picchiando i pugni a terra, mentre le lacrime cedevano il posto alla rabbia.
Voleva solo che Caspian stesse bene, perché se così non fosse stato, in cosa poteva credere ancora lei? In Narnia? Narnia era un mondo vuoto senza di lui.
Tutti gli altri potevano far finta di aver dimenticato il perché lei fosse tornata, ma lei no: non era tornata per vivere a Narnia, ma per vivere al fianco di Caspian, per vivere per Caspian.
Con suo marito vicino avrebbe potuto farcela. Insieme avrebbero superato la perdita di Rilian e Myra. Ma così no…
Così era impossibile.
C’era troppo dolore in lei. Troppo...
Sapeva che il suo cuore non poteva reggere il dolore, non quel dolore: la solitudine.
“Aslan, ascoltami! Ti prego, ti scongiuro ascoltami!”
E Aslan l’aveva ascoltata…
Accadde una sera al sorgere della luna, quando Susan aveva appena ripreso le sue sembianze umane.
L’ululato del lupo si levò nella notte di Narnia e arrivò fino a lei: incredula e immobile figura avvolta in una candida sottoveste sgualcita che la faceva apparire piccola e fragile, debole e straziata, ma ancora viva. Nel suo petto, il cuore si agitò furioso; nelle vene, il sangue scorreva veloce, dandole una scarica d’adrenalina che la scosse da capo a piedi.
Le orecchie tese ad ascoltare, Susan si avvicinò alle sbarre, stringendo il ferro tanto forte che la fede nuziale e l’anello di zaffiri le lasciarono due profondi segni rossi sull’anulare sinistro.
Tremò.
C’erano decine di lupi a Narnia, e chiunque avrebbe pensato che sarebbe stato da stupidi credere che proprio quell’ululato potesse appartenere a lui. Ma qualcosa le diceva che era proprio così.
Nella voce di quel lupo vi era una nota spezzata da un dolore potente come la morte. Lui non stava solo cantando alla luna, stava cantando per lei: per la Regina del suo cuore.
Era lui. Sapeva che era lui! E se lo udiva, non doveva essere lontano.
Quella consapevolezza le fece liberare dalla gola il nome dal suono più dolce che avesse mai pronunciato.
“Caspian…Caspian! CASPIAN!!!”
Aggrappata a quelle sbarre come fossero l’unico appiglio rimastole, continuò a gridare il nome di lui, all’infinito, finché i singhiozzi glielo impedirono.
Si piegò su se stessa, cadendo in ginocchio, appoggiando il viso a quelle sbarre fredde che ancora stringeva.
Chiuse gli occhi ma li riaprì di scatto subito dopo, quando il lupo ululò di nuovo, come se l’avesse udita e le avesse risposto.
“Oddio…” Susan fece un sospiro tremulo, e sorrise per la prima volta da giorni. Un sorriso stanco, che sapeva di speranza e di dolore allo stesso tempo.
Doveva tenere duro. Lui sarebbe arrivato, come sempre. Perché Caspian la trovava sempre, lui avrebbe saputo cosa fare. L’avrebbe slavata, l’avrebbe protetta.
Lui per lei faceva l’impossibile.
Nulla, quella notte, aveva avuto più senso se non quel suono, che l’aveva distratta da tutti i dolori.
E quando si era nuovamente persa nel buio e la sofferenza era tornata a pesare sul cuore, incredibilmente non le parve più così opprimente.
Lo stesso accadde nelle due notti successive, e poi la terza, quando un nuovo temporale si scatenò su Narnia in tutta la sua violenza.
La pioggia cadeva a catinelle e la infradiciava completamente.
Rabadash era venuto come sempre da lei, ma stavolta non l’aveva toccata. Si era invece fermato in fondo alla Torre, accanto alla porta, a guardarla come se stesse decidendo che cosa fare di lei.
Forse, sperò Susan, stava davvero pensando di gettarla nelle segrete.
Bè, almeno per Caspian sarebbe stato più facile trovarla.
Non farti illusioni, disse una vocina nella sua testa...
Il principe rimase là per delle ore, a fissare la sagoma della Regina che si confondeva con il buio.
Lei se ne stava rannicchiata in fondo alla gabbia, lo sguardo rivolto a Narnia, il pensiero a Caspian, ai suoi figli, agli amici. Tremava di freddo per le raffiche di vento che soffiavano violente fin lassù. I lunghi capelli bruni le si erano appiccicati al volto, alle spalle, alla sottoveste fradicia che lasciava intravedere la sua pelle.
Rabadash non poteva sfiorarla neppure con un dito. Ora che era in mano sua, poteva solo guardarla, e questo per lui rappresentava la frustrazione più grande.
Egli la vide tremare, ma lei non si mosse, come se niente la infastidisse: né la pioggia, né il freddo, né il vento. Era come se la sua mente avesse chiuso fuori il mondo intero e lei riuscisse così a sopportare l’umiliazione cui la stava sottoponendo.
“Vi ammalerete” furono le prime parole che Rabadash le rivolse dopo moltissimo tempo. “Non mangiate e non dormite da giorni. Volete davvero morire, dunque?”
“Perché dovrei voler vivere?”
La voce un poco arrochita per il lungo silenzio, Susan pronunciò queste parole in un mormorio appena udibile al di sopra dello scrosciare della pioggia.
“Vi piegherete prima o poi”
Susan si volse e lo guardò con occhi stanchi, vuoti, lontani.
“Vi odio” disse, la voce appena un po’ più forte. Non gridò, non disse nient’altro.
Non c’era stata né offesa né ira nelle sue parole: quella di Susan era stata solo una stanca affermazione. L’evidenza dei suoi sentimenti.
Tali parole scatenarono in Rabadash una rabbia infuocata.
Si scagliò contro la gabbia, le urlò contro, la insultò nel peggiore dei modi, tessendo le sue disgrazie e il suo nero futuro.
La Regina rimase immobile.
Rabadash non sapeva che in lei si era riacceso un barlume di speranza, e non doveva sospettarlo. Se avesse capito che Caspian stava arrivando a salvarla, di certo avrebbe ordinato alle guardie di serrare ancor di più la già impenetrabile sorveglianza.
Caspian... amore mio, dove sei?
Forse era già sulla strada per venire a salvarla...
“Non verrà nessuno, è inutile che aspettate” disse il principe quando finì di gridare.
Ancora una volta, lei si rifiutò di rispondergli.
Aslan ti prego, proteggilo! pensò disperatamente.
Giunse la mani, tremando di freddo a causa delle folate di vento gelato che si abbattevano su di lei.
Non sentiva più il suo corpo.
Udì Rabadash avvicinarsi, infilare la chiave nella serratura e aprire la porta della gabbia.
Susan si voltò appena ma senza guardarlo in viso. Vide il mantello cadere a terra e chiuse gli occhi, cercando di pensare a tutto tranne che a quello che stava per accadere.
Rabadash l’afferrò per un braccio e la spinse a terra malamente, avventandosi su di lei.
“Che cosa farebbe il vostro Caspian se vi vedesse ora?” chiese con un ghigno. “La sua dolce Susan che si dimena tra le braccia di un altro uomo”
“Vi ammazzerà, ecco che cosa farà!” rispose la Regina, la testa voltata dalla parte opposta, nauseata.
Rabadash rise. “Io non credo. Penso invece che non vi vorrà più vedere”
“Probabilmente è vero. Probabilmente mi disprezzerà, ma questo non cambierà le cose, perché io lo amerò ancora”
Il principe le prese il volto con una mano e glielo fece voltare verso il suo. Negli occhi di lei scorse qualcosa che lo turbò.
Era speranza quella che vedeva?
“Anche se il vostro Re dovesse essere ancora vivo...”
Se dovesse essere vivo?” lo canzonò Susan, riuscendo a scostarsi un poco da lui. Come al solito, Rabadash stava perdendo le forze. “Non vi eravate vantato di averlo ucciso voi stesso?”
“Se vi dicessi di no?”
“Se vi dicessi che lo sapevo?”
Rabadash strinse gli occhi in due fessure. “Non sfidatemi, donna!”
“E voi non fate il gradasso, principe. Non siete riuscito ad uccidere un lupo inerme, e non riuscite neppure a soddisfare i vostri piaceri. Dov’è il grande uomo di cui tutti parlano e che avete sempre sostenuto di essere?”
Il principe proruppe in un grido di furore. Colpì la ragazza in pieno viso, facendole sanguinare il labbro inferiore.
Susan aveva davvero osato troppo.
Rabadash la prese per la gola e la spinse contro le sbarre, provocandole un acuto dolore alla schiena e mozzandole il fiato.
“E adesso, mia bella Regina, vorreste che vi uccidessi, vero? No, voi resterete qui, con me, sapendo che il vostro Caspian è vivo, destinato come voi a una vita a metà. Non vi rivedrete mai più, o se mai ci ricucirete, non potrete parlarvi né toccarvi. La morte sarebbe una soluzione troppo semplice per voi due, troppo gentile e sbrigativa, forse persino indolore. Così, invece, avrete una vita intera per soffrire, a lungo, e il dolore vi consumerà giorno dopo giorno, fino a che non darete l’ultimo respiro. E pregherò Tash di mantenermi in vita fino a quel giorno, così che potrò esultare della vostra morte!”
Un tuono squarciò il cielo e fece tremare l’intera Torre. La porta si spalancò con un tonfo, e il lupo saltò alla gola di Rabadash prima che lui o Susan ebbero il tempo di capire ciò che stava succedendo.
“Caspian!” strillò lei, incredula, felice, terrorizzata.
Rabadash riuscì ad allontanare il lupo, rotolando a terra insieme ad esso. Si premette una mano sulla gola, la scostò e osservò le proprie dita macchiate di sangue. Non era grave.
Il lupo era atterrato sulle quattro zampe, i denti scoperti, il pelo nero ritto sulla schiena, la testa abbassata e l’aria minacciosa. Un cupo ringhio saliva dalle profondità della sua gola.
Rabadash sfoderò la scimitarra. “Non vi fermate proprio davanti a nulla, vedo, Vostra Maestà”
“Non toccarlo! Non avvicinarti a lui!” rantolò Susan, una mano premuta sulla gola.
Quando Rabadash l’aveva lasciata andare, si era accasciata lungo la parete della gabbia, ma ora era di nuovo in piedi, pronta ad aiutare Caspian.
Fece per uscire dalla porta della cella rimasta aperta, ma il principe la richiuse in tutta fretta.
“NO! Caspian! Caspian!”
Rabadash fece un ghigno, roteando la spada tra le mani, avanzando lentamente verso il lupo con l’aria di chi ha a disposizione tutto il tempo che vuole.
L’animale non si mosse di un millimetro. Non aveva paura dell’uomo.
Susan osservava la scena senza sapere cosa fare: come aiutare Caspian? Con che cosa?
Il principe attaccò per primo, ma il lupo scansò il suo primo colpo e quelli successivi. Rabadash era un combattente eccellente, tuttavia, con quelle sembiaze Caspian lo superava in rapidità e agilità, e non fu facile per il principe stragli dietro. Il lupo sfrecciava come il vento, e quando l’avversario allungò il braccio per colpirlo, i denti affondarono nella carne.
Nuovamente travolto da una rabbia incontenibile, Rabadash calò la lama sull’animale.
Il lupo lasciò andare l’uomo del sud non appena capì le sue intenzioni. Ma questa volta non fu abbastanza rapido e la spada lo colpì di striscio.
Susan gridò quando vide il sangue e udì un guaito di dolore.
“Maestà!” chiamò una nuova voce dall’alto.
La Regina Dolce, gli occhi fissi su Caspian, distolse lo sguardo da lui solo un momento.
“Shira!”
Rabadash si voltò di scatto, incredulo. “Shira?!”
“Sì, proprio io!”. Incurante che lui l’avesse vista, il falchetto si insinuò nella gabbia, volando tra le braccia della Regina.
“Shira, devi cercare di prendere le chiavi, devo uscire di qui! Devo aiutare Caspian!” disse Susan in tono concitato, spostando di nuovo gli occhi sul lupo che si stava rialzando.
“Non farà nulla del genere!” tuonò Rabadash.
Dimentico per un momento del suo duello, il principe si precipitò verso il falchetto e la Regina. Riaprì la porta della gabbia con un calcio poderoso, la scimitarra alzata sopra la testa in un gesto inequivocabile.
“Sporca traditrice!”
“Shira, scappa!” Susan la lasciò andare e il falchetto si alzò in volo.
Carico di rabbia, Rabadash si abbatté sulla Regina Dolce. Lei cercò di scappare, ma lui l’afferrò per un braccio.
Il lupo si rimise in piedi, incurante della ferita ripotata. Saltò dentro la gabbia e si parò davanti alla ragazza prima che l’altro uomo potesse toccarla di nuovo.
Non doveva nemmeno sfiorarla!
Susan si strinse a lui, posando le mani sul manto fradicio di pioggia, percependo la ferita ancora fresca, il tremito del suo corpo mentre ringhiava in direzione di Rabadash.
“Non gli farete del male!”
“Dovrei commuovermi, adesso?” sbottò il principe, osservandoli.
Inutile. Era inutile. Erano sempre uniti, pur sapendo che non avrebbero mai più potuto stare insieme. Non si sarebbero lasciati mai.
La pioggia aveva cessato di cadere, i tuoni risuonavano ancora in lontananza, ma ormai il temporale era finito e il cielo si tingeva di lilla: l’alba era prossima.
“Arrendersi sarebbe molto saggio da parte vostra”
Susan cercò di trattenere il lupo, ma questo balzò allungando il corpo, tendendo i muscoli, saettando nell’aria in una nera macchia indistinta.
Rabadash alzò la scimitarra, pronto a infilzare la lama nell’addome dell’animale.
Susan schizzò in piedi ed uscì dalla gabbia. Non pensò a che aveva riacquistato la libertà, pensò soltanto a lanciarsi verso Rabadash e ad afferrargli il braccio destro, impedendogli di trafiggere il lupo.
Il principe e la ragazza si spinsero senza avvedersene fin sull’orlo della Grande Torre.
In quel mentre, un’ombra passò sopra le loro teste: era un grosso uccello, e reggeva tra le zampe un oggetto lungo e scintillante.
“Uh-uh! Sire, prendete!”
Caspian alzò il braccio e afferrò Rhasador al volo.
Susan sentì il cuore accelerare i battiti mentre si voltava.
Caspian!
Era là, davanti a lei, in carne ed ossa, Rhasador puntata contro il nemico.
Rabadash afferrò saldamente la Dolce, sospingendola verso l’orlo della Torre.
Lei riusciva a tenersi ancora in equilibrio solo perché era aggrappata al suo nemico. Se l’avesse lasciata sarebbe precipitata nel vuoto.
“Susan!” gridò Caspian, “Lasciala andare, animale schifoso!”
Rabadash si sentì ribollire il sangue nelle vene. “Come desiderate!”
Ciò che avvenne dopo si svolse per tutti come una scena al rallentatore, ma in realtà non durò che pochi secondi.
Rabadash lasciò andare la Regina, ed ella cadde nel vuoto con un grido di puro terrore.
“SUSAN!!!” Caspian si precipitò verso la balaustra afferrandola al volo.
Il principe del Sud tentò di colpire il Re di Narnia alle spalle, ma Pennalucida scese in picchiata su di lui, facendolo rovinare sulle tegole del tetto più in basso. Rabadash rotolò ancora più giù, finché non colpì una merlatura e sentì il braccio spezzarsi. La vista gli si annebbiò per via del dolore molto forte, ma poté ugualmente vedere la scena a pochi metri da lui: era stato più fortunato di Susan. Lei penzolava con i piedi nel vuoto.
“Dai il segnale, Pennalucida! Abbiamo bisogno d’aiuto!” gridò Caspian.
“Sì, Maestà!”
La mano di Susan scivolava nella sua. “Tieniti!
“Caspian, lasciami andare!”
Il giovane sgranò gli occhi, incredulo. “Sei impazzita?!”
“Fidati, ti prego! Lasciami, o cadrai anche tu!”
“NO!”
Lui non riusciva più a tenerla. La trasformazione lo lasciava ancora troppo debole, e la ferita alla spalla sanguinava dolorosa, intorpidendogli il braccio.
“Non posso lasciarti! Non voglio più lasciarti, Susan!”
“Caspian…”. Gli occhi della Regina Dolce si riempirono di lacrime e presto non fu più in grado di vedere il volto di lui.
“No...NO!!!” gridò Caspian, quando infine perse la presa.
Susan strillò e cadde verso il nulla.
Era stato un attimo. Per pochi istanti appena si erano rivisti, si erano toccati.
Quel che aveva detto Rabadash non era vero, lei l’aveva sempre saputo: c’era ancora una possibilità per loro di stare insieme, e l’avrebbero trovata.
E poi il cielo s’illuminò, il sole sorse, e i suoi raggi si stesero su Narnia, sul castello, mentre uno splendido falco appariva davanti agli occhi di Caspian, librandosi nell’aria salutando il nuovo giorno.
 

 



Cari lettori, perdonatemi se non sono riuscita ad inserire né Eustace e Jill, né i gemelli, né a fare il salto temporale di cui vi aveva parlato. Un po’ è stata colpa del nuovo lavoro che mi ha tenuta impegnatissima per tutta la settimana (avevo tempo di scrivere solo di sera) e un po’ è stata anche la piega e la lunghezza inaspettata che hanno preso le vicende riguardanti i nostri Suspian.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, e scusate ancora se ogni tanto le anticipazioni non sono quelle previste. Giuro, giuro, giuro che non vi deluderò più!!! U.U
Non ho riletto il capitolo, per cui se trovate errori non esitate a dirmelo così posso correggerli, e scusatemi tanto!!!
 
Ringrazio:


Per le preferite: Aesther,  aleboh, Araba Stark, battle wound, english_dancer, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693,GregAvril2000,HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, lucymstuartbarnes, lullabi2000, Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed, ukuhlushwa e Zouzoufan7
 

Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin, mishy, Queen_Leslie e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, ecate_92, fede95, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, katydragons, Lucinda Grey, lucymstuartbarnes, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_, piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 

Per le recensioni dello scorso capitolo: battle wound, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, Joy_10,piumetta, Queen_Leslie, Queen Susan 21 e Shadowfax,

 
Angolino delle anticipazioni (ehm…un pò approssimativo…)
Prima di tutto, vedremo come si concluderanno le cose a Cair Paravel. No, Rabadash non è morto, tranquilli xD
Come vi dicevo l’altra volta, Rilian e Myra, nel Mondodisotto, riceveranno una sorpresa.
Eustace e Jill si ritroveranno su una altissima montagna e lui sarà vittima di uno spiacevole imprevisto…
I Pevensie, se riesco ad inserirli, arriveranno nella Foresta di Mezzo.
E per quanto riguarda il salto temporale, penso che dovrete aspettare non il prossimo capitolo ma quello dopo ancora per sapere quanto tempo passerà.

 
E anche per questa settimana è tutto!!! Mi spiace davvero di non riuscire più a trovae un giorno fisso per gli aggiornamenti, e vi ringrazio per essere così pazienti e comprensivi. Continuate a seguirmi fiduciosi in quest’avventura!!!
In ultimo vi ricordo la mia pagina gruppo su facebook Chronicles of Queen per gli aggiornamenti
Un bacio enorme,
Susan♥
   
 
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